Rassegna stampa 11 aprile 2016

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Rassegna stampa 11 aprile 2016
RASSEGNA STAMPA di lunedì 11 aprile 2016
SOMMARIO
“Il cammino sinodale – scrive Papa Francesco nell’introduzione all’esortazione
postsinodale “Amoris laetitae” sulla quale, nella Rassegna odierna, vi sono diversi
commenti - ha permesso di porre sul tappeto la situazione delle famiglie nel mondo
attuale, di allargare il nostro sguardo e di ravvivare la nostra consapevolezza
sull’importanza del matrimonio e della famiglia. Al tempo stesso, la complessità delle
tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con
libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali. La riflessione dei
pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a
raggiungere una maggiore chiarezza. I dibattiti che si trovano nei mezzi di
comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un
desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento,
all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative
generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche. Ricordando
che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni
dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero.
Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non
impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o
alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito
ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà
perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo.
Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente
alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, « le culture sono molto diverse tra loro e ogni
principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e
applicato ». In ogni modo, devo dire che il cammino sinodale ha portato in sé una
grande bellezza e ha offerto molta luce. Ringrazio per i tanti contributi che mi hanno
aiutato a considerare i problemi delle famiglie del mondo in tutta la loro ampiezza.
L’insieme degli interventi dei Padri, che ho ascoltato con costante attenzione, mi è
parso un prezioso poliedro, costituito da molte legittime preoccupazioni e da
domande oneste e sincere. Perciò ho ritenuto opportuno redigere una Esortazione
Apostolica postsinodale che raccolga contributi dei due recenti Sinodi sulla famiglia,
unendo altre considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo e la prassi
pastorale, e al tempo stesso arrechino coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro
impegno e nelle loro difficoltà. Questa Esortazione acquista un significato speciale nel
contesto di questo Anno Giubilare della Misericordia. In primo luogo, perché la
intendo come una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del
matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la
generosità, l’impegno, la
fedeltà e la pazienza. In secondo luogo, perché si propone di incoraggiare tutti ad
essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si realizza
perfettamente o non si svolge con pace e gioia. Nello sviluppo del testo, comincerò
con un’apertura ispirata alle Sacre Scritture, che conferisca un tono adeguato. A
partire da lì considererò la situazione attuale delle famiglie, in ordine a tenere i piedi
per terra. Poi ricorderò alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa
circa il matrimonio e la famiglia, per fare spazio così ai due capitoli centrali, dedicati
all’amore. In seguito metterò in rilievo alcune vie pastorali che ci orientino a
costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio, e dedicherò un capitolo
all’educazione dei figli. Quindi mi soffermerò su un invito alla misericordia e al
discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello
che il Signore ci propone, e infine traccerò brevi linee di spiritualità familiare. A
causa della ricchezza dei due anni di riflessioni che ha apportato il cammino sinodale,
la presente Esortazione affronta, con stili diversi, molti e svariati temi. Questo spiega
la sua inevitabile estensione. Perciò non consiglio una lettura generale affrettata.
Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale
familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi
cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta. È probabile,
ad esempio, che i coniugi si riconoscano di più nei capitoli quarto e quinto, che gli
operatori pastorali abbiano particolare interesse per il capitolo sesto, e che tutti si
vedano molto interpellati dal capitolo ottavo. Spero che ognuno, attraverso la lettura,
si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse
«non sono un problema, sono principalmente un’opportunità»” (a.p.)
IN PRIMO PIANO - “AMORIS LAETITA”, L’ESORTAZIONE DEL PAPA DOPO IL
SINODO
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Come tutto cambia di Stefania Falasca
Pag 5 Paglia: una svolta storica per la famiglia di Luciano Moia
“Discernere e integrare? Sì, ma caso per caso, in dialogo con il confessore”
CORRIERE DELLA SERA di domenica 10 aprile 2016
Pag 29 L’abbraccio del Papa a trans e prostitute di Luigi Accattoli
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 10 La svolta spacca la Chiesa, Francesco non si ferma di Mariaelena Finessi
“Amoris laetitia” è già best seller
L’OSSERVATORE ROMANO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Per il bene di tutti di g.m.v.
Pag 4 La gioia dell’amore
Presentata l’esortazione apostolica postsinodale “Amoris laetitia” sulla famiglia frutto
delle assemblee tenute nel 2014 e nel 2015
Pag 6 Semplice come un buonasera di Christoph Schönborn
L’intervento dell’arcivescovo di Vienna
Pag 7 Buona notizia per le famiglie di Lorenzo Baldisseri
La presentazione del segretario generale del Sinodo dei Vescovi
AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Lo speciale sigillo di Pierangelo Sequeri
Amore, famiglia, vita vera
Pagg 4 – 5 La rivoluzione di Francesco. Un abbraccio senza esclusioni di Luciano
Moia
L’originalità di un testo che rovescia le prospettive pastorali. Il vescovo Fragnelli: “E
adesso ridefiniamo la pastorale”
CORRIERE DELLA SERA di sabato 9 aprile 2016
Pag 5 Paglia e il nodo dei sacramenti: “Dobbiamo curare le ferite, non agire
come un tribunale” di Gian Guido Vecchi
Pag 5 Nelle diocesi: giusto aiutare chi ha sofferto di Fabrizio Caccia
Il teologo Forte: c’è attenzione verso la fede “incarnata”
Pag 6 La Chiesa e il sesso. Quando Paolo disse: “Le donne siano sottomesse ai
mariti” di Aldo Cazzullo
Il confronto con le parole del Pontefice
Pag 32 Quella porta aperta sull’amore che accoglie di Michela Marzano
Pag 33 La volontà di riforme e il magistero della Chiesa di Massimo Franco
LA REPUBBLICA di sabato 9 aprile 2016
Pagg 6 – 7 La svolta del Papa: “Ostia ai divorziati, ma caso per caso. Il sesso
dono di Dio” di Marco Ansaldo
Pubblicata l’esortazione “Amoris laetitia”, le nuove guida per i pastori e le famiglie
Pag 9 Schönborn: “Io, figlio di separati, felice per l’apertura della comunione
alle coppie risposate”. Burke: “L’eros non è il male, ma non deve mai essere in
contrasto con la procreazione” di Paolo Rodari
Pag 33 Francesco e la riforma dell’amore di Alberto Melloni
Pag 33 Ma sulla famiglia la Chiesa è ferma di Chiara Saraceno
IL FOGLIO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Gli eufemismi non veritativi di Francesco di Giuliano Ferrara
Pag 1 Ma l’attesa rivoluzione non c’è stata di Matteo Matzuzzi
IL GAZZETTINO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Il cambio di passo che il Pontefice chiede alla Chiesa di Franco Garelli
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 La famiglia secondo Bergoglio di Andrea Sarubbi
Pag 7 “Il sesso è un meraviglioso dono di Dio” di Mariaelena Finessi e Paolo
Sacredo
Il testo è stato più volte limato compromesso tra varie anime
1 – IL PATRIARCA
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Pag XI In 2500 al “ritmo” del Patriarca di g.bab.
Jesolo: responsabilità e libertà al centro della riflessione con i ragazzi. Folla per la festa
diocesana dei giovani con Moraglia
LA NUOVA
Pag 16 Festa diocesana, oltre 2500 ragazzi con il Patriarca di Alessio Conforti
Jesolo: è stata una giornata intensa e di grande allegria. Moraglia: “Siete all’inizio del
magnifico libro della vita”
2 – DIOCESI E PARROCCHIE
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 10 aprile 2016
Pag XIX Chiesa di Borbiago: da oggi all’opera due nuove suore di l.gia.
AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 18 A Jesolo la festa diocesana rivolta agli adolescenti
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 9 aprile 2016
Pag XXIII Jesolo: in 2500 alla festa diocesana dei ragazzi di G.Bab.
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 43 Tornano a Treporti le spoglie di don Giorgio di Francesco Macaluso
Giovedì 14 la cerimonia: al sacerdote sarà intitolato il patronato
Pag 43 Jesolo: festa dei ragazzi con il Patriarca domani al Pala Arrex di g.ca.
3 – VITA DELLA CHIESA
L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 10 aprile 2016
Pag 8 Capaci di guardare negli occhi
All’udienza giubilare Francesco spiega il significato e il valore dell’elemosina
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pag 3 L’ecumenismo dell’accoglienza di Riccardo Maccioni
Lesbo e i “corridoi”: gesti comuni dei cristiani
5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO
IL GAZZETTINO di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Per la crescita serve investire nelle imprese di Romano Prodi
7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA
IL GAZZETTINO di domenica 10 aprile 2016
Pag 9 Denuncia l’infedeltà del testimone di Geova. Il giudice: dovere morale di
Gianluca Amadori
Cameriera rivelò alla congregazione di aver visto un fratello di fede con una donna
diversa dalla moglie
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 10 aprile 2016
Pag XI Cresce l’eredità di don Franco di Maurizio Dianese
A quattro mesi dalla scomparsa del fondatore il Centro Don Milani apre a nuovi progetti
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 21 Il dottor Temperini se n’è andato a 97 anni di s.b.
Aveva lavorato in ospedale come urologo poi medico di famiglia e volontario a Betania
Pag 45 Riecco le tarsie del Sansovino, gli arredi perduti di S. Marco di Enrico
Tantucci
Ospiti nella Sala di Sant’Apollonia quattro delle sei opere della raccolta
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 9 aprile 2016
Pag XIII Mestre “capitale” del Bangladesh di Elisio Trevisan
Cinquemila persone risiedono stabilmente in città attratte dagli appalti in Fincantieri
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 23 Metal detector all’ingresso della Basilica di Enrico Tantucci
L’annuncio del Procuratore di San Marco Carlo Alberto Tesserin. Già installato anche un
sistema di telecamere interne
Pag 26 Testamento biologico, sospeso il registro di Mitia Chiarin
Oltre 400 le persone già iscritte in due anni. La convenzione con i notai è scaduta ma il
Comune non l’ha rinnovata
8 – VENETO / NORDEST
CORRIERE DEL VENETO di domenica 10 aprile 2016
Pag 9 Lavoro, studio e sport nell’oasi dei profughi: “Le caserme? E’ follia” di
Martina Zambon
L’esperienza della Coop Olivotti
CORRIERE DEL VENETO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Il Nordest e l’Islam percepito di Vittorio Filippi
Aria di moderazione
Pag 7 Il Veneto degli “hub” mascherati: “Così fallisce l’accoglienza diffusa” di
Sara D’Ascenzo
In sei casermoni si concentrano oltre 1.500 profughi. La Caritas: colpa di chi non decide
Pag 19 Vicenza, il vescovo contro gli ex vertici: “Restituiscano quanto hanno
sottratto” di Andrea Alba
… ed inoltre oggi segnaliamo…
CORRIERE DELLA SERA
Pag 1 La spinta a farsi del male di Angelo Panebianco
LA REPUBBLICA
Pag 15 L'allarme sondaggi e quel salto nel buio chiamato Italicum di Stefano Folli
Il premier e l'incubo della lenta erosione dei consensi
IL GAZZETTINO
Pag 1 Legge sulle lobby, arma contro gli intrallazzi di Massimo Teodori
Pag 2 Grillo sotto accusa per la finta “comunione”
Il comico al termine del suo show ha distribuito grilli essiccati: “Questo è il mio corpo”
LA NUOVA
Pag 1 Con Giulio oltre le leggi degli Stati di Vincenzo Milanesi
Pag 1 Se Panama fa tremare il mondo di Maurizio Mistri
Pag 3 I lumbard, la Nigeria e il petrolio di Giancesare Flesca
CORRIERE DELLA SERA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 La fermezza e la dignità di un Paese di Franco Venturini
Pag 5 Le prossime mosse dell’Italia di Fiorenza Sarzanini
Le misure possibili: pressioni internazionali, limiti agli scambi, freni al turismo. Ma il
timore è di colpire anche la nostra economia
Pag 6 Per l’80% il governo ora è meno credibile ma i più condividono le parole
del premier di Nando Pagnoncelli
LA REPUBBLICA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Le vette di Francesco e la palude dove Renzi annaspa di Eugenio Scalfari
Pag 1 Il Paese dei veleni diviso e indeciso di Ilvo Diamanti
Grillo ora tallona il Pd e vincerebbe al ballottaggio, è l’effetto delle inchieste
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pagg 20 – 21 Politica, vita, libertà. Sorella sinistra dove sei? di Alessandro Zaccuri
I forum di Avvenire
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 L’eccessiva prudenza dell’Italia di Renzo Guolo
Pag 1 Il bottino delle ruberie nella sanità di Francesco Jori
CORRIERE DELLA SERA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Lotta ai corrotti, non al mercato di Antonio Polito
L’inchiesta, i tabù e gli alibi
Pag 1 Renzi: non andrà come sui marò di Francesco Verderami
L’Italia alza il muro contro l’Egitto
AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 3 La Spagna senza governo sogna una via “italiana” di Marco Olivetti
La ricerca di una mediazione per uscire dallo stallo
Pag 9 Usare tutte le leve con giusta decisione
IL GAZZETTINO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Così muteranno gli equilibri nel Mediterraneo di Alessandro Orsini
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Se il premier è costretto a difendersi di Bruno Manfellotto
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IN PRIMO PIANO - “AMORIS LAETITA”, L’ESORTAZIONE DEL PAPA DOPO IL
SINODO
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Come tutto cambia di Stefania Falasca
Non cambia niente, ma cambia tutto. Qui è il paradosso, profondamente cristiano, di
questa Esortazione. Perché con l’Amoris laetitia tutto può effettivamente cambiare.
Niente cambia in termini di dottrina, tutto cambia e può cambiare se di questa dottrina,
per grazia, si assumono gli occhi e il cuore che sono quelli di Cristo in carne e ossa. Da
qui il primato prorompente e attrattivo dell’Amore, da qui la potenza della laetitia. Da
qui il realismo e la sapienza che sa ascoltare e recepire le istanze nelle pieghe di ogni
vita, che si legge in ogni pagina. Da qui finalmente un linguaggio dell’esperienza,
comprensivo e comprensibile, concreto e profondo, nel quale ogni esperienza familiare,
umana e esistenziale può riflettersi e riconoscersi e può sentire risuonare come una
carezza la voce di quella grazia che allarga il respiro e spinge a crescere, o a rinascere.
Papa Francesco non ha scritto l’Esortazione per soddisfare le scelte editoriali del
momento. Scompaginate, peraltro, da un testo che disinnesca naturaliter le stantie
cospirazioni delle agende liberali o conservatrici e riconosce – come su questa prima
pagina è stato subito evidenziato – che «i dibattiti che si trovano nei mezzi di
comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un
desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento,
all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o
traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (Al 2). Così come
riconosce che «per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni
dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già
sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di
significato la loro vita insieme» (Al 37). La scommessa da cui muove il testo papale è
un’altra: abbandonata ogni idealizzazione e astrattismo guardare alle realtà e ai legami
familiari «così come sono» e far intravedere il tesoro desiderabile di bellezza, grandezza
umana e gratuità che vive almeno potenzialmente in ogni relazione familiare. E
suggerire la sorgente che la alimenta a partire da un centro: l’amore. Non quello del
sentimentalismo ma quello del «fare il bene». Quello dell’Inno alla carità di san Paolo,
senza la quale nessun essere umano può dirsi tale. È questa la sorgente da cui
scaturisce l’unità e l’apertura di sguardo, conforme al fondamento del suo intero
magistero, con la quale Francesco snoda l’Esortazione, includendo e armonizzando i
contributi dei due Sinodi sulla famiglia. Sguardo è una parola chiave che ricorre
continuamente nel tessuto del testo. È «lo sguardo amabile», «lo sguardo di Cristo, la
cui luce rischiara ogni uomo» dice citando la Gaudium et spes, che dispone a
comprendere, discernere e accompagnare, che incoraggia soprattutto e orienta a
percorsi nella consapevolezza di essere chiamati come Chiesa «a formare le coscienze,
non a pretendere di sostituirle». L’espressione Amoris laetitia dice l’ispirazione positiva e
aperta e il suo riferimento alla gioia, assonante nell’ispirazione alla Evangelii gaudium. Il
«primo compito dei pastori deve essere quello di custodire questa gioia e di valorizzare
ciò che è attrattivo nella vita familiare», senza catalogare e senza categorizzare, con
quello sguardo di fondamentale benevolenza che ha che fare con gli occhi di Gesù che
non escludono nessuno, che accoglie tutti e a tutti concede la gioia del Vangelo. Così la
famiglia, come cifra e caleidoscopio della condizione umana, incrocia le 'strade di
felicità» (Al 38). È una esperienza fragile e complessa che mette in gioco non le idee, ma
le persone, perché «nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per
sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (Al 325). È la
via propria di una Chiesa conformata a Cristo e su tale via, anche le parole della Chiesa
sul matrimonio e la famiglia risultano efficaci solo quando ne sono riflesso chiaro. Questo
significa assimilare la profonda trasformazione di atteggiamento mentale che ispira lo
stile dell’esortazione, demolendo ogni malsana postura da «giusto incallito». E se
l’Esortazione papale vuole imprimere un cambio di passo all’atteggiamento della Chiesa
e la sua immersione nella concretezza storica, questa non è solo un nuovo punto di
partenza per l’attuazione di una nuova logica pastorale, questa è la riforma dell’amore.
Che può imprimersi solo da una coscienza rinata. L’Amoris laetitia è la maglia rotta nella
rete, il punto di fuga per restituirci la divina letizia di quell’umanità perduta nel mare
nostrum della società liquida, che sempre più rende relitti e profughi della vita.
Pag 5 Paglia: una svolta storica per la famiglia di Luciano Moia
“Discernere e integrare? Sì, ma caso per caso, in dialogo con il confessore”
E ora la domanda che si fanno tutti è la stessa: concretamente cosa cambia? Che
conseguenze avrà questa Esortazione nella vita delle nostre comunità? «C’è un evidente
cambio di passo e di stile che va a toccare la forma stessa della Chiesa. Sono parole,
quelle di Francesco, che segnano un cambio di prospettive. Una svolta che non
dobbiamo avere paura di definire storica». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del
Pontificio Consiglio per la famiglia, ha seguito passo dopo passo da protagonista il
percorso sinodale, è intervenuto in molte occasioni, ha orientato il dibattito rilasciando
interviste e dichiarazioni ai media di tutto il mondo. Insomma, quasi inutile sottolinearlo,
conosce a fondo gli argomenti dell’Esortazione e li ha visti nascere molto da “vicino”.
Eccellenza, perché dobbiamo considerare l’“Amoris laetitia” un passo decisivo della
Chiesa nell’incontro con le famiglie?
La differenza fra l’atteggiamento notarile e la responsabilità morale nei confronti delle
vicissitudini della famiglia, da parte della Chiesa stessa, è un punto d’onore iscritto nella
sua stessa dottrina, non un adattamento imposto dalle trasformazioni mondane. Non
solo. Nella logica che ispira la sintesi che il Papa offre della maturazione sinodale della
coscienza ecclesiale. La stessa consacrazione del ministero ecclesiastico è per la vita di
fede della famiglia, e non viceversa. La Chiesa, dunque, non potrà svolgere il compito
che le è assegnato da Dio nei confronti della famiglia, se non coinvolgerà le famiglie in
questo stesso compito, secondo lo stile di Dio. E pertanto, senza assumere essa stessa i
tratti di una comunione familiare.
Quali sono nel testo papale i passaggi concreti che evidenziano questa trasformazione?
I segni forti di questo raddrizzamento di rotta sono almeno due. Il matrimonio è
indissolubile, ma il legame della Chiesa con i figli e le figlie di Dio lo è ancora di più:
perché è come quello che Cristo ha stabilito con la Chiesa, piena di peccatori che sono
stati amati quando ancora lo erano. E non sono abbandonati, neppure quando ci
ricascano. Questo, come dice l’apostolo Paolo, è proprio un mistero grande, che va
decisamente oltre ogni romantica metafora d un amore che rimane in vita soltanto
nell’idillio di “due cuori e una capanna”. Il secondo segno è la conseguente piena
consegna al vescovo di questa responsabilità ecclesiale sapendo che il supremo principio
è la salus animarum (un’affermazione solenne che chiude il Codice di Diritto Canonico,
ma che spesso viene dimenticata). Il vescovo è giudice in quanto pastore. E il pastore
riconosce le sue pecore anche quando hanno smarrito la strada. Il suo scopo ultimo è
sempre quello di riportarle a casa, dove può curarle e guarirle, mentre non lo può fare
se le lascia dove sono abbandonandole al suo destino perché “se lo sono cercato”.
Oggi la Chiesa, i vescovi, i sacerdoti, i nostri uffici di pastorale familiare, sono in grado di
accogliere questa trasformazione?
C’è davvero da sperare che tutti, vescovi, sacerdoti, fedeli sappiano aiutare e
accompagnare. Questa trasformazione, se è accolta con fede, è destinata a rivoluzionare
decisamente lo sguardo con il quale deve essere percepita la Chiesa dei credenti nel
passaggio dell’epoca. La chiave di questa trasformazione non si trova, come è sembrato,
nell’equivoca disputa che ha polarizzato gli inizi di questo cammino sinodale, nel
presunto conflitto (o alternativa) fra rigore della dottrina e condiscendenza pastorale.
Infatti, in questi anni di cammino sinodale si è parlato spesso della presunta
contrapposizione tra dottrina e pastorale. Ora si dice che questo testo rafforza l’unità
dottrinale nella pluralità pastorale. Ma è davvero così?
Sì, le novità che il Papa introduce non significano rinunciare ad illuminare la verità del
cammino della fede e le forti esigenze della sequela del Signore. Al contrario, significa
assumere lo sguardo di Gesù e lo stile di Dio che egli ha chiaramente espresso nelle sue
parole, nei suoi gesti, nei suoi incontri. Bisogna avere più audacia nel proporre l’ideale.
La verità del Vangelo di Gesù è per la conversione all’amore di Dio, e la conversione
dell’amore di Dio è l’interpretazione più esatta della verità del Vangelo. La dimostrazione
dell’amore di Dio nella pratica della Chiesa è il cuore della verità della fede.
L’interpretazione della dottrina che non è capace di onorare questa testimonianza
nell’azione pastorale allontana la tradizione della fede dalla fedeltà alla rivelazione.
Ritiene che questa Esortazione rifletta davvero le indicazioni emerse dal “doppio” Sinodo
2014-2015?
Il testo papale è il frutto di un lungo e articolato cammino della Chiesa, della quale
registra un cambio di passo e di stile. Il caloroso invito di papa Francesco a un confronto
franco e aperto sui temi reali, non sulle questioni di scuola, lo ha poi visto attento e
partecipe della trasformazione di approccio che ne è infine scaturita. Il cammino è stato
segnato da una progressione di inconsueta ampiezza e coinvolgimento: una riunione
programmatica di cardinali all’inizio, due assemblee sinodali a breve distanza – più volte
il Papa sottolinea di aver «accolto» le indicazioni proposte dai vescovi –, un ciclo di
catechesi papali di oltre un anno, due consultazioni universali sui temi della famiglia.
L’interesse dell’opinione pubblica mondiale è stato di eccezionale vivacità e continuità,
nell’ambito della storia dei Sinodi mondiali dei vescovi. Il testo non manca di accogliere
gli insegnamenti del magistero in particolare di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Inutile negare che le attenzioni maggiori si concentreranno sul capitolo ottavo, quello
sulla cura delle famigli ferite. Ci si attendeva un passo in avanti più concreto?
Il Papa indica la pista di soluzione con tre verbi: accompagnare, discernere e integrare.
In verità l’intero testo delinea un nuovo asse della vita pastorale della Chiesa che il Papa
iscrive nell’orizzonte della Misericordia sulla scia della Evangelii gaudium: una Chiesa
dedicata ad accompagnare e integrare tutti, nessuno escluso. Il discernimento deve
scoprire ovunque ci sono i «segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di
Dio» (294) per «integrare tutti» (297). Ogni persona deve trovare posto nella Chiesa per
crescere sino alla piena incorporazione a Cristo. E «nessuno può essere condannato per
sempre» (297). Il Papa non ritiene necessaria pertanto una «nuova normativa generale
di tipo canonico» (300), ma chiede un «responsabile discernimento personale e
pastorale dei casi particolari» (300). La parola d’ordine consegnata ai Vescovi è semplice
e diretta: accompagnare, discernere, integrare nella comunità cristiana.
Un compito non da poco. Ma concretamente a chi toccherà decidere la prassi del
discernimento e dell’accompagnamento? E le modalità dell’integrazione?
Il vescovo dovrà aiutare i confessori, i padri spirituali, perché si aprano alla misericordia,
coniugando l’ideale con la pedagogia divina. Ma saranno poi confessore e fedele in
dialogo a valutare serenamente i passi dell’integrazione, anche per ritessere una rete
comunitaria. La salvezza non è mai “fai da te”. In questo itinerario, che dev’essere
comunque sempre valutato caso per caso, si inserisce la via sacramentale.
È questa la conversione pastorale auspicata dal Papa?
La fede condivisa e l’amore fraterno possono fare miracoli, anche nelle situazioni più
difficili. L’accesso alla grazia di Dio, che, accolta, genera la conversione del peccatore, è
una cosa seria. La dottrina cattolica del giudizio morale, forse un po’ trascurata, è
rimessa in onore: la qualità morale dei processi di conversione non coincide
automaticamente con la definizione legale degli stati di vita. Non è un calcolo legale da
applicare, né un processo da decidere ad arbitrio. Le indicazioni di Francesco sono
chiare: «Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per
consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture» (307).
CORRIERE DELLA SERA di domenica 10 aprile 2016
Pag 29 L’abbraccio del Papa a trans e prostitute di Luigi Accattoli
Nuovo gesto di abbraccio ai tribolati da parte di Francesco, in linea con le aperture del
documento sulla «Gioia di amare» pubblicato venerdì: ieri ha incontrato in Piazza San
Pietro (al margine di un’udienza «giubilare») un gruppo di 50 donne e transessuali,
provenienti da dieci Paesi, che hanno conosciuto l’esperienza della prostituzione e della
tratta. Papa Bergoglio, scrive l’Osservatore Romano, ha avuto con loro un «significativo
abbraccio» per incoraggiarli nell’impegno a «ritrovare una vita libera». Venivano da
Reggio Emilia ed erano guidati dall’associazione Rabbuni (Maestro), diretta da don
Daniele Simonazzi. Mercoledì, sempre a San Pietro, Francesco aveva incontrato 85
divorziati risposati appartenenti all’associazione di Fossano «L’anello perduto». Paolo
Tassinari, coordinatore del gruppo ha riferito alcune parole dette loro dal Papa: «Bravi,
continuate così. Leggete Amoris laetitia (la gioia dell’amore: l’esortazione pubblicata ieri)
e seguitela». L’esortazione è infatti una magna charta per l’incontro della Chiesa con
ogni esperienza di amore: sia quello felice sia quello tribolato e irregolare. Un testo (dice
il Papa stesso) che si ispira alla «logica della misericordia pastorale», che mira a
«integrare tutti» nella vita della Chiesa. È in forza di questo criterio che Francesco ha
rivolto (nel suo documento) parole di accoglienza ai battezzati che vivono in una
seconda unione: «Devono essere integrati e non esclusi». In «certi casi», ha scritto il
Papa nel documento, possono essere ammessi ai sacramenti. C’è chi vi vede un
mutamento della dottrina sul matrimonio, ma il Papa non la pensa così. In una lettera ai
vescovi di tutto il mondo, inviata qualche giorno addietro dal segretario del Sinodo, il
cardinale Baldisseri, così è presentata l’intenzione di Francesco: «Scopo del testo non è
cambiare la dottrina ma ricontestualizzarla al servizio della missione pastorale della
Chiesa. La dottrina va interpretata in relazione al cuore del kerygma cristiano (cioè del
messaggio evangelico, ndr) e alla luce del contesto pastorale in cui verrà applicata,
sempre ricordando che la suprema legge dev’essere la salute delle anime». La
«ricontestualizzazione» di un’affermazione dottrinale è un concetto noto al dibattito
teologico cattolico. Si tratta (per dirla con Hans Urs Von Balthasar, teologo svizzero fatto
cardinale da Wojtyla) di «integrare in una totalità più grande un’affermazione dottrinale
già definita» (Il complesso antiromano, 1974). Von Balthasar parlava di «nuova
contestualizzazione» a proposito della dottrina della collegialità, intesa come «una
totalità più grande» all’interno della quale comprendere il dogma dell’infallibilità del
Papa. Ora Francesco ci invita a rileggere l’indissolubilità del matrimonio nel contesto più
ampio della dottrina della misericordia come «architrave che sorregge la vita della
Chiesa» e che può e deve raggiungere tutti e ognuno «in qualunque situazione si trovi».
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 10 La svolta spacca la Chiesa, Francesco non si ferma di Mariaelena Finessi
“Amoris laetitia” è già best seller
Roma. A poche ore dall’uscita ufficiale, “Amoris laetitia” è già un best seller, con una
prima tiratura di 4 milioni di copie distribuite da 60 case editrici. C’era da aspettarselo:
grande è stata l’attesa per la nuova esortazione apostolica, voluta da papa Francesco
per provare a sanare le ferite di tante famiglie. Un documento che segna un passo
storico per la Chiesa. «Leggo “Amoris laetitia” con gioia ed emozione perché sento che il
discorso sulle situazioni difficili che si trovano a vivere alcune coppie sta cambiando».
Scelto dal Vaticano per commentare il contenuto dell’esortazione, il cardinale di Vienna
Cristoph Schonborn proviene da una famiglia segnata dal divorzio, «una famiglia
patchwork», come dice. Se Schonborn appoggia la linea di Francesco, c’è chi invece nei
sacri palazzi mette paletti ad ogni interpretazione allargata. Intervistato da Repubblica, il
cardinale ultraconservatore Raymond Leo Burke spiega: «Amoris laetitia non ha lo scopo
di cambiare la pastorale della Chiesa per quanto riguarda quelli che vivono in una unione
irregolare, ma di applicare fedelmente la pastorale costante della Chiesa, quale
espressione fedele della pastorale di Cristo stesso, nel contesto della cultura odierna».
Detto così, sembrerebbe che nulla sia cambiato. Idem per il discorso sulla sessualità,
«un dono meraviglioso» per papa Francesco. «È chiaro - continua il canonista
statunitense che associa l’eros all’atto generativo - che il sesso è un dono di Dio come
Dio stesso rivela nel Libro della Genesi. Il male negli atti sessuali viene dal cuore
dell’uomo che non rispetta la sua propria natura». Eppure a tantissimi è sembrato che
Francesco abbia detto se non qualcosa di diverso, almeno qualcosa di più. In un passo
del corposo testo, sorta di vademecum per migliorare la vita familiare e di coppia,
Bergoglio scrive infatti che il matrimonio «è un’amicizia che comprende le note proprie
della passione» e che «non è stato istituito - qui cita san Roberto Bellarmino - soltanto
per la procreazione», ma affinché l’amore reciproco «abbia le sue giuste manifestazioni,
si sviluppi e arrivi a maturità». Quanto alla comunione ai divorziati e risposati, la
soluzione che il Papa ha accolto - attirando le critiche dei cattolici conservatori - punta a
un percorso penitenziale che renda possibile l’integrazione nella Chiesa perché «nessuno
può essere condannato per sempre». Intanto, quando arriva l’annuncio del viaggio che il
Papa farà in Armenia dal 24 al 26 giugno e in Georgia e Azerbaijan dal 30 settembre al 2
ottobre, Francesco è in piazza San Pietro per l’udienza giubilare. Ad attenderlo, un
gruppo di donne e transessuali vittime della tratta e della prostituzione, sostenute
dall’associazione Rabbunì, dall’aramaico “Maestro”, come si rivolse a Gesù la Maddalena.
E così, mentre nella Chiesa ci si divide su cosa voglia dire “Amoris laetitia”, il papa
argentino va avanti per la sua strada che è quella di non negare a nessuno la carezza di
Gesù il Rabbunì.
L’OSSERVATORE ROMANO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Per il bene di tutti di g.m.v.
Da tempo un testo papale non suscitava tanta attesa come quello che ora è il frutto
maturo del cammino intrapreso sulla famiglia già dal primo anno del pontificato di
Francesco. E il lunghissimo documento non delude le attese, per ampiezza, coralità,
linguaggio: tutti elementi che concorrono alla sua novità di fondo, nella vitale continuità
della tradizione cristiana, su un tema che interessa non soltanto i cattolici. Ed è poi la
prima volta che a essere raccolte in un unico testo sono le linee, espresse a larghissima
maggioranza, di due assemblee sinodali, a loro volta preparate con ampie consultazioni
e poi succedutesi nel corso di un anno. Quale sia lo scopo dell’esortazione sulla «gioia
dell’amore» è sottolineato dallo stesso Pontefice nel brevissimo chirografo, interamente
di suo pugno, che la accompagna e dove si legge che il testo è «per il bene di tutte le
famiglie e di tutte le persone, giovani e anziane». La circostanza è inusuale e conferma
una volta di più quanto a Francesco, Papa missionario, stia a cuore la realtà umana delle
famiglie. Un dato di fatto multiforme, questo, di fronte al quale proprio «a partire dalle
riflessioni sinodali non rimane uno stereotipo della famiglia ideale», bensì un vero e
proprio «mosaico», formato appunto «da tante realtà diverse» sottolinea con lucidità
l’esortazione. Di questa situazione variegata tiene conto il documento sinodale, testo
corale che esprime con grande equilibrio un cammino comune, secondo un metodo
antico quasi come la Chiesa stessa. E almeno altrettanto antichi sono i principi che
ispirano il testo e risalgono a radici ancor più antiche che s’intravvedono tra le linee di
un testo piano e scorrevole: la condiscendenza (synkatàbasis) divina descritta dai Padri
della Chiesa per esprimere l’attenzione di Dio e il suo abbraccio nei confronti della
condizione umana, sempre imperfetta, fino alla sollecitudine e alle parabole di Gesù, il
Signore che la liturgia chiama «amico degli uomini», e al principio dei «semi del Logos»
che bisogna sforzarsi di riconoscere presenti in ogni realtà umana. L’esortazione è
lunghissima e si svolge con larghezza toccando diversi punti: da una visione della
Scrittura alla situazione attuale delle famiglie, il testo espone l’insegnamento della
Chiesa e la sua traduzione nella vita quotidiana dei fedeli, soffermandosi sull’educazione
dei figli, invitando «alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni
che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone» e tracciando infine
un abbozzo di spiritualità per le famiglie. Per l’estensione e la ricchezza del testo, a tratti
suggestivo e felice anche nel ricorrere a fonti non abituali nei documenti pontifici, lo
stesso Papa sconsiglia una «lettura generale affrettata» e ne suggerisce piuttosto un
approfondimento paziente. Come per i due precedenti grandi testi del pontificato
(Evangelii gaudium e Laudato si’) si può già ora prevedere che Amoris laetitia susciterà
interesse e discussioni vivaci, non soltanto nella Chiesa, in particolare sugli aspetti
cruciali dell’integrazione e della vicinanza ai fedeli in situazioni difficili. Questo interesse
è un buon segno, come una buona notizia è senza dubbio la novità espressa
dall’esortazione, in coerenza con la grande tradizione cristiana e con il suo rinnovamento
voluto mezzo secolo fa dal concilio.
Pag 4 La gioia dell’amore
Presentata l’esortazione apostolica postsinodale “Amoris laetitia” sulla famiglia frutto
delle assemblee tenute nel 2014 e nel 2015
È stata presentata venerdì mattina, 8 aprile, nella Sala stampa della Santa Sede,
l’esortazione apostolica postsinodale «Amoris laetitia», sull’amore nella famiglia, che
raccoglie i frutti dei due sinodi dei vescovi sull’amore nella famiglia celebrati nel 2014 e
nel 2015. Di seguito pubblichiamo una sintesi del documento, articolato in nove capitoli
per complessivi 325 paragrafi.
Amoris laetitia (AL - “La gioia dell’amore”), l’Esortazione apostolica postsinodale
“sull’amore nella famiglia”, datata non a caso 19 marzo, solennità di San Giuseppe,
raccoglie i risultati di due sinodi sulla famiglia indetti da Papa Francesco nel 2014 e nel
2015, le cui relazioni conclusive sono largamente citate, insieme a documenti e
insegnamenti dei suoi predecessori e alle numerose catechesi sulla famiglia dello stesso
Papa Francesco. Tuttavia, come già accaduto per altri documenti magisteriali, il Papa si
avvale anche dei contributi di diverse conferenze episcopali del mondo (Kenya, Australia,
Argentina…) e di citazioni di personalità significative come Martin Luther King o Erich
Fromm. Particolare una citazione dal film Il pranzo di Babette, che il Papa ricorda per
spiegare il concetto di gratuità.
Premessa - L’esortazione apostolica colpisce per ampiezza e articolazione. Essa è
suddivisa in nove capitoli e oltre trecento paragrafi. Ma si apre con sette paragrafi
introduttivi che mettono in piena luce la consapevolezza della complessità del tema e
l’approfondimento che richiede. Si afferma che gli interventi dei Padri al sinodo hanno
composto un «prezioso poliedro» (AL, 4) che va preservato. In questo senso il Papa
scrive che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte
con interventi del magistero». Dunque per alcune questioni «in ogni paese o regione si
possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti,
“le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale [...] ha bisogno di essere
inculturato, se vuole essere osservato e applicato”» (AL, 3). Questo principio di
inculturazione risulta davvero importante persino nel modo di impostare e comprendere i
problemi che, aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa,
non può essere «globalizzato». Ma soprattutto il Papa afferma subito e con chiarezza che
bisogna uscire dalla sterile contrapposizione tra ansia di cambiamento e applicazione
pura e semplice di norme astratte. Scrive: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di
comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un
desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento,
all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o
traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (AL, 2).
Capitolo primo “Alla luce della Parola” - Poste queste premesse, il Papa articola la sua
riflessione a partire dalle Sacre Scritture con il primo capitolo, che si sviluppa come una
meditazione sul Salmo 128, caratteristico della liturgia nuziale ebraica come di quella
cristiana. La Bibbia «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi
familiari» (AL, 8) e a partire da questo dato si può meditare come la famiglia non sia un
ideale astratto, ma un «compito “artigianale”» (AL, 16) che si esprime con tenerezza
(AL, 28) ma che si è confrontato anche con il peccato sin dall’inizio, quando la relazione
d’amore si è trasformata in dominio (cfr. AL, 19). Allora la Parola di Dio «non si mostra
come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le
famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del
cammino» (AL, 22).
Capitolo secondo “La realtà e le sfide delle famiglie” - A partire dal terreno biblico nel
secondo capitolo il Papa considera la situazione attuale delle famiglie, tenendo «i piedi
per terra» (AL, 6), attingendo ampiamente alle relazioni conclusive dei due sinodi e
affrontando numerose sfide, dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della
differenza di sesso (“ideologia del gender”); dalla cultura del provvisorio alla mentalità
antinatalista e all’impatto delle biotecnologie nel campo della procreazione; dalla
mancanza di casa e di lavoro alla pornografia e all’abuso dei minori; dall’attenzione alle
persone con disabilità, al rispetto degli anziani; dalla decostruzione giuridica della
famiglia, alla violenza nei confronti delle donne. Il Papa insiste sulla concretezza, che è
una cifra fondamentale dell’esortazione. E sono la concretezza e il realismo che pongono
una sostanziale differenza tra «teorie» di interpretazione della realtà e «ideologie».
Citando la Familiaris consortio Francesco afferma che «è sano prestare attenzione alla
realtà concreta, perché “le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi
avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una
intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia”» (AL,
31). Senza ascoltare la realtà non è possibile comprendere né le esigenze del presente
né gli appelli dello Spirito, dunque. Il Papa nota che l’individualismo esasperato rende
difficile oggi donarsi a un’altra persona in maniera generosa (cfr. AL, 33). Ecco una
interessante fotografia della situazione: «Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di
protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una
relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali» (AL, 34).
L’umiltà del realismo aiuta a non presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo
astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle
effettive possibilità delle famiglie così come sono» (AL, 36). L’idealismo allontana dal
considerare il matrimonio quel che è, cioè un «cammino dinamico di crescita e
realizzazione». Per questo non bisogna neanche credere che le famiglie si sostengano
«solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare
l’apertura alla grazia» (AL, 37). Invitando a una certa “autocritica” di una presentazione
non adeguata della realtà matrimoniale e familiare, il Papa insiste che è necessario dare
spazio alla formazione della coscienza dei fedeli: «Siamo chiamati a formare le
coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL, 37). Gesù proponeva un ideale esigente
ma «non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la
samaritana o la donna adultera» (AL, 38).
Capitolo terzo “Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia” - Il terzo capitolo
è dedicato ad alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il
matrimonio e la famiglia. La presenza di questo capitolo è importante perché illustra in
maniera sintetica in trenta paragrafi la vocazione alla famiglia secondo il Vangelo così
come è stata recepita dalla Chiesa nel tempo, soprattutto sul tema della indissolubilità,
della sacramentalità del matrimonio, della trasmissione della vita e della educazione dei
figli. Vengono ampiamente citate la Gaudium et spes del Vaticano II, la Humanae vitae
di Paolo VI, la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Lo sguardo è ampio e include
anche le «situazioni imperfette». Leggiamo infatti: «“Il discernimento della presenza dei
semina Verbi nelle altre culture (cfr. Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla
realtà matrimoniale e familiare. Oltre al vero matrimonio naturale ci sono elementi
positivi presenti nelle forme matrimoniali di altre tradizioni religiose”, benché non
manchino neppure le ombre» (AL, 77). La riflessione include anche le «famiglie ferite» di
fronte alle quali il Papa afferma - citando la Relatio finalis del Sinodo del 2015 - che
«occorre sempre ricordare un principio generale: “Sappiano i pastori che, per amore
della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni” (Familiaris consortio, 84). Il
grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano
la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da
evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è
necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro
condizione» (AL, 79).
Capitolo quarto “L’amore nel matrimonio” - Il quarto capitolo tratta dell’amore nel
matrimonio, e lo illustra a partire dall’“inno all’amore” di San Paolo in 1 Cor 13, 4-7. Il
capitolo è una vera e propria esegesi attenta, puntuale, ispirata e poetica del testo
paolino. Potremmo dire che si tratta di una collezione di frammenti di un discorso
amoroso che è attento a descrivere l’amore umano in termini assolutamente concreti. Si
resta colpiti dalla capacità di introspezione psicologica che segna questa esegesi.
L’approfondimento psicologico entra nel mondo delle emozioni dei coniugi - positive e
negative - e nella dimensione erotica dell’amore. Si tratta di un contributo
estremamente ricco e prezioso per la vita cristiana dei coniugi, che non aveva finora
paragone in precedenti documenti papali. A suo modo questo capitolo costituisce un
trattatello dentro la trattazione più ampia, pienamente consapevole della quotidianità
dell’amore che è nemica di ogni idealismo: «non si deve gettare sopra due persone
limitate - scrive il Pontefice - il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta
l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica
“un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei
doni di Dio”» (AL, 122). Ma d’altra parte il Papa insiste in maniera forte e decisa sul fatto
che «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo» (AL, 123),
proprio all’interno di quella «combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di
sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri» (AL, 126)
che è appunto il matrimonio. Il capitolo si conclude con una riflessione molto importante
sulla «trasformazione dell’amore» perché «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi
qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca
appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta
la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese» (AL, 163). L’aspetto fisico muta e
l’attrazione amorosa non viene meno ma cambia: il desiderio sessuale col tempo si può
trasformare in desiderio di intimità e “complicità”. «Non possiamo prometterci di avere
gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto
comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e
vivere sempre una ricca intimità» (AL, 163).
Capitolo quinto “L’amore che diventa fecondo” - Il quinto capitolo è tutto concentrato
sulla fecondità e la generatività dell’amore. Si parla in maniera spiritualmente e
psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa propria della
gravidanza, dell’amore di madre e di padre. Ma anche della fecondità allargata,
dell’adozione, dell’accoglienza del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura
dell’incontro”, della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini,
parenti dei parenti, amici. L’Amoris laetitia non prende in considerazione la famiglia
«mononucleare», perché è ben consapevole della famiglia come rete di relazioni ampie.
La stessa mistica del sacramento del matrimonio ha un profondo carattere sociale (cfr.
AL, 186). E all’interno di questa dimensione sociale il Papa sottolinea in particolare sia il
ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli e sorelle
come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri.
Capitolo sesto “Alcune prospettive pastorali” - Nel sesto capitolo il Papa affronta alcune
vie pastorali che orientano a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio.
In questa parte l’esortazione fa largo ricorso alle relazioni conclusive dei due sinodi e alle
catechesi di Papa Francesco e di Giovanni Paolo II. Si ribadisce che le famiglie sono
soggetto e non solamente oggetto di evangelizzazione. Il Papa rileva «che ai ministri
ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali
delle famiglie» (AL, 202). Se da una parte bisogna migliorare la formazione psicoaffettiva dei seminaristi e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero
(cfr. AL, 203), dall’altra «può essere utile (…) anche l’esperienza della lunga tradizione
orientale dei sacerdoti sposati» (AL, 202). Quindi il Papa affronta il tema del guidare i
fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei
primi anni della vita matrimoniale (compreso il tema della paternità responsabile), ma
anche in alcune situazioni complesse e in particolare nelle crisi, sapendo che «ogni crisi
nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL,
232). Si analizzano alcune cause di crisi, tra cui una maturazione affettiva ritardata (cfr.
AL, 239). Inoltre si parla anche dell’accompagnamento delle persone abbandonate,
separate o divorziate e si sottolinea l’importanza della recente riforma dei procedimenti
per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale. Si mette in rilievo la sofferenza dei
figli nelle situazioni conflittuali e si conclude: «Il divorzio è un male, ed è molto
preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro
compito pastorale più importante riguardo alle famiglie è rafforzare l’amore e aiutare a
sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma nella
nostra epoca» (AL, 246). Si toccano poi le situazioni dei matrimoni misti e di quelli con
disparità di culto, e la situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con
tendenza omosessuale, ribadendo il rispetto nei loro confronti e il rifiuto di ogni ingiusta
discriminazione e di ogni forma di aggressione o violenza. Pastoralmente preziosa è la
parte finale del capitolo: «Quando la morte pianta il suo pungiglione», sul tema della
perdita delle persone care e della vedovanza.
Capitolo settimo “Rafforzare l’educazione dei figli” - Il settimo capitolo è tutto dedicato
all’educazione dei figli: la loro formazione etica, il valore della sanzione come stimolo, il
paziente realismo, l’educazione sessuale, la trasmissione della fede, e più in generale la
vita familiare come contesto educativo. Interessante la saggezza pratica che traspare a
ogni paragrafo e soprattutto l’attenzione alla gradualità e ai piccoli passi «che possano
essere compresi, accettati e apprezzati» (AL, 271). Vi è un paragrafo particolarmente
significativo e pedagogicamente fondamentale nel quale Francesco afferma chiaramente
che «l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni
in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere
dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il
suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad
affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto
amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di
coltivazione dell’autentica autonomia» (AL, 261). Notevole è la sezione dedicata
all’educazione sessuale, intitolata molto espressivamente: «Sì all’educazione sessuale».
Si sostiene la sua necessità e ci si domanda «se le nostre istituzioni educative hanno
assunto questa sfida (…) in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la
sessualità». Essa va realizzata «nel quadro di un’educazione all’amore, alla reciproca
donazione» (AL, 280). Si mette in guardia dall’espressione “sesso sicuro”, perché
trasmette «un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della
sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere.
Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza» (AL, 283).
Capitolo ottavo “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità” - Il capitolo ottavo
costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni
che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa qui usa tre verbi
molto importanti: “accompagnare, discernere e integrare” che sono fondamentali
nell’affrontare situazioni di fragilità, complesse o irregolari. Quindi il Papa presenta la
necessaria gradualità nella pastorale, l’importanza del discernimento, le norme e
circostanze attenuanti nel discernimento pastorale, e infine quella che egli definisce la
«logica della misericordia pastorale». Il capitolo ottavo è molto delicato. Per leggerlo si
deve ricordare che «spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da
campo» (AL, 291). Qui il Pontefice assume ciò che è stato frutto della riflessione del
Sinodo su tematiche controverse. Si ribadisce che cos’è il matrimonio cristiano e si
aggiunge che «altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre
alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo». La Chiesa dunque «non manca
di valorizzare gli “elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o
non più” al suo insegnamento sul matrimonio» (AL, 292). Per quanto riguarda il
“discernimento” circa le situazioni “irregolari” il Papa osserva: «sono da evitare giudizi
che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere
attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL,
296). E continua: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il
proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una
misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”» (AL, 297). Ancora: «I divorziati che
vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che
non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare
spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale» (AL, 298). In questa linea,
accogliendo le osservazioni di molti Padri sinodali, il Papa afferma che «i battezzati che
sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane
nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo». «La loro partecipazione può
esprimersi in diversi servizi ecclesiali (…) Essi non devono sentirsi scomunicati, ma
possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa (…) Questa integrazione è
necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli» (AL, 299).
Più in generale il Papa fa una affermazione estremamente importante per comprendere
l’orientamento e il senso dell’Esortazione: «Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di
situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da
questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i
casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento
personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il “grado
di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma
non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (AL, 300). Il Papa sviluppa in
modo approfondito esigenze e caratteristiche del cammino di accompagnamento e
discernimento in dialogo approfondito fra i fedeli e i pastori. A questo fine richiama la
riflessione della Chiesa «su condizionamenti e circostanze attenuanti» per quanto
riguarda la imputabilità e la responsabilità delle azioni e, appoggiandosi a san Tommaso
d’Aquino, si sofferma sul rapporto fra «le norme e il discernimento» affermando: «È vero
che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né
trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le
situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione,
ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti a una situazione particolare non può
essere elevato al livello di una norma» (AL, 304).
Nell’ultima sezione del capitolo: «La logica della misericordia pastorale», Papa
Francesco, per evitare equivoci, ribadisce con forza: «Comprendere le situazioni
eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di
quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti
è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture» (AL, 307).
Ma il senso complessivo del capitolo e dello spirito che Papa Francesco intende
imprimere alla pastorale della Chiesa è ben riassunto nelle parole finali: «Invito i fedeli
che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i
loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una
conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce
che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno
scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto
e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di
comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro
posto nella Chiesa» (AL, 312). Sulla “logica della misericordia pastorale” Papa Francesco
afferma con forza: «A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore
incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di
senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il
Vangelo» (AL, 311).
Capitolo nono “Spiritualità coniugale e familiare” - Il nono capitolo è dedicato alla
spiritualità coniugale e familiare, «fatta di migliaia di gesti reali e concreti» (AL, 315).
Con chiarezza si dice che «coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono
sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un
percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica» (AL, 316).
Tutto, «i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano
come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione» (AL, 317). Si parla
quindi della preghiera alla luce della Pasqua, della spiritualità dell’amore esclusivo e
libero nella sfida e nell’anelito di invecchiare e consumarsi insieme, riflettendo la fedeltà
di Dio (cfr. AL, 319). E infine la spiritualità «della cura, della consolazione e dello
stimolo». «Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura,
dipinge e scrive nella vita dell’altro» (AL, 322), scrive il Papa. È profonda «esperienza
spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei»
(AL, 323). Nel paragrafo conclusivo il Papa afferma: «Nessuna famiglia è una realtà
perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della
propria capacità di amare (…). Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso
qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo
stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare ! (…). Non perdiamo
la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di
amore e di comunione che ci è stata promessa» (AL, 325). L’Esortazione apostolica si
conclude con una preghiera alla Santa Famiglia (AL, 325).
Come è possibile comprendere già da un rapido esame dei suoi contenuti, L’Esortazione
apostolica Amoris laetitia intende ribadire con forza non l’“ideale” della famiglia, ma la
sua realtà ricca e complessa. Vi è nelle sue pagine uno sguardo aperto, profondamente
positivo, che si nutre non di astrazioni o proiezioni ideali, ma di un’attenzione pastorale
alla realtà. Il documento è una lettura densa di spunti spirituali e di sapienza pratica
utile a ogni coppia umana o a persone che desiderano costruire una famiglia. Si vede
soprattutto che è stata frutto di esperienza concreta con persone che sanno per
esperienza che cosa sia la famiglia e il vivere insieme per molti anni. L’esortazione parla
infatti il linguaggio dell’esperienza.
Pag 6 Semplice come un buonasera di Christoph Schönborn
L’intervento dell’arcivescovo di Vienna
Di seguito il testo dell’intervento svolto dal cardinale arcivescovo di Vienna durante la
conferenza stampa di presentazione dell’esortazione apostolica.
La sera del 13 marzo 2013, le prime parole che il nuovo Papa eletto Francesco rivolse
alle persone in piazza San Pietro e in tutto il mondo sono state: «Buona sera!» Semplici
come questo saluto sono il linguaggio e lo stile del nuovo scritto di Papa Francesco.
L’esortazione non è proprio così breve come questo semplice saluto, ma così aderente
alla realtà. In queste duecento pagine Papa Francesco parla di «amore nella famiglia» e
lo fa in modo così concreto, così semplice, con parole che scaldano il cuore come quel
buona sera del 13 marzo 2013. Questo è il suo stile, ed egli si augura che si parli delle
cose della vita nel modo più concreto possibile, soprattutto se si tratta della famiglia, di
una delle realtà più elementari della vita. Per dirlo in anticipo: i documenti della Chiesa
spesso non appartengono a un genere letterario dei più accessibili. Questo scritto del
Papa è leggibile. E chi non si lasci spaventare dalla lunghezza, troverà gioia nella
concretezza e nel realismo di questo testo. Papa Francesco parla delle famiglie con una
chiarezza che difficilmente si trova nei documenti magisteriali della Chiesa. Prima di
entrare nello scritto vorrei dire, a titolo molto personale, il perché io lo abbia letto con
gioia, con gratitudine e sempre con forte emozione. Nel discorso ecclesiale sul
matrimonio e sulla famiglia c’è spesso una tendenza, forse inconscia, a condurre su due
binari il discorso su queste due realtà della vita. Da una parte ci sono i matrimoni e le
famiglie che sono “a posto”, che corrispondono alla regola, dove tutto “va bene”, è “in
ordine”, e poi ci sono le situazioni “irregolari” che rappresentano un problema. Già il
termine stesso “irregolare” suggerisce che si possa effettuare una tale distinzione con
tanta nitidezza. Chi dunque viene a trovarsi dalla parte degli “irregolari”, deve convivere
con il fatto che i “regolari” si trovino dall’altra parte. Come ciò sia difficile per quelli che
provengono, essi stessi, da una famiglia patchwork, mi è noto di persona, a causa della
situazione della mia propria famiglia. Il discorso della Chiesa qui può ferire, può dare la
sensazione di essere esclusi. Papa Francesco ha posto la sua esortazione sotto la frase
guida: «Si tratta di integrare tutti» (AL, 297) perché si tratta di una comprensione
fondamentale del Vangelo: noi tutti abbiamo bisogno di misericordia! «Chi di voi è senza
peccato scagli la prima pietra» (Gv 8, 7). Tutti noi, a prescindere dal matrimonio e dalla
situazione familiare in cui ci troviamo, siamo in cammino. Anche un matrimonio in cui
tutto “vada bene” è in cammino. Deve crescere, imparare, superare nuove tappe.
Conosce il peccato e il fallimento, ha bisogno di riconciliazione e di nuovo inizio, e ciò
fino in età avanzata (cfr. AL, 297). Papa Francesco è riuscito a parlare di tutte le
situazioni senza catalogare, senza categorizzare, con quello sguardo di fondamentale
benevolenza che ha qualcosa a che fare con il cuore di Dio, con gli occhi di Gesù che non
escludono nessuno (cfr. AL, 297), che accoglie tutti e a tutti concede la «gioia del
Vangelo». Per questo la lettura di Amoris laetitia è così confortante. Nessuno deve
sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso
della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia
dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e
sinceramente nessuno. Per me Amoris laetitia è perciò soprattutto, e in primo luogo, un
“avvenimento linguistico”, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è
cambiato nel discorso ecclesiale. Questo cambiamento di linguaggio era già percepibile
durante il cammino sinodale. Fra le due sedute sinodali dell’ottobre 2014 e dell’ottobre
2015 si può chiaramente riconoscere come il tono sia divenuto più ricco di stima, come
si siano semplicemente accolte le diverse situazioni di vita, senza giudicarle o
condannarle subito. In Amoris laetitia questo è divenuto il continuo tono linguistico.
Dietro di ciò non c’è ovviamente solo un’opzione linguistica, bensì un profondo rispetto di
fronte ad ogni uomo che non è mai, in primo luogo, un “caso problematico” in una
“categoria”, ma una persona inconfondibile, con la sua storia e il suo percorso con e
verso Dio. In Evangelii gaudium Papa Francesco diceva che dovremmo toglierci le scarpe
davanti al terreno sacro dell’altro (EG, 36). Quest’atteggiamento fondamentale
attraversa tutta l’esortazione. Ed esso è anche il motivo più profondo per le altre due
parole chiave: discernere e accompagnare. Tali parole non valgono solo per le
“cosiddette situazioni irregolari” (Papa Francesco sottolinea questo “cosiddette”!), ma
valgono per tutti gli uomini, per ogni matrimonio, per ogni famiglia. Tutti, infatti, sono in
cammino e tutti hanno bisogno di “discernimento” e di ”accompagnamento”. La mia
grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi
l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto
l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di san Paolo: «Dio infatti ha rinchiuso
tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!» (Rom, 11, 32). Questo
continuo principio dell’“inclusione” preoccupa ovviamente alcuni. Non si parla qui in
favore del relativismo? Non diventa permissivismo la tanto evocata misericordia? Non
esiste più la chiarezza dei limiti che non si devono superare, delle situazioni che
oggettivamente vanno definite irregolari, peccaminose? Quest’esortazione non
favoreggia un certo lassismo, un everything goes? La misericordia propria di Gesù non è
invece, spesso, una misericordia severa, esigente? Per chiarire ciò: Papa Francesco non
lascia nessun dubbio sulle sue intenzioni e sul nostro compito: «Come cristiani non
possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità
attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale
e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire.
Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò
potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza
dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel
presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della
famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre
loro» (AL, 35). Papa Francesco è convinto che la visione cristiana del matrimonio e della
famiglia abbia anche oggi un’immutata forza di attrazione. Ma egli esige “una salutare
reazione autocritica”: «Dobbiamo esser umili e realisti, per riconoscere che a volte il
nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno
aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo» (AL, 36). «Abbiamo presentato un
ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano
dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono.
Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia
nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il
contrario» (AL, 36). Mi permetto di raccontare qui un’esperienza del Sinodo dell’ottobre
scorso: che io sappia, due dei tredici circuli minores hanno iniziato il loro lavoro facendo
in primo luogo raccontare ad ogni partecipante la propria situazione familiare. Ben
presto è emerso che quasi tutti i vescovi o gli altri partecipanti del circulus minor si sono
confrontati, nelle loro famiglie, con i temi, le preoccupazioni, le “irregolarità” di cui noi,
nel Sinodo, abbiamo parlato in maniera un po’ troppo astratta. Papa Francesco ci invita
a parlare delle nostre famiglie “così come sono”. Ed ora la cosa magnifica del cammino
sinodale e del suo proseguimento con Papa Francesco: questo sobrio realismo sulle
famiglie “così come sono” non ci allontana affatto dall’ideale! Al contrario: Papa
Francesco riesce, con i lavori di ambedue i sinodi, a rivolgere alle famiglie uno sguardo
positivo, profondamente ricco di speranza. Ma questo sguardo incoraggiante sulle
famiglie richiede quella “conversione pastorale” di cui l’Evangelii gaudium parlava in
maniera così entusiasmante. Il testo seguente dell’Amoris laetitia ricalca le grandi linee
di tale “conversione pastorale”: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente
insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla
grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi
e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il
matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso
da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli,
che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e
possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si
rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di
sostituirle» (AL, 37). Papa Francesco parla da una profonda fiducia nei cuori e nella
nostalgia degli uomini. Lo esprimono molto bene le sue esposizioni sull’educazione. Si
percepisce qui la grande tradizione gesuitica dell’educazione alla responsabilità
personale. Egli parla di due pericoli contrari: il lassez-faire e l’ossessione di volere
controllare e dominare tutto. Da una parte è vero che «la famiglia non può rinunciare ad
essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida... C’è sempre bisogno di
vigilanza. L’abbandono non fa mai bene» (AL, 260). Ma la vigilanza può diventare anche
esagerata: «L’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le
situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (...). Se un genitore è ossessionato
di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di
dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo
preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel
figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di
crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (AL, 261). Trovo che sia
molto illuminante mettere in connessione questo pensiero sull’educazione con quelli che
riguardano la prassi pastorale della Chiesa. Infatti, proprio in questo senso Papa
Francesco torna spesso a parlare della fiducia nella coscienza dei fedeli: «Siamo chiamati
a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL, 37). La grande questione
ovviamente è questa: come si forma la coscienza? Come pervenire a quello che è il
concetto chiave di tutto questo grande documento, la chiave per comprendere
correttamente le intenzioni di Papa Francesco: “il discernimento personale”, soprattutto
in situazioni difficili, complesse? Il “discernimento” è un concetto centrale degli esercizi
ignaziani. Questi, infatti, devono aiutare a discernere la volontà di Dio nelle situazioni
concrete della vita. È il “discernimento” a fare della persona una personalità matura, e il
cammino cristiano vuole essere di aiuto al raggiungimento di questa maturità personale:
non a formare automi condizionati dall’esterno, telecomandati, ma persone maturate
nell’amicizia con Cristo. Solo laddove è maturato questo “discernimento” personale è
anche possibile pervenire a un “discernimento pastorale”, il quale è importante
soprattutto «davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore
ci propone» (AL, 6). Di questo “discernimento pastorale” parla l’ottavo capitolo, un
capitolo probabilmente di grande interesse per l’opinione pubblica ecclesiale, ma anche
per i media. Devo tuttavia ricordare che Papa Francesco ha definito come centrali i
capitoli 4 e 5 (“i due capitoli centrali”), non solo in senso geografico, ma per il loro
contenuto: «Non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione
se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore
coniugale e familiare» (AL, 89). Questi due capitoli centrali di Amoris laetitia saranno
probabilmente saltati da molti per arrivare subito alle cosiddette “patate bollenti”, ai
punti critici. Da esperto pedagogo, Papa Francesco sa bene che niente attira e motiva
così fortemente come l’esperienza positiva dell’amore. “Parlare dell’amore” (AL, 89) - ciò
procura chiaramente una grande gioia a Papa Francesco, ed egli parla dell’amore con
grande vivacità, comprensibilità, empatia. Il quarto capitolo è un ampio commento
all’“Inno alla carità” del tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Raccomando a
tutti la meditazione di queste pagine. Esse incoraggiano a credere nell’amore (cfr. 1 Gv,
4, 16) e ad avere fiducia nella sua forza. È qui che crescere, un’altra parola chiave
dell’Amoris laetitia, ha la sua “sede principale”: in nessun altro luogo si manifesta così
chiaramente, come nell’amore, che si tratta di un processo dinamico nel quale l’amore
può crescere, ma può anche raffreddarsi. Posso solo invitare a leggere e a gustare
questo delizioso capitolo. Ci tengo a far notare un aspetto: Papa Francesco parla qui,
con una chiarezza che è rara, del ruolo che anche le passiones, le passioni, le emozioni,
l’eros, la sessualità hanno nella vita matrimoniale e familiare. Non è un caso che Papa
Francesco si riallacci qui in modo particolare a san Tommaso d’Aquino, il quale
attribuisce alle passioni un ruolo così importante, mentre la morale moderna, spesso
puritana, le ha screditate o trascurate. È qui che il titolo dell’esortazione del Papa trova
la sua più piena espressione: Amoris laetitia! Qui si capisce come sia possibile riuscire «a
scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio» (AL, 205). Ma qui si rende anche
dolorosamente visibile quanto male facciano le ferite d’amore, come siano laceranti le
esperienze di fallimento delle relazioni. Per questo non meraviglia che sia soprattutto
l’ottavo capitolo ad attirare l’attenzione e l’interesse. Infatti la questione di come la
Chiesa tratti queste ferite, di come tratti il fallimento dell’amore, è diventata per molti
una questione-test per capire se la Chiesa sia davvero il luogo in cui si possa
sperimentare la Misericordia di Dio. Questo capitolo deve molto all’intenso lavoro dei due
Sinodi, alle ampie discussioni nell’opinione pubblica ed ecclesiale. Qui si manifesta la
fecondità del modo di procedere di Papa Francesco. Egli desiderava espressamente una
discussione aperta sull’accompagnamento pastorale di situazioni complesse e ha potuto
ampiamente fondarsi sui testi che i due Sinodi gli hanno presentato per mostrare come
si possa «accompagnare, discernere e integrare la fragilità» (AL, 291). Papa Francesco
fa esplicitamente sue le dichiarazioni che ambedue i Sinodi gli hanno presentato: «I
Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo» (AL, 297). Per
quanto riguarda i divorziati risposati con rito civile egli sostiene: «Accolgo le
considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che (...) la logica
dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale... Essi non solo non
devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della
Chiesa, sentendola come un madre che li accoglie sempre...» (AL, 299). Ma cosa
significa ciò concretamente? Molti si pongono, a ragione, questa domanda. Le risposte
decisive si trovano in Amoris laetitia 300. Esse offrono certamente ancora materia per
ulteriori discussioni. Ma esse sono anche un importante chiarimento e un’indicazione per
il cammino da seguire: «Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete
(...) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione
una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi». Molti si
aspettavano una tale norma. Resteranno delusi. Che cosa è possibile? Il Papa lo dice con
tutta chiarezza: «È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile
discernimento personale e pastorale dei casi particolari». E come possa e debba essere
questo discernimento personale e pastorale è tema dell’intera sezione di Amoris laetitia
300-312. Già nel Sinodo del 2015, in appendice agli enunciati del Circulus germanicus fu
proposto un Itinerarium del discernimento, dell’esame di coscienza che Papa Francesco
ha fatto suo. «Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che
orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio». Ma Papa
Francesco ricorda anche che «questo discernimento non potrà mai prescindere dalle
esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa» (AL, 300). Papa
Francesco menziona due posizioni erronee. Una è quella del rigorismo: «Un pastore non
può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni
“irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso
dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa»
(AL, 305). D’altro canto, la Chiesa non deve assolutamente «rinunciare a proporre
l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza» (AL, 307). Si
pone naturalmente la domanda: e cosa dice il Papa a proposito dell’accesso ai
sacramenti per persone che vivono in situazioni “irregolari”? Già Papa Benedetto aveva
detto che non esistono delle “semplici ricette” (AL, 298, nota 333). E Papa Francesco
torna a ricordare la necessità di discernere bene le situazioni nella linea della Familiaris
consortio (1984) di san Giovanni Paolo II (AL, 298). «Il discernimento deve aiutare a
trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che
tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e
scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio» (AL, 305). E Papa
Francesco ci ricorda una frase importante che aveva scritto nell’Evangelii gaudium 44:
«Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita
esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti
difficoltà» (AL, 304). Nel senso di questa via caritatis (AL, 306) il Papa afferma, in
maniera umile e semplice, in una nota (351), che si può dare anche l’aiuto dei
sacramenti in «certi casi». Ma allo scopo egli non ci offre una casistica, delle ricette,
bensì ci ricorda semplicemente due delle sue frasi famose: «Ai sacerdoti ricordo che il
confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del
Signore» (EG, 44) e l’Eucarestia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso
rimedio e un alimento per i deboli» (EG, 44). Non è una sfida eccessiva per i pastori, per
le guide spirituali, per le comunità, se il «discernimento delle situazioni» non è regolato
in modo più preciso? Papa Francesco conosce questa preoccupazione: «comprendo
coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione»
(AL, 308). Ad essa egli obietta dicendo: «poniamo tante condizioni alla misericordia che
la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e quello è il modo peggiore di
annacquare il Vangelo» (AL, 311). Papa Francesco confida nella «gioia dell’amore».
L’amore sa trovare la via. È la bussola che ci indica la strada. Esso è il traguardo e il
cammino stesso, perché Dio è l’amore e perché l’amore è da Dio. Niente è così esigente
come l’amore. Esso non si può avere a buon mercato. Per questo nessuno deve temere
che Papa Francesco ci inviti, con Amoris laetitia, a un cammino troppo facile. Il cammino
non è facile, ma è pieno di gioia!
Pag 7 Buona notizia per le famiglie di Lorenzo Baldisseri
La presentazione del segretario generale del Sinodo dei Vescovi
Pubblichiamo il testo della presentazione svolta dal cardinale segretario generale del
Sinodo dei vescovi.
Sono lieto e onorato di presentare oggi l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris
laetitia che Papa Francesco ha firmato il 19 marzo scorso, solennità di San Giuseppe, e
che oggi si rende pubblica. Anzitutto mi è gradito esprimere viva riconoscenza al Santo
Padre, per aver donato alla Chiesa il prezioso documento sull’amore nella famiglia.
Ringrazio inoltre tutti coloro che a vario titolo hanno offerto il loro contributo; in
particolare i padri sinodali delle due assemblee, il relatore generale e il segretario
speciale, il Pontificio Consiglio per la famiglia e il suo presidente. È significativo che
Amoris laetitia esca in pieno giubileo della misericordia: il testo vi fa riferimento tre volte
e cita direttamente la bolla di indizione sei volte. Il documento corona il lavoro biennale
del sinodo, la cui grande riflessione ha investito tutte le dimensioni dell’istituto familiare,
che oggi risente di una forte crisi nel mondo intero. Le società umane, segnate da
conflitti e violenze, hanno bisogno di riconciliazione e di perdono a cominciare dal loro
nucleo vitale: la famiglia. Il giubileo della misericordia è davvero una buona notizia per
le famiglie di ogni continente, specialmente per quelle ferite e umiliate.
Il titolo - Il titolo Amoris laetitia è in piena continuità con l’Esortazione apostolica
Evangelii gaudium: dalla gioia del Vangelo alla gioia dell’amore nella famiglia. Il
cammino sinodale ha presentato la bellezza della famiglia parlando dell’amore: esso
costituisce il fondamento dell’istituto familiare, perché Dio è amore tra persone, è Trinità
e non solitudine. In questo documento il Santo Padre approfondisce il «Vangelo del
matrimonio e della famiglia» (AL, 89) e offre concreti orientamenti pastorali che, nella
continuità, acquistano un valore e una dinamica nuova. «L’insieme degli interventi dei
Padri, che ho ascoltato con costante attenzione, mi è parso un prezioso poliedro» (AL, 4)
- scrive il Santo Padre, riprendendo la figura geometrica già impiegata in Evangelii
gaudium (cfr. 236). Infatti, il risultato del lavoro sinodale dei Padri raccoglie la pluralità
delle esperienze e dei punti di vista delle Chiese particolari. Il confronto tra opinioni
diverse è avvenuto con libertà e franchezza, che ha permesso di pervenire ad un
risultato quasi unanimemente condiviso. Il principio secondo il quale «il tempo è
superiore allo spazio» (EG, 222-225; AL, 3, 261) indica che occorre tempo ed esistono
modalità diverse mediante le quali trovare soluzioni più adatte alle differenti situazioni.
Al riguardo, l’esortazione dice: «Nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di
prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti
della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano» (AL, 3). Ad esempio, il testo
fa riferimento a tre situazioni emblematiche in cui il trascorrere del tempo è necessario:
nella preparazione al matrimonio (cfr. AL, 205-216); nell’educazione dei figli (cfr. AL,
261); nel superamento del lutto in famiglia (cfr. AL, 255).
La chiave di lettura - In pieno accordo con il tempo giubilare che la Chiesa sta vivendo,
l’adeguata chiave di lettura del documento è «la logica della misericordia pastorale» (AL,
307-312). Il Santo Padre afferma chiaramente la dottrina sul matrimonio e la famiglia,
specialmente nel capitolo terzo, e la propone come ideale irrinunciabile. Riferendosi ai
giovani, egli afferma: «Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in
nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il
progetto di Dio in tutta la sua grandezza. [...] Oggi, più importante di una pastorale dei
fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture»
(AL, 307). D’altra parte, il Papa non dimentica di rivolgere la sua attenzione alle fragilità
delle famiglie e persino al loro fallimento, e riprende un passo di Evangelii gaudium (n.
44): «“senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con
misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno
costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci
stimola a fare il bene possibile”» (AL, 308).
La struttura - L’esortazione è composta di nove capitoli, suddivisi in 325 numeri, con
391 note, e la preghiera finale alla Santa Famiglia. Il Santo Padre spiega lo sviluppo del
documento (cfr. AL, 6): l’ouverture, ispirata alla Sacra Scrittura (capitolo I), dà il tono
adeguato al documento, per passare poi a considerare la situazione attuale delle famiglie
(capitolo II), alla luce dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia
(capitolo III). All’amore nel matrimonio (capitolo IV), che diventa fecondo nella famiglia
(capitolo V), spetta il posto centrale nel documento. Seguono alcuni orientamenti
pastorali per costruire famiglie solide e feconde, secondo il piano di Dio (capitolo VI), e
per fortificare l’educazione dei figli (capitolo VII). Il capitolo VIII è un invito alla
misericordia e al discernimento pastorale di fronte a situazioni che non rispondono
pienamente all’ideale che il Signore propone. L’esortazione si conclude con alcune linee
di spiritualità familiare (capitolo IX). Nell’introduzione, Papa Francesco stesso spiega la
ragione della inevitabile estensione del testo. La riflessione del cammino sinodale ha
fatto sì che l’esortazione apostolica post-sinodale comprendesse non solo le questioni
strettamente inerenti alla famiglia, ma anche molti e diversi temi. La lunghezza e
l’articolazione del testo richiedono una lettura non affrettata, non necessariamente
continua, anche a seconda dell’interesse dei diversi lettori (cfr. AL, 7).
Le fonti - Amoris laetitia è una ulteriore eminente espressione del pontificato di Papa
Francesco; rappresenta una splendida sintesi e proiezione verso ulteriori orizzonti. La
base fondamentale dell’esortazione è costituita dai documenti conclusivi delle due
assemblee sinodali sulla famiglia: 52 citazioni della Relatio synodi 2014 e 84 della
Relatio finalis 2015, per un totale di 136. In tal modo il Santo Padre attribuisce una
grande importanza al lavoro collegiale e sinodale, accogliendolo e integrandolo. Inoltre,
il testo è corredato di numerosi riferimenti ai Padri della Chiesa (san Leone Magno e
sant’Agostino), ai teologi medioevali e moderni (san Tommaso, citato 19 volte; san
Domenico; beato Giordano di Sassonia; Alessandro di Hales; sant’Ignazio di Loyola, 3
volte; san Roberto Bellarmino; san Giovanni della Croce); agli autori contemporanei
(Joseph Pieper, Antonin Sertillanges, Gabriel Marcel, Erich Fromm, Santa Teresa di
Lisieux, Dietrich Bonhoeffer, Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Mario Benedetti, Martin
Luther King). Tra i documenti pontifici dei predecessori vengono citati, ad esempio: Casti
connubii di Pio XI; Mystici corpori Christi di Pio XII; Humanae vitae del beato Paolo VI (2
volte più 4 volte in altri documenti citati nel testo); le Catechesi sull’amore umano (23
volte) e Familiaris consortio (21 volte più 6) di san Giovanni Paolo II; Deus caritas est di
Benedetto XVI (9 volte più 1). Il concilio Vaticano II viene citato ben 22 volte più 6; il
Catechismo della Chiesa cattolica 13 volte più 2. Inoltre, oltre a 16 più 1 citazioni di
Evangelii gaudium, spiccano le Catechesi sulla famiglia di Papa Francesco pronunciate in
occasione delle udienze generali, che vengono citate 50 volte. Infine, vengono citati 12
volte altri documenti della Santa Sede e 10 volte documenti di conferenze episcopali.
Degne di nota sono le espressioni che il Santo Padre usa per attribuire rilevanza al
lavoro condotto per due anni dai vescovi di tutto il mondo con le loro Chiese, quando
dice: «sostengo» (AL, 297), «accolgo» (AL, 299), «considero molto appropriato» (AL,
302). Sono una ventina le volte in cui nel testo l’autore si riferisce esplicitamente al
sinodo o ai padri sinodali.
Alcuni punti salienti
1) Il documento porge uno sguardo positivo sulla bellezza dell’amore coniugale e sulla
famiglia, in un’epoca di crisi globale di cui soffrono principalmente le famiglie. Lo spazio
dedicato all’amore e alla sua fecondità, in particolare nei capitoli IV-V, rappresenta un
contributo originale, sia per il contenuto generale sia per il modo di esporlo. Ogni
espressione dell’amore nell’inno alla carità di san Paolo (cfr. 1 Cor 13, 4-7) è una
meditazione spirituale ed esistenziale per la vita degli sposi, tratteggiata con sapiente
introspezione, propria di un’esperta guida spirituale, che conduce alla crescita nella
carità coniugale.
2) Al vescovo è affidato il compito di condurre il Popolo di Dio, sull’esempio di Gesù buon
pastore che «chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori» (Gv 10, 3). Il
servizio pastorale del vescovo comporta anche l’esercizio del potere giudiziale che,
attraverso i due motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, il
Santo Padre ha così definito: «Attraverso di essi ho anche voluto rendere evidente che lo
stesso Vescovo nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso
giudice tra i fedeli a lui affidati» (AL, 244). Ne consegue che il vescovo, attraverso
presbiteri e operatori pastorali adeguatamente preparati, disponga servizi appropriati
per coloro che sono in condizioni di disagio familiare, di crisi e di fallimento.
3) Come ogni pastore, Papa Francesco rivolge la sua sollecitudine paterna alla
«innumerevole varietà di situazioni concrete» (AL, 300). Pertanto, egli afferma: «è
comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una
nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (ib.). Dal momento
che — come il Sinodo ha affermato — «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i
casi», occorre procedere con «un responsabile discernimento personale e pastorale dei
casi particolari» (ib.).
I battezzati che vivono in una seconda unione devono essere integrati e non esclusi.
L’esortazione al riguardo è molto chiara: «La loro partecipazione può esprimersi in
diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione
attualmente praticate [...] possano essere superate» (AL, 299).
Per accompagnare e integrare le persone che vivono in situazioni cosiddette “irregolari”
è necessario che i pastori le guardino in faccia una per una. Il documento dice: «I
presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del
discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”» (AL,
300). In questo processo di discernimento «sarà utile fare un esame di coscienza,
tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi
come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se
ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato;
quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli;
quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio» (ib.).
Il discernimento avviene attraverso il «colloquio col sacerdote, in foro interno, [che]
concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una
più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla
crescere» (ib.).
4) Nella prospettiva del compimento dell’ideale del matrimonio, l’esortazione ha
innanzitutto messo in grande rilievo la preparazione dei fidanzati al sacramento, al fine
di fornire «loro gli elementi necessari per poterlo ricevere con le migliori disposizioni e
iniziare con una certa solidità la vita familiare» (AL, 207). Il Papa afferma che, in questa
preparazione, occorre attingere alle «convinzioni dottrinali» e alle «preziose risorse
spirituali» della Chiesa, come anche ricorrere a «percorsi pratici, consigli ben incarnati,
strategie prese dall’esperienza, orientamenti psicologici» (AL, 211).
L’esortazione indica, inoltre, la necessità che questo cammino prosegua anche dopo la
celebrazione, specialmente nei primi anni di vita coniugale. Ai giovani sposi il Papa
ricorda che «il matrimonio non può intendersi come qualcosa di concluso. [...] Lo
sguardo si rivolge al futuro che bisogna costruire giorno per giorno con la grazia di Dio»
(AL, 218).
5) Il documento ricorda che «i Padri hanno anche considerato la situazione particolare di
un matrimonio solo civile o, fatte salve le differenze, persino di una semplice convivenza
in cui, «quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico,
è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità
di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello
sviluppo verso il sacramento del matrimonio» (AL, 293).
6) Nell’accompagnare le fragilità e curare le ferite, il principio della gradualità nella
pastorale riflette la pedagogia divina: come Dio si prende cura di tutti i suoi figli, a
cominciare dai più deboli e lontani, così «la Chiesa si volge con amore a coloro che
partecipano alla sua vita in modo imperfetto» (AL, 78), poiché tutti devono essere
integrati nella vita della comunità ecclesiale (cfr. AL, 297). Il Papa afferma, infatti, che
«nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del
Vangelo!» (ib.).
Non limitandosi alle situazioni cosiddette “irregolari”, l’esortazione, quindi, dischiude
l’ampio orizzonte della grazia immeritata e della misericordia incondizionata per «tutti, in
qualunque situazione si trovino» (ib.).
Di fronte ai grandi avvenimenti che sconvolgono il mondo odierno, si scopre la
grandezza di Dio e il suo amore per l’uomo che, ferito costantemente, ha bisogno di
essere accolto e curato da Cristo, buon samaritano dell’umanità. Dalla consapevolezza
che Dio offre e regala misericordia e che «la città dell’uomo non è promossa solo da
rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di
misericordia e di comunione» (CV, 6), emerge la necessità di oltrepassare l’orizzonte
umano della giustizia con uno scatto, un salto in avanti. Questo viene soltanto
dall’amore, che diventa misericordioso dinanzi alle fragilità umane, ed è capace di
infondere coraggio e speranza. In tale contesto si colloca l’esortazione apostolica, che
con questa espressione tocca il cuore del Vangelo e risana quello dell’uomo ferito: «la
misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di
Dio» (AL, 311).
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AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Lo speciale sigillo di Pierangelo Sequeri
Amore, famiglia, vita vera
«I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i
ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente
riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando
normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche»
(Amoris laetitia, n.2). Ben detto, tanto per cominciare. E pazienza, aggiungo io, per i
giornalisti, che tengono famiglia. Ma gli ecclesiastici, che non la tengono neppure (però
ci devono tenere!), per quale motivo si consegnano all’eccitazione mediatica degli
opposti fondamentalismi? Come se, invece che un profondo ripensamento sulla famiglia,
la Chiesa avesse semplicemente convocato un tavolo di discussione sulle regole del
divorzio. L’autorevole 'restituzione' papale dei lavori sinodali, imprime il sigillo del suo
speciale 'valore aggiunto' già con questa puntualizzazione. Il matrimonio e la famiglia
sono una speciale benedizione di Dio per la condizione umana, decisiva per la qualità
della umana convivenza, fondamentale per la testimonianza della fede. E questo è il
punto. Il cambio di passo che l’esortazione papale imprime all’atteggiamento della
Chiesa è la sua immersione nella concretezza storica di questa benedizione. Non si tratta
di mettere a punto un’ipotesi di laboratorio, che ignora le variabili storiche e scarta le
sue applicazioni imperfette (siamo perfetti, noi?). Il pensiero e la prassi cristiana devono
abitare e ospitare una realtà che è già vivente, per riconoscere e sostenere in essa i doni
della grazia e le incongruenze della storia. L’alleanza della Chiesa e delle famiglie è
indissolubile, di diritto e di fatto. La famiglia è parte integrante e preponderante del
popolo di Dio: la Chiesa non esisterebbe, e non sarebbe quello che deve essere, senza la
famiglia. Questa complicità – che si dovrà vedere, sentire, toccare – decide il nostro
passaggio del Mar Rosso, che ci libera dalla schiavitù degli imperi mondani, restituendoci
pienamente, in questa congiuntura di fondamentalismi religiosi, fondamentalismi politici,
fondamentalismi tecno-economici, la libertà nella quale «Cristo ci ha liberati». Questa
libertà è libertà dalla fatalità del peccato e dalla rassegnazione al male. Di fatto, oggi,
vuol dire libertà di rimanere umani, non solo cristiani. L’alleanza d’amore, durevole e
feconda, dell’uomo e della donna, riguarda l’intero del legame sociale. E fa la storia vera
del mondo, non la cronaca rosa dei settimanali. Per assimilare la profonda
trasformazione di atteggiamento mentale che ispira lo stile dell’esortazione, mi limito per
ora a due cenni. (Con ragione il Papa ha avvertito che il testo andrà ripreso con calma,
più volte, per essere interiorizzato nel respiro e nel ritmo della sua meditazione: proprio
come deve fare l’interprete di alto profilo con una partitura musicale). In primo luogo,
questo testo è 'un grande racconto', non 'un grande trattato'. Esso si immerge
totalmente nella realtà umana della famiglia, facendo lievitare da questa concreta
frequentazione la bellezza della forma cristiana che la manifesta e della misericordia
divina che la ispira. Non da fuori. Dal cuore. Il cambio di stile, anche in rapporto alla
Relatio finale dei Sinodi, è definitivo. L’andamento sapienziale, la concretezza delle
dinamiche, la temporalità dei processi, l’atteggiamento di fronte ai fallimenti. È di qui, e
dentro questa storia, che parla il Vangelo (Gesù fece così!): lo scriba evangelico, fedele
«discepolo del regno di Dio», è capace di trarre da questo tesoro «cose antiche e cose
nuove» (Mt 13, 52). In secondo luogo, esiste un passaggio a sorpresa, in questa
meditazione di papa Francesco, che segna il climax dell’intero testo. Ed è destinato a
produrre effetti di lunga durata. Il capitolo quarto, intitolato «L’amore nel matrimonio»,
è occupato dal luminoso commento, parola per parola, dell’Inno all’amore della Prima
Lettera ai Corinzi (13, 4-7), non dal commento al Cantico dei Cantici. Nel passo di san
Paolo si evoca la perfezione suprema dell’amore (la partecipazione dell’agape di Dio) al
quale ogni eros deve attingere, per non distruggersi e non distruggere. «L’amore –
sintetizza papa Francesco – può mostrare tutta la sua fecondità quando ci permette di
sperimentare la felicità del dare, la nobiltà e la grandezza del donarsi in modo
sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di
servire » (n. 94). Il matrimonio e la famiglia, nella visione cristiana, non sono un
compromesso sentimentale per il quieto vivere: sono la matrice generativa e il banco di
prova dell’amore che ci salva la vita. Ogni vita. In qualunque circostanza. La mossa di
questo commento, a sorpresa, è tutta di Francesco. Ma non è un espediente retorico. La
mossa rimette la barra della dottrina e della pratica cristiana sulla rotta della rivelazione
autentica. E della grazia che l’accompagna, fin dall’alba della creazione dell’uomo e della
donna. Una vera rivoluzione profetica, per le nostre abitudini mentali (laiche, ma anche
ecclesiastiche) in tema di estetica e di drammatica dell’amore (e del matrimonio). Lo
sguardo dell’agape di Dio, sulla bellezza e sulle contraddizioni di eros, è
incomparabilmente più profondo, più concreto, più fine del nostro.
Pagg 4 – 5 La rivoluzione di Francesco. Un abbraccio senza esclusioni di Luciano
Moia
L’originalità di un testo che rovescia le prospettive pastorali. Il vescovo Fragnelli: “E
adesso ridefiniamo la pastorale”
La famiglia ricomincia da Francesco. Ricomincia dal suo abbraccio sorridente che fin dal
titolo dell’Esortazione postsinodale, La gioia dell’amore, indica un percorso e segna un
proposito. Ricomincia da suo invito a rileggere la Sacra Scrittura (primo capitolo).
Ricomincia soprattutto, al di là di tutto quanto scrive nelle altre sezioni del documento,
dalla sua straordinaria rilettura in chiave familiare dell’Inno alla carità di san Paolo che
occupa buona parte del quarto capitolo.
PAZIENZA, AMABILITÀ, DIALOGO - Dai suoi consigli su come esercitare in famiglia la
pazienza, la benevolenza, l’amabilità. Su come tenere a freno l’invidia, come guarire
dall’orgoglio e coltivare l’umiltà. Come rallegrarsi con moglie, marito e figli, come
infondere fiducia e stabilire relazioni di autentica libertà, come alimentare speranza e
come vivere nella gioia e nella bellezza. Come sostenere il dialogo, «modalità privilegiata
e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore nella vita coniugale e familiare
». Quattro paragrafi esemplari (n. 136139) che andrebbero proposti a tutti i percorsi di
preparazione al matrimonio come sintesi efficace di come si parla, si tace, si ascolta in
coppia e, soprattutto, come «bisogna cercare di mettersi nei panni » dell’altro, come
«individuare quello che lo appassiona e prendere quella passione come punto di
partenza per approfondire il dialogo». Tutto questo, e molto altro ancora, nel capitolo
centrale dell’Amoris laetitia, forse il più bergogliano dell’intero documento. Pochissime le
note di riferimento e nessuna che rimanda al Sinodo, come a voler sottolineare
l’originalità di riflessioni che scorrono via agevoli e discorsive, come le indicazioni che
ogni buon padre di famiglia rivolge ai figli intorno al tavolo di cucina, dopo una cena
nell’intimità domestica. Toni e parole che potrebbe apparire sorprendenti per un
documento magisteriale, se Francesco non ci avesse abituati a sovvertire gli stereotipi di
certa pastorale.
SESSUALITÀ, EROTISMO, FECONDITÀ - Con gli stessi criteri di familiarità e di
immediatezza, nel medesimo capitolo, il Papa si rivolge ai coniugi per parlare di
sessualità e di erotismo. Anche in questo caso nessuna indulgenza a certa teologia
nuziale per specialisti, un po’ aggrovigliata nelle sue contorsioni intellettuali, ma un
discorso franco e diretto che parte da una visione positiva della sessualità. No quindi al
sesso come violenza e manipolazione, come logica di dominio e annullamento della
dignità. Ma guai «a intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso,
o come un bene da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che
abbellisce l’incontro tra gli sposi». La bellezza e quindi la fecondità dell’amore è anche il
tema del capitolo successivo, il quinto, che quindi forma un saldo nucleo con il
precedente. Anche in questo caso non mancano i passaggi di autentica originalità. Come
quelli che il Papa concentra nei paragrafi 168171 che rappresentano una bella sintesi di
pastorale dell’attesa: «Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con affetto: abbi
cura della tua gioia, che nulla ti tolga la gioia interiore della maternità». Parole bellissime
che dovrebbero far riflettere su certi vuoti della nostra teologia familiare. Oggi la
mamma in attesa che vuole approfondire la spiritualità della propria condizione ha a
disposizione davvero poco.
PADRI CON CHIARA IDENTITÀ MASCHILE - Ma le sorprese non finiscono qui. Poco più
avanti, siamo al paragrafo 173, Francesco di apprezzare il femminismo, quando però
non «pretende l’uniformità né la negazione della maternità». Poi, nella logica della
reciprocità, qualche considerazione sulla figura paterna indispensabile, insieme alla
madre, per creare l’ambiente familiare «più adatto alla maturazione del bambino ». Ma
questo padre, osserva Francesco, deve avere «una chiara e felice identità maschile».
Come a sottolineare l’inopportunità di alcune teorie che esaltano la confusione dei ruoli.
In precedenza, al n. 56, aveva parlato esplicitamente dell’«ideologia genericamente
chiamata gender», includendola nell’elenco degli elementi di crisi della famiglia.
BRACCIA APERTE AI DIVORZIATI RISPOSATI - Ma al di là degli argomenti toccati –
davvero tanti in questa sorta di enciclopedia familiare – la novità in qualche modo
rivoluzionaria, è l’archiviazione di una certa pastorale dei “divieti e degli obblighi”.
Nell’ottavo capitolo, su «Accompagnare, discernere e integrare le fragilità», le parole di
Francesco non si prestano a interpretazioni fuorvianti: «Non è più possibile dire che tutti
coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di
peccato mortale, privi della grazia santificante» (n. 301). E ancora: «È meschino
soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a
una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare piena fedeltà
a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano». Si spezza così la correlazione ferrea
che, negli ultimi trent’anni aveva stabilito un’equazione quasi inderogabile tra divorziati
risposati e vita di peccato. Dove il “quasi” va riferito alla postilla che invitava coloro che
aveva contratto un nuovo matrimonio a vivere come fratello e sorella. Nella Gioia
dell’amore questa specificazione non compare più. E anzi si prendono le distanze da
legalismi distanti anni luce dalla realtà, spiegando che «un Pastore non può sentirsi
soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”,
come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone». Da notare che il
termine “irregolare” è sempre messo tra virgolette, come se il Papa non se la sentisse di
esprimere una sentenza definitiva sulla “regolarità” o meno di un’esistenza. Anzi, «la
strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno» (n. 296), «si
tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare
alla comunità ecclesiale» (n. 297).
INDISSOLUBILITÀ, UN PUNTO DI ARRIVO - La direzione è quella già indicata dalla
Relazione finale 2015. Una via del discernimento in cui vescovi e presbiteri sono invitati
ad accompagnare la persona intenzionata a verificare le proprie scelte. Non si parla di
“comunione ai divorziati risposati”. Non avrebbe senso, proprio perché si tratta di un
percorso personalizzato, che deve tenere presente la varietà delle situazioni concrete e
di cui sarebbe impossibile fin d’ora anticipare l’esito. Ma non la si esclude neppure.
Appunto perché nell’integrazione esiste una gradualità che – spiega ancora il Papa – va
rispettata e non può essere sancita a priori. Una rottura rispetto alla dottrina tradizionale
dell’indissolubilità? Niente affatto. Il Papa ribadisce più volte che l’ideale dell’amore
fedele, unico, fecondo e, appunto, indissolubile rimane un punto d’arrivo indiscutibile.
Quello la Chiesa cattolica indica come traguardo per gustare pienamente «la gioia
dell’amore» tra uomo e donna. Ma le prospettive sono rovesciate. Non un punto di
partenza, perché le condizioni sempre più difficili di una crescente complessità culturale
e sociale, impediscono di caricare sulle spalle dei giovani pesi di cui non conoscono più
neppure il significato. Ma un traguardo, una meta a cui tendere, secondo appunto la
legge della gradualità. Insomma, una prospettiva che sorride alle famiglie e incoraggia
chi, nonostante tutto, crede e spera in un amore stabile e duraturo, che dia senso alla
vita.
«Tutto questo ci scomoda perché obbliga a ridefinire il quadro e gli obiettivi generali
della vita pastorale. Ma a cosa serve mantenere un quadro stretto, obsoleto, che non
abbraccia più la realtà in movimento?». Il presidente della Commissione episcopale Cei
per la famiglia, la vita e i giovani, Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani, scorre le
pagine dell’Amoris laetitia con grande soddisfazione, consapevole però del grande lavoro
che attenderà nei prossimi anni vescovi e operatori di pastorale familiare. «Sì, è
necessario un cambiamento della mentalità pastorale», ammette.
Integrazione, discernimento, misericordia. Lungo le oltre 260 pagine dell’Esortazione
sono le parole che ricorrono più spesso. Che distanza esiste tra la nostra pastorale
ordinaria e queste sollecitazioni di Francesco?
Il capitolo ottavo dell’Esortazione (“Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”)
contiene una prolungata riflessione sulla 'misericordia pastorale' (n. 307312), che non si
limita a riproporre l’immagine della misericordia come «architrave che sorregge la vita
della Chiesa», ma indica «un quadro e un clima» che «ci impedisce di sviluppare una
teologia morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto
nel contesto di un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone
sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, soprattutto a
integrare» (n. 312). La nostra pastorale ordinaria è invitata a rivelare sempre più e
sempre meglio «il volto della Sposa di Cristo, che fa suo il comportamento del Figlio di
Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno» (Misericordiae vultus, 12). «Una
Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna e accarezza», ha detto
papa Francesco a Firenze nel novembre 2015. Siamo chiamati a uscire con più decisione
dal ruolo di controllori ed entrare in quello di facilitatori della grazia, annunciatori del
«primato della carità come risposta all’iniziativa dell’amore gratuito di Dio» (n. 311).
Una rinnovata pastorale della misericordia chiede un rinnovamento della riflessione
teologico- morale, che – non rinunciando all’integralità dell’insegnamento morale della
Chiesa – pone speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti
e centrali del Vangelo (n. 311).
Una “rivoluzione” impegnativa o l’inizio di un percorso che non sappiamo dove ci
porterà? Insomma, come pastore, è più soddisfatto e più preoccupato?
Il Papa, esperto in umanità, chiede a tutta la Chiesa di entrare più chiaramente nelle
«circostanze attenuanti» che il «discernimento pastorale» porta con sé (n. 301-306). In
pratica come pastori e come comunità cristiana siamo invitati a frequentare di più gli
“ambienti” nei quali si evidenziano situazioni spesso totalmente nuove e imprevedibili.
Bisogna portarvi il lievito del Vangelo, non prontuari o ricette. Il Papa incoraggia tutta la
Chiesa a uscire per essere sempre più pronta a portare nella mente e nel cuore
l’esperienza umana ferita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Le esigenze del
Vangelo non hanno timore di confrontarsi con i “condizionamenti” e i “fattori che
limitano la capacità di decisione”. Qui la frase netta di Francesco: «Non è più possibile
dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in
stato di peccato mortale, privi della grazia santificante » (n. 301). Il cammino pastorale
che ci è proposto offre soddisfazioni e preoccupazioni insieme: dobbiamo tornare a
formare le coscienze, a dedicare attenzione alla direzione spirituale e alla sana pratica
della confessione, a combattere i conformismi pastorali modellati fondamentalmente su
schemi sacramentali e non di evangelizzazione. Tutto questo ci scomoda perché obbliga
a ridefinire il quadro e gli obiettivi generali della vita pastorale. Ma a cosa serve
mantenere un quadro stretto, obsoleto, che non abbraccia più la realtà in movimento? A
Gesù interessano tutte le “cento pecore” dell’ovile: il suo Spirito è all’opera e suscita
nuovi carismi per la grande avventura della consegna del Vangelo della gioia alle
famiglie di oggi. Anche a costo di fare l’esperienza della «letizia di essere giudicati degni
di subire oltraggi per il nome di Gesù» (cfr. At 5,41).
Il capitolo quinto è tutto una “traduzione familiare” dell’inno alla carità di san Paolo, in
cui emerge un Papa che conosce nel dettaglio le buone abitudini che cementano la vita
familiare. Non crede che anche le nostre comunità dovrebbero fare proprio in modo più
sistematico questo sguardo positivo?
I due capitoli centrali dedicati a “L’amore nel matrimonio“ e a “L’amore che diventa
fecondo” sono una straordinaria sintesi di tutto ciò che si vorrebbe ricevere e donare in
fatto di «Letizia dell’amore». La “casa” che Gesù e gli apostoli invitano a costruire con la
famiglia cristiana è ricca del «nostro amore quotidiano». Una trentina di paragrafi (n.
89-119) offrono l’alfabeto dell’amore applicando le pregnanti espressioni del capitolo 13
della prima Lettera ai Corinzi all’esistenza concreta di ogni famiglia. Lo “sguardo
positivo” delinea un orizzonte di grande speranza. È l’amore che tutto sopporta: il Papa
cita l’amore «malgrado tutto » di Martin Luther King (n. 118) e del coniuge che,
costretto alla separazione fisica, sa andare oltre i sentimenti e continua ad amare in
forza della «carità coniugale» (n. 119). Un amore che cresce e diventa sempre più
«icona dell’amore di Dio per noi» (n. 121), capace di non cedere alla «cultura del
provvisorio» (n. 124).
Nei paragrafi sulla preparazione al matrimonio, il Papa insiste sulla valenza educativa del
cammino, sia prossimo, sia soprattutto, remoto. E noi, in Italia, siamo in linea con
queste indicazioni?
Il Papa incoraggia ogni Chiesa locale a discernere il modo migliore per organizzare la
preparazione al matrimonio, evitando però di ridursi alla consegna di tutto il Catechismo
o di «saturarli con troppi argomenti» (n. 207). Ma evitando anche di proporre
«idealizzazioni» indebite, che crollano di fronte alla scoperta della realtà. Citando il
documento della Conferenza episcopale italiana circa gli “Orientamenti pastorali sulla
preparazione al matrimonio e alla famiglia”, curato dalla Commissione episcopale per la
famiglia e la vita, papa Francesco invita a cogliere la «preziosa risorsa» e l’«amicizia
contagiosa» che coloro che si sposano portano nella Chiesa e nella società.
Di grande interesse anche i paragrafi dedicati all’educazione sessuale (n.280 e
seguenti), in cui – tra tante sottolineature forti – invita alla riscoperta del «sano
pudore»… Non crede sia una riscoperta che meriterebbe di essere rilanciata con qualche
evidenza?
Sì, dopo aver riconosciuto la necessità di ricercare «le influenze positive» e «un
adeguato linguaggio» per introdurre i ragazzi e i giovani alla sessualità, papa Francesco
richiama la grande importanza di ritrovare un «sano pudore» un «valore immenso»,
attuale anche oggi come «difesa naturale della persona », protezione della sua interiorità
e argine ad ogni banale cosificazione dell’amore. È grande e urgente il lavoro culturale e
pastorale da fare in questo campo.
CORRIERE DELLA SERA di sabato 9 aprile 2016
Pag 5 Paglia e il nodo dei sacramenti: “Dobbiamo curare le ferite, non agire
come un tribunale” di Gian Guido Vecchi
«Tempo fa parlavo al Santo Padre della necessità di andare oltre il recinto, in cerca della
pecorella smarrita, con l’atteggiamento di Gesù che va a recuperare tutti, anche i
divorziati risposati. Francesco mi ha corretto dicendomi: l’esempio non va bene, può
essere equivocato, si potrebbe pensare che queste persone stiano fuori dal recinto. E
invece no, sono nella Chiesa: non sono scomunicati». L’arcivescovo Vincenzo Paglia,
presidente del pontificio Consiglio per la Famiglia, sorride: «A coloro che criticano in
nome dell’intangibilità delle dottrina, rispondo con le parole di Giovanni XXIII: non è il
Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio».
Qual è il cuore del testo?
«L’Esortazione apre profeticamente una prospettiva: la famiglia non riguarda
semplicemente la storia degli individui e dei loro desideri di amore, che pure ci sono, ma
la storia stessa del mondo. Si potrebbe dire che è la madre di tutti i rapporti. Il testo
parla della dimensione di familiarità nel creato, nella storia, nella società. La Chiesa è
famiglia, i popoli devono essere famiglia. Un cambio di passo e di stile».
In che senso, eccellenza?
«La vita delle famiglie, per la Chiesa, non deve essere prima di tutto un insieme di
questioni morali da risolvere, ma piuttosto la sorgente della vitalità della fede. La Chiesa
è madre, non osserva e giudica dal di fuori. Le famiglie non sono i suoi sudditi, sono i
figli tra i quali vive, con i quali affronta gli ostacoli e le contraddizioni inevitabili della
vita. La concretezza: anche dell’amore, descritto seguendo l’inno alla carità di San Paolo,
si parla in chiave tutt’altro che mistica o romantica».
Francesco premette un «cosiddette» quando parla delle coppie che finora si definivano
«irregolari»...
«Appunto. Può darsi che sia così in astratto, ma non nella singola situazione concreta.
Per dire: una donna è stata abbandonata dal marito, ha dei figli, incontra un uomo con il
quale li cresce, magari ne nascono altri, l’unione è stabile da anni... Ma come si fa a
chiamare questo solo un adulterio? Stiamo lì a fare il tribunale? La Chiesa non è un pm
né un notaio, ma è stata impegnata dal Signore nella protezione dei deboli, nel riscatto
dei debiti, nella cura delle ferite di padri, madri, figli...»
Che succederà, ora?
«Io mi auguro che tutti, sacerdoti e semplici fedeli, sappiano accompagnare, aiutare a
discernere e integrare: un itinerario di amore che diventa la prima regola. Ogni famiglia
ferita ha dietro a sé drammi, dolori, afflizioni. Non è la regola che salva o accompagna,
ma l’amore. Un amore che chiama malattia la malattia ma è proteso a guarire».
E l’indissolubilità?
«Il matrimonio è indissolubile, ma il legame della Chiesa con i figli e le figlie di Dio lo è
ancora di più: perché è come quello che Cristo ha stabilito con la Chiesa, piena di
peccatori che sono stati amati quando ancora lo erano. E non sono abbandonati,
neppure quando ci ricascano».
In concreto, che si fa?
«Non c’è la regola che i divorziati possano fare la comunione. Oggettivamente non
possono. Però non è detto che soggettivamente sia lo stesso. Non esiste la situazione in
astratto, ne esistono milioni. Il vescovo dovrà aiutare i padri spirituali, i confessori,
perché esercitino la misericordia del Signore coniugando l’ideale con la gradualità della
pedagogia di Dio. Il testo parla di esami di coscienza, itinerari di penitenza, amore per i
poveri: il discernimento. In questo itinerario la partecipazione cresce e può diventare
piena».
Compresi i sacramenti?
«Sì, la via sacramentale è in questo itinerario perché la legge suprema della Chiesa è
condurre tutti alla salvezza».
E chi decide?
«Il confessore in dialogo col fedele... La salvezza non è mai individuale, “un fai da te”, si
tratta di ritessere un tessuto comunitario del quale i sacramenti sono insieme segno e
strumento. Il vescovo garantisce questo itinerario: è importante che in ogni chiesa locale
si affinino i criteri di discernimento già indicati nel testo».
Pag 5 Nelle diocesi: giusto aiutare chi ha sofferto di Fabrizio Caccia
Il teologo Forte: c’è attenzione verso la fede “incarnata”
Roma. Si annunciano giornate di studio e ampi dibattiti nelle diocesi di tutto il mondo,
sui temi posti ieri dall’esortazione «Amoris Laetitia» di Francesco, la famiglia, il
matrimonio, il sesso, «perché bisogna guardare a Cristo e alla dottrina della Chiesa, ci
dice il Papa, ma anche alla vita concreta delle persone», spiega il vescovo di BolzanoBressanone, Ivo Muser. Un Papa che «vuole essere vicino all’umano in tutte le sue
espressioni», aggiunge il teologo e arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, un Papa che
indica la fede per quella che è - «incarnata» - e non solo come una serie di princìpi
astratti. Ma non solo: «Il documento è una meraviglia - esulta il diacono Paolo Tassinari,
della diocesi di Fossano-Cuneo, paladino del progetto «L’anello perduto» per i separati e
i divorziati risposati -. Perché l’Amoris Laetitia manifesta un tono che non è più di
rimprovero ma di stima nei confronti della storia di ogni famiglia, di quelle felici ma
anche di quelle che non hanno avuto fortuna». Verso di loro Bergoglio sembra tendere
una mano: «Sì ma attenzione — avverte Tassinari —. Il Papa non offre l’assoluzione,
non dà a tutti la comunione. Non dice: prego, accomodatevi. Francesco piuttosto
“mette” in comunione, parla infatti di “discernimento”, di “accompagnamento” delle
persone, caso per caso, nelle singole diocesi. È un cammino lungo, non bisogna creare
illusioni». Pure il ministro con delega alla Famiglia, Enrico Costa, loda Francesco: «Come
governo, davanti al suo richiamo, dobbiamo impegnarci in futuro perché ogni norma sia
concepita a misura di famiglia...». «L’opera è anche di gradevole lettura», dice don
Giovanni Cereti, rettore della confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi, buon
amico del Papa. E il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, trova
infine «significativo che Amoris Laetitia esca in pieno Giubileo della misericordia», perché
«importante», dice, è lo «sforzo pastorale per consolidare i matrimoni», ma «il Papa non
dimentica di rivolgere la sua attenzione alle fragilità delle famiglie e persino al loro
fallimento».
Pag 6 La Chiesa e il sesso. Quando Paolo disse: “Le donne siano sottomesse ai
mariti” di Aldo Cazzullo
Il confronto con le parole del Pontefice
Il matrimonio è un dono di Dio. Tale dono include la sessualità (Jorge Mario Bergoglio,
papa Francesco, d’ora in poi semplicemente Francesco). «Vi sono infatti eunuchi che
sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli
uomini; e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire,
capisca» (Matteo 19,12). Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso
per le sue creature (Francesco). «La donna è un tempio costruito su una cloaca. Tu,
donna, sei la porta del diavolo, tu hai circuìto quello stesso (uomo) che il diavolo non
osava attaccare di fronte. È a causa tua che il figlio di Dio ha dovuto morire; tu dovrai
fuggire per sempre in gramaglie e coperta di cenci» (Tertulliano). L’erotismo più sano,
sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può
umanizzare gli impulsi. In nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica
dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della
famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi (Francesco). «Se è
un bene non toccare una donna, allora è un male toccarla: gli sposati vivono come le
bestie, infatti nel coito con le donne gli uomini non si distinguono in nulla dai porci e
dagli animali irrazionali» (San Gerolamo). L’unione sessuale, vissuta in modo umano e
santificata dal sacramento, è a sua volta per gli sposi via di crescita nella vita della
grazia. È il mistero nuziale (Francesco). «Maria fu pura, santa, senza macchia,
risplendente, dai sentimenti divini, santificata, libera da tutte le lordure del corpo, del
pensiero, dell’anima» (Sofronio da Gerusalemme). La Bibbia è popolata da famiglie, da
generazioni, da storie di amore e di crisi familiari (Francesco). «Se fosse amico il re
dell’universo / noi pregheremmo lui della tua pace / poi c’hai pietà del nostro mal
perverso» (Dante Alighieri, Inferno, V canto, episodio di Paolo e Francesca). «Le donne
siano sottomesse ai mariti» (San Paolo, Lettera agli Efesini 5, 22). È importante essere
chiari nel rifiuto di qualsiasi forma di sottomissione sessuale. Perciò è opportuno evitare
ogni interpretazione inadeguata della Lettera agli Efesini. San Paolo qui si esprime in
categorie culturali proprie di quell’epoca, ma noi non dobbiamo assumere tale
rivestimento culturale, bensì il messaggio… (Francesco). Desideri, sentimenti, emozioni,
quello che i classici chiamavano «passioni», occupano un posto importante nel
matrimonio… L’essere umano è un vivente di questa terra e tutto quello che fa e cerca è
carico di passioni (Francesco). «Sì, dalla volontà perversa si genera la passione, e
l’ubbidienza alla passione genera l’abitudine, e l’acquiescenza all’abitudine genera la
necessità» (Sant’Agostino, Confessioni, Libro VIII). Provare un’emozione non è qualcosa
di moralmente buono o cattivo per sé stesso. Incominciare a provare desiderio o rifiuto
non è peccaminoso né riprovevole (Francesco). «I desideri della carne portano alla
morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della
carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo
potrebbero» (San Paolo, Lettera ai Romani 8,21). Provare piacere per qualcuno non è di
per sé un bene. Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona diventi mia
schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo
perché «proviamo dei sentimenti» è un tremendo inganno. Ci sono persone che si
sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto,
però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri
desideri (Francesco). «Le donne sono destinate principalmente a soddisfare la lussuria
degli uomini. Dove c’è la morte ivi c’è il matrimonio, dove non c’è matrimonio ivi non c’è
morte» (San Giovanni Crisostomo). Più che parlare della superiorità della verginità sotto
ogni profilo, sembra appropriato mostrare che i diversi stati di vita sono complementari,
in modo tale che uno può essere più perfetto per qualche aspetto e l’altro può esserlo da
un altro punto di vista (Francesco). «Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni
peccato personale durante tutta la sua esistenza» (Catechismo della Chiesa cattolica,
punto 493). D’altra parte, i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si
sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione di Cristo
(Francesco). «Cristo non rideva mai» (Jorge da Burgos, da «Il nome della rosa» di
Umberto Eco). Un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come
vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le
espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione
sessuale (Francesco). Nei duemila anni di discussione tra le massime intelligenze della
cristianità sull’amore e sul sesso si trova tutto e il contrario di tutto. Le interpretazioni
mutano con il mutare delle condizioni storiche e delle sensibilità. Ma bastano questi
pochi cenni per realizzare che l’esortazione «Amoris Laetitia», a cominciare dal titolo,
rappresenta una grande innovazione nella storia della Chiesa (per quanto ovviamente la
sessualità sia concepita dal Papa all’interno del matrimonio); e basterebbe questa per
far capire perché Francesco sia molto amato da tanti ma anche molto detestato da
qualcuno; e perché, comunque prosegua il suo pontificato, questo Papa è destinato a
entrare nella storia, e dopo di lui nulla sarà più come prima.
Pag 32 Quella porta aperta sull’amore che accoglie di Michela Marzano
Le leggi morali non sono pietre che si possono lanciare contro la vita delle persone,
scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia.
Invitando la Chiesa ad avere «una cura speciale per comprendere, consolare e integrare
chiunque», e a evitare tutti quei giudizi di valore che non tengano conto dell’estrema
complessità dell’esistenza umana. La carità vera infatti, scrive sempre il Papa, è
«immeritata», «incondizionata» e «gratuita». Una novità? Forse no. Visto che era stato
proprio papa Francesco, a proposito delle persone omosessuali, a chiedersi chi fosse lui
per giudicarle. E che, nel volume Il nome di Dio è misericordia, aveva ricordato come
l’unica verità - quella con la «v» maiuscola che in tanti invocano ogniqualvolta si tratti di
scagliarsi contro coloro che non corrispondono al «bene» o al «giusto» - fosse proprio la
misericordia divina. Eppure è proprio di novità che si deve parlare leggendo l’Amoris
Laetitia. A cominciare proprio da quest’esortazione a non lanciare pietre e ad essere
umili. A valutare caso per caso le situazioni «irregolari» perché il «grado di
responsabilità non è uguale in tutti i casi». A riscoprire la dimensione erotica dell’amore
e a non immaginare che la sessualità debba sempre e comunque essere finalizzata alla
procreazione visto che anche il sesso è un «meraviglioso dono di Dio». Certo, ancora
una volta viene ribadito che solo l’unione esclusiva tra un uomo e una donna svolge una
funzione sociale piena rendendo possibile la fecondità: «La coppia che ama e genera vita
è una scultura vivente», scrive Bergoglio. Ma poi, parlando della fecondità, papa
Francesco spiega anche che questa fecondità non si esaurisce nella procreazione o
nell’adozione, e che ci sono modi diversi di vivere la fecondità dell’amore. «La maternità
non è una realtà esclusivamente biologica», scrive il Pontefice, e la forza di una famiglia
risiede essenzialmente nella sua «capacità di amare e di insegnare l’amore». Ma di quale
amore, appunto, ci parla papa Francesco? Di un idillio o di un dovere? Di una realtà
naturale o di uno sforzo? Di un destino o di una fatalità? In realtà, la «gioia dell’amore»
su cui si sofferma il Papa sembra un amore che non ci chiede di essere diversi da quello
che siamo e che non ci giudica, che attraversa le pieghe delle fratture e delle
contraddizioni che ci portiamo dentro e che non ci costringe a cambiare o a fare sforzi
per meritare cura e attenzioni. Sembra essere un amore che accoglie e che riconosce.
Ma per accogliere e riconoscere non si dovrebbe poi anche mettere da parte ogni
giudizio di valore e ogni dogmatismo? Certo, l’amore di cui ci parla il Papa si realizza
prima di tutto tra l’uomo e la donna che, amandosi, diventano una sola carne. Ma
quando Bergoglio chiede autocritica per le rigidità del passato, non sta suggerendo
anche che quest’amore deve poter rispettare l’alterità, riconoscendo l’esistenza di
un’autonomia individuale e di una necessaria e salutare distanza all’interno della coppia?
Certo, è un amore fecondo. Ma la fecondità non è anche, e forse prima di tutto,
simbolica? Esattamente come la sessualità, che è un modo di prendersi cura dell’altro e
di dialogare, sapendo che nessun dialogo è possibile se non si aprono in sé spazi vuoti
capaci di accogliere l’alterità altrui. L’amore di papa Francesco è un amore che si realizza
pienamente nel progetto matrimoniale di un uomo e di una donna. Ma nell’invito a non
giudicare e a non scagliare norme - «Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una
nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» - non emerge in fondo la
possibilità per tutti e tutte, anche indipendentemente dal proprio orientamento sessuale,
di vedere riconosciuto il proprio amore? Coppie di fatto e coppie omosessuali, quindi.
Che il Pontefice non equipara mai al matrimonio, anzi - forse non può, forse è chiedere
troppo. Ma la cui dignità non sembra mai essere negata, soprattutto quando il Papa ci
invita a crescere nell’amore inteso come reciproco aiuto, senza «un accento quasi
esclusivo sul dovere di procreazione». Conosciamo il prologo del Vangelo di san
Giovanni, in cui l’evangelista non solo scrive che in principio era il Verbo e che il Verbo
era Dio, ma anche che il Verbo si è fatto carne e che è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Se è vero come è vero che l’amore è carità e che la carità non giudica, è paziente,
riconosce e accudisce, allora l’ Amoris Laetitia non è anche, e forse soprattutto, un
amore che diventa verbo e che, non facendo più distinzione tra le persone in base alla
propria appartenenza («in qualunque situazione si trovino»), spalanca la porta a una
misericordia immeritata, incondizionata e gratuita per tutti e tutte? Perché ci dovrebbe
essere d’altronde chi la merita e chi non la merita in base a caratteristiche, come
l’identità o l’orientamento sessuale, che di fatto non si scelgono? Perché dovrebbe essere
«condizionata» e, poi, condizionata a cosa? A figli che arrivano «naturalmente» talvolta
senza averli nemmeno desiderati? A un matrimonio che talvolta si sfascia senza che
nessuno lo avrebbe mai potuto immaginare? Ci sono cose che papa Francesco dice
chiaramente, altre che vengono solo suggerite, altre ancora che forse, in tanti, abbiamo
sperato di trovare e che invece sono assenti. Ma in fondo la porta è aperta, e va bene
così. Visto che, come ricorda il Pontefice, nella Chiesa è necessaria un’unità di dottrina e
di prassi. «Ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti
della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano».
Pag 33 La volontà di riforme e il magistero della Chiesa di Massimo Franco
Il tono è inclusivo, problematico, disponibile a prendere in considerazione i punti di vista
eccentrici, le situazioni-limite, le esperienze locali. Ma quello che Francesco definisce, in
puro lessico bergogliano, «un prezioso poliedro», figura geometrica che tiene insieme
cose molto diverse e in apparenza incompatibili, ha un nucleo duro, in qualche misura
intoccabile: una dottrina cattolica che sulla famiglia può rivelarsi più o meno flessibile;
può ammettere la possibilità del matrimonio ai divorziati caso per caso; esalta il ruolo
della coscienza. Eppure non intacca nessuno dei suoi cardini fondamentali. Il documento
con quale Francesco ieri ha sintetizzato i risultati dei due sinodi sulla famiglia riflette
fedelmente il suo approccio. E in parallelo rispecchia l’esigenza di mediare e accogliere le
preoccupazioni di una nomenklatura ecclesiastica che non vuole apparire di retroguardia.
Ancora meno, però, è incline a assecondare posizioni progressiste che metterebbero in
discussione certezze e principi ai quali si aggrappa in una fase di grande confusione. Le
circa duecento pagine di «esortazione apostolica post-sinodale» risentono delle tensioni
emerse negli ultimi mesi nella Chiesa. E mostrano la determinazione del Papa a tenerne
conto. La rivendicazione di una linea che, fuori dal mondo religioso, si potrebbe definire
«centrista», è il suo modo per garantire un’unità altrimenti assai precaria. Non si
possono dimenticare gli attacchi, alcuni al limite della provocazione, avvenuti prima e
durante il Sinodo per piegarne i risultati in una direzione o nell’altra. Documenti di
cardinali conservatori dai contorni un po’ opachi; fughe di notizie su conclusioni iperprogressiste che in realtà non erano state ancora tirate. E, intorno, una curiosità mista a
speranza ma anche a resistenza sulla strategia che Jorge Mario Bergoglio stava
perseguendo. Il Pontefice ha lasciato che la discussione fosse libera. Voleva che ci si
esprimesse anche criticamente, per poi tirare le sue conclusioni. E le conclusioni rese
note ieri sono una miscela di ortodossia e aperture. Le sue riserve verso chi tra gli
ecclesiastici invoca troppo l’autorità del magistero, finendo per trasmettere una
«dottrina fredda e senza vita», sono un richiamo implicito a fare i conti con la realtà. E
l’invito a prendere atto che oggi non esiste solo la Famiglia con la f maiuscola, ma
situazioni familiari frammentate, complesse, lacerate, è rivolto all’interno di un corpo
ecclesiastico disorientato. Anche la rivalutazione della sfera sessuale delle coppie
sposate fa un certo effetto: soprattutto se si pensa alle posizioni più tradizionaliste e
«pubbliche» del mondo cattolico. Francesco sembra voler bacchettare il clericalismo che
usa i principi religiosi come strumenti assoluti e un po’ ossificati. E c’è molto Bergoglio
nella difesa degli immigrati «rifiutati e inermi», dei disabili e delle loro famiglie, dei
bambini e delle bambine orfani. Si ritrova nel suo sdegno per la pedofilia, e nell’attacco
alla «famiglia perfetta» e astratta raccontata dalla società del consumismo. Ma quando
si parla di aborto, eutanasia, accanimento terapeutico, pena di morte, il primato del
magistero della Chiesa viene ribadito in modo tranquillo, non arcigno, eppure
inequivocabile. Su quello che chiama eufemisticamente «matrimonio imperfetto»,
alludendo alle coppie divorziate, il Papa accenna alla possibilità che si risposino «dove è
possibile», delegando alle chiese locali il compito di giudicare. E il richiamo al valore
della famiglia tra uomo e donna si inserisce pienamente nel solco della tradizione.
Francesco esalta quella allargata e i nuclei con molti figli, facendo probabilmente felici i
cattolici del Family day e correggendo l’impressione sbagliata che nutrisse qualche
riserva in proposito. Soprattutto, declina con una modernità culturale non scontata il
rapporto di parità tra uomo e donna: ad esempio ricordando che i problemi della famiglia
non nascono dall’emancipazione della donna. È una tesi «maschilista», secondo il
pontefice argentino. Ma essere un Papa tutt’altro che retrivo non significa rinunciare alla
difesa della famiglia «naturale fondata sul matrimonio». La sfida alla Chiesa di quella che
definisce «ideologia genericamente chiamata gender» è affrontata con durezza. Il
giudizio papale è radicalmente negativo, perché a suo avviso si tratta di un’ideologia che
«nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa svuota la base
antropologica della famiglia». Francesco si dice preoccupato dai «progetti educativi e
orientamenti legislativi» che ne derivano. E soprattutto dichiara la propria inquietudine
perché «alcune ideologie di questo tipo» cercano «di imporsi come un pensiero unico che
determini anche l’educazione dei bambini». Insomma, per quanto sfaccettato, a tratti
sorprendente, il «poliedro» di Bergoglio rimane fortemente ancorato al magistero della
Chiesa. Glielo impone l’esigenza di tenerla unita, più forte della sua volontà di riforma.
LA REPUBBLICA di sabato 9 aprile 2016
Pagg 6 – 7 La svolta del Papa: “Ostia ai divorziati, ma caso per caso. Il sesso
dono di Dio” di Marco Ansaldo
Pubblicata l’esortazione “Amoris laetitia”, le nuove guida per i pastori e le famiglie
Città del Vaticano. Duecentosessantatrè pagine, scritte in più lingue, con tiratura iniziale
di 3 milioni e mezzo di copie, destinate a 60 Paesi nel mondo, divise in 9 capitoli densi,
pieni di aperture, attacchi ai prelati conservatori, ma pure di autocritiche e ammissioni
sull'importanza del sesso non solo a fini procreativi. E il punto cruciale del documento,
quello sulla comunione adesso possibile anche per i divorziati risposati, messo in una
semplice nota a piè di pagina: la numero 351. Sette brevi righe, che danno però una
svolta alla Chiesa cattolica, in modo prudente ma inequivocabile, pur senza toccare la
dottrina. È questa la scelta fatta da Papa Francesco nel presentare la sua Esortazione
apostolica Amoris Laetitia, il documento che raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla
famiglia indetti nell'ottobre 2014 e 2015, portando una serie di «novità», come le
definisce il cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna; o di «passi avanti»,
come preferisce dire il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo.
L'ottavo dei nove capitoli, intitolato "Accompagnare, discernere e integrare la fragilità" è
quello più ricco di spunti di riflessione. «Non è più possibile - scrive il Pontefice - dire che
tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta "irregolare" vivano in stato di
peccato mortale». È uno dei momenti più significativi dell'Esortazione, un passaggio
atteso da molti fedeli. E Francesco lo completa più avanti, nel punto più delicato del
documento. «È possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato si possa vivere in
grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità,
ricevendo a tale scopo l'aiuto della Chiesa». E qui appare la nota numero 351, che in
basso recita: «In certi casi, potrebbe essere anche l'aiuto dei Sacramenti. Per questo, ai
sacerdoti ricordo che il confessionale non dev'essere una sala di tortura bensì il luogo
della misericordia del Signore». Il Papa chiede a chi ha sbagliato un cammino di
pentimento. «Nessuno può essere condannato per sempre». E afferma: «I battezzati che
sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane
nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo. Essi non devono essere
scomunicati, ma possono maturare come membra vive della Chiesa». Francesco
accentua l'importanza di coloro che hanno il compito di accompagnare le "famiglie
ferite": «Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi a un
colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Riceveranno una luce
che permetterà di comprendere meglio quello che sta succedendo». In un altro passo
ricorda: «Sappiano i pastori che sono obbligati a ben discernere le situazioni». Ecco che
il punto del giudicare caso per caso e non con "ricette facili", diviene un momento
fondamentale. Il Papa esige «una salutare reazione autocritica». E spiega: «Abbiamo
presentato un ideale teologico di matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente
costruito, lontano dalla situazione concreta e delle effettive possibilità delle famiglie così
come sono».
CONSERVATORI "CUORI CHIUSI" - Le parole del Pontefice argentino diventano ferme.
«Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono
in situazioni 'irregolari', come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle
persone. E il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli
insegnamenti della Chiesa per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta
con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite». Nel quarto capitolo
Francesco approfondisce la dimensione erotica dell' amore, con un contributo che non ha
finora paragoni in precedenti documenti papali. La sessualità «è un regalo meraviglioso»
che Dio ha fatto alle sue creature e nella vita dei coniugi non può essere limitato alla
necessità della procreazione. Il Pontefice sostiene la sua necessità e si domanda «se le
nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida». «I giovani - spiega Francesco devono potersi rendere conto che sono bombardati da messaggi che non cercano il loro
bene e la loro maturità». La persona omosessuale «va rispettata nella sua dignità, con la
cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione» ma «non esiste fondamento
alcuno per stabilire analogie tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio su matrimonio e
famiglia». Nel paragrafo conclusivo il Papa afferma: «Nessuna famiglia è una realtà
perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della
propria capacità di amare». Il Papa abbraccia globalmente la famiglia: non quella
"ideale" della pubblicità, come lui stesso in diversi passaggi sottolinea, ma quella «così
come è». E termina: «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!».
Roma. Non nasconde la sua delusione Andrea Rubera, omosessuale e cattolico, sposato,
padre di tre bambini, portavoce di "Cammini di speranza", movimento italiano di gay
credenti. «Se lascio parlare la mia parte emotiva devo dire che mi aspettavo di più, tutti
noi ci aspettavamo di più. In certi passaggi Bergoglio prova ad aprire, ma poi conferma
subito la dottrina tradizionale. Ma forse con il tipo di Chiesa che lo circonda non poteva
fare di più».
Rubera, di famiglie omogenitoriali non c'è traccia nel documento.
«È vero, ed è triste. La Chiesa continua a negare l'accoglienza alle nostre famiglie,
facendo finta di non vedere la bellezza del nostro percorso d'amore. Però non chiude le
porte».
In che senso?
«Non c' è la "restaurazione" auspicata da quella Curia che sta tentanto in tutti i modi di
frenare Bergoglio. E il Papa sottolinea il suo rispetto per le persone omosessuali».
Non è poco? Come gay cattolici speravate molto in Francesco.
«Sì, è poco, perché impedisce a noi e ai nostri figli di vivere la fede in modo comunitario.
Questo testo dimostra la profonda spaccatura della Chiesa. Poco coraggio verso tutte le
nuove forme di famiglia, ma grande considerazione per il nostro cammino individuale. E'
uno spiraglio».
Roma. «Le parole di papa Francesco esprimono grande misericordia. Ma la dottrina della
Chiesa non cambia, anzi si rafforza». Massimo Gandolfini, portavoce del "Family day",
non vede nell'Amoris Laetitia alcuna apertura "laica" su temi come il divorzio, la
sessualità, l'omosessualità.
Gandolfini, il Papa però invita ad esaminare caso per caso. Diventerà possibile, per
alcuni divorziati, accedere alla comunione.
«Per alcuni appunto, e a discrezione del sacerdote. Un esempio: il coniuge debole, colui
o colei che è stato lasciato, è certamente in una posizione diversa rispetto a chi invece
ha abbandonato e tradito».
Dunque pur essendo divorziato avrà diritto alla comunione?
«Sì, credo che questo sia il senso».
Ma nessuno dei predecessori di papa Bergoglio era arrivato fin qui
«Infatti la misericordia per la persona è la cifra di questo pontefice».
E la sessualità? Il Papa sottolinea la dimensione erotica dell'amore.
«Certo, nessuno lo nega. Ma un conto è riconoscere l'esistenza dell'eros, altro è
separare la sessualità dalla procreazione. Anzi il Papa esalta enormemente la famiglia
naturale. È inutile tentare di far dire a Bergoglio ciò che lui non dice».
Francesco chiede rispetto al di là dell'orientamento sessuale. I gay, ad esempio.
«Noi cattolici rispettiamo tutti. Anche gli omosessuali. Ma questo non vuol dire certo
un'apertura della Chiesa al loro modo di vita».
Pag 9 Schönborn: “Io, figlio di separati, felice per l’apertura della comunione
alle coppie risposate”. Burke: “L’eros non è il male, ma non deve mai essere in
contrasto con la procreazione” di Paolo Rodari
Città del Vaticano. «Leggo Amoris laetitia con gioia ed emozione perché sento che il
discorso sulle situazioni difficili che si trovano a vivere alcune coppie sta cambiando.
Penso, ad esempio, alla situazione in cui è un mio seminarista, un bravo ragazzo, figlio
di una coppia di risposati. Ha fratelli e sorelle da parte di madre e da parte di padre. È l'
unico figlio della nuova coppia. Come si dovrebbe sentire se il discorso che sente fare
dalla Chiesa è: tu sei un irregolare? Credo vi sia bisogno di chiarezza e di accoglienza. In
questo senso Amoris laetitia è un testo bellissimo». A margine della presentazione in
sala stampa vaticana di Amoris laetitia, è il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo
di Vienna, figlio di una famiglia che ha vissuto il divorzio, a spiegare a Repubblica le
emozioni per un testo «atteso da tanto».
Eminenza, fino a oggi la Chiesa poteva dare l'impressione di escludere alcune persone,
in particolare gli irregolari?
«Francesco chiede di integrare tutti. Perché tutti necessitiamo di misericordia. "Chi di voi
è senza peccato scagli la prima pietra", dice Gesù. Nessuno deve sentirsi condannato. Il
documento supera l'artificiosa, esteriore divisione fra "regolare" e "irregolare" e pone
tutti sotto l'istanza comune del Vangelo, secondo le parole di san Paolo: "Dio infatti ha
rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia"».
Amoris laetitia non dà nuove disposizioni canoniche. Eppure è un passo nuovo?
«Ci sono situazioni dove non è possibile trovare una soluzione canonica. Ma laddove in
coscienza si ha la certezza morale che un primo matrimonio non è sacramentale, anche
senza chiarimenti canonici, si può ammettere ai sacramenti. Questa cosa né Giovanni
Paolo II né Benedetto XVI l'hanno mai esplicitamente messa in dubbio. Già Wojtyla
diceva che se non c'è scandalo si può, in questo caso, ammettere ai sacramenti. Queste
sfumature sono sempre esistite. Francesco continua un solco già aperto».
Se il discernimento non riesce a trovare una soluzione come si deve agire?
«Il discernimento comporta una certa incertezza, perché i princìpi sono evidenti e chiari
ma quanto più si scende nell'azione, nelle situazioni concrete, tanto più diventa delicato
discernere. Il discernimento è un concetto classico centrale degli esercizi ignaziani.
Questi devono aiutare a discernere la volontà di Dio nelle situazioni concrete della vita.
Magari un sacerdote avrà una visione più larga e un altro una più chiusa. Ma è sempre
stato così. È il difficile e delicato lavoro del discernimento».
Il testo apre nuove strade anche se canonicamente non ci sono novità?
«Proprio in Vaticano, nel lontano 1981, un cardinale tedesco famoso per la sua chiarezza
dottrinale, il cardinale Joseph Höffner, disse: "I casi vanno valutati dai rispettivi
confessori". Nel senso che c'è una responsabilità personale nella valutazione. Non si può
giocare coi sacramenti e con la coscienza. Per questo ciò che conta è chiedere alle
coppie in difficoltà: come siete davanti a Dio e davanti alla vostra coscienza? A questa
operazione né la regola canonica né il prete possono rispondere. Perché, ad esempio, il
caso di una coppia risposata che ritiene in coscienza che il proprio precedente
matrimonio sia non valido è del tutto diversa da chi ha invece rotto il proprio matrimonio
per leggerezza. Sono due situazioni moralmente diverse davanti a Dio e davanti alla
Chiesa. Francesco in questo senso non innova, ma resta nella grande tradizione
pastorale prudenziale della Chiesa. È il ricorso alla prudenza pastorale che ogni
sacerdote e vescovo devono esercitare».
Amoris laetitia è un testo che va oltre il mero caso dei divorziati risposati.
«È così. Francesco vuol esporre una visione d'insieme e non fossilizzarsi su un punto
particolare, importante certo, ma particolare. Ripeto: la comunione ai divorziati risposati
deve avvenire con un giusto e serio discernimento. Senza i criteri complessivi del
discernimento anche i sacramenti cadrebbero dal cielo e senza connessione con
l'insieme».
Roma. « Amoris laetitia non ha lo scopo di cambiare la pastorale della Chiesa per quanto
riguarda quelli che vivono in una unione irregolare, ma di applicare fedelmente la
pastorale costante della Chiesa, quale espressione fedele della pastorale di Cristo stesso,
nel contesto della cultura odierna». Il cardinale Raymond Leo Burke, canonista
statunitense, autore de La santa Eucaristia sacramento di Carità (Cantagalli), ritiene che
«l' unica chiave giusta per interpretare Amoris laetitia sia «la costante dottrina e
disciplina della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio».
Papa Francesco ricorda "Evangelii gaudium" che dice che la comunione non è un premio
per i perfetti. Come interpreta questa frase?
«La comunione non è un premio per i perfetti nel senso che nessun uomo è degno del
dono della vita propria del Dio Figlio incarnato offerta nel sacrificio eucaristico.
Per questa ragione, prima di ricevere la comunione preghiamo: "O Signore, non sono
degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato." Ma,
allo stesso tempo, come anche esprime la preghiera, per accedere alla comunione
dobbiamo essere rettamente disposti, cioè pentiti ed assolti dei nostri peccati con la
risoluzione di non peccare più. Dobbiamo essere sulla via di perfezione, come il Signore
stesso ci insegna nel Discorso sulla Montagna: "Voi, dunque, siate perfetti come è
perfetto il Padre vostro celeste"».
Francesco ricorda che il sesso non è un male ma un dono di Dio. Cosa pensa in merito?
«È chiaro che il sesso è un dono di Dio come Dio stesso rivela nel Libro della Genesi. Il
sesso è integro alla nostra identità personale. Il male negli atti sessuali viene dal cuore
dell' uomo che non rispetta la sua propria natura ma utilizza il dono del sesso in un
modo che contraddice il buono e giusto ordine della creazione. Il Signore ci insegna
questo nel Vangelo secondo Matteo».
Schönborn ha detto che la dottrina è sempre stata rinnovata nella Chiesa. Ha citato
Giovanni Paolo II che legò l'amore fra uomo e donna all'immagine di Dio. Lei è difensore
del rito antico e critico verso le novità del Concilio. Non ritiene la sua visione figlia di una
Chiesa impaurita e che vede nel mondo sempre e soltanto un nemico?
«Non commento sull'affermazione del cardinale Schönborn, che merita una accurata e
profonda risposta, ma rispondo alla sua domanda. Io ho fatto tutti i miei studi teologici
in base agli insegnamenti del Concilio e mi riferisco ai testi del Concilio. Quello che io
critico non è l'insegnamento del Concilio ma la manipolazione di quell'insegnamento per
avanzare idee e proposte, secondo il cosiddetto "Spirito del Concilio", che non hanno
niente a che fare con l'insegnamento del Concilio e spesso lo contraddicono. Come mai
la Chiesa possa essere impaurita quando è il Corpo Mistico di Cristo che è solo la nostra
salvezza? La Chiesa non vede il mondo come il nemico. Infatti, la Chiesa deve lavorare
giorno per giorno a servire il mondo, trasformandolo secondo il disegno eterno di Dio e
così servendo il bene comune, la pace nel mondo che è il frutto della giustizia.
Il nemico è il secolarismo, la visione mondana del mondo che esclude Dio ed è infatti
ostile a Lui e al Suo disegno».
Il Sinodo è stato descritto come un momento di confronto fra due anime della Chiesa.
Lei è stato più volte inserito fra i cosiddetti conservatori e antagonisti alle riforme. Si
sente tale?
«Rifiuto di essere classificato come membro di un partito nella Chiesa. Vorrei essere
soltanto un buon cattolico, un fedele sacerdote. Con tutti i miei difetti, ho provato
sempre di avanzare la vera riforma della Chiesa, secondo il magistero. È infatti una
prospettiva mondana, che è entrata nella Chiesa, che vuol dividere vescovi, sacerdoti e
laici in campi politici. La vera prospettiva si trova nel Vangelo quando il Signore ci
dichiara: "Io sono la vite, voi i tralci", o nell'analogia ispirata della Chiesa quale Corpo
mistico di Cristo, proposta da san Paolo».
Pag 33 Francesco e la riforma dell’amore di Alberto Melloni
Per spostare l'asse attorno al quale ruotava da cinque secoli la storia del matrimonio
bisognava ripensare una parola: "amore". La parola con cui inizia l'esortazione postsinodale di papa Francesco da ieri affidata ai suoi tre destinatari: il tempo, i vescovi e le
chiese locali che entrano così in uno stato sinodale. "Amoris Laetitia", partendo da una
lettura biblica profonda, non evade i temi su cui la chiesa era attesa al varco: la
comunione dei divorziati risposati, la dignità delle persone omosessuali, la visione della
sessualità. Sul primo punto Francesco difende la propria posizione nella cruciale nota
336. La chiesa di Bergoglio non s'affida a un divieto o a un permesso, ma al
discernimento: col quale si può capire quando in una situazione «particolare, non c' è
colpa grave». Le coppie "cosiddette irregolari" (quel "cosiddette" vale tutta
l'esortazione...) cessano di essere un "caso", e diventano i destinatari dell'eucarestia,
che non è l'onorificenza dei presuntuosi, ma "l'alimento dei deboli". Francesco non offre
una "apertura" paternalistica: dice a quei preti che hanno comunicato i divorziati
risposati sapendo cosa facevano che non hanno agito contro la norma, ma secondo il
vangelo. E riconsegna ai vescovi la loro funzione di giudici: non devolvere loro una
grana, ma riconosce che nella funzione di "pastore e capo della sua chiesa" del vescovo
c'è la grazia necessaria ad ascoltare, accogliere, perdonare e insegnare a perdonare.
Sulle persone omosessuali "Amoris Laetitia" non ripete l'errore compiuto nel primo
sinodo dei vescovi: quando si fecero aperture rivelatesi immature e che oggi il papa
recupera con qualche cautela. Francesco bada soprattutto a non creare ostacoli per un
progresso nella fede che passerà dal tempo, dai vescovi e dalle chiese: ripete dunque la
formula del catechismo vigente che proibisce "ogni marchio di ingiusta discriminazione"
contro gay e lesbiche: senza però cassare quella limitazione ("ingiusta") che è ingiusta
in sé. Dichiara che una eguale "dignità" della persona esige "rispetto": anche se adotta il
linguaggio ambiguo della "tendenza". Fa sua la contrarietà dei vescovi del sud del
mondo al gay marriage senza però porre una questione di "natura": e così non
pregiudica il discorso sulla "amoris laetitia" che anche lesbiche e gay sperimentano.
Infine, pur elogiando i metodi naturali di Paolo VI, condanna la contraccezione di Stato,
ma non quella dei singoli: e apre a parti inattese, come l'elogio della gioia erotica che
non appare più come un male, neutralizzato dal suo esito procreativo, ma un dono di Dio
come tale, letto senza astrazioni irrealistiche e senza spiritualismi. Sbaglierebbe, però,
chi pensasse che "Amoris Laetitia" si riduca all'ultimo rigore di un derby fra rigoristi e
possibilisti finito in parità ai tempi supplementari, e tirato dal papa a porta vuota. L'atto
ha qualcosa di epocale proprio perché sposta l'asse del discorso sul coniugio, che dal
concilio di Trento in qua era chiuso in una gabbia giuridico-filosofica strettissima.
Talmente solida che perfino la secolarizzazione aveva inventato un "matrimonio civile"
prigioniero degli stessi paradigmi del matrimonio tridentino: autorità, norma e fini di
ordine sociale e di procreazione che placavano la forza eversiva del desiderio. Questa
concezione aveva superato il matrimonio di "puro consenso" (in cui era possibile perfino
qualche matrimonio gay) e aveva resistito fino a ieri: lo dimostra il recente e
debolissimo dibattito italiano sulle unioni civili, incagliatosi sui figli, senza percepire quei
valori che "Amoris Laetitia" riconosce in unioni che vuole equiparate al matrimonio, ma
non vuole ridurre ad atto privato. Dato che quella gabbia concettuale di un matrimonio
fatto di fini era nata nella chiesa, toccava dunque alla chiesa ricominciare a dire che
l'esperienza dell'amore - minaccia o tomba del matrimonio secondo i bigotti religiosi e i
bigotti irreligiosi - è la sola su cui risplenda la luce del Regno, la sola redenta dalla croce,
la sola a cui soccorre il perdono e la pazienza, la sola per cui valga la pena di affrontare
la fragilità della relazione e il dolore che dalla sua stessa intensità può scaturire.
Rimettere l'amore al primo posto liberandosi di astrazioni "fredde" che non
corrispondono né alla rivelazione né alla relazione è il compito che s'è dato questo lungo
documento. «Non consiglio una lettura generale affrettata», raccomanda sornione
Francesco. Che, anziché farsi intrappolare nella falsa dicotomia di un moralismo
permissivo e un moralismo proibitivo, ha fatto un passo avanti nella sua riforma del
magistero e del papato. Il magistero, secondo Francesco, deve rinunciare ad essere
onnivoro: «Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte
con interventi del magistero»; deve liberarsi dall'idea che l'astrazione sia un bene in sé
(perché la norma è tanto più incerta quanto più si avvicina al caso concreto); deve dare
l'esempio di essere "umile e realista" davanti agli errori della chiesa che Bergoglio elenca
in una di quelle liste impietose, tipiche della sua predicazione: errori nel presentare le
"convinzioni cristiane", nel "trattare le persone", nel proporre un "ideale teologico", nel
praticare una "idealizzazione" del matrimonio mistificante, che alla fine ha ingenerato
una sfiducia "nella grazia" (proprio così: "nella grazia"!) che ha fatto sì che anziché
rendere il matrimonio "più desiderabile e attraente" ha fatto "tutto il contrario". Il papato
- che esce più forte non per motivi politici o geopolitici, ma per la bellezza evangelica di
alcuni passaggi sui bambini disabili, per la descrizione così vera della pazienza e delle
crisi coniugali, per la fermezza con cui chiede quel rispetto per l' altro che la chiesa non
aveva mai insegnato agli ex coniugi - scrive con questo atto un altro capitolo della
propria riforma. L'esortazione post-sinodale - inventata da Paolo VI davanti alle impasse
del sinodo del 1974, usata per fini disciplinari o teologici da Giovanni Paolo II e da
Benedetto XVI - cambia Dna con "Amoris Laetitia". Davanti a un documento che
Francesco ha fatto votare ai vescovi e che ha raggiunto sempre i 2/3 dei voti si muove
con libertà e rispetto: cita, trascrive, glossa, integra, corregge. Lo intreccia con la
propria teologia e con le citazioni delle Conferenze episcopali, rovesciando la diffidenza
romana per questi organi di comunione (che vent'anni fa raggiunse il proprio apice, e
generò disastri). Riplasmando il genere della esortazione Francesco restaura un altro
pezzo di sinodalità come principio del cattolicesimo latino. Documenta che la collegialità
episcopale - cioè quel carattere che per diritto divino rende i vescovi "cum et sub Petro"
successori del collegio apostolico - non diminuisce il ministero papale, ma lo esalta
liberandolo da una concezione "monarchica" del pontificato di stampo medievale. Che
una riforma del papato di questo tipo fosse l'agenda della chiesa lo dicevano molto da
molto tempo. Peter Hünermann - teologo tedesco impegnato per decenni in una disputa
senza esclusione di colpi con Ratzinger - aveva scritto che il papa doveva diventare un
"notarius publicus" della chiesa: un "papa notaio", che registrava e armonizzava le voci
episcopali, senza affidare al centralismo della sua corte decisioni frettolose, destinate a
diventare inciampo (interessante da questo punto di vista il trattamento della
contraccezione di "Amoris Laetitia"). Francesco dimostra che chi, come Ratzinger, per
negare quella prospettiva vedeva nelle conferenze episcopale una minaccia alla
solitudine del potere petrino aveva torto; e che la figura "notarile" immaginata da
Hünermann era insufficiente. Con "Amoris Laetitia" il papato si propone come la guida di
un "coro" - l'antico titolo di Pietro era proprio "corypheus apostolorum". Il papa "corifeo"
mette a disposizione di tutti il tempo, il carisma dei vescovi, la sinodalità delle chiese,
per una maturazione necessaria. Necessaria perché l' amore reale vissuto dalle ragazze
e dai ragazzi che non si sposano (e anche da quelli che la chiesa non vuole che si
sposino perché omosessuali) sentano il tepore della luce del Regno nella loro vita
vissuta. Necessaria perché il magistero inizi a "trasfigurarsi" per non essere più «mera
difesa di una dottrina fredda e senza vita» che indossa il cristianesimo senza averlo
dentro ma diventi testimonianza credibile dell' amore "malgrado tutto".
Pag 33 Ma sulla famiglia la Chiesa è ferma di Chiara Saraceno
Neli linguaggio amorevole e compassionevole cui ci ha ormai abituati, sollecitando anche
qualche ingenua aspettativa, il pontefice ha ribadito la immodificabilità delle posizioni
della chiesa cattolica in merito alla famiglia. L'amore e il sesso sono dimensioni positive
dell'agire umano, purché avvengano entro il matrimonio tra un uomo e una donna.
Bisogna evitare di mettere al mondo figli cui non si è in grado di provvedere, ma gli unici
strumenti contraccettivi legittimi sono quelli naturali, ovvero l'astensione dai rapporti
sessuali nei periodi in cui la donna è fertile. Le persone omosessuali vanno accolte e non
discriminate, ma i loro rapporti di amore e la loro sessualità non ha nulla a che fare con
il «disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Il che è perfettamente accettabile per
chi crede esista un tale disegno. Non si capisce però perché, in nome di questo, la chiesa
e lo stesso pontefice ostacolino e condannino chi vuole inserire queste coppie in una
configurazione della famiglia che non trovi il proprio fondamento nel disegno di Dio, ma
nella legislazione civile e nel principio di uguaglianza e non discriminazione, che include
anche il diritto a farsi una famiglia. Non manca, nel documento papale, neppure un
accenno di condanna alla fantomatica teoria del genere, da cui dovrebbero essere
protetti i bambini, ribadendo la più o meno intenzionale incomprensione degli obiettivi
cui mira una educazione critica sul genere. L'unica parziale apertura riguarda i divorziati
risposati e la possibilità che possano essi accedere ai sacramenti. Facendo propria e
persino andando oltre la posizione espressa dalla maggioranza dei padri sinodali, il
pontefice sostiene che non tutti i casi sono uguali, che la condizione di peccato non è
necessariamente per sempre, ma va valutata caso per caso. È ciò che avviene già di
fatto in molte parrocchie, ma l'affermazione del papa può essere letta come una vera e
propria modifica dottrinale, nella misura in cui toglie il divorzio e i divorziati dalla
condizione di essere una categoria omogenea, e irreversibile, di peccato e peccatori, per
tornare ad essere singoli, con le loro specifiche ragioni e circostanze, che possono o
meno essere perdonate e superate. Non è un passaggio di poco conto. Così come non lo
è l'autocritica per le durezze che la chiesa ha manifestato in passato. Ma, pur senza
sottovalutare l' attenzione per le difficoltà che incontrano molte famiglie in condizioni di
disagio, la persistente discriminazione nei confronti delle donne e il richiamo
all'importanza di politiche sociali adeguate, sono gli unici due passaggi che presentano
qualche apertura, su cui può continuare a lavorare l' opera di riflessione collettiva messa
in moto dai due sinodi.
IL FOGLIO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Gli eufemismi non veritativi di Francesco di Giuliano Ferrara
C'è spirito eufemistico nell'esortazione apostolica sulla letizia dell'amore licenziata da
Papa Francesco. In parte è anche comprensibile: un'attività pastorale benedicente e
misericordiosa ha bisogno di un linguaggio buono, inclusivo. In spirito di verità uno
direbbe: l'amore e i suoi luoghi familiari, tra questi il matrimonio indissolubile, è a pezzi.
Il divorzio civile ha ovviamente slegato la famiglia. La contraccezione artificiale dietro
l'angolo e l'aborto di massa hanno offeso la procreazione. L'ingegneria genetica ha infine
rovesciato ogni schema genealogico di sesso e di genere, rendendo tecnicamente
possibile l'impossibile creaturale. L'occidente sviluppato è il vertice di questo esito
tragico, ateo materialista e sentimentale, il suo compimento. Va bene, avevamo capito.
La chiesa cattolica vuole redimere il mondo redimendosi agli occhi del mondo, è il
progetto che parte dalla fatale abdicazione di un Papa teologo, successore di un Papa
moralista e profeta, e dall'elezione di un Papa callejero, sociale, ecologico, pastorale,
infermiere nell' ospedale da campo. Ma per far questo bisogna opacizzare la realtà,
sostituirla con un discorso integralmente relativista, proporre il discernimento come
soluzione gesuita e casuistica adatta a ciascuna situazione particolare? Bisogna
cancellare la teoria del peccato originale in Agostino e definire il sesso, che qui
ovviamente non è l'amore sponsale o anche l' eros capace di muovere il mondo
nell'agape cristiana, come un magnifico dono di Dio, il gioioso contrario di un male
necessario? Io avevo letto che quanto si configurava come innocente e divino atto d'
unione nello stato edenico dell'uomo e della donna, dopo il morso alla mela divenne una
fonte di angoscia bisognosa della foglia di fico. Ma forse ho letto male. Sono favole.
Accademismi biblici. Allegorie che la chiesa cattolica si ostinò sempre a considerare
pericolose, sconsigliando per secoli la lettura libera della Bibbia. Pazienza per le mie
letture e per il destino dei padri della chiesa nella nuova ermeneutica dell'ottimismo
sociologico. Amatevi gli uni sugli altri. Non è l'eventuale infrazione dottrinale che mi
preoccupa, quando la leva sacramentale si diluisce a strumento di consolazione di afflitti
e peccatori. Il Papa ha pieno diritto di statuire, senza rivoluzioni canoniche e dottrinali,
un passo nuovo della presenza apostolica nel mondo. Fra i suoi compiti c'è la condotta
misericordiosa del gregge, non si può non riconoscerlo. Non è neanche affar mio, che
sono fuori della chiesa. Mi preoccupa invece il profilo culturale della cosa, il fatto che per
arrivare a questa redenzione autoredentiva della chiesa si debba scegliere un percorso
obliquo, se non fosse irrispettoso direi surrettizio. Bisogna dire il mondo per come il
mondo non è più. Bisogna mettere tutto a posto, apparentemente confermando i criteri
di vita e di amore che sono sempre stati quelli della chiesa e dei cristiani, per meglio
aderire al disordine intrinseco delle cose, delle leggi, dei dettati tecnico-scientifici, e
anche ai disordini delle anime, dei comportamenti sociali diffusi. Forse non si poteva fare
altrimenti. Ma non è un bel vedere né un bel leggere, per quanto lo si voglia fare con
attenzione e con anticipi di comprensione. Avrei preferito che l'esortazione apostolica di
Francesco dicesse che siamo in un'impasse, che il tempo (superiore allo spazio) dovrà
aiutarci a uscire dalla notte più buia, che quel che hanno detto i predecessori era
fondato su un'analisi realistica del pansessualismo e della crisi strutturale della famiglia
e dell'amore, che ora bisogna riflettere, ritrovare una chiave di comprensione e di
contraddizione alla ideologia mondana del sentimento e della carne che non hanno
genere e non sopportano codificazioni, e intanto si possono curare le cicatrici. Ma questo
fatto di negare il reale, di passare sopra le inquietudini e le rivolte contro l'umano da
Nietzsche a Freud a Foucault, bè, ha tutta l'aria di una escogitazione appunto
eufemistica e non veritativa. Quanto restava del lungo combattimento della chiesa con il
mondo moderno e le sue idee, nella predicazione dei pontefici che avevano rimesso sulle
sue gambe il Concilio Vaticano II, mi sembrava più importante e meno banale.
Pag 1 Ma l’attesa rivoluzione non c’è stata di Matteo Matzuzzi
Roma. L'esortazione post sinodale Amoris laetitia, la "gioia dell'amore", presentata ieri in
Vaticano recepisce in gran parte le conclusioni della grande assemblea ordinaria dello
scorso ottobre convocata sul tema della famiglia. Nessuna rivoluzione si scorge nelle 259
pagine che compongono il testo, suddiviso in 325 paragrafi. Non era possibile fare
altrimenti, anche in virtù della profonda spaccatura che si era manifestata nell'Aula
nuova del Sinodo tra i padri. L'ammissione è messa nero su bianco nel documento,
quando si afferma che "se si tiene conto dell' innumerevole varietà di situazioni concrete
(...) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa esortazione
una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi". Dal Papa arriva
una severa condanna della "inquietante ideologia del gender" e dell'eutanasia, ribadisce
che "solo l'unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione
sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità", sottolinea
che "le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso non si possono equiparare
semplicisticamente al matrimonio" e che "nessuna unione precaria o chiusa alla
trasmissione della vita ci assicura il futuro della società". La novità è contenuta nel
capitolo ottavo, quello che tratta la questione più delicata e dibattuta nel biennio di
aspro confronto - e che non mancherà di creare ulteriori discussioni riguardo a certi suoi
passaggi che si prestano a più interpretazioni, come dimostra già la corsa tutta
mediatica a festeggiare per la presunta svolta epocale la quale - come aveva detto
Kasper qualche settimana fa - segnerebbe il più grande cambiamento negli ultimi 1.700
anni: la possibilità di riaccostare ai sacramenti i divorziati risposati. Un tema che
riguarda pochi individui - qualche giorno fa il cardinale arcivescovo di New York, Timothy
Dolan, diceva "vorrei avere gente fuori dalla cattedrale che chiede di essere riammessa
alla comunione, ma purtroppo non è così" - ma che ha lacerato le conferenze episcopali
lungo la semplicistica linea di frattura "conservatori" e "progressisti". Francesco, in nome
delle due parole chiave che segnano l'esortazione (discernimento e integrazione), apre
alla possibilità di individuare percorsi di recupero per quanti sono andati incontro a un
fallimento, ma chiarisce subito che "ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti
a una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo prosegue il documento - non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma
metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con particolare attenzione". La
soluzione è di valutare caso per caso, perché "la strada della chiesa è quella di non
condannare eternamente nessuno" e per il fatto che "nessuno può essere condannato
per sempre". Servirà un percorso penitenziale, con un esame di coscienza e sviluppato
"tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati - si precisa - dovrebbero
chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in
crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner
abbandonato; quali conseguenze comporta la nuova relazione sul resto della famiglia e
la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al
matrimonio". Un percorso che dovrà essere guidato da un sacerdote e concorrerà "alla
formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena
partecipazione alla vita della chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere". E'
il recepimento (annunciato e atteso) della relazione del circolo minore tedesco, che
proponeva una sorta di mediazione tra la via ben più "coraggiosa" perorata da decenni
da Walter Kasper e la conferma dello status quo.
IL GAZZETTINO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Il cambio di passo che il Pontefice chiede alla Chiesa di Franco Garelli
Come essere fedeli alla visione cristiana del matrimonio e nello stesso tempo farsi carico
della fragilità delle famiglie anche di quelle credenti, nella società contemporanea? Come
evitare che la ricchezza dell’amore cristiano venga da un lato svilita dallo spirito
libertario del nostro tempo e dall’altro imprigionata in norme ecclesiastiche estranee alle
attuali condizioni di vita? Ecco la quadratura del cerchio che anima l’esortazione
apostolica “Amoris laetitia” con cui Papa Francesco mette la sua firma sui due anni di
dibattito dedicato dalla Chiesa intera al tema della famiglia nel mondo di oggi. Con
questo documento Bergoglio non introduce delle particolari novità rispetto a quanto
emerso nei due Sinodi dei Vescovi dedicati all’argomento, pur schierandosi sulle
posizioni più aperte e dialoganti con quanti (nella Chiesa e fuori di essa) vivono
situazioni familiari difficili e controverse. La fedeltà alla tradizione è evidente in un Papa
che ribadisce che la chiesa «non deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del
matrimonio»; che il primato spetta ad una famiglia composta da un uomo e una donna e
aperta alla procreazione; che le convivenze non sono equiparabili al matrimonio (anche
se alcune di esse offrono segni di amore che richiamano orizzonti più ampi); che nei
confronti degli omosessuali ci vuole accoglienza e rispetto, pur evitando di assimilare le
loro unioni al disegno di Dio su matrimonio e famiglia. Tuttavia, fatta salva la distinzione
cristiana su questi temi, sono molte le aperture che attraversano un testo papale che più
che concludere la riflessione interna alla Chiesa intende rilanciarla; per far sì che il
“vangelo della famiglia” sia una risorsa che viene offerta all’insieme degli uomini e delle
donne del nostro tempo e non un principio di condanna dei molti (anche tra i fedeli) che
vivono a questo livello situazioni “irregolari”. L’apertura maggiore non riguarda tanto il
via libera all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, quanto l’insistenza con cui
Papa Francesco chiede alla Chiesa stessa un cambio di passo e di mentalità circa il modo
di affrontare i drammi della famiglia nell’epoca contemporanea; e sul modello
partecipato e organizzativo che egli propone per coinvolgere tutte le diocesi e le
comunità cristiane del mondo nella ricerca di soluzioni tese più all’inclusione di chi soffre
ed è in difficoltà che alla loro esclusione. Nel primo caso, il Pontefice parla di «leggi
morali che non sono pietre»; dell’impossibilità di stabilire regole canoniche generali,
valide per tutti; di quel metodo del discernimento «caso per caso» che la Chiesa deve
far proprio per manifestare più il suo volto di madre che quello di giudice. Come a dire
che la Chiesa oggi - per essere fedele alla logica del vangelo - non può condannare
nessuno in partenza. Per cui occorre guardare con occhi diversi quanti vivono a questo
livello delle situazioni “irregolari”, perché il fine supremo delle leggi della Chiesa è il
recupero delle anime, non la loro condanna. È all’interno delle comunità ecclesiali che si
possono aiutare i fedeli a superare le difficoltà, a vivere il progetto cristiano della
famiglia, a riprendere un cammino di coppia e di fede sovente non lineare e incerto.
Emerge qui, su una questione particolare, quell’indirizzo al decentramento delle
responsabilità pastorali che Papa Bergoglio da tempo predica per tutta la cattolicità. Tra i
molti stimoli offerti da questo documento papale vi è anche l’esplicita - e per vari aspetti
inattesa - rivalutazione del ruolo dell’eros nella vita di coppia. «Il sesso è un dono per gli
sposi, non un male permesso». È una dimensione costitutiva della vita dei coniugi, che
quindi va oltre la necessità della procreazione. Anche con questo riconoscimento il
Pontefice richiama tutti i pastori e i fedeli della Chiesa a una visione armonica e allo
stesso tempo concreta della vita di coppia, all’interno della quale il linguaggio del corpo
si mescola a quello dello spirito ed è fonte di arricchimento reciproco.
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 La famiglia secondo Bergoglio di Andrea Sarubbi
Ci sono vescovi, e ci sono stati anche dei Papi, abituati a rivolgersi a una società ideale:
autori di omelie, discorsi, lettere, encicliche così alti da passare sopra molte teste senza
mai incrociare uno sguardo. Il gesuita Bergoglio, in questi tre anni, ha adottato invece
l’approccio contrario: un volo costante ad altezza d’uomo, per cercare di intercettare il
maggior numero possibile di destinatari. Così è stato anche stavolta, per l’esortazione
postsinodale che raccoglie gli spunti di uno dei dibattiti più divisivi all’interno della
Chiesa: quello sul ruolo della famiglia e sui suoi stessi confini. Senza mai derogare ai
principi di fondo, Francesco parte dalla fotografia della società contemporanea. Che
anche tra i cattolici praticanti - basterebbe un questionario anonimo a fine Messa per
confermarlo - incide moltissimo sulle tipologie di vita familiare. Metà dei bambini che
vanno a catechismo per la prima comunione non hanno in casa una situazione da Mulino
Bianco, metà delle coppie che si sposano (anche di più, in certi Paesi) finiscono per
divorziare. Persino gli aspiranti padrini o madrine dei battesimi - ossia persone che si
impegnano personalmente ad assicurare un’educazione cattolica ai loro figliocci - sono
spesso reduci da fallimenti matrimoniali. La Chiesa ci ha ragionato parecchio, trovando
spiegazioni sociologiche («In un momento della precarietà lavorativa e sociale, nessuno
è più in grado di prendere decisioni definitive per la propria esistenza») e pastorali
(«Vengono da noi a sposarsi senza essere preparati, senza sapere quello che fanno»);
ha anche cercato delle soluzioni che tenessero insieme la dottrina e lo stato dell’arte,
facilitando i processi per il riconoscimento della nullità. Ma restava sempre quel nodo dei
divorziati risposati che, alla fine, era diventato la soglia di tutte le soglie: per alcuni la
linea di confine tra verità e relativismo, per altri tra condanna e misericordia. Bergoglio
lo ha risolto alla sua maniera, cioè da gesuita: trovatosi di fronte a un muro, non lo ha
buttato giù ma ci ha scavato un tunnel, perché è nella profondità la soluzione di ogni
dilemma. Senza mancare di rispetto all’importanza della dottrina in una religione,
verrebbe da dire che questa apertura ai divorziati risposati aiuta la Chiesa a mettere da
parte un tema sovradimensionato (anche dai media) per concentrarsi sui problemi veri:
se c’è una cosa che preoccupa davvero Francesco, infatti, è proprio la crisi della famiglia
come istituzione, ed è su questo che si sta concentrando dall’inizio del pontificato,
cercando di raggiungere anche chi non va più in parrocchia dal giorno della cresima e ci
rimetterà piede, forse, per qualche funerale. Sa di parlare a una società a misura di
single, in cui avere figli significa pagare un prezzo caro dal punto di vista economico e
spesso lavorativo; a donne e uomini più fragili delle generazioni che li hanno preceduti e,
per questo, più propensi ad arrendersi; a un contesto culturale in cui il sesso vive di vita
autonoma e non ha più bisogno del matrimonio per essere praticato. Se fra i trentenni di
ieri l’eccezione era quello non sposato, oggi è invece chi si sposa ad andare
controcorrente: almeno nei Paesi occidentali, ossia nei luoghi il cristianesimo fa più
fatica. È proprio alla società più secolarizzata, allora, che Bergoglio si rivolge in molti
passaggi del documento. Accostando il libro del Siracide («Regala e accetta regali e
divertiti») al film “Il pranzo di Babette” per descrivere la gioia del cibo fatto in casa,
parlando apertamente della dimensione erotica dell’amore, spiegando che San Valentino
è una festa bellissima ma compresa più dai commercianti che dai vescovi, invitando i
fidanzati a feste di nozze più sobrie e soprattutto ripetendo quelle tre parole d’ordine
che, secondo lui, sono il segreto per una famiglia felice: permesso, grazie e scusa. «È la
normalità la vera rivoluzione», direbbe Gabriele Muccino nell’Ultimo bacio, e se
Francesco lo avesse visto probabilmente citerebbe anche lui.
Pag 7 “Il sesso è un meraviglioso dono di Dio” di Mariaelena Finessi e Paolo Sacredo
Il testo è stato più volte limato compromesso tra varie anime
Roma. Francesco lo aveva scritto già scritto nell’Evangelii gaudium: «Un piccolo passo,
in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente
corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». Chiamato
a commentare la esortazione apostolica Amoris Laetitia, frutto dei due sinodi sulla
famiglia del 2014 e del 2015, è il cardinale Christoph Schönborn. Il porporato austriaco
dice che lì, in quel passo dell’altra esortazione di Bergoglio, è racchiuso anche il senso
del nuovo documento a firma del Papa argentino, presentato ieri in Vaticano. Francesco,
che non ha mai fatto mistero di avercela con i cattolici-a-parole, quelli per cui la fede è
ritualità e apparenza, alla sua Chiesa chiede due compiti. Il primo è l’autocritica per aver
reso meno «attraente» l’ideale del matrimonio cristiano. Il secondo compito ha a che
fare con il «discernimento», rendendosi necessaria la valutazione del vissuto di ciascun
uomo: caso per caso, senza essere duri con chi si trova in situazioni “irregolari”. Come a
dire, senza averlo detto però esplicitamente - sebbene in una nota si fa riferimento ai
«sacramenti» - che anche i divorziati e risposati possono essere ammessi alla
comunione. In altri termini, come aveva già scritto sempre Francesco, «dovremmo
toglierci le scarpe davanti al terreno sacro dell’altro», alle sue sofferenze, ed evitare di
usare le leggi morali come «pietre» che si scagliano. Ciò a cui pensa il Pontefice non è
una famiglia perfetta ma una famiglia «così come è». L’esortazione apostolica, che si
compone di 9 capitoli e 300 paragrafi, accoglie infatti i suggerimenti dei fedeli di tutto il
mondo, interrogati tramite questionario su temi come i rapporti tra coniugi, ad esempio,
l’educazione dei figli o il lutto per la perdita di una persona cara. Per questo ha molto di
pratico ed è diretta a tutti, perché tutti «siamo in cammino». Amoris Laetitia prova così
a ridare vigore all’istituto matrimoniale ma, se non sono frutto di «pregiudizi o
resistenze nei confronti dell’unione sacramentale», offre uno spiraglio anche alle
convivenze. Deludendo invece chi sperava, forse con azzardo, in un’apertura alle unioni
omosessuali, nel corposo documento si ribadisce invece che il matrimonio cristiano «si
realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna». Un’unione che contempla
anche l’erotismo, non essendo sinonimi, la «paternità responsabile» e la «procreazione
illimitata». Anzi, il Papa richiama Giovanni Paolo II per spiegare che «la retta coscienza
degli sposi» può orientarli alla «decisione di limitare il numero dei figli per motivi
sufficientemente seri». Quanto alla sessualità, questa «è un regalo meraviglioso» che il
Signore ha fatto alle sue creature e «in nessun modo possiamo intendere la dimensione
erotica dell’amore un male permesso o come un peso da sopportare». Nel quarto
capitolo, innovativo, Francesco offre consigli di coppia, affinché il matrimonio possa
funzionare, purché si abbandoni la pretesa che l’altro sia perfetto. Un no deciso, invece,
all’utero in affitto, all’aborto, all’eutanasia e al «gender» quale «ideologia che nega la
differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna». Sulla durata del matrimonio,
Bergoglio ammette che a volte, a causa della «violenza verbale, fisica e sessuale» contro
i figli o contro le donne in alcune coppie, separarsi è inevitabile. Persino «moralmente
necessario». Con sincero realismo Francesco scrive pure che «la mancanza di una
abitazione dignitosa o adeguata porta spesso a rimandare la formalizzazione di una
relazione». Una «famiglia e una casa sono due cose che si richiamano a vicenda».
Roma. Un testo che è stato più volte limato nell’ultimo mese, frutto di un compromesso
per venire incontro alle varie anime della Chiesa universale. L’Esortazione Apostolica
Amoris Laetitia non è nata come l’abbiamo conosciuta ieri. Il punto più discusso, quello
sui divorziati risposati, almeno in un paio di occasioni è stato riscritto, i condizionali si
sono moltiplicati, e alla fine la discrezionalità dei vescovi e dei parroci nel valutare ogni
singola situazione ha vinto. Un modo per tenere a bada i conservatori, che non volevano
nessuna apertura; ma anche per decentrare la gestione della Chiesa, differenziando caso
dopo caso e avvicinando il Magistero ai fedeli che vivono situazioni di difficoltà.
D’altronde, il punto più discusso al Sinodo per la famiglia dell’ottobre scorso fu proprio
quello sui sacramenti a chi sposato in chiesa si è poi rifatto una famiglia: la mozione a
favore infatti passò per soli due voti. Un aspetto questo affrontato nel capitolo VIII,
quando si dice che «è possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile
discernimento personale e pastorale dei casi particolari... Il grado di responsabilità non è
uguale in tutti i casi. Le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente
devono essere sempre gli stessi». Ma la concessione della Comunione, o la possibilità di
essere padrini e madrine solo se non c’è colpa grave nel fallimento del precedente
matrimonio, è stata relegata in una nota in fondo all’Esortazione. In una delle prime
bozze del documento, questa invece figurava nella parte principale del testo. Anche il
punto secondo cui il discernimento è un passaggio fondamentale per evitare «il grave
rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere
rapidamente eccezioni, o che esistano persone che possano ottenere privilegi
sacramentali in cambio di favori» sarebbe stato inserito in un secondo momento, su
spinta dei settori più tradizionalisti. Contenti a metà i credenti che appunto hanno
affrontato un divorzio. Per il presidente dell’Associazione famiglie separate cristiane,
Ernesto Emanuele, «questo documento ha il merito di muovere le acque. Fino a poco
tempo fa pubblicamente di questi temi si parlava molto a fatica. È anche vero che
l’Esortazione su tanti aspetti è un testo troppo vago, teorico. La discrezionalità di parroci
e vescovi dovrà essere analizzata fino in fondo. D’altronde, sa quanti separati hanno
partecipato ai Sinodi per la Famiglia del 2015 e del 2014 da cui è poi scaturita
l’Esortazione? Zero». Il cammino comunque è tracciato e sarà difficile tornare indietro,
seppure le esitazioni non saranno poche.
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1 – IL PATRIARCA
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Pag XI In 2500 al “ritmo” del Patriarca di g.bab.
Jesolo: responsabilità e libertà al centro della riflessione con i ragazzi. Folla per la festa
diocesana dei giovani con Moraglia
Jesolo - «Ognuno di noi ha un proprio ritmo di vita che ci lega con gli altri: è un ritmo
gioioso, che ci permette di abbracciare il vero direttore d'orchestra della nostra vita». È
uno dei passaggi più significativi pronunciati ieri mattina dal Patriarca Francesco
Moraglia di fronte a oltre 2.500 giovani che hanno partecipato alla festa dei ragazzi della
diocesi. Si tratta di uno degli appuntamenti diocesani più attesi e dedicati ai giovani con
un'età compresa tra 11 e 14 anni. Una giornata di festa e gioco ma anche riflessione a
partire dalla messa celebrata dal Patriarca, assieme ai seminaristi e a don Fabio
Mattiuzzo, responsabile della pastorale giovanile e seguita anche dal sindaco Valerio
Zoggia e dagli assessori Daniela Donadello e Luigi Rizzo. Proprio il sindaco, a margine
dell'evento, ha ricordato l'intenzione del Comune di portare il presepe di sabbia di Jesolo
in piazza San Pietro. L'omelia del Patriarca ha dunque seguito il tema della
manifestazione "Altuoritmo, vivere al ritmo del cuore di Dio": leggendo alcuni brani tratti
dagli Atti degli apostoli il Patriarca si è rivolto direttamente ai ragazzi, avviando una
serie di riflessioni sul senso della responsabilità e della libertà. Ma anche sul rispetto
verso gli altri e sull'accoglienza. «Quando Gesù si rivolgeva agli apostoli è come se si
fosse rivolto a tutti noi - ha sottolineato Moraglia - questo perché vuole avere un ritmo
di amicizia e amore con ognuno di noi, da vivere nella piena liberta: questo è un grande
atto di responsabilità». Il Patriarca ha poi sottolineato l'importanza di mettersi in gioco
con gli altri: «Accogliendo gli altri - ha detto sempre Moraglia - la nostra vita diventa un
"Noi"». Dopo la messa la giornata si è sviluppata con momenti di animazione, gioco,
visita agli stand e attività, compresa l'esecuzione in anteprima di alcune canzoni del
Grest 2016. A concludere la festa è stato l’intervento con la coppia di comici veneziani
Carlo e Giorgio che hanno dialogato con i ragazzi.
LA NUOVA
Pag 16 Festa diocesana, oltre 2500 ragazzi con il Patriarca di Alessio Conforti
Jesolo: è stata una giornata intensa e di grande allegria. Moraglia: “Siete all’inizio del
magnifico libro della vita”
Jesolo. Un’intensa giornata di preghiera, scandita da momenti di divertimento e
condivisione di esperienze comuni. Festa diocesana al gran completo ieri al Pala Arrex di
piazza Brescia, riempito per l’occasione da oltre 2500 ragazzi dagli 11 ai 14 anni, giunti
dall’ intera provincia, tutti vestiti con una vivace t-shirt granata realizzata per l’evento. Il
tema dell’incontro (“al ritmo del cuore di Dio”) è stato ben rappresentato attraverso
spettacoli e testimonianze dal palco, ma anche con laboratori appositamente allestiti per
dar sfogo alla creatività dei giovani in un’età, quella preadolescenziale, sicuramente
centrale nella crescita rispettiva del singolo individuo. A prendere parte alla messa anche
il Patriarca Francesco Moraglia, che, dopo la preghiera ,si è recato a Padova per
l’ordinazione episcopale di monsignor Renato Marangoni, vescovo eletto di BellunoFeltre. «In qualsiasi momento della vostra giornata», ha detto il Patriarca ai giovani,
«Dio vi assiste: nelle interrogazioni, nei momenti difficili e anche nelle simpatie che
provate per i vostri amici. Siete all’inizio del magnifico libro della vita: dovete cogliere “il
suo ritmo” e farlo entrare nella vostra quotidianità». Particolarmente toccante
l’esperienza simbolica di una ragazza testimone della perdita del lavoro del padre e che
nel racconto, di fronte al Patriarca, ha confidato la difficoltà nel riuscire a trovare il
sorriso. «L’apertura verso Dio», ha risposto Moraglia, «è la chiave di volta per superare
ogni momento, dal più bello al più brutto. C’è la necessità», ha aggiunto poi il Patriarca
citando la parabola dei due discepoli di Emmaus, «di dare spazio nella nostra vita a un
noi che non incontra solo l’altro ma che nel volto dell’altro scopre la presenza di Dio».
Nel pomeriggio, dopo il pranzo al sacco, è stata quindi la volta dei giochi all’aperto
(calcio e volley) e delle attività culturali, tutto realizzato grazie alla collaborazione dell’
ufficio catechistico diocesano e del coordinamento pastorale. Presente alla giornata
anche il sindaco Valerio Zoggia, che prima della messa si è intrattenuto con il Patriarca
per un caloroso saluto. Nell’occasione è stata ribadita l’intenzione di voler allestire anche
in piazza San Pietro a Roma alcune sculture natalizie con la sabbia di Jesolo, tutte
dedicate al Santo Padre per il servizio reso al mondo intero. Una sorta di mini Sand
Nativity nel cuore del Vaticano. E i contatti, in questo senso, sono già stati posti in
essere. Moraglia, tenendo fede alle promesse, avrebbe già scritto all’attenzione di Papa
Francesco per trasformare il sogno in realtà.
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2 – DIOCESI E PARROCCHIE
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 10 aprile 2016
Pag XIX Chiesa di Borbiago: da oggi all’opera due nuove suore di l.gia.
Mira - La parrocchia di Borbiago accoglie oggi due suore originarie del Brasile. La nuova
comunità religiosa dell'ordine della "Copiosa Redenzione" entrerà a far parte della
parrocchia aiutando il parroco don Carlo Gusso, monsignor Angelo Centenaro e i diaconi
Alberto Saccoman e Tiziano Scatto nelle varie attività. Nel corso della messa delle 9.30
le suore della Copiosa Redenzione verranno accolte dal vicario generale Angelo Pagan, in
rappresentanza del Patriarca Francesco Moraglia, e dai parrocchiani. Le due suore (una
terza arriverà nei prossimi mesi) vivranno nell'appartamento sopra la scuola materna di
Borbiago e aiuteranno il parroco nell'animazione delle liturgie, della catechesi e nelle
varie esperienze di carità e missione in un anno particolare che ha visto, nel santuario di
S. Maria Assunta di Borbiago, la collocazione di una delle Porte Sante del Giubileo.
«Accogliamo queste nuove sorelle con gioia, con generosità, aprendo loro la nostra
comunità e le nostre famiglie - ha sollecitato don Carlo - perché da subito possano
sentirsi a casa». Le religiose consacrate all'ordine della Copiosa Redenzione nascono in
Brasile per aiutare i giovani dipendenti da sostanze psicoattive.
AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 18 A Jesolo la festa diocesana rivolta agli adolescenti
Sono circa 2.500 gli iscritti la Festa diocesana dei ragazzi in programma domani dalle
9.30 alle 16.30, al Pala Arrex in piazza Brescia a Jesolo. Il tema della giornata - rivolta
alla fascia d’età dagli 11 ai 14 anni - sarà «Altuoritmo… vivere al ritmo del cuore di Dio»,
per far cogliere ai ragazzi come «poter vivere concretamente la misericordia
nell’avventura grande della vita». In mattinata, alle 10.45 il patriarca di Venezia
Francesco Moraglia presiederà la Messa. Momenti di animazione, gioco, pranzo al sacco,
visita agli stand e attività varie costelleranno l’intera giornata. «La festa – spiegano gli
organizzatori – è pensata principalmente per i ragazzi: tutto cercherà di favorire la loro
partecipazione e un sano protagonismo. Sarà il segno visibile dell’attenzione educativa di
tutta la comunità cristiana e in questa giornata si prodigherà affinché ogni gesto ed
esperienza vissuto sia significativo e favorisca l’incontro con Cristo, nella comunità dei
fratelli».
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 9 aprile 2016
Pag XXIII Jesolo: in 2500 alla festa diocesana dei ragazzi di G.Bab.
Jesolo - Sono 2500 gli iscritti alla Festa dei ragazzi che si terrà domani, dalle 9.30 alle
16.30, al Pala Arrex. Si tratta del principale evento diocesano per gli 11-14enni, che
quest'anno avrà il tema "Vivere al ritmo del cuore di Dio". Tra i momenti più attesi, alle
10.45, la messa presieduta dal Patriarca Francesco Moraglia che nel pomeriggio
parteciperà a Padova all'ordinazione episcopale di mons. Renato Marangoni. Durante la
giornata sono previsti dei momenti di animazione, gioco e musica; nel pomeriggio show
dei comici veneziani Carlo e Giorgio.
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 43 Tornano a Treporti le spoglie di don Giorgio di Francesco Macaluso
Giovedì 14 la cerimonia: al sacerdote sarà intitolato il patronato
Treporti. La comunità parrocchiale Santissima Trinità di Treporti intitolerà il salone del
patronato a don Giorgio Barzan. La salma del parroco 67enne, scomparso un anno fa in
un incidente stradale, giovedì tornerà nella sua amata frazione di Cavallino-Treporti a cui
aveva dedicato gli ultimi 19 anni della sua missione pastorale. Il suo ritorno, dopo
essere stato tumulato al cimitero di Eraclea proprio in questo periodo di un anno fa, è
frutto di un raro intreccio di eventi. Sul litorale si racconta di un sogno fatto dalla sorella
del parroco nel quale don Giorgio le è apparso chiedendole di tornare a Treporti. Anche
ammessa l'apparizione onirica, la sua famiglia originaria della frazione di Valcasoni ha
poi dimostrato particolare rispetto verso la memoria di don Giorgio e generosamente ha
autorizzato il trasferimento grazie anche alla speciale intercessione di don Alessandro
Panzanato, parroco di Ca’ Savio e Treporti, vicario per Jesolo e Cavallino-Treporti, che
ha fatto comprendere l’importanza del gesto per i suoi parrocchiani, e alla collaborazione
per la parte logistica delle imprese di servizi funebri Walter Gusso di Eraclea e Facco di
Cavallino-Treporti per l’esumazione, il trasporto e la nuova sepoltura. I suoi fedeli
parrocchiani e tutta la comunità del litorale attendono trepidanti giovedì quando
potranno accogliere la salma del parroco che, con i suoi modi burberi ma sinceri, è stato
per molti un’importante guida spirituale e morale. «Si era creato una sorta di
pellegrinaggio di parrocchiani da Treporti verso la sua tomba al cimitero di Eraclea»,
racconta don Alessandro Panzanato, «chi a portare un fiore, chi a recitare una poesia o a
portargli un ricordo. Un affetto profondo e sincero della sua famiglia spirituale di Treporti
che ha commosso i suoi famigliari terreni che posso solo ringraziare per la grande
sensibilità dimostrata. Lo rispetteremo anche nella sobrietà delle cerimonia che
rispecchierà il suo carattere mai propenso alle autocelebrazioni». La salma arriverà al
cimitero di Treporti alle 13.30 di giovedì. Seguirà alle 16.30 l’accoglienza del feretro in
piazza SS. Trinità, dalle 17 il santo rosario in suffragio con la nuova sepoltura alle 17.30.
Le celebrazioni si concluderanno con la santa messa, alle 19 l’intitolazione del patronato
alla sua memoria.
Pag 43 Jesolo: festa dei ragazzi con il Patriarca domani al Pala Arrex di g.ca.
Jesolo. Festa dei ragazzi, 2.500 giovani con il patriarca Moraglia, «al ritmo del cuore di
Dio». È in programma domani, dalle 9.30 alle 16.30 al Pala Arrex, la Festa diocesana dei
Ragazzi, che ha raggiunto 2.500 iscritti. Il tema della giornata, evento diocesano
principale dell’anno per la fascia d’età che va dagli 11 ai 14 anni, sarà «Altuoritmo,
vivere al ritmo del cuore di Dio». Atteso in mattinata il patriarca Francesco Moraglia che
presiederà la Santa Messa alle 10.45. Ci saranno giochi, pranzo al sacco, visita agli
stand e attività varie, tra cui anche l'esecuzione dal vivo e in anteprima di alcune
canzoni del Grest 2016. La festa proseguirà per l’intera giornata, nel pomeriggio uno
spettacolo di Carlo & Giorgio.
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3 – VITA DELLA CHIESA
L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 10 aprile 2016
Pag 8 Capaci di guardare negli occhi
All’udienza giubilare Francesco spiega il significato e il valore dell’elemosina
Fare l’elemosina «può sembrare una cosa semplice», ma «dobbiamo fare attenzione a
non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede». Lo ha detto Papa
Francesco ai fedeli riuniti in piazza San Pietro sabato 9 aprile per l’udienza giubilare.
«L’elemosina — ha spiegato - è un gesto d’amore che si rivolge a quanti incontriamo; è
un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto».
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci permette di
scoprire un aspetto essenziale della misericordia: l’elemosina. Può sembrare una cosa
semplice fare l’elemosina, ma dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del
grande contenuto che possiede. Infatti, il termine “elemosina”, deriva dal greco e
significa proprio “misericordia”. L’elemosina, quindi, dovrebbe portare con sé tutta la
ricchezza della misericordia. E come la misericordia ha mille strade, mille modalità, così
l’elemosina si esprime in tanti modi, per alleviare il disagio di quanti sono nel bisogno. Il
dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. Il sacrificio e l’elemosina erano due
doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi. Ci sono pagine importanti nell’Antico
Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta,
sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. E nella Bibbia questo è un
ritornello continuo: il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano... è un
ritornello. Perché Dio vuole che il suo popolo guardi a questi nostri fratelli; anzi, dirò che
sono proprio al centro del messaggio: lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con
l’elemosina. Insieme all’obbligo di ricordarsi di loro, viene data anche un’indicazione
preziosa: «Dai generosamente e, mentre doni, il tuo cuore non si rattristi» (Dt 15, 10).
Ciò significa che la carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire
misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. E quanta gente
giustifica sé stessa per non dare l’elemosina dicendo: “Ma come sarà questo? Questo a
cui io darò, forse andrà a comprare vino per ubriacarsi”. Ma se lui si ubriaca, è perché
non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto, che nessuno vede? E tu sei giudice di
quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino? Mi piace ricordare
l’episodio del vecchio Tobia che, dopo aver ricevuto una grande somma di denaro,
chiamò suo figlio e lo istruì con queste parole: «A tutti quelli che praticano la giustizia fa’
elemosina. [...] Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il
suo» (Tb 4, 7-8). Sono parole molto sagge che aiutano a capire il valore dell’elemosina.
Gesù, come abbiamo ascoltato, ci ha lasciato un insegnamento insostituibile in
proposito. Anzitutto, ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli
uomini per la nostra generosità: fa’ in modo che la tua mano destra non sappia quello
che fa la sinistra (cfr. Mt 6, 3). Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi
per guardare in faccia la persona che chiede aiuto. Ognuno di noi può domandarsi: “Io
sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi
sta chiedendo aiuto? Sono capace?”. Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con
la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a
parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno. Allo stesso tempo, dobbiamo
distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon
servizio ai veri poveri. Insomma, l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti
incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro
aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto. Ma
fare l’elemosina dev’essere per noi anche una cosa che sia un sacrificio. Io ricordo una
mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni, più o meno. E sempre insegnava ai
figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo:
ognuno stava mangiando una cotoletta alla milanese, come si dice nella mia terra,
“impanata”. Bussano alla porta. Il più grande va ad aprire e torna: “Mamma, c’è un
povero che chiede da mangiare”. “Cosa facciamo?”, chiede la mamma. “Gli diamo dicono tutti e - gli diamo!” - “Bene: prendi la metà della tua cotoletta, tu prendi l’altra
metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini” - “Ah no, mamma, no!” - “No? Tu da’
del tuo, dà di quello che ti costa”. Questo è il coinvolgersi con il povero. Io mi privo di
qualcosa di mio per darlo a te. E ai genitori dico: educate i vostri figli a dare così
l’elemosina, ad essere generosi con quello che hanno. Facciamo nostre allora le parole
dell’apostolo Paolo: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere
lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare
che nel ricevere!”» (At 20, 35; cfr. 2 Cor 9, 7). Grazie!
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pag 3 L’ecumenismo dell’accoglienza di Riccardo Maccioni
Lesbo e i “corridoi”: gesti comuni dei cristiani
Il peso delle lacrime. Le ragioni del cuore. La decisione del Papa di andare a Lesbo, ad
incontrare i migranti parcheggiati dalla disperazione e dalla paura sull’isola greca, è una
chiara denuncia dell’incapacità europea di governare un’emergenza diventata tragica
quotidianità. Un grido di dolore contro l’indifferenza del ricco Occidente verso ciò che
accade nel Mediterraneo e nel mar Egeo diventati, per citare la preghiera del Venerdì
Santo, 'insaziabili cimiteri'. Soprattutto, è un richiamo al cuore del Vangelo, interpella la
ragione stessa dell’essere uomini, persone. Il viaggio, allora, non potrà che essere un
pellegrinaggio condiviso da chi, pur nelle differenze, si riconosce nello stesso Cristo, nei
medesimi principi di solidarietà e di attenzione all’altro, soprattutto se povero e
abbandonato. Non sarà solo un gesto simbolico il mostrarsi insieme di papa Francesco,
del patriarca ecumenico Bartolomeo I e dell’arcivescovo ortodosso di Atene Hieronimus
II. Nessuna, seppur nobile, passerella nei discorsi di sabato prossimo, ma la chiara
consapevolezza che di fronte a una politica preoccupata soltanto di blindare i propri
confini, la coscienza del credente non può più tacere. E se è vero che servono analisi,
confronti, ancora più necessaria è la forza della testimonianza, parola che ha la stessa
radice di martirio, estremo dono di chi ancora oggi, cacciato dalla propria terra,
perseguitato per il suo credo, ha il coraggio di confessare Gesù fino al momento della
morte. Alla paura che traccia fili spinati alle porte d’ingresso, che alza muri nel cuore
dell’Occidente, che adotta il credo dei respingimenti, i cristiani, pur senza rinnegare le
ragioni della sicurezza e della legalità, rispondono con la difesa dei diritti dei più deboli,
con la logica della protezione umanitaria. È il principio evangelico dell’ospitalità, è
l’ecumenismo dell’accoglienza. Quello che, grazie alla collaborazione tra la Comunità di
Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) ha avviato il
progetto dei 'corridoi umanitari' con il previsto arrivo in Italia, nell’arco di due anni, di
mille profughi dal Libano, per lo più siriani in fuga dalla guerra, dal Marocco, tappa di chi
parte dai Paesi subsahariani, dall’Etiopia crocevia della speranza anche per eritrei,
somali e sudanesi. Non iniziative velleitarie quindi, ma gesti concreti. Come i territori
rinati grazie al contributo dei migranti, come le strutture religiose trasformate in case
per chi non ha più niente. Come gli uomini e le donne che il Papa e Bartolomeo
incontreranno a Lesbo, persone in fuga da una terra che non sa trattenerle verso Paesi
che le rifiutano. L’isola greca come Lampedusa allora, meta del primo viaggio di
Francesco, come Ciudad Juárez terra di confine, piagata dalla violenza, tra il Messico dei
migranti in fuga e gli Stati Uniti aurea e spesso irraggiungibile 'meta'. Luoghi
tragicamente simbolici, punti cardinali di un triangolo disegnato dalla disperazione, spine
conficcate nella carne viva dell’umanità, stazioni di una Via Crucis infinita. Un
pellegrinaggio della disperazione che va misurato non in numeri, in cifre, in statistiche,
ma in nomi e cognomi, in storie vere. «L’attuale ondata migratoria – ha detto il Papa lo
scorso 11 gennaio – sembra minare le basi di quello 'spirito umanistico' che l’Europa da
sempre ama e difende». L’iniziativa di Lesbo – ha sottolineato il Patriarcato ecumenico di
Costantinopoli annunciando il viaggio – «sosterrà e rafforzerà le migliaia di profughi
provati e spingerà l’assunzione di iniziative idonee per proteggere le particolari comunità
cristiane e per affrontare correttamente la questione di massima importanza dei
profughi». Toni diversi, vocaboli differenti per esprimere una comune consapevolezza,
che cioè non ci si può permettere – sono ancora parole di Francesco – di perdere i valori
e i princìpi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di
solidarietà reciproca, «quantunque possano costituire un fardello difficile da portare».
Non sono ingenui sognatori il Papa e il Patriarca, né utopici idealisti. Sanno che per
arginare l’emergenza migratoria, per trasformare il problema in risorsa, bisognerà
ritrovare il senso di una politica alta, non più ostaggio di facili slogan, ma capace di
mettere al centro la persona. Per questo occorre più che mai una spinta dal basso, si
deve riscoprire la compassione, è necessario reimparare a commuoversi. A Lampedusa
prima, a Ciudad Juarez poi, ma anche a Manila e in molte altre occasioni, papa
Francesco ha invocato con forza il «dono», la «grazia» delle lacrime. Che non sono un
segno di resa o di disperazione, ma collirio per purificare lo sguardo, chiavi per aprire la
strada del cambiamento, medicine per ammorbidire il cuore. Fili d’argento con cui
chiudere le ferite aperte dell’umanità che sanguina.
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5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO
IL GAZZETTINO di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Per la crescita serve investire nelle imprese di Romano Prodi
Ogni anno la presentazione del Documento di Economia e Finanza (il così detto Def)
primeggia nelle notizie, nei commenti e nei dibattiti del nostro paese. Quest'anno, al
contrario, lo troviamo invece più nelle seconde pagine che nei titoli di testa. Una prima
spiegazione può derivare dal fatto che nei media si leggono argomenti rispetto ai quali
l'opinione pubblica mostra maggiore attenzione, come il caso Regeni, i dossier di
Panama e le riflessioni di Papa Francesco sulla famiglia. Una seconda ragione trova
spiegazione nel fatto che le incertezze della politica mondiale e il flusso incessante di
nuovi dati economici obbligano continuamente a cambiare interpretazioni e previsioni
per cui, alla fine, anche un osservatore attento finisce col capirci ben poco e, quindi,
interessarsi ancor meno dell'argomento. A tutte queste buone ragioni se ne aggiunge
una terza, a mio parere assai più importante, che la centralità della gestione
dell'economia italiana si è sempre più spostata verso il confronto con Bruxelles. Questo
confronto è stato solo aperto dalla presentazione del documento ma si protrarrà fino ad
ottobre quando esso dovrà avere l'approvazione definitiva degli organi comunitari. A
questo obiettivo guarda visibilmente il Def presentato dal ministro Padoan, documento
che corregge al ribasso le prospettive di crescita del nostro paese per il 2016 ma che
rende ugualmente possibile il raggiungimento dei nostri obblighi nei confronti dell'Unione
Europea. Per l'anno in corso viene quindi prevista una crescita del PIL nell'ordine
dell'1,2%, crescita inferiore a quella che il Governo prospettava nello scorso ottobre (che
era dell'1,6%), un poco superiore a quella che presentano i centri di ricerca più
autorevoli come Prometeia (1,0%) ma ugualmente compatibile con gli aggiustamenti
necessari per raggiungere il doveroso compromesso con Bruxelles. Si è trovato quindi un
punto di equilibrio che non entusiasma nessuno, che produce qualche punto
interrogativo ma che, proprio per la crescente dipendenza da fattori esterni da parte
della nostra economia, non può nemmeno suscitare drastiche opposizioni. Naturalmente
i controllori europei hanno già messo le mani avanti e il commissario Katainen si è
affrettato a dichiarare che l'Italia ha già avuto sufficienti concessioni e non potrà
ottenere maggiore flessibilità in futuro. Il nostro paese dovrà quindi, secondo Katainen,
portare avanti un'unica priorità, quella di tenere fede agli impegni di rigore assunti in
sede europea. Impegni che sono possibili ma non certo facili da raggiungere perché, per
evitare imposte aggiuntive, essi implicano cospicui tagli alla spesa pubblica e un introito
di otto miliardi di privatizzazioni che, anche secondo le stesse dichiarazioni di coloro che
le dovrebbero mettere in atto come nel caso delle ferrovie, appaiono di assai complessa
attuazione. Non è inoltre scontato un tasso di sviluppo dell'1,2% per l'anno in corso,
data la diminuzione della crescita mondiale e il cattivo andamento del commercio
internazionale che è stato, negli ultimi anni, uno degli elementi di maggior sostegno
dell'economia italiana. In secondo luogo si dovranno prendere in considerazione le
modalità e gli effetti della politica monetaria europea che, come ha messo in rilievo il
governatore della Banca d'Italia, ha dato un sostanziale contributo positivo alla crescita
italiana. Anche se non vi sono accenni al cambiamento di questa politica non si può
infatti pensare che la Banca Centrale Europea possa ulteriormente aumentare il proprio
contributo al sostegno della zona Euro. Non che la Bce abbia esaurito tutte le sue
munizioni ma, quando si entra in un quadro di tassi di interesse negativi come è la
situazione attuale, diventa sempre più difficile che essa possa inventare nuovi interventi
utili alla crescita dell'economia europea. In questa situazione di incertezza lo strumento
di maggiore efficacia in mano al governo per accelerare la crescita diventa l'uso di
misure interne, a partire dagli investimenti che devono essere portati dall'attuale
16,50% del PIL intorno al 20%, come era la situazione nel periodo precedente la crisi.
Un obiettivo non certo facile ma possibile innanzitutto attraverso le riforme che abbiamo
il dovere di compiere. La prima riforma è quella di innovare la legislazione in corso, a
partire dalla legge sulla concorrenza che soggiorna da tempi infiniti nelle aule del
parlamento. Sarà inoltre utile accelerare la messa in atto gli interventi previsti dal piano
Junker e incentivare gli investimenti dedicati all'aumento di produttività delle nostre
imprese. Con la presentazione del DEF non si è quindi chiuso un ciclo ma si è compiuta
solo una tappa di un processo che durerà a lungo e richiederà l'impegno di tutti.
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7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA
IL GAZZETTINO di domenica 10 aprile 2016
Pag 9 Denuncia l’infedeltà del testimone di Geova. Il giudice: dovere morale di
Gianluca Amadori
Cameriera rivelò alla congregazione di aver visto un fratello di fede con una donna
diversa dalla moglie
L’albergo per cui lavorava come cameriera addetta alle colazioni l’ha licenziata per aver
violato la privacy di un cliente, in quanto avvisò la congregazione dei Testimoni di
Geova, alla quale entrambi appartengono, di averlo incontrato in compagnia di una
donna diversa dalla moglie. Un dovere morale e religioso a cui non poteva sottrarsi, si è
difesa la donna, negando di aver divulgato dati sensibili e pure di aver creato un danno
al cliente e al datore di lavoro. E il Tribunale ha annullato il licenziamento, in quanto
ritenuto illegittimo per insussistenza del fatto contestato, e ha disposto la reintegra della
dipendente nel proprio posto di lavoro. L’hotel è stato anche condannato al pagamento
di un’indennità risarcitoria commisurata al suo stipendio(dal giorno del licenziamento
all’effettiva reintegra), oltre alla rifusione di 3500 euro di spese di lite. La sentenza sulla
singolare vicenda è stata emessa dal giudice Anna Menegazzo, della sezione lavoro del
Tribunale di Venezia, a conclusione della causa promossa dal legale della cameriera,
l’avvocato Leonello Azzarini. Con molte probabilità il legale dell’hotel, l’avvocato Enrico
Tonolo, presenterà reclamo. Teatro dell’insolito episodio è un albergo veneziano a tre
stelle, a poca distanza da piazza San Marco. Tutto accade una mattina del novembre
2014: la cameriera, che da 11 anni lavora nella struttura senza alcun problema, incontra
casualmente nella sala colazioni un uomo che conosce bene in quanto appartiene allo
stesso gruppo religioso dei Testimoni di Geova e con il quale, assieme alle rispettive
famiglie, ha condiviso in passato numerose riunioni. Si accorge che è al tavolo assieme
ad una donna diversa dalla moglie e, in osservanza ai precetti religiosi, confida la
circostanza al ministro di culto della propria congregazione con l’obiettivo del
«ristabilimento spirituale», affinché possa intervenire per aiutarlo. Passano alcuni mesi e
alla direzione dell’hotel arriva una lettera di reclamo del cliente, il quale lamenta la
privacy violata e i danni patiti, anche perché è in corso un divorzio dalla moglie. Parte
una lettera di spiegazioni e, successivamente scatta il licenziamento, alla quale la
cameriera si oppone presentando ricorso al Tribunale. Il suo legale sostiene che non è
stato fornito alcun dato sensibile, ma semplicemente comunicata la presenza del cliente
in hotel, e che ciò è stato fatto dalla sua assistita per rispettare le regole dei Testimoni di
Geova, i precetti morali. La segnalazione, a cui non poteva sottrarsi, ha tra l’altro vincolo
di segretezza: ne fu depositario soltanto il ministro di culto, che a sua volta ha obbligo di
convocare il "fratello di fede" in difficoltà, senza coinvolgere nessun altro. Il giudice ha
ritenuto che il fatto di comunicare agli anziani della Chiesa una circostanza appresa
casualmente, seppure sul posto di lavoro, non concretizzi una violazione meritevole di
licenziamento. Anzi «assume valenza disciplinare veramente minima», anche perché non
è stato provato alcun danno subito né dal cliente, né dall’hotel.
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 10 aprile 2016
Pag XI Cresce l’eredità di don Franco di Maurizio Dianese
A quattro mesi dalla scomparsa del fondatore il Centro Don Milani apre a nuovi progetti
«È stata dura, soprattutto dal punto di vista psicologico, ma ce l’abbiamo fatta.
Proseguiamo e allarghiamo l’attività, sviluppando la parte delle comunità dedicata al
recupero dei dipendenti da gioco d’azzardo e alle nuove tossicomanie. La nostra
“impresa sociale” è una delle più importanti a livello europeo, ormai. Del resto la
grandezza di don Franco sta anche in questo, e cioè nell’aver visto lontano e aver saputo
delegare per tempo la gestione di tutte le attività. E parliamo di una “azienda” che ha
170 dipendenti e assiste oltre 250 persone tra richiedenti asilo e minori non
accompagnati, tossicomani e dipendenti da gioco d’azzardo». Un’"industria della
solidarietà", come la definisce Angelo Benvegnù, presidente della cooperativa Coges, il
braccio operativo del Centro don Milani, alla cui presidenza è stato nominato Paolo Cibin,
il fratello di don Franco De Pieri, scomparso il 23 dicembre scorso. «Diciamo che non
esiste altra struttura in giro per il mondo che abbia queste competenze. Grazie a don
Franco, che è scomparso troppo presto, quando la sua figura di garante e di padre
spirituale era ancora importante, e grazie anche a tutti coloro che ci lavorano,
continuiamo a svilupparci». Don Franco è riuscito a trasformare Forte Rossarol in un
esempio unico di aiuto a chi è in difficoltà, che si tratti di un minorenne che arriva
dall’Afghanistan o di un eroinomane all’ultimo stadio. Negli ultimi anni poi c’è stato un
salto di qualità nel settore del recupero dei cocainomani e dei giocatori d’azzardo, al
punto che Forte Rossarol si candida a diventare punto di riferimento europeo proprio per
il superamento di queste due dipendenze. «Lo slogan che sintetizza il nostro modo di
lavorare nel post-don Franco è “diventare più professionali senza perdere il cuore” –
spiega Angelo Benvegnù -. Vuol dire che stiamo man mano allargando il nostro
intervento, senza perdere di vista i nostri ideali per cui ci allarghiamo al privato, ma
continuiamo a lavorare molto nel pubblico e devo dire che ormai siamo talmente
conosciuti che abbiamo liste di attesa infinite sia nel settore privato, e cioè fra chi è
disposto a pagare una retta molto alta per farsi seguire da noi, sia nel settore pubblico.
Teniamo in piedi i servizi anche più complicati, quelli richiesti da Comuni e Ulss, da
Ministero e Regioni. Alla fine pagano tutti, in ritardo, ma pagano. Anche perché siamo
spesso l’ultima risorsa per tanti Enti pubblici che, altrimenti, non saprebbero che cosa
fare con i profughi o con i minori non accompagnati, ma che sono in difficoltà anche con
i tossicomani o i dipendenti da gioco d’azzardo» Entro luglio verranno trasferiti i minori
stranieri in una nuova struttura all’esterno del Forte, mentre al Rossarol proseguirà
l’opera di ristrutturazione. «Lavoriamo in collaborazione con l’Università di Padova per
quanto riguarda la parte pedagogica sui minori - conclude Benvegnù - e con l’Università
di Verona e il Gemelli di Roma per le neuroscienze perché ci sono le nuove tossicomanie
da affrontare, quelle multiple, fatte di cocaina e gioco d’azzardo, con contorno di alcol e
pastiglie».
Non è stata abbandonata neanche la parte missionaria di don Franco perché continua il
sostegno alla missione sudamericana di Nadal in Brasile. «Si è deciso che i proventi del 5
per mille destinati al centro don Milani, saranno destinati ad attività sociali», sottolinea
Angelo Benvegnù. E sul sito www.monsignorvecchi.it è stata aperta una sezione
dedicata a don Franco. Quanti vogliono continuare a sostenere le iniziative avviate dal
sacerdote scomparso possono destinare il 5 per mille indicando nella dichiarazione dei
redditi il codice fiscale 90013950275, oppure è possibile utilizzare il conto corrente con
Iban IT05 M033 5901 6001 0000 0135 964. Insomma non si ferma l’opera di don Franco
De Pieri. Il cuore del sacerdote ha cessato di battere quattro mesi fa, ma pulsa ancora
nelle mille attività di sostegno ai più deboli che ha costruito, sostenuto e promosso.
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 21 Il dottor Temperini se n’è andato a 97 anni di s.b.
Aveva lavorato in ospedale come urologo poi medico di famiglia e volontario a Betania
Venezia. Ha dedicato la sua vita alla cura delle persone, e ha saputo farsi amare e
apprezzare in tanti anni di professione. Il dottor Italo Temperini si è spento venerdì sera
nella sua abitazione in centro storico all'età di 97 anni. Nato a Venezia il 5 settembre
1918, aveva studiato ai Cavanis prima di laurearsi in medicina a Padova. Era chirurgo e
urologo, e fino agli anni Sessanta aveva lavorato all'Ospedale Civile, ma esercitando
anche come medico di famiglia. Poi, con i problemi causati dall'influenza asiatica, scelse
di dedicarsi esclusivamente alla medicina di famiglia, fino al 1988 quando andò in
pensione all'età di 70 anni. Ma non lasciò la cura delle persone, perché assieme alla
moglie si dedicò a lungo al volontariato, assistendo i senza dimora e i meno fortunati che
si recavano al centro Betania di Venezia. Un animo gentile e devoto, il suo, che lo spinse
a collaborare spesso anche con la parrocchia. Amava molto lo sport, e da giovane
praticò lo sci, utilizzando la bicicletta ad ogni occasione utile. «Era una persona molto
generosa», ricordano i figli Francesca e Mauro, «anche estremamente positiva e che fino
all'ultimo ha ripetuto la parola “pazienza”. Per la famiglia era stato un autentico faro, un
punto di riferimento con la sua saggezza. Ha amato tanto la natura, la montagna e
infondeva il sorriso». I funerali saranno celebrati mercoledì alle 11 a San Felice.
Pag 45 Riecco le tarsie del Sansovino, gli arredi perduti di S. Marco di Enrico
Tantucci
Ospiti nella Sala di Sant’Apollonia quattro delle sei opere della raccolta
Le tarsie lignee del Sansovino alla portata di tutti. Si è inaugurata nella Sala di
Sant’Apollonia, alla presenza, tra gli altri, del primo procuratore di San Marco Carlo
Alberto Tesserin, del comandante dei carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio
artistico e del proto della Basilica uscente architetto Ettore Vio e di quello da poco
nominato architetto Mario Piana - la mostra dedicata proprio ai preziosi arredi che erano
andati perduti e che nel 2014 sono stati invece recuperati. In particolare, si tratta di
quattro sui sei che costituivano la raccolta: la Prudenza, la Temperanza, la Speranza e
San Teodoro. La mostra, che è stata curata proprio dall’architetto Vio, resterà aperta
sino al prossimo 24 aprile (a ingresso libero). Le tarsie che ornavano il presbiterio della
Basilica di San Marco sono dovute a due grandi protagonisti della Venezia del XVI secolo,
Andrea Gritti (1523-1538) il doge della renovatio urbis e Jacopo Sansovino proto di San
Marco (1527-1570). Questi conferì al presbiterio un’impronta per i tempi moderna, con
due loggette per i cori polifonici della cappella marciana, l’altarino con il tabernacolo, la
porta del paradiso verso la sacrestia e il completo arredo ligneo con le tarsie per ospitare
il doge e la sua signoria. Negli anni Cinquanta in tutta Italia si punta alla valorizzazione
delle parti originarie di ogni monumento rimuovendo le incrostazioni successive. Il proto
Ferdinando Forlati (1948-1971) libera il presbiterio dalle tarsie e da altri elementi che
ritiene superflui come le tribune lignee per i cantori e gli stalli per i canonici di San
Marco. La Chiesa povera auspicata dal Concilio Vaticano II rimuove i segni della
ricchezza e del potere. Le tarsie delle virtù vengono accantonate in qualche magazzino,
più volte rimosse e dimenticate, alcune non più ritrovate. Le quattro tarsie erano sparite
presumibilmente nel 1966, dopo un restauro della Basilica. I carabinieri del Nucleo
veneziano tutela del patrimonio culturale le hanno recuperate due anni fa, due da un
antiquario di Roma, altre due nella villa di un collezionista di Prato. All’appello mancano
le altre due, la “Carità” e “San Marco”, di cui sono esposte le foto. A far scattare la
curiosità degli investigatori dell’Arma lagunare era stata la pubblicazione di uno studioso,
il quale segnalava che due delle quattro opere poi recuperate erano inserite sul sito di un
antiquario della capitale. Tuttavia, né il commerciante romano sné il collezionista
toscano non sono finiti sul registro degli indagati perché entrambi avevano comprato le
tarsie a un’asta, a Firenze a villa Imperialino, nel lontanissimo 1969. Che sia stato
l’architetto rinascimentale a disegnarle e commissionarle non ci sono dubbi: è lui, infatti,
che nel 1536, restaura la Basilica e piazza le nove tavole, scolpite in legno di noce,
acero, ebano, pero, palissandro e melo, per conto del doge Andrea Gritti. Sono le virtù
cardinali e quelle teologali, più il primo e più antico patrono della città e l’evangelista,
patrono dell’epoca. Sono state ordinate proprio per essere sistemate nel presbiterio di
San Marco, dove sedeva il doge con i suoi ospiti, spesso ambasciatori di altri Stati,
quando doveva assistere alla messa. Quindi, nel 1956, in occasione di nuovi restauri,
vengono smontate, finiscono nei magazzini e da là nessuno più le vedrà, spariscono.
Stando ai carabinieri, potrebbero essere appunto state portate via un decennio dopo, nel
1966, nei giorni immediatamente successivi all’alluvione di novembre, quando Venezia
viene sconvolta dalla marea che supera i 190 centimetri sul mediomare. Come detto, le
tarsie ricompaiono solo tre anni dopo, all’asta di Firenze, per scomparire nuovamente
fino a qualche giorno fa, recuperate grazie alle indagini dei carabinieri. E ora restituiti
alla gente.
IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 9 aprile 2016
Pag XIII Mestre “capitale” del Bangladesh di Elisio Trevisan
Cinquemila persone risiedono stabilmente in città attratte dagli appalti in Fincantieri
Mestre è la città del Bangladesh in Veneto. La comunità più numerosa vive proprio qui,
circa 5 mila persone registrate ufficialmente all’Anagrafe, un numero stabile da circa 5
anni a questa parte, da quando cioè la media di 1500, 1800 bangladesi si è
improvvisamente quasi triplicata. Numero stabile non significa che la situazione sia
ferma da cinque anni, anzi è sempre in fermento. Perché ci sono continuamente gruppi
di persone del Bangladesh che abbandonano Mestre per andare a Londra o comunque
all’estero. Il numero di 5.386 per il 2015 per la precisione, rimane però pressoché
invariato perché per ognuno che varca la frontiera ce n’è un altro che arriva. Com’è
possibile se i flussi nazionali sono bloccati? Con il meccanismo dei ricongiungimenti
familiari: famiglie molto numerose che tendono a riunirsi qui in Italia e che lo fanno non
appena si libera un posto. Il fermento che sta dietro al numero costante è anche fonte di
una certa preoccupazione per il Comune che sta ricevendo da tempo segnalazioni
numerose di appartamenti abitati da tre o quattro, o anche cinque nuclei familiari. Per
questo l’Amministrazione Brugnaro, dopo aver approfondito la questione, ha deciso di
intervenire cominciando dalle verifiche negli alloggi e dall’applicazione rigorosa delle
norme sull’agibilità. È il primo passo per riportare la situazione alla normalità. Le
cinquemila persone censite sono solo quelle ufficiali, quindi iscritte all’anagrafe, e
residenti nel nostro Comune, perché in Provincia ce ne sono molti altri, e in questo
numero non rientrano tutti coloro che ottengono la cittadinanza italiana. Nel centro città,
come ha rilevato anche la ricerca del Servizio tecnico della Municipalità di Mestre
Carpenedo che abbiamo pubblicato il mese scorso, sono l’etnia più numerosa rispetto
agli altri stranieri extracomunitari, primi davanti ai moldavi, ai cinesi e agli albanesi.
Perché Mestre è la "capitale" del Bangladesh? Principalmente per la Fincantieri, poi per il
turismo a Venezia e in piccola parte per il commercio abusivo. Lo stabilimento navale di
Marghera è un potente attrattore di lavoro, non tanto per i poco più di mille dipendenti
diretti che sono quasi tutti veneziani, chioggiotti e in genere della provincia, quanto per
gli oltre tremila indiretti, ossia i lavoratori delle decine di imprese di appalto. Secondo i
sindacati un buon 60% di quei lavoratori (circa 1.800 dunque) è del Bangladesh, e il
resto si divide tra operai del Sud Italia e una grossa fetta dell’Est Europa. Più o meno
l’80% delle persone provenienti dal Bangladesh che vive in città lavora alla Fincantieri in
una di queste tantissime imprese di appalto o subappalto o sub-sub appalto. Gli altri
sono impiegati più o meno stabilmente nel settore del turismo e un centinaio in quella
che a Venezia chiamano la "cooperativa ufficiosa" dei venditori abusivi di fiori, giocattoli
in silicone e "elicotteri" luminosi che lanciano in continuazione verso il cielo con le fionde
davanti alla stazione di Santa Lucia o a San Marco, in Riva degli Schiavoni o comunque
nei luoghi più frequentati dai turisti. Una volta finito il lavoro in Fincantieri, nei ristoranti
di Venezia o per le calli, tornano a casa a Mestre. E, stagionalmente, molti di loro
appunto partono improvvisamente per andare a lavorare all’estero, subito rimpiazzati da
altri connazionali legati da vincoli familiari.
Un tempo Porto Marghera era la "città" del lavoro di Venezia, lavoro stabile per 40 mila
persone provenienti dal centro storico, da Mestre, Marghera e dalla Riviera del Brenta e
anche più lontano. Oggi, svuotata di dipendenti e fabbriche e con un futuro sconosciuto,
è diventata la cittadella del lavoro a termine. Come in Fincantieri: dopo essere uscita da
una crisi che qualche anno fa aveva visto ridurre il numero delle navi ordinate, ora è
fortunatamente piena di commesse. E gli oltre 3 mila operai delle imprese di appalto
sono la fetta più grossa della forza lavoro, dove i sindacati, che chiamano il settore la
«giungla dei cartellini di riconoscimento», arrivano con molta fatica, e gli stipendi che
soprattutto i bangladesi si portano a casa, si riducono a ben poca cosa rispetto ai 1400
euro nominali in busta paga: perché con quei soldi devono pagare l’affitto di casa, e
spesso il compenso a chi li ha portati in Italia e a chi li fa lavorare.
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 23 Metal detector all’ingresso della Basilica di Enrico Tantucci
L’annuncio del Procuratore di San Marco Carlo Alberto Tesserin. Già installato anche un
sistema di telecamere interne
Metal detector in arrivo anche per l’ingresso in Basilica di San Marco, per aumentare così
i controlli di sicurezza. A annunciarlo ieri - a margine dell’inaugurazione delle mostre di
tarsìe lignee del Sansovino a Sant’Apollonia, è stato il primo procuratore di San Marco
Carlo Alberto Tesserin con il nuovo proto marciano, l’architetto Mario Piana. «Dobbiamo
anche noi attrezzarci sul piano della sicurezza - ha spiegato Tesserin - e per questo
stiamo studiando con attenzione in questi giorni il funzionamento dei metal detector
all’ingresso di Palazzo Ducale e del museo Correr per capire come possiamo introdurli
anche noi». Per San Marco c’è un problema in più. «A differenza che nei musei - osserva
ancora Tesserin - da noi non si paga un biglietto d’ingresso e la coda quindi fluisce
continua e senza interruzioni. Dobbiamo perciò cercare di introdurre i dispositivi di
controllo senza rallentare troppo la fila, specie nei giorni di maggiore affluenza. Per
questo stiamo studiando la situazione, ma l’introduzione dei controlli di sicurezza è
ormai indispensabile che San Marco, che è tra l’altro il luogo più visitato della città,
anche perché appunto non si paga il biglietto». L’introduzione dei metal detector - come
abbiamo già riferito in questi giorni - sta però creando già qualche problema soprattutto
a Palazzo Ducale, perché rallenta notevolmente l’afflusso dei visitatori e provoca quindi il
formarsi di lunghe code, Un problema legato a un numero di addetti alla sicurezza non
sufficiente rispetto alla quantità di turisti da controllare. Per questo in Procuratoria
aspettano di avere qualche dato in più prima di partire. Non è però l’unica misura di
sicurezza prevista per i visitatori della Basilica. «Sono già installate telecamere interne
ed esterne lungo tutto il perimetro di San Marco - spiega ancora il primo procuratore che ci permetteranno in ogni momento di avere il controllo della situazione rispetto a chi
è presente all’interno della chiesa. Non sono ancora entrate in funzione, perché
aspettiamo l’ultimo via libera per gli aspetti legati alla privacy». Altra novità in arrivo per
il controllo dei flussi turistici dei monumenti marciani sono l’introduzione ai tornelli
all’ingresso. «All’ingresso Campanile di San Marco sono già stati installati - spiega
l’architetto Piana - e abbiamo già avuto il via libera della Soprintendenza. Si sta
verificando il loro funzionamento e anche i tempi di passaggio e poi entreranno in
funzione nei prossimi giorni». Sarà una sperimentazione utile anche in vista della loro
possibile introduzione anche agli ingressi della Basilica di San Marco. «Qui i problemi
sono maggiori - dichiara ancora Tesserin - perché le entrate in Basilica sono più d’una e
inoltre dobbiamo sempre garantire il libero accesso ai fedeli per le funzioni religiose. Per
questo la sperimentazione dei tornelli all’ingresso del Campanile di San Marco ci sarà
molto utile, perché ci permetterà di capire quali problemi il loro uso comporta.
Pag 26 Testamento biologico, sospeso il registro di Mitia Chiarin
Oltre 400 le persone già iscritte in due anni. La convenzione con i notai è scaduta ma il
Comune non l’ha rinnovata
È stato sospeso da inizio marzo il registro delle Dat, le dichiarazioni anticipate di
trattamento ovvero il testamento biologico che hanno depositato in Comune, da due
anni a questa parte, 407 persone. Cittadini che hanno così messo nero su bianco le loro
volontà sui trattamenti sanitari ai quali essere sottoposti in caso di impossibilità di
espressione autonoma in situazione di fine vita. Un servizio partito il 19 marzo 2014 con
un boom di prenotazioni di cittadini: 282 le dichiarazioni depositate il primo anno. Ora il
servizio è sospeso, perché è scaduta a inizio marzo la convenzione con il consiglio
notarile di Venezia, che garantiva la presenza di notai per la firma delle dichiarazioni dei
cittadini da depositare nel registro comunale, strumento utile anche per i medici di base.
Ora la preoccupazione è alta tra quanti si sono battuti, con petizioni, prese di posizione,
interventi per spingere la commissione e il consiglio comunale nel luglio 2013 ad
approvare a maggioranza la delibera che istituiva il registro e poi firmare la convenzione.
Finora la giunta Brugnaro non è intervenuta per ripristinare il servizio, riconfermando la
convenzione. Ed è passato più di un mese. «Visto che da oltre un mese è sospeso
questo servizio», dice la consigliera comunale del Partito Democratico, Monica Sambo,
presidente della prima commissione, «abbiamo fatto un’interrogazione al sindaco ed
all’assessore per comprendere i motivi alla base del ritardo del rinnovo della
convenzione. Moltissimi cittadini hanno depositato le loro DAT presso questo servizio del
Comune e questo dimostra che è utile alla cittadinanza». L’interrogazione è sostenuta
dagli altri consiglieri Pd e anche dalla Lista Casson. «Il Registro comunale delle DAT»,
aggiunge Cristiano Samueli, presidente dell’Associazione italiana per le decisioni di fine
vita, «è stato un atto di grande civiltà da parte del Consiglio comunale di Venezia.
Ricordo che questa delibera era stata fortemente voluta da moltissimi cittadini ed
associazioni e ringrazio la consigliere Sambo per essersi attivata appena le abbiamo
comunicato la sospensione del servizio». Samueli spiega di aver saputo della
sospensione dalle telefonate di cittadini che non hanno potuto prenotare
l’appuntamento. Sambo e Samueli concordano: «Questo importante servizio del Comune
deve continuare ad essere offerto alla cittadinanza e ricevere la pubblicità che merita».
Anche l’associazione Luca Coscioni, che aveva sostenuto la mobilitazione per il Registro,
torna a mobilitarsi rivolgendosi direttamente a Brugnaro: «Ricordiamo al sindaco, il
quale ancora una volta dimostra scarso interesse per i diritti civili, che come avvenuto in
passato i veneziani sono pronti a tornare a reclamare quel diritto che la costituzione
mette a loro disposizione e che una classe politica spesso retrograda ritiene di poter
ignorare». Le 407 dichiarazioni depositate nel Registro sono conservate anche in
versione informatica e riportano i dati anagrafici del dichiarante. Il Consiglio notarile,
sulla base della convenzione, ha finora garantito la presenza con cadenza mensile nelle
sedi comunali di Venezia e Mestre di un notaio per le informazioni e per fornire la copia
autentica delle dichiarazioni, conservate poi nel Registro. Un servizio gratuito che
consente, a chi vuole scegliere come essere trattato in punto di morte, di depositare il
proprio testamento biologico, senza sopportare la spesa di un notaio privato o senza
l’incertezza di non veder rispettate le proprie scelte.
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8 – VENETO / NORDEST
CORRIERE DEL VENETO di domenica 10 aprile 2016
Pag 9 Lavoro, studio e sport nell’oasi dei profughi: “Le caserme? E’ follia” di
Martina Zambon
L’esperienza della Coop Olivotti
Mira. I peschi sono carichi di rosa nel giardino di una villetta a due piani, non un filo
d’erba fuori posto, la legna accatastata messa a seccare per l’inverno e, a due passi, un
campo che ospiterà l’ennesimo orto bio della Cooperativa Olivotti. La «casa di via
Molinella», fra i campi che dividono Mira e Dolo lungo la Riviera del Brenta, ospita una
decina di richiedenti asilo, afghani e pakistani soprattutto. L’attenzione a mettere
insieme etnie omogenee è solo una delle mille sviluppate negli anni da questo sistema di
accoglienza diffusa. Oltre a via Molinella ci sono la Casa delle donne, in via Bologna,
sempre a Mira, la Casa Rossa e la Casa Bianca nel cuore della cooperativa nata nel 1980
e che i miresi conoscono da sempre per l’ottimo servizio di carrozzeria e per il
laboratorio di ceramiche artistiche da cui sono uscite bomboniere per battesimi,
comunioni e cresime di intere generazioni. Accoglienza diffusa, appunto, l’esatto opposto
delle caserme-dormitorio gestite in condizioni di perenne emergenza. «Quei luoghi sono
una follia – taglia corto Monica Lazzaretto, responsabile del Centro Studi di quella che
per tutti è semplicemente «Casa Olivotti» – gli snodi di una giusta accoglienza partono
dal riconoscere queste persone che arrivano qui devastate e senza identità». Donato
Diamanti, che coordina i nove operatori della cooperativa, li chiama «i nessuno» perché
insieme ai documenti si è tolta loro anche la dignità. Qui, fra un turno di cucina e un
corso di alfabetizzazione si inizia a ricostruire. Il tema è serio, serissimo. Eppure capita
anche di ridere quando una giovane eritrea rischia il coccolone davanti a un
aspirapolvere in funzione: non ne aveva mai visto uno. «L’alfabetizzazione delle donne è
imprescindibile – racconta Lazzaretto – visto che da lì intere famiglie si aprono alla
società in cui vivono. Tutto iniziò anni fa, quando il nostro lavoro si limitava a un’intensa
attività di mediazione culturale. Un maestro elementare di Mira si presentò con un
giovane allievo cinese particolarmente dotato chiedendo aiuto perché la madre
comprendesse le potenzialità del figlio. Credo che quel bambino si sia poi laureato». La
Olivotti ha lavorato anni su progetti di accoglienza prima di accettarne uno su richiesta
del Comune di Mira. «Non ci si improvvisa su questi temi perché l’integrazione è il
futuro, sbagliare rischia di compromettere ciò che sarà – prosegue Lazzaretto – la nostra
esperienza è nata con il reinserimento di persone appena uscite dal carcere, si è
ampliata fino alla nascita della comunità di recupero per tossicodipendenti, siamo
arrivati alla mediazione linguistica e solo poi, con operatori estremamente formati, ci
siamo approcciati alla prima accoglienza. Amareggia leggere di cooperative che ignorano
l’abc di questo che non è un mercato bensì un servizio, ma non ignoriamo il problema.
Confcooperative si è data, non a caso, un decalogo molto preciso che va dall’assistenza
giuridica a quella sanitaria passando per l’educazione civica e il lavoro. Altro ingrediente
della polveriera di luoghi iperaffollati è proprio l’inattività che farebbe saltare i nervi a
chiunque». E così i «ragazzi della Olivotti» incontrano e si fanno abbracciare dai bambini
di una quinta elementare di Salzano più interessati a parlare di calcio che di tragedie,
sistemano i parchi degli asili, ridipingono il patronato di Dolo e così via. Integrazione a
tutti i livelli. Anche per Shaukat Zada, pakistano quarantenne che dopo anni passati a
guidare taxi a Dubai ha tentato di tornare da moglie e 4 figli in patria. «Abbiamo scelto
l’Italia – racconta Shaukat – perché dovevo salvarmi la vita, con i Talebani non era
possibile restare, ora voglio far arrivare qui la mia famiglia».
CORRIERE DEL VENETO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Il Nordest e l’Islam percepito di Vittorio Filippi
Aria di moderazione
L’Isis, il sedicente Stato islamico, è geograficamente lontano da noi. Molto lontano. Ma è
anche molto vicino, anzi è addirittura qui. Perché – come stabilito dalle indagini di
magistratura e carabinieri – diversi «foreign fighter» sono materialmente partiti dal
Veneto alla volta della Siria. Ma anche perché diffonde a piene mani paura ed
insicurezza, due sentimenti con i quali convivere è notoriamente fastidioso. La Swg di
Trieste, una società di ricerca sociale, ha appena effettuato un sondaggio che cerca di
dare un volto a questi sentimenti quantificandoli. Tanto per cominciare, due terzi degli
abitanti del Nordest hanno francamente paura dell’Isis. Addirittura uno su due si «sente
in guerra» con il cosiddetto Stato islamico. Un terzo si percepisce limitato nelle proprie
libertà da questa presenza minacciosa. Gli attentati di Parigi e nel parco giochi a Lahore
in Pakistan sono i due eventi che più ci hanno colpito emotivamente, dice la ricerca. Due
luoghi diversissimi, ma percepiti nello stesso sfregio prodotto dalla globalizzazione del
terrore. Tuttavia per un abitante del Nordest su due siamo di fronte ad uno scontro tra
barbarie e civiltà ma non tra islam e occidente (cristiano). Così come viene rifiutata –
sempre dalla maggioranza del campione – l’idea che il terrorismo integralista sia
semplicemente il frutto velenoso della globalizzazione occidentale. Piuttosto l’opinione
prevalente nelle regioni del Triveneto è che le azioni dell’Isis mirino a tenere alto il livello
del terrore e dell’insicurezza. Una insicurezza tale che per il 75 per cento del campione
consultato il rischio di attentati in Italia esiste concretamente mentre per il 54 per cento
la possibilità che possa scoppiare addirittura una terza guerra mondiale (che per
qualcuno di fatto è già scoppiata) non è da sottovalutare. Occorre agire seriamente,
afferma il campione preso in considerazione dal sondaggio di Swg, nei confronti del
terrorismo islamico – e non in generale nei confronti del mondo islamico – creando
finalmente una intelligence europea. Dice la ricerca Swg che a livello di psicologia
collettiva l’Isis ha ormai prodotto quattro conseguenze. La prima: rompe le sensazioni di
serenità e di spensieratezza, specie negli spazi pubblici come locali di divertimento ed
aeroporti. La seconda: fiacca la voglia di resistere aumentando i sentimenti di tristezza
impotente. La terza: ci fa sentire dentro uno scontro grandioso, epocale, di civiltà più
che di religione. La quarta: evoca nella nostra mente la guerra, il sentirsi in guerra, una
guerra dai contorni oscuri e per questo ancora più paurosa. Una osservazione, in
conclusione, che si può trarre dall’indagine, per il Nordest. Comparando le risposte del
campione nazionale con quello delle nostre aree - spesso evocate come frontiera
«calda» dello «scontro fra civiltà», emerge per così dire una maggior moderazione nel
vivere l’allarme che la situazione pone, una moderazione che ad esempio tiene bassi
quei toni che oggi tendono ad essere facilmente populistici ed islamofobici. Non è una
cosa da poco, a queste latitudini, con i tempi che corrono.
Pag 7 Il Veneto degli “hub” mascherati: “Così fallisce l’accoglienza diffusa” di
Sara D’Ascenzo
In sei casermoni si concentrano oltre 1.500 profughi. La Caritas: colpa di chi non decide
Venezia. Non sono «hub», perché la parola ha un significato preciso: e indica un centro
di raccolta e smistamento profughi. Ma è difficile non vedere negli otto centri maggiori
che accolgono (o hanno in previsione di accogliere) migranti in fuga dai Paesi d’origine
dei centri simili a quelli chiamati hub. Se non fosse che quelli veneti, anche e soprattutto
quelli dove l’accoglienza è a tre cifre, finiscono per essere centri stanziali, non certo di
smistamento. Il caso di Cona, in provincia di Venezia, sollevato dal Corriere del Veneto
con un inviato che ha vissuto lì tre giorni facendosi assumere come dipendente, è solo
uno. Ma di centri con quei numeri nella regione ce ne sono sei, più due che arriveranno:
quello di Fonte, dove tutto è ancora in forse perché l’ex convento dovrebbe ospitare 228
profughi ma per l’Usl ce ne stanno solo 70 e quello dell’ex caserma Zanusso di Oderzo,
dove i profughi in arrivo sono 144. La mappa dei giganti dell’accoglienza certifica, in
sostanza, il fallimento della strategia dell’accoglienza diffusa, come ha dovuto
ammettere, nei fatti, anche il prefetto di Venezia Domenico Cuttaia di fronte alla scarsa
partecipazione all’ultimo bando: 498 posti assegnati su 973 necessari. «C’è un’effettiva
diminuzione nei numeri della disponibilità - ha spiegato don Dino Pistolato, vicario
episcopale della Diocesi di Venezia, per anni direttore della Caritas veneziana e ancora
oggi punto di riferimento per le politiche dell’immigrazione - come ha ammesso il
prefetto. Così è chiaro che si crea una criticità. Determinata anche dal fatto che chi si è
reso disponibile si è esposto economicamente. Quanto al fatto che questi centri abbiano i
numeri degli hub è evidente: il governo dà dei numeri su quanti devono essere i
profughi, se nessuno risponde è chiaro che si creano queste concentrazioni. Il problema
è che l’hub è efficace se è veloce, sennò diventa residenzialità. Ma questo è inevitabile
perché si è creato un cortocircuito: non tutte le amministrazioni rispondono come
dovrebbero o si disinteressano, altre si sovraccaricano». E quando le strutture si
sovraccaricano qualche problema lo possono creare. Lo ha detto anche il presidente
della cooperativa che gestisce il centro di Cona: «Se arriva una testa calda e scoppia una
rivolta, qui scoppia tutto». «Il pericolo è diffuso - dice però don Dino -, una testa calda è
sempre un problema. Certo, più sono più la situazione è rischiosa. E in vista dell’estate,
in cui tradizionalmente i numeri aumentano perché aumentano gli sbarchi, se non si
troveranno altre strutture pronte ad accogliere, centri come quello di Cona sono
destinati a “esplodere”, a meno che non si creino altri “hub” o simili». In questo clima
forse la Chiesa potrebbe fare di più? Don Dino è risoluto nella difesa d’ufficio: «Noi
stiamo accogliendo nelle parrocchie, ma tante volte proponiamo delle soluzioni
d’accoglienza e ci vengono bloccate da sindaci o prefetture: le nostre sono zone
turistiche...».
Pag 19 Vicenza, il vescovo contro gli ex vertici: “Restituiscano quanto hanno
sottratto” di Andrea Alba
Vicenza. Il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol contro i «responsabili del dissesto» di
Banca Popolare di Vicenza. In una lettera che ha il sapore di un anatema, il presule
chiede loro di «restituire il denaro sottratto, con un sussulto di dignità». Pizziol si schiera
a favore dei «piccoli risparmiatori che hanno visto sfumare all’improvviso i risparmi di
una vita». E dalla Curia è aperta l’adesione a un’eventuale futura azione di
responsabilità, conferma l’economo, monsignor Renato Dovigo: «Del resto, l’indicazione
del vescovo è chiara». Pizziol ha atteso giorni dall’assemblea del 26 marzo – tra no
all’azione di responsabilità e quadro degli emolumenti anche agli ex, come l’ex
presidente Gianni Zonin – per prendere carta e penna. Il presule si è informato sul caso,
parlando con piccoli azionisti in difficoltà e professionisti. «La Chiesa vicentina soffre per
le conseguenze di una grave crisi di fiducia e di valori, in seguito alle vicende finanziarie
che hanno travolto la Popolare» inizia la nota. «Alla già pesantissima crisi economicofinanziaria - riprende il presule - si aggiunge questo ulteriore dissesto che, oltre le
perdite materiali, sta generando sconforto, delusione e sfiducia. Ancora una volta i più
deboli hanno pagato il prezzo più caro. Come Chiesa vicentina non possiamo tacere oltre
- insiste Pizziol -. Coloro che sono responsabili devono sentire l’obbligo morale di porre
rimedio a tale dissesto, trovando le modalità concrete per restituire il denaro
illecitamente sottratto». Pizziol non fa mai nomi, ma è inevitabile accostare la lettera
diocesana al recente appello a donare metà degli averi ai poveri rivolto da un prete di
Vicenza, don Marco Bedin, a Gianni Zonin nel bollettino parrocchiale. «Ciò che più è
risultato eticamente ingiusto – riprende la nota vescovile - è che proprio mentre i
risparmiatori e lavoratori della Banca venivano maggiormente danneggiati, dirigenti e
manager ricevevano compensi spropositati». Infine, il presule annuncia una riflessione
interna alla stessa diocesi: «Chiedo agli organismi diocesani di verificare i criteri con cui
le nostre comunità cristiane e la diocesi stessa investono i propri risparmi negli istituti
bancari». Nella nota, Pizziol non nomina le azioni Bpvi – 26.255, pari fino a due anni fa a
circa 1,6 milioni di euro – della diocesi. Volutamente, spiegano dalla Curia: «La lettera è
a favore dei più poveri, non di quel che abbiamo in casa». L’acquisto «risale al 1984»
osserva monsignor Dovigo. Come pure i 30.945 titoli dei frati dell’Ordine dei Servi di
Maria, di Monte Berico, come spiega padre Giuseppe Zaupa, ex priore da pochi giorni:
«Condivido la lettera del vescovo». Sia loro che la Curia non hanno partecipato alle
assemblee. «Troppa la delusione – avverte Dovigo – non so se andremo alla prossima;
ma nel caso siano proposte azioni di responsabilità la linea è chiara. Due anni fa
avevamo chiesto di vendere parte delle azioni, senza ottenere risposta. Una fortuna:
sarebbe stato ingiusto verso i tanti che hanno perso tutto».
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… ed inoltre oggi segnaliamo…
CORRIERE DELLA SERA
Pag 1 La spinta a farsi del male di Angelo Panebianco
Che cosa è successo al centrodestra? Che cosa se ne può fare il Paese di un centrodestra
ridotto così? Sembra che coloro che guidano (?) quello schieramento non abbiano ancora
capito che il loro vero nemico non è Matteo Renzi ma il movimento Cinque Stelle: l’unico
che - domani a Roma e dopodomani sul piano nazionale - potrebbe mettere il
centrodestra alla porta, escluderlo definitivamente dalla festa. Viviamo al momento in un
assetto tripolare (Partito democratico, Cinque Stelle, centrodestra) che ha sostituito il
precedente bipolarismo Berlusconi-sinistra. Ma gli assetti tripolari sono per definizione
instabili e transitori. Presto si tornerà, plausibilmente, al bipolarismo. Ma di quale
bipolarismo si tratterà? Democratici/Cinque Stelle o democratici/centrodestra? Al
momento, il primo scenario sembra più probabile del secondo. E il centrodestra, con le
sue scelte, dà l’impressione di volere solo farsi del male e favorire così i Cinque Stelle.
Consideriamo alcuni dei suoi comportamenti autolesionistici. Si prenda il caso del
referendum sulle trivelle. Voci contrarie ce ne sono, naturalmente, ma la parte di quello
schieramento che si è unita all’esercito anti industriale e pseudo-ecologista sostenitore
del referendum, è consistente, sembra preponderante. Quando è avvenuta questa
conversione alle ragioni dell’ideologia anti industriale? C’ è poi il caso Guidi. L’uso delle
intercettazioni è sempre stato contestato dal centrodestra. Ma le reazioni sono di altro
tenore nel momento in cui vengono colpiti gli avversari politici. Più in generale, sono
pochi, nel centrodestra, ad avanzare dubbi sull’inchiesta di Potenza. A cominciare da
quello strano reato denominato «traffico di influenze illecite». Dopo tutte le battaglie
condotte nel corso degli anni dal centrodestra sulla giustizia sembra che esso sia oggi
vittima di un’impressionante metamorfosi. Prendiamo poi il caso delle riforme
costituzionali. Dopo avere dedicato decenni a contestare la Costituzione in vigore, il
centrodestra si schiera contro le riforme Renzi. Con gli stessi argomenti
(sull’autoritarismo incombente) usati da sempre dai nemici di Berlusconi contro di lui. È
come se gli esponenti di quello schieramento fossero andati a lezione di giustizialismo da
Marco Travaglio, di costituzionalismo dai fan della «Costituzione più bella del mondo», e
di «decrescita felice» dai teorici dell’anti industrialismo. Insomma, c’è un centrodestra in
stato confusionale: non ha capito che fare un’opposizione così non gli conferisce alcuna
credibilità. Inseguire i Cinque Stelle, opporsi a Renzi «a prescindere», non gli porterà
neanche un voto. La controprova è Milano. Lì il candidato del centrodestra ha chance
contro la sinistra, proprio perché nulla ha a che spartire con la destra confusamente
estremista che prevale sul piano nazionale. Berlusconi (che resta il più intelligente di
quella compagnia) queste cose le ha ovviamente capite e, infatti, di tanto in tanto le sue
dichiarazioni sembrano smarcarsi dagli orientamenti prevalenti. Ma è evidente che il
vecchio capo non ha più un vero controllo, neppure sul suo stesso partito. Come tutti
sanno, la condizione agonizzante in cui versa da anni il centrodestra è figlia della
incapacità/impossibilità di risolvere la crisi di successione, di trovare un leader che
sostituisca Berlusconi. L’inventore di quello schieramento non ha al momento eredi
politici. Per questo il centrodestra è in dissoluzione. Nessuno sa oggi se e come quella
crisi di successione potrà essere risolta, se e come un nuovo leader capace di federare il
centrodestra infine emergerà. Non è colpa degli esponenti del centrodestra che quella
leadership non sia ancora emersa: i capi non si creano a tavolino, ottengono i gradi sul
campo, nel corso delle battaglie politiche. È invece proprio colpa loro, degli attuali
dirigenti, se, in nome di un’opposizione purchessia a Renzi, si sbarazzano persino degli
aspetti positivi della loro tradizione (la scelta decisa a favore della modernizzazione
socio-economica, il revisionismo costituzionale, l’opposizione agli aspetti illiberali del
nostro sistema di giustizia). Corriamo un bel rischio, quello di un bipolarismo
Renzi/Cinque Stelle. Come ai tempi della Dc e del Pci. Senza alternanza e senza
alternative.
LA REPUBBLICA
Pag 15 L'allarme sondaggi e quel salto nel buio chiamato Italicum di Stefano Folli
Il premier e l'incubo della lenta erosione dei consensi
Il sondaggio curato da Ilvo Diamanti e pubblicato ieri da "Repubblica" rappresenta uno
straordinario segnale d'allarme per Renzi e il vertice del Pd. Per meglio dire, è un incubo
che prende forma: quello di una lenta, inesorabile erosione dei consensi popolari come
conseguenza dell'opacità nel rapporto fra politica e affari. Non importa quanto estesa sia
l'area grigia, quel che conta è come essa viene percepita dall'opinione pubblica. Forse
non ha torto il premier quando ammonisce su "l'aspetto mediatico" dei recenti scandali,
ma il fatto è - al di là dell' esito delle inchieste - che proprio il "renzismo" ha fatto dei
messaggi mediatici l'asse strategico della sua politica. Diamanti fotografa una crisi che
potrebbe essere passeggera se fosse limitata alla vicenda dei petroli, ma che invece
rischia di essere strutturale se si somma alla ripresa economica effimera,
all'immigrazione ancora priva di una risposta efficace da parte dell'Unione, ai tanti dubbi
sul futuro. Anche qui i problemi sono quelli "percepiti" dall'opinione pubblica: ma è su
questo che si determinano le scelte elettorali. Ora, in vista delle prossime elezioni
politiche, il sondaggio di Diamanti rende chiara l'eventualità che al secondo turno
previsto dall'Italicum si affermi il candidato dei Cinque Stelle. Ne deriva che il disegno
del premier- segretario fondato su se stesso e sull'affermazione progressiva del "partito
del premier" rischia di essere vanificato dalle circostanze. Così lo strumento principe di
questa operazione, appunto l'Italicum, passa rapidamente dallo status di "modello
elettorale che tutta l'Europa presto vorrà imitare" alla condizione di drammatico salto nel
buio. Sarebbe davvero un singolare scherzo del destino se il sistema concepito per
consolidare il trionfo della nuova era renziana servisse per agevolare i campioni dell'antipolitica nella loro ascesa nazionale. A questo punto correggere la legge finora mai
applicata diventa una priorità. Ma è una priorità anomala, nel senso che non se ne parla
e non s'intravedono per ora iniziative in Parlamento. Si capisce perché. L'Italicum è stato
presentato per mesi come il fiore all'occhiello del riformismo governativo. Non è per
nulla facile ammettere di aver commesso un errore politico; a maggior ragione prima del
referendum di ottobre sulla riforma costituzionale, passaggio cruciale per la
maggioranza. Rimetter mano oggi alla legge elettorale trasmetterebbe all'opinione
pubblica un'idea di debolezza e frenerebbe lo slancio in vista del voto sul Senato
elettivo. Quindi si aspettano gli sviluppi in un crescendo di ansia. Anche perché il tempo
a disposizione è limitato. Pochi credono che la legislatura si concluderà alla scadenza
naturale nella primavera del 2018. Nessuno si stupirebbe se il capo dello Stato decidesse
di mandare gli italiani alle urne con un anno d'anticipo, nel 2017. Dipenderà dalle
circostanze alla fine dell'anno in corso. Comunque sia, l'Italicum appare invecchiato
precocemente e la politica, una volta di più, non sa come muoversi. Gli occhi sono rivolti
alla Corte Costituzionale, proprio come accadde con la precedente legge elettorale, il
Porcellum. C'è il tribunale di Messina che ha sollevato una questione di legittimità e il
neo presidente della Consulta, Paolo Grossi, ha detto che non dovremo aspettare molto
tempo per conoscere il verdetto. Vedremo. Se la Corte confermerà l'Italicum le
responsabilità saranno rinviate nel campo della politica. Ma se, al contrario, dovesse
dichiararlo almeno in parte incostituzionale, ecco che si tornerebbe a un sistema
proporzionale con alcuni limiti (il cosiddetto Consultellum). Potrebbe piacere molto
all'arcipelago centrista che ha bisogno di tornare in Parlamento con una forza autonoma.
Piacerebbe perciò ai naufraghi di Forza Italia, sia che si tratti di scissionisti sia che lo
stesso Berlusconi decida di giocare un' ultima partita contro la Lega di Salvini. Sono in
molti ad avere interesse alla fine dell' Italicum. Il sondaggio di Diamanti fa capire che
anche per il Pd renziano è giunta l'ora della riflessione.
IL GAZZETTINO
Pag 1 Legge sulle lobby, arma contro gli intrallazzi di Massimo Teodori
Come nasce il pasticciaccio del petrolio della Basilicata in cui si intrecciano interessi
legittimi e pressioni occulte, fidanzati profittatori e ministre colpite nei sentimenti, politici
furbastri e faccendieri intraprendenti? A quale logica risponde, oltre che alla
individuazione dei reati, la pubblicazione di telefonate che offendono la privacy
personale? Al di là della cronaca, è utile capire l’origine di un fenomeno che ancora una
volta getta un’ombra sul Paese. Certo, l’Italia è la patria della raccomandazione e della
corruzione negli affari che si intrecciano con la pubblica amministrazione e la politica. Ma
all’origine del nostro caso c’è anche un elemento “culturale” che viene da lontano. È la
diffidenza per le regole dell’economia di mercato che sono alla base del benessere
dell’Occidente nel quadro delle istituzioni liberaldemocratiche: regole incompatibili con
l’assistenzialismo e il corporativismo tipici delle culture tuttora da noi dominanti, la
cattolica e la comunista, alquanto estranee al moderno capitalismo. Sotto l’affaire lucano
appaiono in filigrana queste sottoculture che distorcono il rapporto tra economia e
politica quale insieme di regole trasparenti. Di canali istituzionali e di protagonisti
legittimati che si confrontano nel dibattito pubblico per mediare tra interessi in una
società pluralista. Il fatto è che in Italia non è stato mai accettato il quadro istituzionale
che, più o meno bene, domina nelle democrazie occidentali. Esso è stato sostituito da un
ambiguo maneggio che emerge quando interviene la magistratura inquirente che può
così disporre di sempre maggiore potere. Quando in Italia si parla di lobby, spesso si dà
al termine il significato di invettiva per demonizzare l’avversario. Ma lobby non indica
altro che un soggetto collettivo che difende interessi di qualsiasi tipo - oltre che
economici, sindacali, etici, ambientali, religiosi, sociali, eccetera - al fine di influenzare
l’opinione pubblica e le istituzioni. La questione discriminante è se l’attività di lobbying
avviene in maniera legittima o illegittima, usando mezzi chiari o oscuri, se è trasparente
in chi la fa, per cosa la si fa e verso chi è diretta, o se, invece, si svolge senza regole e
limiti. Gli affari alla luce del sole sono parte della vita collettiva; l’affarismo sotterraneo
ne è la degenerazione. L’idea distorta del mercato è l’anomalia italiana rispetto
all’Occidente. Negli Stati Uniti, il Paese per eccellenza del capitalismo, l’attività lobbistica
è ufficialmente regolata fin dal 1946: tutti conoscono chi sono i lobbisti, per quali
interessi lavorano, a chi e in che misura contribuiscono finanziariamente. Questa è la
democrazia pluralistica che funziona non solo con i partiti e le elezioni, ma anche con le
lobby esplicite. Anche presso l’Unione europea di Bruxelles sono attivi quindicimila
lobbisti nel quadro di un Registro della trasparenza depositato presso le istituzioni
comunitarie. In Italia, invece, vige la regola del “tengo famiglia” o “tengo partito”. Dal
1948 sono stati presentati cinquantotto disegni di legge di regolamentazione delle lobby,
ma nessuno è andato in porto, compreso quello preparato nel 2007 dal governo Prodi. Il
fatto è che per cultura o per volontà dei politici, dei funzionari e dei faccendieri, pochi
hanno interesse a varare una legge che riduca la discrezionalità largamente pratica a
scapito dei diritti dei cittadini. Questa non è l’ultima delle ragioni per cui seguitano a
circolare fiumi di denaro illegale attraverso vie oscure, ad esempio nella sanità pubblica
in mano alle regioni, o nelle fondazioni di capi e capetti partitici che oggi assorbono il
finanziamento indiscriminato della politica. Una legge sulle lobby (come tutte le leggi che
in Italia sono troppe) non è certo la panacea, ma forse servirebbe per porre un argine al
brulichio intorno alle attività economiche, e per frenare l’utilizzazione di reati come il
“traffico di influenze illecite”. E, forse, eviterebbe anche le polemiche tra il vertice
politico e il vertice della magistratura.
Pag 2 Grillo sotto accusa per la finta “comunione”
Il comico al termine del suo show ha distribuito grilli essiccati: “Questo è il mio corpo”
Torino - «Non c'è più spiritualità». Così Beppe Grillo sabato sera al Lingotto di Torino
prima di concludere il suo show 'Grillo vs Grillo'. Il comico genovese ha chiamato
accanto a sè alcuni militanti del Movimento 5 Stelle per quello che ha definito «un
piccolo rituale», ossia la distribuzione di grilli essiccati offerti come ostie. «Sei pronto a
ricevere il mio corpo?», ha chiesto Grillo a un militante mentre gli offriva un grillo dopo
averne messo in bocca lui stesso uno. A un altro ha detto «ricevi il mio corpo», a un
terzo «la pace sia con te». Poi rivolto al pubblico che rideva e applaudiva, nel congedare
i militanti ha concluso: «Questo è un rituale di comunione e di liberazione per me».
Scontate e dure le critiche. «Grillo che dà la prima comunione al senatore Airola e alla
candidata sindaco Appendino. Sono una setta pericolosa», ha scritto il senatore del Pd
Stefano Esposito su Twitter. «Assolutamente vergognoso - ha detto la senatrice
democratica Rosa Maria Di Giorgi - Al di là della polemica politica voler scherzare sulla
comunione, irridendola addirittura con l'uso di insetti come ostie, mi sembra veramente
mancare di rispetto a tanti italiani. Ma questo la dice lunga sulla responsabilità e sulla
coscienza civile di quel movimento e del suo leader». «La finta comunione grillina
sarebbe rubricata a pessimo gusto se non fossimo in un tempo difficile per i cristiani»,
ha detto il deputato democratico Michele Anzaldi. «Da cattolico provo disgusto per la
indecorosa sceneggiata di Grillo e dei parlamentari cinque stelle - ha scritto sul suo
profilo Facebook il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti - Da padre mi
domando se sia giusto ironizzare su quello che per me è un sacramento. Da cittadino mi
domando come fanno a essere credibili questi signori che stanno riducendo la politica a
un teatrino». «La finta comunione data da Grillo, con relativi grilli, rappresenta una
pagina veramente indecorosa e bassa - ha commentato l'europarlamentare pugliese
Raffaele Fitto, leader dei Conservatori e Riformisti - Non occorre essere credenti per
capire che si tratta di una offesa grave e gratuita». «Si sapeva che M5S fosse una sorta
di setta più che un movimento politico, ma questa volta si è oltrepassato il limite della
decenza», ha denunciato la deputata di Forza Italia Elvira Savino.
LA NUOVA
Pag 1 Con Giulio oltre le leggi degli Stati di Vincenzo Milanesi
Verità per Giulio Regeni. Lo chiedono non solo i familiari e gli amici, non solo l’Italia ma
anche l’Europa, e un po’ in tutto il mondo, anche di là dall’Atlantico, è un coro di
richieste di verità. Segno che un’uccisione così atroce, così barbara, dopo terribili torture
inflitte ad un giovane ricercatore impegnato come studioso della società egiziana con
attività sul campo, per estorcergli chissà quale segreto, ha commosso il mondo. Facendo
crescere l’indignazione ogni giorno di più, quanto più vergognose si rivelavano le false
verità, i depistaggi. Lasciando intravvedere una verità agghiacciante di altre torture e di
altre morti, non di cittadini stranieri ma di sudditi (perché ad essere tali sono ridotti) di
un Paese tra i più importanti del Medio Oriente, che si proclama amico dell’Italia e
dell’Occidente, e che anzi si erge a baluardo contro l’oscurantismo di regimi intrisi di
fanatismo religioso. Gli incontri dei giorni scorsi a Roma di alcuni esponenti autorevoli
della magistratura egiziana e delle autorità di governo di quel Paese non hanno fatto
fare alcun passo avanti nella ricerca della verità, e si allontana sempre più la possibilità
che sia fatta giustizia. La tragica vicenda di quello sfortunato, coraggioso ragazzo va al
di là del caso personale. Perché pone una questione di capitale importanza non solo per
le persone ed i Paesi coinvolti. Perché sono in gioco valori e principi fondanti la
convivenza civile. Ogni Stato si definisce tale per il fatto di potersi definire come Stato
“sovrano”, cui viene riconosciuta una serie di prerogative che lo rendono, appunto, tale,
e che non è qui il caso di enumerare dettagliatamente. Tra di esse vi è il fatto di poter
pretendere il rispetto di leggi da esso emanate, nell’esercizio concreto di tale sovranità,
all’interno dei suoi confini di Stato. Leggi definite come “positive” nel senso che sono
poste in essere dallo Stato medesimo come valevoli all’interno dei suoi confini. Talora,
specie in regimi politici di un certo tipo, a queste leggi positive si accompagnano
procedure non codificate che tuttavia autorizzano, anche se spesso implicitamente e non
ufficialmente, comportamenti diciamo così particolari di suoi apparati di Stato. Che le
leggi di quel Paese non impediscono né, di fatto, sanzionano. Possiamo noi accettare che
quelle leggi siano le uniche cui fare riferimento, e quindi da applicarsi? O ci sono anche
altre leggi, che possono essere invocate, in nome delle quali chiedere che siano
improntati non solo gli ordinamenti giuridici ma anche i comportamenti da essi non
esplicitamente regolati ma purtuttavia permessi all’interno dell’orizzonte di norme e di
principi che stanno a fondamento di un singolo particolare Stato? Tocchiamo qui un
problema di enorme importanza e complessità, che era ben chiaro fin dai tempi della
Grecia antica. Basta pensare ad Antigone, protagonista di una delle grandi tragedie di
Sofocle, composta a metà del V secolo prima di Cristo. Antigone si oppone ad un editto
del tiranno di Tebe, Creonte, contrapponendo alla legge da lui posta in essere un’altra
legge, quella eterna ed incrollabile voluta dagli dei, e quindi dà sepoltura al corpo del
fratello Polinice contravvenendo alla legge positivamente sancita dall’editto di Creonte.
Pagando con la condanna a morte questa sua riaffermazione di un diritto di resistenza
alla legge dello Stato (l’editto di Creonte) che viene da una legge che va al di là di quella
dello Stato. La civiltà dell’Europa moderna nasce da una ripresa della posizione
sostenuta da Antigone, con la riaffermazione che esistono “leggi non scritte” che hanno
valore al di là dei confini degli Stati “sovrani”. Superando norme positive, quali che esse
siano, e condannando comportamenti da quelle norme implicitamente ammessi in nome
di leggi superiori che sanciscono diritti inalienabili degli uomini in quanto uomini, diritti
per questo definiti come diritti umani. Battersi per ottenere verità e giustizia per Giulio
Regeni significa schierarsi dalla parte di Antigone. Dalla parte giusta, dunque. E non solo
per la sua memoria e la sua famiglia. Ma per tutti gli uomini, cittadini del mondo.
Pag 1 Se Panama fa tremare il mondo di Maurizio Mistri
Sta montando uno scandalo politico-finanziario che potrebbe travolgere molti esponenti
della politica mondiale, dopo che si sono aperte le cataratte dei dossier trafugati dallo
studio legale Mossack Fonseca di Panama City. Certamente dobbiamo plaudire al lavoro
di chi ha pazientemente raccolto informazioni su certi opachi movimenti di capitali. Che
nell’epoca della interdipendenza tra le economie del mondo, soprattutto nel settore
finanziario, ci sia bisogno di trasparenza è indubbio. Si tratta di una “buona notizia” per
le persone oneste, ma come a volte accade nella vita una buona notizia si accompagna
ad una “cattiva notizia”. Mi riferisco ad un fatto che può apparire paradossale, e cioè che
la pubblicazione di una lunga lista di personalità politiche di livello mondiale può avere
un effetto destabilizzante proprio su quel sistema economico mondiale che si vorrebbe
rilanciare. A mio avviso la personalità politica più rilevante è il leader cinese Xi Jinping il
cui entourage è nel mirino dei “Panama papers”. Il leader cinese tra l’altro è impegnato
in una non facile opera di contrasto alla corruzione. A volte in Cina la lotta alla
corruzione viene utilizzata, a fini politici interni, da una fazione del partito di governo
contro un’altra fazione. Non è da escludere che i “Panama papers” possano essere
utilizzati da una fazione avversa a Xi Jinping proprio per scalzare il leader cinese. Gli
effetti potrebbero essere destabilizzanti per l’economia cinese e, di conseguenza, per
l’intera economia mondiale. A sua volta la presenza del nome del primo ministro del
Pakistan nei “Panama papers” potrebbe avere effetti sulla stabilità politica di un paese
che si colloca all’epicentro dell’integralismo di tipo islamico. Infine, è da prendere in
considerazione la posizione di David Cameron, “incastrato” dalla presenza, nella lista, dal
nome del padre. Dalla vicenda Cameron uscirà indebolito politicamente in una fase
delicata per la politica inglese. In effetti già si manifestano timori che un indebolimento
di Cameron, o la sua uscita dalla scena politica, potrebbero dar forza ai fautori della
Brexit, evento temuto da molti in Europa perché considerato pericoloso per la stessa
stabilità dell’Unione europea. Naturalmente ci sono altri nomi, come quelli di alcuni
cugini di Bashar al Assad, il rais della Siria, o quelli di alcuni collaboratori di Marine Le
Pen, oppure quelli di alcuni amici di Putin. C’è chi ritiene che tali capitali siano
addebitabili ad Assad, a Marine Le Pen ed a Putin, anche se i nomi di questi leaders
politici non figurano direttamente. Si tratta, in larga parte di persone che manifestano
posizioni avverse a quelle degli Usa, mentre non figurano politici degli Usa. Di una
manovra orchestrata dagli Usa, assieme al miliardario George Soros, soprattutto contro
la Russia ha parlato Julian Assange, animatore di Wikileaks. A questo proposito un
personaggio che a suo tempo è stato attore nel rendere pubblica una lista di possessori
di fondi occultati, e cioè Hervé Falciani, in una intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore Online
ritiene che quanto va accadendo vada a favore degli Usa. In altri termini, secondo
Falciani, i detentori di capitali occultati, braccati dalle magistrature dei propri paesi,
finiranno per portare i loro quattrini “sporchi” nel Delaware. Come è noto il Delaware è
uno stato membro degli Usa, oggi campioni della trasparenza finanziaria in casa altrui. A
quanto pare, secondo Falciani il Delaware è uno stato molto ospitale nei confronti della
società finanziarie di comodo. Così gli Usa potrebbero rastrellare soldi oggi nascosti in
qualche paradiso fiscale, parcheggiandoli nel tranquillizzante paradiso del Delaware.
Faccio fatica a credere ad una cosa del genere. Ma se fosse vera?
Pag 3 I lumbard, la Nigeria e il petrolio di Giancesare Flesca
Ora che la via dei Balcani si fa sempre più impraticabile per migliaia di sventurati
costretti a fronteggiare filo spinato, lacrimogeni, ingiurie del tempo, alla borsa degli
scafisti prende quota la traversata del Canale di Sicilia, favorita anche dal tempo quasi
estivo. Ci troveremo presto a fronteggiare migliaia e migliaia di migranti ansiosi di
approdare sulle nostre coste per poi trasferirsi nell’Europa del Nord. A differenza dei
migranti bloccati al confine fra Grecia e Macedonia, i nostri profughi non saranno però in
maggioranza richiedenti asilo legittimati a farlo perché provenienti dalla Siria, ma
africani in arrivo dai paesi rivieraschi del Mediterraneo e ancor più dall’area sub
sahariana e dalla Nigeria, popolata dalla bellezza di 180 milioni di persone, divise fra
quelle di religione cristiano animista e quelle di obbedienza musulmana, unificate
tuttavia da un’inequivocabile pelle nera, proprio quella che in Europa (ma anche altrove)
viene considerata una specie di peccato originale. Va detto subito che i nigeriani sparsi
per il mondo fanno poco per integrarsi o farsi accettare. Arroccati in comunità
strutturate in modo gerarchico e maschilista (qualcuno dice: “mafiose”) in molti si
dedicano alacremente ad ogni specialità del crimine, con una netta preferenza per il
traffico di eroina e per lo sfruttamento della prostituzione. Non a caso nel settembre
scorso il leader leghista Matteo Salvini tentò di recarsi in Nigeria, per convincere non si
sa bene chi della sua teoria: «Gli africani vanno aiutati a casa loro». Alla vigilia della
partenza, l’ambasciata nigeriana gli negò il visto, con grande tripudio del web sul quale
apparvero post come questo: «I padani vanno aiutati a casa loro». Scherzi a parte, quali
elementi avrebbe trovato a suffragio delle sue tesi divenute ormai, con qualche
levigatura politicamente corretta, moneta corrente nella nostra Europa? Vediamo.
Sbarcando ad Abuja, il segretario del Carroccio si sarebbe imbattuto in una prima
contraddizione del proprio mantra, una contraddizione made in Italy dovuta alla grande
azienda di Stato fondata da Enrico Mattei, la potentissima Eni. Alle sue imprese in
Nigeria, paese che produce petrolio più di ogni altro paese africano ed è all’ottavo posto
della lista mondiale dei produttori di oro nero, spesso e volentieri manca la benzina. A
spiegarne il perché sono fra gli altri i procuratori aggiunti di Milano che scavano su una
presunta tangente da 1,2 miliardi di dollari per mettere le mani sul giacimento Op245
dove i ricavi petroliferi finiscono quasi interamente all’estero perché, (perché?) a fronte
di tanta abbondanza, non c’è neppure una raffineria. Ma si diceva l’Eni. Fra il 2011 e il
2014 per ottenere l’esplorazione del giacimento senza gara d’appalto e con cospicui
benefici fiscali l’attuale ad Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, assieme
ad altri manager del gruppo avrebbero elargito 483 milioni di dollari a un certo Abubaker
Aliyu, un “facilitatore” locale, che avrebbe provveduto a incanalare mezzo miliardo di
dollari all’allora presidente Jonathan Goodluk, al ministro del petrolio, a quello della
difesa e all’Attorney general, la massima autorità giudiziaria del paese. Gli ingordi
“baluba”,avrebbe sicuramente commentato Salvini. Al tempo, però. Secondo la Procura
duecento milioni di dollari residuati dal miliardo e due stanziati dall’Eni sono tornati a
Milano. E chi ne avrebbe beneficiato? Tanto per dire agli atti della Procura c’è il nome di
Luigi Bisignani, il faccendiere di vecchie e nuove repubbliche. Ma ci sarebbe anche un
bonifico di circa 900mila dollari (eredità Armanna, dice la causale) depositati su un conto
Ubi intestato a Giuseppe Armanna, ex capo di Agip Nigeria. Così aiutiamo la Nigeria,
realtà che a metà secolo scorso fu teatro di un pauroso genocidio, la secessione del
Biafra (gli inglesi ne sanno qualcosa) e che adesso deve fronteggiare i sanguinosi
attacchi degli islamisti di Boko Aram, che impazzano nel nord-est del paese. E se Salvini
volesse saperne di più sulla loro guerriglia, potrebbe chiedere chiarimenti a rispettabili
fabbriche d’armi dislocate nel cuore della sua amata Padania.
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CORRIERE DELLA SERA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 La fermezza e la dignità di un Paese di Franco Venturini
Non deve sorprenderci il tono di sfida adottato dalla magistratura egiziana al cospetto di
una Italia che non intende rinunciare alla verità sulla barbara uccisione di Giulio Regeni.
Piuttosto, gli argomenti utilizzati ieri dalla Procura del Cairo ci spiegano con inedita
chiarezza quel che accadrà: la documentazione richiesta dai giudici italiani non sarà
fornita per non violare «la legge e la Costituzione egiziane». Una affermazione
categorica che alza il livello del confronto e tende a renderlo irreversibile, compiendo nel
contempo una nuova provocazione nei nostri confronti dal momento che contribuire a far
luce sulle atrocità di cui è rimasto vittima Regeni dovrebbe rientrare a pieno titolo nella
legge e nella Costituzione egiziane, non violarle. Ora abbiamo la certezza formale di quel
che in realtà già si intuiva. I giudici egiziani, lo si è visto in tante occasioni, hanno una
indipendenza molto limitata nei confronti del potere politico. Più che mai quando si fanno
affermazioni tanto impegnative. E allora ieri è accaduta una cosa molto semplice: è
come se il presidente Al Sisi ci avesse detto di persona che lui certe carte non le può
mostrare. Forse perché l’assassinio di Regeni rientra davvero in una lotta di potere
sotterranea, e qualche apparato dello Stato egiziano, torturando e uccidendo proprio un
italiano, ha voluto indebolire il Presidente colpendo i corposi interessi bilaterali che
proprio Al Sisi aveva consolidato e allargato. Di sicuro perché l’uomo forte del Cairo non
vuole svelare a tutti la sua debolezza, ammettere di non controllare tutte le frange dei
servizi di sicurezza, riconoscere che in Egitto ogni efferatezza è diventata possibile
persino nei confronti di uno straniero la cui nazionalità è legata agli interessi del Paese e
a quelli di un Presidente che ha da poco smesso la divisa. Fare una simile confessione
pubblica in un Egitto dove gli oppositori scompaiono con una certa regolarità, dove i
Fratelli musulmani sono stati criminalizzati in massa, dove l’ex presidente Morsi dopo la
condanna a morte giace in prigione, dove il vero e assoluto potere continua a risiedere
nel Consiglio superiore delle Forze armate più che nella figura del Presidente ex
generale, significherebbe per Al Sisi rischiare la poltrona. E se questo è vero, ne
discendono conseguenze di cui l’Italia e la sua opinione pubblica devono essere sin d’ora
consapevoli. Noi che su altri temi siamo stati talvolta critici delle scelte governative
consideriamo ineccepibile la linea di serietà e di dignità nazionale che Matteo Renzi e
Paolo Gentiloni hanno adottato sul caso Regeni. Non possono e non devono esserci
opportunismi o tentennamenti di sorta nei confronti di chi ha provato a depistarci e si
rifiuta ora di collaborare per stabilire la verità. Tra interessi e valori uno Stato degno di
questo nome deve talvolta scegliere i secondi, e il cadavere straziato di un giovane
connazionale è motivo più che sufficiente per avere, sorprendendo forse anche noi
stessi, un rigenerante soprassalto di dignità. Ma il prezzo, ne abbiamo avuta la conferma
ieri, sarà alto, e di questo tutti devono essere coscienti. Il richiamo per consultazioni
dell’ambasciatore Maurizio Massari, che ha benissimo operato al Cairo, è un passo
obbligatorio che il ministro Gentiloni aveva implicitamente annunciato in Parlamento.
Esistono altre misure non troppo dure, come il congelamento di certi scambi culturali
oppure la rinuncia a contatti diplomatici di alto livello, che possono ancora essere varate.
Ma poi, se il Cairo resterà fermo nella sua vergognosa trincea, l’Italia dovrà aprire
capitoli che fanno male. All’Egitto, se si trattasse di frenare il turismo italiano. E anche a
noi, se si dovesse arrivare all’interscambio commerciale, agli investimenti, alle aziende
che operano in Egitto, agli interessi energetici dopo la scoperta da parte dell’Eni del più
grande giacimento del Mediterraneo al largo delle coste egiziane. Dovremmo cambiare
linea, se dalle misure più che altro simboliche la resistenza di Al Sisi ci obbligasse a
passare a quelle ben diversamente sostanziali? Tale è l’interrogativo che si pone in
queste ore, dopo che per bocca dei magistrati egiziani il loro capo ci ha fatto sapere che
non avremo la verità che reclamiamo. La nostra risposta è un no categorico. Per due
motivi. Il principale riguarda l’Italia, la sua sacrosanta fermezza, la necessità a questo
punto di dimostrare che siamo capaci di coerenza e di rivolta contro un crimine orrendo
quale che ne sia il prezzo. E anche perché, se Roma terrà duro, la posizione di Al Sisi si
andrà indebolendo all’interno come sulla scena internazionale, la trincea forse non
reggerà, e allora potrebbe apparire ragionevole persino a lui un cambiamento di
strategia. Contro questa speranza depongono gli ingenti aiuti economici che l’Egitto
riceve dalle monarchie del Golfo, che tengono materialmente a galla una economia
disastrata assai più di quanto facciano gli Stati Uniti o i partner europei. Non a caso il re
dell’Arabia Saudita è stato in visita al Cairo proprio in questi giorni, per discutere di
nuove elargizioni. Esiste insomma il pericolo che Al Sisi possa continuare a fare orecchi
da mercante alle esigenze italiane appoggiandosi ad altri salvagente. Ma è qui che deve
intervenire una intensa azione diplomatica italiana che Gentiloni ha peraltro
preannunciato. Se non vogliamo mandare a picco quella che sin qui è stata la
partnership italo-egiziana, se non si vuole che l’Egitto cada in una fase di lotte interne
dalle imprevedibili conseguenze, se si paventa che una nuova instabilità possa favorire i
jihadisti che già agiscono nel Sinai, se fa paura la destabilizzazione ulteriore dell’area
mediterranea che dall’Egitto potrebbe partire, allora servono pressioni diplomatiche
internazionali per convincere gli egiziani a fare quel che è semplicemente il loro dovere.
Dall’Europa, dagli Usa, ma anche dai Paesi del Golfo. E anche da quella Russia che
malgrado la crisi, ora superata, per l’aereo abbattuto dai terroristi nel Sinai mantiene
una discreta influenza sui militari egiziani grazie alle vendite di armi. Dobbiamo provare
a innescare una mobilitazione mirata nella ricerca della verità su Giulio Regeni. Ma se
non ci riusciremo, o se le eventuali pressioni su Al Sisi non avranno esito, dovremo
tenere duro da soli, prima di tutto dentro ognuno di noi.
Pag 5 Le prossime mosse dell’Italia di Fiorenza Sarzanini
Le misure possibili: pressioni internazionali, limiti agli scambi, freni al turismo. Ma il
timore è di colpire anche la nostra economia
Roma. Uno «sconsiglio» formale a recarsi per turismo in Egitto e la sospensione di alcuni
accordi bilaterali, compresi quelli tra università. Ma anche la richiesta a organismi
internazionali come l’Onu o la Banca Mondiale affinché stigmatizzino l’atteggiamento del
Cairo riguardo al rispetto dei diritti umani. Sono queste le «prossime mosse» che
saranno esaminate dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nel corso delle
«consultazioni» con l’ambasciatore italiano Maurizio Massari. È la strada tracciata alla
Farnesina dopo il fallimento del vertice tra magistrati e investigatori che doveva portare
a una collaborazione reale per sapere chi ha rapito, catturato e ucciso Giulio Regeni. In
attesa che l’Egitto fornisca un segnale concreto sulla volontà di riprendere la
cooperazione.
L’ambasciata «vuota» - La «misura» che dà maggiormente il senso di quanto forte sia la
frattura tra i due Paesi è comunque quella visibile dell’ambasciata vuota. La decisione di
richiamare a Roma il rappresentante diplomatico non comporta infatti la chiusura della
sede, ma il fatto che il responsabile sia assente perché deve decidere con il suo governo
quali scelte compiere per «tenere alta la nostra dignità» - come aveva detto nei giorni
scorsi Gentiloni e poi ha ribadito il presidente del Consiglio Matteo Renzi - è un
messaggio che le autorità del Cairo certamente hanno colto. E non gradito. Anche
perché è presumibile che la missione di Massari possa durare una settimana o
addirittura di più, comunque fino a che non ci sarà un cambio di rotta del Cairo, per
marcare ulteriormente l’irritazione dell’Italia per un atteggiamento del regime guidato
dal generale Abdel Fattah al Sisi ritenuto «ostile». Le «consultazioni» cominceranno
martedì mattina, al ritorno di Gentiloni dal G7 in Giappone. E serviranno a valutare tutti i
provvedimenti possibili e attuabili in tempi brevi per reagire in maniera efficace alla
situazione di grave crisi che si è creata dopo il rifiuto degli inquirenti egiziani a fornire ai
colleghi italiani i documenti originali del fascicolo d’inchiesta, primi fra tutti i tabulati
telefonici relativi alle persone coinvolte nell’indagine, ma anche quelli che hanno
«impegnato» le celle della zona dove Giulio Regeni è stato sequestrato e di quella dove è
stato ritrovato il suo cadavere martoriato. Proprio per scoprire se ci fossero appartenenti
agli apparati di sicurezza o comunque utenze presenti in entrambi i luoghi.
Gli accordi economici - Ci si muove su due tavoli. L’Italia tiene al momento separata
l’azione diplomatica da quella strettamente economica, consapevole del rischio altissimo
che numerose aziende possano essere danneggiate da una rottura definitiva dei rapporti
commerciali. Ma l’intenzione - almeno a leggere le parole che il ministro pronuncia
mentre è in missione in Giappone per il G7 - è quella di mantenere una linea dura, di
onorare l’impegno preso con la famiglia del ricercatore catturato il 25 gennaio scorso e
ritrovato cadavere in un fossato il 3 febbraio. E di evidenziare il mancato rispetto da
parte delle autorità egiziane delle istituzioni italiane, visto che il procuratore di Roma
Giuseppe Pignatone aveva accettato di recarsi al Cairo con il sostituto Sergio Colaiocco
per incontrare il procuratore generale Nabil Ahmed Sadek e in quella sede aveva
ricevuto assicurazioni sulla volontà di fornire massima cooperazione, mentre due giorni
fa c’è stata una clamorosa retromarcia. Ecco perché ci si rivolgerà all’Onu, ma anche
all’Unione Europea affinché affianchino l’Italia nella denuncia della violazione sistematica
dei diritti umani degli stranieri da parte degli appartenenti al regime. E perché si
sospenderanno le intese nei settori della cultura, dell’università, del turismo. Sperando
che questo serva ad ottenere un risultato nella ricerca della verità.
Pag 6 Per l’80% il governo ora è meno credibile ma i più condividono le parole
del premier di Nando Pagnoncelli
La vicenda che ha portato alle dimissioni il ministro dello Sviluppo economico Federica
Guidi è stata seguita dagli italiani con più attenzione del solito: il 57% la conosce nei
dettagli (11%) o nelle sue linee generali (46%), il 32% ne ha solo sentito parlare
mentre una stretta minoranza (11%) la ignora. Si tratta di una vicenda che suscita
attenzione non tanto per le dimissioni di un ministro (non è un fatto inedito, neppure in
un governo come quello attuale nato all’insegna del cambiamento), quanto per il tema
che tocca (l’ambiente) e per il discusso rapporto tra lobby e politica, cioè le pressioni che
i portatori di interessi economici esercitano su chi è chiamato a prendere le decisioni.
Infine, dato che al centro dell’inchiesta della procura di Potenza ci sono le attività
estrattive nel sito di Tempa Rossa, si ritiene che la vicenda potrebbe avere riflessi sul
referendum «delle trivelle» che si terrà il 17 aprile e fino a poche settimane fa non
risultava molto conosciuto. Tutti questi aspetti inducono a credere che l’inchiesta della
procura di Potenza potrà intaccare la credibilità del governo Renzi in misura significativa
(il 39% è di questa opinione) o almeno in parte (41%). Sono soprattutto gli elettori dei
partiti di opposizione a prefigurare (o auspicare) che la vicenda possa ripercuotersi
negativamente sull’immagine dell’esecutivo. Questo rischio sembra avere indotto Renzi
ad esporsi in prima persona mettendoci la faccia, come ama ripetere, accollandosi ogni
responsabilità ed adottando una strategia comunicativa «d’attacco». In particolare, il
premier ha respinto l’accusa di aver sostenuto interessi lobbistici, affermando che
l’emendamento adottato dal governo è stata una decisione utile per il Paese perché
sbloccava lavori fermi da anni. Inoltre, ha espresso valutazioni critiche sulla
magistratura, invitandola a indagare senza indugio, giungendo rapidamente a una
sentenza senza metterci degli anni. Sono due argomenti che hanno convinto la
maggioranza di coloro che hanno seguito la vicenda, infatti il 58% si dichiara molto
(21%) o almeno in parte (37%) d’accordo con quanto detto da Renzi. Come a dire «il
governo rischia di uscirne male ma gli argomenti di Renzi mi convincono». E il premier
sembra avere fatto breccia anche presso gli elettori dei partiti di opposizione: tra quelli
di Forza Italia il 10% si dichiara molto d’accordo e il 40% lo è almeno parzialmente; tra i
leghisti il 14% e il 37% e tra i pentastellati il 19% e il 22%. D’altra parte Renzi ha
toccato due temi «sensibili» presso l’opinione pubblica, ciascuno caratterizzato da
convinzioni largamente diffuse: il primo riguarda l’immobilismo del Paese, le pastoie
burocratiche, i freni alla crescita, il decidere di non decidere. Pur con le riserve sul ruolo
delle lobby e sui rapporti personali tra portatori di interesse e il ministro Guidi messi in
luce dalle intercettazioni, i provvedimenti che sbloccano le situazioni sono ben visti dai
cittadini. Il secondo riguarda il tema della giustizia: un tema per lungo tempo
fortemente «politicizzato», associato al conflitto tra Berlusconi e i giudici. Gli italiani
tifavano per l’uno o per gli altri indipendentemente dal merito delle questioni. Dopo il
declino politico di Berlusconi si è registrato un cambiamento di prospettiva: i cittadini si
mostrano sempre più insofferenti nei confronti dei tempi lunghi dei processi, delle
prescrizioni dei reati, della imprevedibilità delle sentenze. Non a caso la fiducia nella
magistratura oggi è scesa sotto il 50% mentre fino al 2010 si attestava al di sopra del
70%. La comunicazione di Renzi quindi è apparsa nel complesso efficace e i giudizi sul
governo, nonostante i pronostici degli italiani, al momento non sembrano aver risentito
dell’inchiesta di Potenza. Il barometro settimanale di Ipsos sui giudizi positivi fa segnare
solo una lieve flessione dal 40,8 al 40,4. E anche le intenzioni di voto per i partiti non
hanno fatto registrare cambiamenti di rilievo. Insomma, il premier sembra aver limitato i
danni.
LA REPUBBLICA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 Le vette di Francesco e la palude dove Renzi annaspa di Eugenio Scalfari
Dell’esortazione apostolica post sinodale di papa Francesco diffusa venerdì in tutto il
mondo cristiano con il titolo "Amoris Laetitia" sull'amore nella famiglia, il nostro giornale
ha ampiamente parlato. Ne hanno scritto Alberto Melloni, Marco Ansaldo, Paolo Rodari,
cogliendone gli aspetti essenziali che distinguono quelle pagine ancor più di altre che le
hanno precedute nei tre anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio. A me resterebbe
ben poco da aggiungere perché condivido i resoconti di quel documento e l'analisi e
l'interpretazione che quei colleghi ci hanno dato. Ma il significato, a mio avviso, è assai
più ampio del tema ed è questo che desidero esaminare. Di papa Francesco sono amico
e ancora quattro giorni fa ha avuto la bontà di telefonarmi poiché compivo i miei 92 anni
e lui lo sapeva e ne ha detto delle parole molto affettuose; ma non è per questo nostro
legame sentimentale che oggi scelgo la sua Esortazione come primo tema di cui
occuparmi. Questo documento è un ulteriore passo avanti della Chiesa, che Francesco
rappresenta e guida, verso l'ammodernamento, quello che lui chiama l'inculturazione. La
citazione è questa: «Non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono esser
risolte con interventi del Magistero. In ogni paese o regione si possono cercare soluzioni
più inculturate perché le culture sono molto diverse tra loro, sicché perfino il modo di
impostare e comprendere i problemi, al di là delle questioni dottrinali definite dal
Magistero della Chiesa, non può essere globalizzato…». «Le norme generali presentano
un bene che non si deve mai disattendere, ma non possono assolutamente abbracciare
tutte le soluzioni particolari che non si risolvono a livello d'una norma». La prima e
preliminare constatazione è che l'Esortazione parla il linguaggio dell'esperienza e della
realtà così come Francesco la vede. Quasi tutti i suoi predecessori hanno usato lo stesso
metodo ma, come la storia del Papato ci insegna, la loro realtà mirava soprattutto a
rafforzare il potere di Pietro e l'episodio storicamente più rilevante lo dette Alessandro
III quando ricevette Federico Barbarossa, da lui scomunicato nel corso della lotta per le
investiture. Federico Barbarossa fu costretto a baciargli il piede in ginocchio davanti a lui
e obbligato a quel bacio mormorò: «Non tibi, sed Petro» e Alessandro rispose: «Et mihi
et Petro». Ebbene, al contrario papa Francesco usa la sua esperienza a favore della
Chiesa missionaria, dei poveri, degli esclusi, della struttura orizzontale e sinodale da lui
ascoltata e guidata. Questa è la conclusione preliminare che emerge dalla sua
Esortazione: ascolta, non comanda ma guida verso il futuro. Il documento che stiamo
esaminando parla molto della famiglia e di quest'aspetto che ha dato il tema ai due
Sinodi del 2014 e 2015, i miei colleghi hanno già scritto ieri. Noterò soltanto, a questo
proposito, che la famiglia ha una lunga storia, in parte biblica ed in parte scientifica e
storica. Dalla Bibbia apprendiamo che Giuseppe e i suoi fratelli avevano due ed anche
tre mogli. Quanto alle altre religioni, i musulmani prevedono due o tre mogli, i cinesi
della classe dei mandarini prevedevano a quel tempo fino a cinque mogli. Quanto alla
scienza e alla storia, ricordo che il matriarcato, del quale si occupò anche Lévi-Strauss,
prevedeva un "marito visitante" che metteva incinta la donna sposata, la quale viveva a
casa della propria madre. Il figlio restava con lei e, avendo bisogno anche di un uomo
che esercitasse la patria potestà, lo trovava nel fratello della madre. Il vero padre
genetico poteva certamente vedere il proprio figlio ed amarlo, ma esercitava a sua volta
la funzione di padre in favore dei figli della sorella, con il titolo di "avuncolo locato". Era
insomma lo zio a fare da padre al nipote. Questo fu (e ancora in varie tribù aborigene in
America del Sud e nell'Asia delle grandi isole) il matriarcato. Quanto alla civiltà classica
greco-latina, tra i coniugi esisteva la cerimonia del "ripudio", parzialmente analoga al
divorzio con la differenza che soltanto l'uomo poteva ripudiare la donna, motivando con
le più varie ragioni. La donna poteva coniugarsi ancora, ma non contestare il ripudio che
aveva subito. La storia della famiglia, come si vede, è molto complessa. Quella
sacramentale della Chiesa cattolica non somiglia a quella protestante così come i
sacerdoti celibi non somigliano ai pastori che possono coniugarsi ed avere figli. Ma anche
la famiglia cattolica, legata dal sacramento del matrimonio, non è quella dei primi secoli,
dove infatti il celibato dei presbiteri non era ancora una condizione obbligata. Infine
voglio ricordare che Gesù di Nazareth aveva una singolare visione della famiglia. Ne
parlava positivamente nella sua predicazione, ma per quanto riguardava gli altri e non
se stesso. I Vangeli raccontano addirittura che un giorno, nei pressi di Tiberiade, mentre
era riunito con i suoi seguaci in una casa ospitale fu avvertito che fuori di quella casa
erano arrivati sua madre e i suoi fratelli perché da alcuni mesi lui aveva abbandonato la
casa materna senza più dare notizie di sé. Gesù - dicono quei Vangeli - rispose che lui
non aveva né madre né fratelli e che semmai i suoi parenti erano tutti quei seguaci lì
riuniti e disse a chi l'aveva informato di rimandare a casa loro quelli che avrebbero
voluto vederlo. In un'altra occasione - anch'essa riferita da alcuni evangelisti - ad uno
dei suoi seguaci che gli aveva chiesto licenza di tornare a casa propria per un paio di
giorni perché doveva partecipare al funerale di suo padre, negò solidarietà e volle che
restasse con lui con la frase: «I morti debbono seppellire i morti». Detto tutto ciò
bisogna aggiungere che amò con grandissimo sentimento la madre quando anch'essa
abbandonò la propria casa e lo seguì fino alla morte sulla croce. Fu infatti Maria, stando
alla tradizione e ai Vangeli, che lo seppellì insieme con le altre donne che facevano parte
dei suoi fedeli. Inutile dire che nessuna donna aveva partecipato all'Ultima Cena con gli
apostoli. Tutto ciò è perfettamente comprensibile: Gesù fondava una religione e questo
era il compito che aveva assunto, essendo Figlio di Dio per la tradizione ma anche Figlio
dell'uomo o Messia per gli apostoli o semplicemente uomo per i non credenti. Comunque
fondatore d'una religione, cioè d'un Regno in un altro mondo, come si racconta abbia
detto nel suo dialogo con Pilato. L'Esortazione di Francesco parla molto anche di Cristo in
vari capitoli di quel documento, a cominciare dall'inizio, e vorrei dire perfino dal titolo
che comincia appunto con la parola Amoris. E che cos'è per la Chiesa e per Francesco
l'Amore se non Gesù Cristo? Ecco. Qui siamo ad un punto fondamentale. Cristo è Amore,
Cristo è l'articolazione cattolica dell'Unico Dio. Un'articolazione trinitaria condivisa anche
da gran parte delle chiese protestanti, ma non da tutte. E non condivisa da nessun'altra
religione monoteistica, ebrei e musulmani. In che cosa consiste quest'affermazione, anzi
questa fede, per la Seconda Persona della Trinità? Se è il Figlio che partecipa in modo
distinto al Dio Unico denominato Padre, significherebbe che il Padre, oltre all'Amore
rappresentato dal Figlio, ha anche altre funzioni, altri attributi. Quali? Giudice del bene e
del male? No, perché secondo la tradizione al Giudizio universale i tre elementi della
divinità partecipano al completo e semmai è proprio Cristo che giudica, in presenza del
Padre e dello Spirito Santo. Allora il Padre è vendicativo? No, la religione esclude questo
attributo. È dunque il Creatore? Sì, il Creatore è il Padre e non il Figlio. Ma se il Figlio è
soltanto un'articolazione della Divinità trinitaria, non può non essere anche lui partecipe
della creazione. Né si può separare il perdono dalla Misericordia. Tutti questi attributi
stanno insieme. La Misericordia soprattutto e l'Amore che ad essa è strettamente
collegato. A questo punto - ma qui esprimo un mio pensiero che non so se posso
attribuire anche a papa Francesco - Cristo è semplicemente un modo di chiamare
l'Amore. Amore degli uomini verso Dio e Amore di Dio verso gli uomini e Amore degli
uomini verso il prossimo. Lo chiamano Cristo, ma è soltanto un nome che significa
Amore. Papa Francesco la pensa così? Non gliel'ho mai chiesto e mai glielo chiederò ma
secondo me sì, pensa questo poiché la sua ovvia verità e fede è nel Dio Unico. Non solo
per i monoteisti ma per tutte le religioni esistenti. Per tutto l'universo del quale facciamo
parte. La sua fede è il Creatore e le cose create, dalle stelle alle particelle elementari,
allo spazio e al tempo, all'eternità e al costante mutamento, alla nascita e alla morte. Il
Creatore è tutto e la fede, per chi ce l'ha, è nel Creatore. Mi azzardo a dire che se
leggete con attenzione alcuni passi dell'Esortazione, questo è il pensiero e la fede di
papa Francesco. Ed è questo tipo di fede che a tutti lo rende caro. Affronterò ora, più
brevemente, il secondo tema di questo mio esercizio domenicale, interamente diverso
dal primo ma forse più vicino a ciò che accade intorno a noi: Matteo Renzi dopo le
dimissioni della Guidi e quel che le ha precedute e seguite. Renzi è sempre forte?
Sempre insostituibile? Sempre imbattibile? Oppure sta attraversando una fase di
turbamento e indebolimento? Una fase che potrebbe determinare gravi sconfitte alle
prossime elezioni amministrative, con conseguenze importanti anche sui referendum,
sulle riforme, sulla popolarità del Pd e del suo Capo? Ricordo che domenica scorsa parlai
a lungo di questi problemi e anche di altri: l'Europa, il terrorismo, la Libia ma anche la
corruzione, l'affarismo, le clientele. E paragonai per certe assonanze manipolatorie Renzi
a Giovanni Giolitti. Quest'ultima parte del mio sermone domenicale è stata molto
criticata soprattutto per la statura di padre della Patria che alcuni (studiosi?)
attribuiscono a Giolitti. Ho già risposto ad alcuni di loro, ma poiché non si sono fatti vivi
pubblicamente, eviterò di rispondergli oggi e qui. Riservo le risposte se formuleranno in
pubblico le loro obiezioni. Dunque il Renzi di questi giorni. È più debole? Sì, lo è. Per
quale motivo? Direi con una parola l'affarismo che viene attribuito al suo modo di
governare. Ne ha parlato Stefano Folli sulle nostre pagine e Antonio Polito sul Corriere
della Sera di ieri. Sì, l'affarismo c'è nel governo Renzi ed è un affarismo connesso con la
corruzione. Non credo che riguardi Renzi personalmente, ma certo permea molto da
vicino il governo da lui guidato e per di più con uno stile di comando molto diffuso
nell'Occidente democratico ma con scarsi e deboli contropoteri. Al Renzi dopo oltre due
anni di governo che ha attraversato varie fasi nel bene e nel male, meritando giudizi
positivi e negativi (più i secondi che i primi) faccio oggi le seguenti osservazioni e pongo
le seguenti domande: 1. È al corrente del malaffare che pervade alcuni settori del suo
governo e delle sue immediate vicinanze. E perché se è al corrente, non ha preso i
necessari provvedimenti? Il caso Guidi è parlante da questo punto di vista e non basta
relegarlo in un episodio ben risolto dalla stessa protagonista. Sarà forse senza reato, ma
non è certo senza peccato e la politica i reati li lascia ai magistrati ma i peccati spetta a
lei impedirli e sanzionarli. 2. La politica della flessibilità ha raggiunto punte molto alte
ma ormai non oltrepassabili. Era sembrato di capire che Renzi avesse accettato la
creazione del ministro del Tesoro dell'Eurozona, con poteri propri ed una politica
orientata verso la crescita. Renzi aveva accolto quella proposta e l'aveva anche
"consacrata" in un apposito documento, inviato a tutte le Autorità europee e illustrato al
Partito socialista europeo. Ma poi non ne ha più fatto cenno proprio nei giorni in cui
Draghi ne ha riproposto la necessità e insieme a lui il governatore della Banca centrale
francese in un'intervista di ieri sul nostro giornale. Come si spiega questo silenzio
renziano? 3. Il dilagante terrorismo del Califfato richiede con la massima urgenza una
polizia federale europea sul solco del Fbi americano e con un ministro dell'Interno
europeo con tutte le attribuzioni che quella carica comporta. Renzi, da me interrogato
domenica scorsa, non ha risposto, sembra che il tema non lo interessi. Come mai?
Continuiamo ad andare avanti alla cieca sul terrorismo? 4. Renzi ha insultato più volte in
questi giorni la procura di Potenza che sta indagando su eventuali reati inerenti alle
trivellazioni e agli scavi per il petrolio in Basilicata e nelle costiere della Puglia. È un buon
comportamento insultare la magistratura? 5. Infine: le notizie più recenti sull'andamento
del deficit di bilancio, sull'occupazione, sul debito pubblico, non sono delle migliori. Molte
previsioni ottimistiche sono state smentite dai fatti. Per quali ragioni? Con quali
provvedimenti che consentano una via d'uscita? Personalmente avevo registrato alcuni
miglioramenti della politica interna ed estera di questo governo e ne avevo dato atto.
Oggi vedo un logoramento che non dipende dagli avversari che sono sempre gli stessi,
ma da un auto-affievolirsi della forza di spinta. Auguro necessari interventi che ridiano
forza al Paese e all'Europa di cui facciamo e dobbiamo far parte perseguendone l'unità e
la federazione, almeno nell'Eurozona. Dobbiamo ampliare il respiro della nostra politica
nazionale per poter dire che siamo europei e sempre lo saremo e che su questo terreno
chi non è con noi peste lo colga.
Pag 1 Il Paese dei veleni diviso e indeciso di Ilvo Diamanti
Grillo ora tallona il Pd e vincerebbe al ballottaggio, è l’effetto delle inchieste
Testo non disponibile
AVVENIRE di domenica 10 aprile 2016
Pagg 20 – 21 Politica, vita, libertà. Sorella sinistra dove sei? di Alessandro Zaccuri
I forum di Avvenire
L’episodio risale alla metà degli anni Ottanta. Roma, Botteghe Oscure, riunione del
Comitato centrale del Partito comunista italiano. Viene presentata una mozione sul tema
dell’eutanasia, ma il segretario di allora, Alessandro Natta, suggerisce di accantonare
l’argomento, che richiederebbe di essere meglio approfondito. Cesare Luporini, Nicola
Badaloni e gli altri intellettuali presenti alla seduta concordano. Allora forse era troppo
presto per parlarne. Oggi, sotto certi aspetti, sembrerebbe quasi troppo tardi. Bioetica,
biopolitica, identità personale e visione della famiglia sono questioni che interrogano
tutto il Paese, sottolinea il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, nella sua
introduzione al forum tenutosi martedì 5 aprile presso la redazione romana del nostro
quotidiano, pochi giorni prima della pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris
laetitia. Eppure, prosegue Tarquinio, è in particolare la sinistra italiana a essere
interpellata dall’intreccio, sempre più complesso, fra solidarietà e libertà, fra cultura del
limite e vertigine della possibilità. Vale per la normativa sulle unioni civili, vale per le
nuove forme di adozione, spesso indistinguibili dalla maternità surrogata, vale per la
manipolazione genetica e per l’eutanasia. Quattro gli interlocutori riuniti attorno al
tavolo. Anzitutto lo storico Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, a lungo
deputato Pci e firmatario, nel 2011, dell’appello che proponeva di rileggere “da sinistra”
il quadro dell’emergenza antropologica tracciato con estrema precisione da Benedetto
XVI. Tra i “marxisti ratzingeriani” (così li definì la stampa) che sottoscrissero il
documento c’era anche un altro degli interlocutori del forum di “Avvenire”, il sociologo
Paolo Sorbi, docente di Psicologia politica all’Università Europea di Roma. Due, infine, i
rappresentanti del Partito Democratico: il deputato Gianni Cuperlo (è lui a rievocare
l’aneddoto di cui abbiamo dato conto all’inizio) e il senatore Stefano Lepri. Sensibilità
politiche e personali differenti, tutte ugualmente chiamate in causa dall’incalzare di
trasformazioni che, dai laboratori del pensiero e della ricerca scientifica, hanno ormai
invaso la nostra quotidianità.
AVVENIRE: Partiamo dalla cronaca: sul tema della maternità surrogata si sta registrando
una singolare convergenza fra le posizioni dei cattolici e quelle di molti (e molte)
intellettuali di sinistra. Come spiegarlo? È la premessa di una fase nuova o l’eredità di
una tradizione altrimenti trascurata? Vacca: «Di sicuro ci stiamo misurando con temi che
non nascono oggi, ma che sono l’effetto di un processo più che trentennale. Alla base
della globalizzazione sta, come sappiamo, la messa in discussione delle frontiere
nazionali. Con un duplice effetto: da un lato una maggior circolazione di ricchezze, merci
e persone; dall’altro una forte asimmetria tra cultura globalizzata e culture locali. Una
delle conseguenze di questo assetto è la crisi dell’obbligazione, ossia del patto, che si
configura come crisi della libertà. Pur rimanendo intimamente connesse l’una all’altra in
punto di dottrina, obbligazione e libertà risultano ormai sconnesse nella prassi.
L’orizzonte attuale rimanda a una libertà senza fondamento, in una prospettiva per cui
risulta del tutto accettabile l’idea di esigere una qualunque libertà senza contrarre una
corrispondente forma di obbligazione. Rescisso questo legame, è il concetto stesso di
sovranità a entrare a sua volta in crisi. In una democrazia funzionante l’obiettivo
specifico della politica dovrebbe consistere nel mettere i cittadini nella condizione di
esercitare la loro sovranità in relazione alla tutela della vita in ogni sua fase: origine,
conservazione, riproduzione. I modi di questa tutela evolvono e con essi dovrebbe
evolvere anche la nostra responsabilità nel decidere. Ma per fare questo occorre riferirsi
a un punto di partenza condiviso, occorre stabilire con chiarezza i termini della
questione. Ciò che non avveniva, per essere chiari, nella stesura originaria del decreto
Cirinnà, nella quale la pratica dell’utero in affitto finiva per essere introdotta in modo
surrettizio, senza essere minimamente dibattuta. Fatto ancora più grave se si considera
che opporsi alla maternità surrogata non significa soltanto denunciare la mercificazione
del corpo femminile, ma difendere nel loro insieme le conquiste di quello che è stato
giustamente definito “il secolo delle donne”».
Cuperlo: «Nell’addentrarmi in punta di piedi in una discussione tanto delicata, avverto
l’esigenza di un altro chiarimento preliminare. Di che cosa stiamo parlando,
esattamente? Del modo in cui emergenza antropologica e crisi della politica si
intrecciano nella riflessione a proposito della vita? Oppure di un contesto più vasto,
comprendente tematiche comunque sensibili dal punto di vista etico, ma non
direttamente connesse a vita e morte? Penso alla ricerca sulle cellule staminali
embrionali, che in Italia è regolata dalla legge 40 del 2004. Ma quali sono le effettive
implicazioni di una normativa nazionale a fronte di una situazione internazionale che
vede, nella fattispecie, la Cina molto avanti in questo tipo di sperimentazione? Ci
rendiamo conto che il conflitto fra cittadinanza nazionale e cittadinanza globale è
destinato a degenerare in un classismo di nuovo tipo? Chi ha i mezzi si cura, anche
all’estero. Chi non dispone di risorse deve invece rinunciare. Mi sto facendo molte
domande, me ne rendo conto. Ne aggiungo un’altra, in forma retorica: tutto ciò che è
possibile è anche lecito? Da uomo di sinistra rispondo di no, nel modo più categorico.
Bisogna contrastare la mercificazione in ogni sua forma e nella maternità surrogata, così
come viene praticata in molti Paesi, è presente un intollerabile elemento di violenza. Ma
che cosa succede quando alla logica della compravendita subentra quella del dono?
Siamo sicuri di poter escludere con la stessa determinazione l’eventualità che una
donna, per libera scelta, porti a termine la gravidanza a posto di un’altra? Non esistono
invece occasioni ancora inesplorate nelle quali il dono si realizza come servizio reso a
una nuova vita?»
Lepri: «Così come la crisi attuale non può essere ricondotta a un’unica origine, anche la
sinistra italiana non si riduce un solo filone. Lo abbiamo constatato proprio in occasione
del dibattito sul decreto Cirinnà, il quale è emerso il ruolo di quanti all’interno del Pd si
richiamano alla lezione del cattolicesimo democratico. Ed è grazie a questo apporto che
in Italia la vicenda della maternità surrogata ha avuto un esito in parte diverso da
quanto è avvenuto altrove. Non dobbiamo dimenticare, però, che su questioni tanto
articolate anche il vecchio Pci era solito tenere un atteggiamento di grande prudenza.
Fra tanti temi e tante sfide che competono alla sinistra, credo che vada sottolineata con
forza la necessità di tutelare lo spazio intermedio che, frapponendosi tra lo Stato e
l’individuo, delinea la dimensione comunitaria e sociale, dalla quale discende la qualità
della vita di ciascuno di noi. Ecco, la mia impressione è che molte delle fragilità e dei
fallimenti di oggi dipendano dall’assenza di questo contesto comunitario che, da ultimo,
si identifica con la famiglia. L’insicurezza dei giovani, il loro estraniarsi dalla realtà,
l’indifferenza davanti alla vita sono questioni di cui la politica non può non farsi carico e
che, nello stesso tempo, invocano l’autodeterminazione dei corpi intermedi ai quali
facevo riferimento prima e tramite i quali è ancora possibile un legame efficace tra Stato
e cittadini. La famiglia è il luogo in cui si impara a praticare la giustizia e a rispecchiarsi
nella fraternità, in primo luogo. E un discorso analogo si potrebbe fare per quanto
riguarda la sfera dei diritti, anch’essi strettamente connessi alla vita familiare. Il diritto
del figlio ad avere un padre e una madre non può essere delegato all’intesa tra coniugi o
conviventi. È di questa visione dei diritti in chiave relazionale che la sinistra dovrebbe
preoccuparsi nel momento stesso in cui esige una maggior equità sul piano economico.
In caso contrario, corriamo il rischio di essere travolti e vanificati».
Crisi della sovranità, contesto sovranazionale, eredità cattolico-democratico: come è
possibile fare sintesi di tutto questo?
Sorbi: «Forse ammettendo che in questo momento in Italia convivono due sinistre, una
di impianto più tradizionale e l’altra ormai postideologica. Realtà diverse tra loro, certo,
ma per la nostra discussione è più importante concentrarsi sui possibili punti d’intesa e
di contatto. Si tratta di un obiettivo che, all’interno del Pd, è stato affrontato a più
riprese anche prima dell’attuale segreteria, sempre con l’intento di ridefinire i contorni di
un umanesimo condiviso. Il dissidio è quello che conosciamo e che giustamente è già
stato richiamato: la cultura del limite contrapposta alla spinta potenziale che sembra
trascinarci oltre ogni limite. È un problema di sinistra? Certo che sì, se non altro perché
il mondo della scienza è sempre più contaminato da una visione affaristica che, per
comodità, possiamo riassumere nella figura del biologo e magnate Craig Venter.
Brevettare il codice genetico, cioè brevettare la vita, è l’apice dell’alienazione, ed è un
processo impressionante, con il quale molti di noi non avrebbero mai immaginato di
doversi misurare. Nel suo complesso, inoltre, la sinistra europea sta dimostrando una
sensibilità molto minore rispetto a quella della sinistra italiana. Da noi al centro del
dibattito non c’è più il problema di classe, ma l’attenzione al dilagare di fenomeni
biopolitici che interessano il singolo individuo, la famiglia e, in definitiva, il popolo stesso.
Frangente cruciale, perché c’è sempre il rischio che da una laicità correttamente intesa si
passi a un laicismo esasperato, che non intende e non produce ragioni al di fuori delle
proprie. E questo, insisto, è un dato che dovrebbe mettere in allarme proprio la sinistra,
come ho avuto modo di constatare di recente. Se si sceglie il punto di osservazione del
sindacato, ci si accorge subito quanto la cosiddetta “cultura dei diritti” sia percepita
come elemento borghese e conservatore, che coinvolge anche i ceti meno abbienti. La
disparità di censo non gioca, a mio avviso, un ruolo determinante. Viene prima la crisi
della famiglia e prima ancora è stata la crisi della persona ad aver scatenato il
fenomeno: rinnegata la centralità della persona, i diritti perdono il loro assetto
organico».
Dai vostri interventi emerge un elemento che ricorre spesso anche nel magistero di papa
Francesco: il predominio delle tecnoscienze, che in alleanza con l’economia finiscono per
commissariare la stessa agenda politica. È questa la nuova forma di egemonia dalla
quale dobbiamo stare in guardia quando affrontiamo i temi della vita?
Vacca: «Il dramma è che non esiste alcuna egemonia. Bene, si dirà, allora chiunque può
fare quello che vuole. Non è neppure così. Solo chi può fa quello che vuole, quale che sia
il suo desiderio del momento. Non si riesce più a comprendere un principio che suona
del tutto elementare per un comunista togliattiano come me: la manipolazione della vita
non si consuma in sé, ma è l’altra faccia, solitamente nascosta, della guerra. Togliatti
stesso lo afferma con chiarezza nel 1963, con il celebre discorso di Bergamo al quale
sarebbe bene ritornare di questi tempi. Non è più e forse non è mai stato un problema di
destra o di sinistra. Quello che sta accadendo chiama in causa la nostra comune umanità
e, di conseguenza, la visione della politica. Perché l’alternativa non lascia scampo: o la
politica ha a che fare con la pace e con la vita, oppure è destinata ad occuparsi degli
aspetti residuali della convivenza tra gli esseri umani. Forse qualcuno non se n’è ancora
accorto, ma in questo momento l’Europa (la stessa Europa tanto impegnata dal dibattito
sui diritti civili) è accerchiata dal fuoco delle guerre di sterminio, del terrorismo, delle
pulizie etniche. Possibile che non si avverta l’urgenza di partire da qui? La logica
sovranazionale, se ha un senso, lo ha appunto nella prospettiva per cui i problemi della
vita, come quelli della pace, richiedono una straordinaria ampiezza di visione. Quanto
alla categoria del dono, mi pare che per sua stessa natura si sottragga alla necessità
della norma. Ciò che viene donato è destinato a non sottostare alle regole e non vedo
come questo potrebbe avvenire in materia di maternità surrogata. Non diversamente
dagli altri processi ai quali abbiamo fatto riferimento, poi, anche la crisi dei corpi
intermedi non è una novità. La politica ha da tempo smesso di occuparsene, camuffando
il proprio disinteresse sotto la formula dell’autonomia, che fuori dall’ambito
amministrativo a me pare francamente priva di senso. D’accordo, abbiamo capito che il
socialismo ha fallito. Motivo per cui dovremmo tornare a parlare di comunismo, credo».
Lepri: «E magari anche di proletariato. Per Marx l’unica ricchezza dei poveri era
rappresentata dai figli, dalla prole. I poveri di adesso non ha neppure questo. Non hanno
figli perché non sanno come sfamarli oppure, quando li fanno, li cedono ad altri. La
bassa natalità è un’emergenza che la sinistra non sta prendendo abbastanza sul serio.
Bene gli aiuti economici e benissimo gli 80 euro, intendiamoci, ma per il resto non ci si
può limitare a fare appello alla discrezionalità della coppia. Allo stesso modo, i due
milioni di bambini che oggi in Italia vivono sotto la soglia di povertà rappresentano per la
sinistra una sfida senza precedenti. Prendersi cura dei figli è un compito che coinvolge
l’intera comunità e in questa affermazione non c’è nulla di “democristiano” o di
“cattolico”, come ancora si insinua a volte. Nessuno obietta quando ci sono da
affrontare, in astratto, le grandi sfide antropologiche, ma nella concretezza quotidiana i
problemi assumono un altro aspetto. È possibile nascere oggi? Ed è possibile crescere?
L’aspetto economico non va sottovalutato, torno a dirlo, ma da solo non basta. In questo
periodo si discute spesso degli strumenti che le amministrazioni comunali stanno
mettendo a disposizione dei cittadini in vista del cosiddetto “divorzio breve”. Non si vede
perché un impegno analogo non possa essere speso per la creazione di consultori
familiari, centri d’aiuto per coppie in difficoltà, sportelli psicologici e di mediazione del
conflitto. Per la politica il sostegno alla famiglia non è un fatto discrezionale. Ce ne
rendiamo conto, per contrasto, quando passiamo in rassegna i costi, umani ed
economici, derivanti dal fallimento di un matrimonio». Sorbi: «Giusto, ma della politica
fa parte il principio di sussidiarietà. Dove non arriva lo Stato, può arrivare l’iniziativa dei
cittadini e delle associazioni. Penso, nello specifico, all’attività a sostegno della famiglia
svolta a Milano dal Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli e ad altre esperienze simili presenti
in varie città del nostro Paese. Concordo, in ogni caso, sulla centralità della famiglia. La
secolarizzazione ha preso a galoppare proprio quando è venuto meno il sistema di valori
condivisi di cui la famiglia è espressione. In assenza di questo, ognuno fa legge a se
stesso, con le conseguenze che conosciamo. Non è un caso che la famiglia sia diventata
oggi oggetto di disputa e di desiderio, senza che si trovi il tempo e il coraggio per
interrogarsi su che cosa sia veramente una famiglia. Non in termini teorici, perché da
questo punto di vista potrebbe anche essere, poniamo il caso, che nulla osti all’ipotesi
dell’omogenitorialità. Ma l’evidenza statistica ci restituisce un quadro molto diverso ed è
al dato di realtà che dobbiamo riferirci». Cuperlo: «Nel dibattito sulla famiglia si
intrecciano questioni in apparenza lontane tra loro, ciascuna delle quali ha una sua storia
e, di nuovo, una sua complessità. Per quanto riguarda il calo della natalità, per esempio,
non mi pare che si consideri abbastanza l’effetto che potrebbe derivare da una politica
più capillare di incentivi all’occupazione femminile. In generale, tutto il versante degli
aiuti economici andrebbe ripensato in profondità. Non discuto il provvedimento degli 80
euro, ma siamo sicuri che i criteri con cui queste risorse sono stati distribuiti siano i più
adeguati alla situazione attuale? Quanto all’omogenitorialità, non è in questione il diritto
a pensare che per un bambino sia meglio essere cresciuto da un padre e una madre
anziché da due padri o due madri. Sono convinto che pensarlo è legittimo, ma imporre il
proprio pensiero agli altri non lo è. Non sono in grado di dire se questo dipenda dalla mia
incapacità di distinguere tra laicità e laicismo. Del resto, confesso di non essere ancora
venuto a capo della diatriba sul nuovo umanesimo di cui avremmo bisogno per far fronte
all’emergenza antropologica di cui stiamo dibattendo. È un mio limite, non me ne vanto.
Resto persuaso che il “vecchio umanesimo”, se così volgiamo chiamarlo, offra ancora
strumenti adeguati per la comprensione del presente. Basta riandare alla stagione
dell’Illuminismo italiano, nella sua duplice declinazione milanese e napoletana: Beccaria
e Genovesi, nascita del diritto moderno e della moderna economia civile. La centralità
della persona, di cui tanto si sente la mancanza, è già qui. E nella regolamentazione
europea, per inciso, sono già presenti i dispositivi che salverebbero la vita ai tanti piccoli
Aylan che muoiono ogni giorno nel Mediterraneo. Abbiamo dimenticato troppi elementi
della nostra tradizione. Parole come “conflitto” e “compromesso” sono evitate, perché
caricate di una connotazione negativa che andrebbe rimossa. Il conflitto fa parte della
nostra esistenza, infatti. E il compromesso è un modo più che ragionevole per
superarlo».
Anche in materia di maternità surrogata? In sede parlamentare non si potrebbe arrivare
a una decisione che, pur salvaguardando le situazioni ormai consolidate, impedisca a
chiunque di comprare un bambino affittando il grembo in cui viene portato?
Cuperlo: «Capisco la domanda, ma in assenza di uno specifico testo di legge non è
possibile rispondere». Lepri: «D’acchito temo che una sanatoria di questo tipo sarebbe
difficilmente applicabile. I genitori dei bambini nati dopo l’entrata in vigore della norma
potrebbero fare ricorso contro la disparità di trattamento. Detto questo, continuo a
pensare che neppure il ricorso alla logica del dono scioglierebbe il nodo relativo
all’origine dell’identità personale».
LA NUOVA di domenica 10 aprile 2016
Pag 1 L’eccessiva prudenza dell’Italia di Renzo Guolo
Come si era compreso sin dall’inizio, il caso Regeni è diventato anche il caso Egitto.
Dopo il fallimento del vertice romano tra magistrati e apparati di sicurezza italiani e
egiziani- null’altro che un tentativo di prendere tempo, ammantato da comportamenti
provocatori e dilatori, da parte della delegazione egiziana -, è evidente che la vicenda
non solo ha i risvolti penali ma investe le stesse relazioni diplomatiche tra Roma e il
Cairo. Relazioni che, sino a pochi mesi fa, erano positive. Come ricordano i numerosi
incontri tra Renzi e al-Sisi; le parole di apprezzamento del presidente del Consiglio per
l’azione di stabilità e di contrasto al terrorismo svolto dal presidente egiziano; la
presenza di una delegazione di imprenditori accompagnata da un ministro negli stessi
giorni dell’omicidio Regeni. Un’apertura, quella italiana, che mirava a influire sull’Egitto
in funzione della crisi libica oltre che a tutelare gli investimenti Eni nel Paese: in
particolare quelli relativi al giacimento di gas Zohr, il più grande del Mediterraneo. La
tragica fine del ricercatore italiano ha messo in discussione quei rapporti. Il richiamo
dell’ambasciatore seguito all’inutile vertice, è il segnale che l’Italia non potrà voltarsi
dall’altra parte in nome del realismo politico. Una politica estera è fatta da interessi e
valori. I primi sono molti ed evidenti; ma non sino al punto da mettere da parte la
necessità di difendere i valori. In questo caso, la tutela dei diritti umani fondamentali.
L’Italia è stata , sin qui, anche troppo prudente. È evidente, infatti, che quanto accaduto
al nostro giovane connazionale non è, solo, il prodotto di un’operazione andata male o
l’azione di una “squadretta” fuori controllo; ma l’esito di un “modello di sicurezza”
fondato sulla persecuzione sistematica degli oppositori. Si tratti di gruppi jihadisti o dei
Fratelli musulmani, di democratici e liberali o di giovani bloggers. In Egitto, infatti, è in
corso una repressione su vasta scala, che ha colpito decine di migliaia di persone,
detenute senza imputazione o, peggio, accusate genericamente di “terrorismo” per il
solo fatto di opporsi al governo. Altre centinaia sono sparite nel nulla. Una repressione
condotta da diversi centri di sicurezza che dall’intensità della “lotta al Nemico” traggono
potere. Come i servizi del ministero dell’Interno, specializzato nel perseguire
l’opposizione; come il servizio che si occupa delle minacce esterne, il Gid; come il
servizio militare, legato alle forze armate. È probabile che non solo il presidente egiziano
ma anche i vertici militari e della sicurezza siano perfettamente a conoscenza di come
sono andate le cose nell’assassinio di Regeni, ma non siano in grado- pena il far
deflagrare la resa dei conti tra apparati, con tanto di rivelazioni su altre scomode
sparizioni interne- di offrire all’Italia una soluzione che consenta davvero di fare giustizia
a al contempo di garantire gli equilibri interni agli apparati della forza. Al Cairo alcuni
puntano il dito in direzione del ministero dell’Interno, e in particolare del generale
Khaled Shalaby, già condannato nel 2003 per aver torturato a morte un arrestato e
falsificato i rapporti di polizia, reintegrato dopo la sospensione della sentenza. Ma le
“vacanze romane” della delegazione egiziana mostrano che, almeno sin qui, il Cairo fa
muro. Magari in attesa di dare in pasto all'Italia, dopo la farsa della “banda di rapitori”
comunque brutalmente eliminata, un uomo di secondo piano del servizio “perdente”.
Quanto a Roma, dopo il richiamo dell’ambasciatore Massari deve decidere quali siano le
ulteriori misure “proporzionali” da adottare. Posto che la rottura delle relazioni
diplomatiche non è consigliabile, se passasse una linea minimalista, a essere sospesi
sarebbero i programmi culturali e di collaborazione universitaria; se si agisse con più
forza, l’Egitto potrebbe essere dichiarato «Paese non sicuro»: il che avrebbe effetto sul
turismo, già in crisi per effetto dello jihadismo interno. Difficile, invece, che vengano
adottate misure commerciali come le sanzioni: sarebbero contrari sia le grandi imprese
come l’Eni sia i molti imprenditori medi e piccoli che hanno investito nel Paese. In ogni
caso si apre una crisi in cui nessuna delle parti sa dove si colloca il punto di caduta.
Pag 1 Il bottino delle ruberie nella sanità di Francesco Jori
Il corpo umano ridotto a bancomat di un’anonima malfattori pubblici e privati. Avvilisce
ed indigna, il quadro sul saccheggio della sanità proposto da Raffaele Cantone,
presidente dell’Anticorruzione: perché rivela che la salute è diventata, per ricorrere alle
sue testuali parole, «il terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma». I
quali lucrano con spietato cinismo sull’intera filiera della vita, dalla culla alla bara. Ogni
passaggio è buono per gonfiarsi le tasche: le liste d’attesa, l’acquisto di materiali, gli
appalti, le attrezzature, i farmaci, le pulizie, il cibo, gli interventi operatori inutili ma
redditizi. La spoliazione del malato e della sua famiglia non si arresta di fronte a nulla:
apre perfino le porte delle camere mortuarie, come hanno rivelato pochi mesi fa le
impietose cronache romane. Le cifre di Cantone parlano da sole. Negli ultimi cinque
anni, nel 37 per cento delle Asl, le aziende sanitarie locali, si sono registrati episodi di
corruzione: come dire una su tre. Tre dirigenti su quattro segnalano il rischio concreto
che altri se ne verifichino nelle loro strutture. Le ruberie in serie costano allo Stato 6
miliardi di euro l’anno. Per non parlare del miliardo che le Asl continuano a sprecare, alla
faccia del controllo della spesa. Non è un virus recente, tutt’altro. La cronistoria della
Grande Abbuffata della salute viene da lontano e pullula di predoni: qualcuno racconti ai
ventenni di oggi, che non possono conoscerlo, chi era Duilio Poggiolini, il “grand
commis” dei farmaci nella cui casa di Napoli, nascosti tra un divano e un materasso,
vennero trovati lingotti, gioielli e soldi in quantità tale che ci vollero dodici ore per
catalogarli; per non parlare dei 15 miliardi di lire custoditi in un conto svizzero della
moglie. Il banchetto continua: basta digitare su Google la voce “scandali sanità” per
trovare 298mila risultati, cui se ne aggiungono altri 308mila alla specifica “scandali Asl”.
Un bottino incamerato grazie a una serie di fanti e fantaccini cresciuti all’ombra della
peggior partitocrazia, e senza neppure lasciar stare i santi: da Sant’Andrea a Santa Rita,
da San Carlo a San Raffaele, da San Giuseppe a San Pio X, l’elenco delle cliniche finite
sotto inchiesta rappresenta un turpe martirologio arrivato ad inquinare financo il
Paradiso. Giocare con i nomi è diventato del resto un malvezzo che finisce per cedere a
un’involontaria autoironia. Come successo in Lombardia, dove le Asl sono state
ribattezzate Ats, aziende per la tutela della salute. Di quale tutela si tratti, lo rivelano le
millanta inchieste sulla sanità di una Regione dove dalla giunta Formigoni a quella
Maroni le flebo di denaro sporco sono andate - è il caso di dirlo - letteralmente a ruba; e
dove c’è chi è riuscito a farsi assegnare titoli ben poco onorifici, tipo quello di Lady
Dentiera, la “dama delle gengive” che in una telefonata intercettata spiega di avere «alle
spalle 30 anni di marchette»: i beneficiari ringraziano. Di quale portata sia il caso
lombardo, l’ha comunque delineato in modo netto qualche giorno fa il pubblico ministero
di Milano del processo Maugeri, la Fondazione accusata di avere versato all’ex presidente
Formigoni quelle che la procura chiama tangenti e che lui ha derubricato a gentili
omaggi: «Un gruppo di criminali ha guidato la Regione Lombardia; ha rubato soldi alla
sanità pubblica destinati ad accorciare le liste d’attesa e migliorare le prestazioni. Soldi
rubati da chi avrebbe dovuto tutelarla». Ats, appunto. Sono episodi che tristemente si
ripetono, giù giù per questo malconcio e sdrucito stivale che è l’Italia. Dove ci si vede
costretti perfino a riabilitare il vituperato sceriffo di Nottingham. Quello, rubava ai poveri
per dare ai ricchi. Questi, per il proprio tornaconto deprederebbero perfino la mamma.
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CORRIERE DELLA SERA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Lotta ai corrotti, non al mercato di Antonio Polito
L’inchiesta, i tabù e gli alibi
A leggerli così, mescolati in quella secrezione delle nostre vite che sono le nostre
peggiori telefonate (tanto quelle belle, corrette, trasparenti, nel faldone di un’inchiesta
non ci arrivano, e dunque nessuno le conoscerà mai) viene da pensare che gli affari
siano sempre affarismo. Non è vero. E dovremmo dirlo, perché già viviamo in un Paese
pieno di pregiudizi contro il business. Già sembriamo una repubblica di Banana (Build
Absolutely Nothing Anywhere Near Anything) ostile a ogni calcestruzzo, in cui la
produzione di qualsiasi forma di energia, dal nucleare alle pale eoliche, dal gas agli
inceneritori, solleva proteste e veti ecologisti. E invece tutte quelle parole che ci fanno
sobbalzare nelle intercettazioni, contratto, gara, appalto, soldi, non sono lo sterco del
demonio, non sono sinonimi di imbroglio e truffa. Gli affari fanno girare il mondo, o non
lo fanno girare. Quando a fine anno piangiamo per lo scarso Pil o la forte disoccupazione,
quando ci lamentiamo perché il Sud è vent’anni indietro, non facciamo altro che tirare le
somme di troppi pochi affari, transazioni, vendite, acquisti, opere pubbliche e private.
Per questo è difficile dare torto a Renzi quando rivendica al governo, con quell’aria di
sfida ai magistrati di Potenza, la responsabilità politica di sbloccare gli investimenti,
accelerarne l’iter, produrre lavoro. La corruzione va combattuta senza quartiere e senza
riguardi, perché è distruttiva del mercato. Ma guai se pensassimo di stroncarla
stroncando gli affari. La qualità della nostra vita e il nostro stesso reddito dipendono dal
livello di sviluppo e di tecnologia del Paese in cui viviamo. Non diamo alibi a chi sogna di
sostituire il mito del regresso a quello del progresso. Però proprio un governo che vuole
finalmente rompere il tabù degli affari deve cercare antidoti più forti all’affarismo. Non
basta la giustificazione del «fare» per esorcizzarlo. L’inchiesta di Potenza, facendoci
guardare dal buco della serratura nelle stanze dove si decide, demolisce l’idea che
centralizzare e personalizzare il potere possa tagliare le unghie all’affarismo. Se mai c’è
stata, l’illusione dell’uomo solo al comando della nave si è dimostrata incapace di
eliminare il caotico affollarsi degli interessi giù nella sala macchine, dove ministri,
sottosegretari e capi di gabinetto restano esposti, e forse anche più esposti quanto
minore è la loro personalità e il loro peso nella collegialità del governo, alla pressione
delle lobby. E così finiscono per combattersi, rubarsi competenze, costruire cordate,
perfino in un governo del premier, virtualmente monocolore, come è quello Renzi. C’è
poi una seconda lezione da apprendere. La riduzione del Parlamento a votificio non
semplifica le cose. Tutti gli emendamenti, ad progettum, aziendam o personam, cercano
disperatamente un treno legislativo su cui saltare, e di solito finiscono per trovarlo nel
maxi emendamento alla legge di Stabilità, patchwork che la maggioranza deve
approvare in pochi minuti, in piena notte e a occhi chiusi. È vero che le Camere sono un
ricettacolo di clientele, e l’assalto alla diligenza di un tempo non era preferibile, ma il
Parlamento è anche un filtro degli interessi. Sempre meglio farli passare allo scrutinio di
una commissione, che trovarseli riversati sul tavolo di un ministero, dove si decide
certamente con maggiore opacità e discrezionalità, e dove il potere di un funzionario
vale più dell’opinione di un deputato eletto dal popolo. Infine bisogna regolamentare il
lavoro dei gruppi di pressione. Questo Gemelli era un lobbista? Allora doveva essere
iscritto a un registro della professione, dichiarare i propri interessi, e il ministro con cui
conviveva doveva a sua volta dichiarare il legame al momento di assumere un incarico
nel governo, e il presidente del Consiglio doveva sapere che il suo ministro dello
Sviluppo economico aveva questo ulteriore interesse, diciamo così, familiare. L’esito più
infausto del clamore di questa storia, insomma, sarebbe un ritorno al passato, quando
non si combinava niente e si corrompeva anche di più. Ma per evitarlo non ci sono
scorciatoie autoritarie o dirigiste, bisogna seguire la strada maestra di una democrazia
funzionante, fatta di pesi e contrappesi, check and balance; e adeguarsi così, un po’ alla
volta, agli standard etici dei Paesi puritani.
Pag 1 Renzi: non andrà come sui marò di Francesco Verderami
L’Italia alza il muro contro l’Egitto
C’è un giudice a Roma, «per fortuna abbiamo Pignatone»: se per una volta Renzi ha
parlato bene di un magistrato, è perché su Regeni «il governo non accetta
compromessi». E c’è un motivo se in Consiglio dei ministri il premier ha tributato i
complimenti al capo della Procura di Roma, se - annunciando il richiamo
dell’ambasciatore italiano dal Cairo - gli ha riconosciuto il merito di aver salvaguardato
l’onore e la dignità del Paese, nel drammatico vertice con i magistrati egiziani sulla
morte del giovane italiano: quel braccio di ferro tra verità e ragion di Stato non poteva
ammettere conclusioni giudiziarie di comodo, senza che il compromesso si ritorcesse poi
contro il governo. Il caso Regeni «non sarà un altro caso marò», ha promesso Renzi.
Non si ripeteranno cioè quei balbettii diplomatici con l’India che da quattro anni umiliano
l’Italia insieme ai due fucilieri della Marina. E siccome era questa la piega che stavano
prendendo gli eventi sull’assassinio e la tortura del giovane ricercatore di Udine,
«siccome non sono state date ai magistrati di Roma informazioni sufficienti e utili
all’inchiesta, non esistono interessi economici o di altra natura che reggano». Il passo
diplomatico era «inevitabile», com’è stato spiegato al presidente della Repubblica,
informato costantemente della situazione. La mossa del governo era stata peraltro già
messa nel conto giovedì sera, e per certi versi si è trattato di un’apertura di credito ad Al
Sisi rispetto al modo in cui si è conclusa ieri la riunione giudiziaria. Perché a fronte di
una richiesta di collaborazione più attiva rivolta ai magistrati egiziani, Pignatone aveva
dovuto riscontrare che il salto di qualità non c’era stato. E più veniva sottolineata una
profonda insoddisfazione rispetto alla qualità, alla bontà e all’efficacia delle informazioni,
più si evidenziavano le difficoltà degli inviati africani. Tutte questioni che sono state rese
presenti nell’ambito della cooperazione istituzionale tra gli organi giudiziari e l’esecutivo,
e che sono state al centro delle valutazioni di Palazzo Chigi e della Farnesina. Renzi non
poteva restare fermo, sebbene sia cosciente della delicatezza del dossier anche per i
suoi riflessi geopolitici, per i riverberi che provoca nelle cancellerie internazionali. A
partire dagli Stati Uniti, che temono gli effetti del «caso Regeni» nei complicati equilibri
dell’area mediorientale: l’Egitto gioca un ruolo importante in quello scacchiere e un
discredito internazionale potrebbe compromettere la stabilità di quel regime, impegnato
anche sul fronte libico. Il richiamo in Italia per consultazioni dell’ambasciatore è al
momento un grado di risposta che cerca di tenere insieme la «dignità nazionale» e le
preoccupazioni della comunità occidentale. In attesa che al Cairo lo strappo venga
interpretato per quel che è, cioè una mano tesa, sperando che l’Egitto colga l’occasione
per rivedere l’atteggiamento fin qui tenuto, Renzi ha compattato intanto l’opinione
pubblica che chiedeva «un gesto forte», una prova muscolare dinnanzi a un fatto
considerato inaccettabile. È un equilibrismo politico che contempla sia l’azione
diplomatica, sia l’esigenza di mostrarsi intransigenti davanti al «caso Regeni». Così il
premier - in affanno per le questioni interne - trova occasione di riscattarsi e di
riscattare il governo, al quale anche le forze di opposizione riconoscono la bontà della
decisione. «Non sarà un altro caso marò» è una promessa che andrà mantenuta per non
veder precipitare l’esecutivo nelle critiche del Palazzo e del Paese. Nel frattempo, i
complimenti rivolti da Renzi a Pignatone «per il suo lavoro puntuale» sono stati un modo
per dare al Paese garanzie sul prosieguo giudiziario della vicenda. Il magistrato è
diventato insomma una sorta di marchio di qualità, tanto che in Consiglio dei ministri il
premier ha sottolineato come «siamo stati fortunati che l’inchiesta si sia radicata a
Roma. In futuro andrà studiata una norma che attribuisca alla Procura della Capitale casi
come questo che coinvolgono cittadini italiani all’estero. Non può esserci una gara tra
Procure a chi apre per primo un fascicolo».
AVVENIRE di sabato 9 aprile 2016
Pag 3 La Spagna senza governo sogna una via “italiana” di Marco Olivetti
La ricerca di una mediazione per uscire dallo stallo
A ormai più di cento giorni dalle elezioni legislative dello scorso 21 dicembre, la Spagna
è ancora senza governo ed è retta da un esecutivo in carica per gli affari correnti,
presieduto da Mariano Rajoy. E la soluzione della crisi – ormai la più lunga dall’entrata in
vigore della Costituzione del 1978 – appare ancora lontana (malgrado continui tentativi
di disgelo tra vecchie e nuove forze politiche), mentre il termine per la convocazione di
ulteriori elezioni ha una data ben precisa: se entro il 2 maggio nessun candidato otterrà
l’investitura del Congresso, le elezioni anticipate saranno automaticamente convocate
per il 26 giugno. Per la Spagna sarebbe il primo caso di early elections, vale a dire di
scioglimento della Camera per impossibilità di formare un governo a inizio legislatura:
una eventualità sempre possibile nei regimi parlamentari, anche se improbabile. Con in
più un’ulteriore incognita: è possibile, infatti, che dalle nuove elezioni esca un
Parlamento simile a quello attuale, con la conseguenza che i veti incrociati fra i principali
partiti potrebbero permanere. Ma com’è possibile che il sistema parlamentare più stabile
d’Europa – divenuto negli ultimi vent’anni quasi l’archetipo del bipartitismo (ancorché
imperfetto, per la presenza di varie formazioni locali) – si sia sciolto come neve al sole
nelle elezioni di dicembre? E, soprattutto, perché i principali partiti non sono sinora
riusciti a trovare una via d’uscita per interpretare le istanze degli elettori, i quali, sia pur
in modo confuso, hanno espresso un mandato chiaro, quello in favore di un governo di
coalizione? La prima domanda – nella sua dimensione strettamente politica – trova la
sua risposta nel sistema elettorale spagnolo: un sistema proporzionale che adotta come
circoscrizione elettorale la provincia, senza recupero dei resti a livello nazionale. E
siccome la Camera è composta da appena 350 deputati e gran parte delle province
elegge da 2 a 6 deputati, in tali circoscrizioni elettorali si produce un netto effetto
maggioritario, che privilegia i due principali partiti. Ciò è accaduto anche lo scorso
dicembre. Tuttavia questo effetto ha dei limiti: in presenza di un quadro politico
frammentato e di un assetto quadripartitico (Pp, Psoe, Podemos e Ciudadanos) non solo
nessun partito arriva da sé alla maggioranza, ma – salvo che per una grande coalizione
fra i due partiti storici, cioè tra popolari e socialisti – per formare un governo non basta
neppure una coalizione a due partiti sul centrodestra o sul centrosinistra. E il sistema è
ora diviso, oltre che dal tradizionale cleavage destra-sinistra (fino a ieri, Pp e Psoe, oggi
Pp più Ciudadanos versus Psoe più Podemos), anche fra forze vecchie e destinatarie, fra
l’altro, di gravi accuse di corruzione (Pp e Psoe), e nuove (Podemos e Ciudadanos)
anche se non immacolate come dimostra il caso appena emerso del (presunto) cospicuo
finanziamento degli ex indignados di Podemos da parte del Venezuela bolivariano del
defunto etno-caudillo Hugo Chávez. Con queste ultime pronte a lanciare la sfida ai partiti
tradizionali in ciascuno dei due campi storici: in particolare la sfida di Podemos ai
socialisti per l’egemonia a sinistra rende problematica sia una grande coalizione Pp/Psoe,
sia un governo stile Fronte Popolare fra Psoe e Podemos stesso. Se a ciò si aggiunge che
entrambi i due principali partiti (Pp e Psoe) hanno perso molti voti e hanno leader
contestati, sia pure in forme diverse, all’interno della loro stessa casa politica (e se si
considera che anche all’interno di Podemos stanno affiorando divisioni fra il leader,
Iglesias, più intransigente, e il numero 2, Errejón, più possibilista sul dialogo coi
socialisti), si ha un panorama nel quale le considerazioni tattiche sono state sinora
prevalenti su quelle strategiche e ciascuno degli attori politici ha scommesso sulle
debolezze e sui possibili errori dell’altro, evitando qualsiasi opzione costruttiva. Così
Mariano Rajoy si è rifiutato di sottoporsi al voto di investitura parlamentare, malgrado
un formale invito del Re, e il leader del Psoe Pedro Sanchez ha tentato di ottenere il via
libera parlamentare pur partendo da una base assai fragile – l’accordo 'social-liberale'
con Ciudadanos, per un totale di appena 130 seggi su 350 – che infatti si è risolto in un
nulla di fatto. Fin qui il lettore italiano non troverà ragioni di stupore: il tatticismo e la
scarsa propensione a investimenti 'di sistema' è infatti tratto comune a molti politici
delle due penisole latine d’Europa. Ma vi sono almeno due differenze fra Roma e Madrid
che emergono chiaramente in questa crisi. In primo luogo la Spagna non ha un potere
moderatore capace di funzionare in caso di crisi come lo è stata la Presidenza italiana
negli anni di Scalfaro e di Napolitano. Questo ruolo in Spagna spetta al Re, ma il
monarca, per ragioni storiche (l’attivismo di Alfonso XIII, che negli anni 30 del XX secolo
portò alla caduta della monarchia e poi alla guerra civile), non ha la forza per proporre
formule di compromesso (tipo governi Dini o Monti) capaci di superare lo stallo prodotto
dalle elezioni. Ma vi è una seconda ragione: la cultura politica spagnola degli ultimi
quattro decenni, proprio perché ha prodotto governi stabili ed efficienti, ha sviluppato un
approccio iper-maggioritario che considera inaccettabile una grande coalizione destrasinistra. In dicembre El Pais ha pubblicato un divertente editoriale intitolato «Andreotti,
illuminaci!», invocando la capacità di mediazione dei politici italiani della Prima
Repubblica. Un Parlamento italiano, se non balcanico, a Madrid, ma senza politici italiani:
senza Scalfaro, Napolitano, Andreotti e Berlinguer. E forse anche senza Renzi e Verdini.
Sono le delizie del maggioritario.
Pag 9 Usare tutte le leve con giusta decisione
Se c’era ancora bisogno di una conferma, ieri è arrivata. È ufficiale: l’Egitto ha qualcosa
da nascondere sul delitto di Giulio Regeni e non ha interesse a che la verità emerga e i
colpevoli siano puniti. E l’Italia non può far finta di niente. Deve agire, perché l’interesse
nazionale coincide esattamente con quello della giustizia. C’è da garantire verità alla
famiglia del giovane torturato e assassinato e a noi tutti, suoi concittadini. Non è più il
momento di mediare e spingere sui tasti della cosiddetta 'moral suasion', per dare al
Cairo una via di uscita morbida ma non assolutoria. Con la beffa della visita quasi
turistica degli investigatori egiziani a Roma, attesi invece con carte complete, precisi
elementi di indagine e chiara volontà di fare chiarezza, la vicenda compie un drammatico
salto di qualità. E ora è necessario far sì che l’Egitto abbia preciso interesse a trovare e
indicare i responsabili del delitto. Ci si può riuscire con la pressione diplomatica: il
richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore è un primo passo; con la pressione
economica: si pensa a misure per scoraggiare il flusso turistico verso Mar Rosso e
Piramidi; con la politica in senso pieno: agendo sui fronti cui il regime del presidente alSisi è più sensibile, a partire dall’immagine internazionale in materia di diritti umani
(l’omicidio Regeni rientra in un panorama di sparizioni ed esecuzioni su cui finora si è
sorvolato per motivi di 'alleanze obbligate'). C’è chi teme che per questo perderemo
affari. C’è chi pensa che addirittura favoriremo l’islamismo radicale e ci creeremo
problemi ulteriori anche in Libia. Non è detto. Ma è vero che si sono sempre prezzi da
pagare quando una democrazia affronta una sfida. Prezzi che alla lunga possono rivelarsi
guadagni per tutti. Anche per chi cammina sulla strada di un mondo arabo (e islamico)
più libero, trasparente e giusto.
IL GAZZETTINO di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Così muteranno gli equilibri nel Mediterraneo di Alessandro Orsini
I Paesi possono interrompere le relazioni diplomatiche, ma conservare i rapporti
commerciali. Accade spesso e, molto probabilmente, accadrà anche tra l’Italia e l’Egitto
che, attraverso lo scontro sulla tragica morte di Giulio Regeni, stanno cercando di
definire i loro rapporti di forza nel Mediterraneo, in vista della ricostruzione della Libia.
Dal momento che il problema tra l’Egitto e l’Italia è un problema di politica di potenza, in
cui ogni Stato cerca di sottrarre quote di potere all’altro, Al Sisi non può aiutare l’Italia a
individuare il responsabile della morte di Regeni per due ragioni. La prima è che Regeni
non è stato ucciso da una singola persona, ma da una squadra di professionisti.
Studiando le torture sui prigionieri politici, ho trovato che i torturatori si compongono di
unità che non sono mai inferiori alle quattro persone. Ho inoltre trovato che, più è lungo
il tempo della detenzione, maggiore è il numero dei torturatori, i quali devono vegliare
sul torturato per impedirgli di dormire. Il fatto che i torturatori debbano darsi il cambio
per coprire le ventiquattr’ore, accresce il loro numero. Regeni è stato sequestrato per
almeno dieci giorni. Rimanendo solo, sarebbe caduto in un sonno rigenerante che
avrebbe vanificato il lavoro dei suoi carnefici. Se Regeni è stato ucciso da una cellula
della polizia egiziana, Al Sisi non può consegnare un numero così elevato di torturatori
senza essere travolto dalla reazione dei governi dell’Unione Europea. Governi che si sono
schierati in favore dell’Italia attraverso la risoluzione del Parlamento Europeo del 10
marzo 2016. Senza considerare che i torturatori di Regeni, data l’esperienza che emerge
dall’autopsia, hanno certamente fatto pratica su altri Regeni e, pertanto, sono custodi di
segreti pericolosi per il regime. La seconda ragione per cui Al Sisi non può aiutare l’Italia
a individuare i carnefici di Regeni è che, così facendo, dimostrerebbe che l’Italia è più
forte dell’Egitto. Le regole immutabili della politica internazionale dicono che, quando un
Paese consente alla magistratura di un altro Paese di operare al suo interno, si sta
spogliando di quote di sovranità nazionale. Detto più semplicemente, se Al Sisi
consegnasse i colpevoli all’Italia, si indebolirebbe sul piano interno, giacché nessun
dittatore può fare il dittatore senza che la polizia si senta sicura di poter uccidere
impunemente. Quando le polizie smettono di uccidere, i dittatori smettono di vivere.
Inoltre, un’eventuale collaborazione indebolirebbe Al Sisi anche sul piano estero, dal
momento che, nel codice simbolico della politica internazionale, sarebbe un inchino al
governo italiano. Queste sono le ragioni per cui non avremo i nomi dei numerosi
assassini di Regeni. Avendo chiarito che il governo italiano si muove all’interno di un
campo di forze oggettive, che non può modificare attraverso un atto della volontà,
occorre comprendere quale sarà il futuro delle relazioni tra l’Italia e l’Egitto che riassumo
nella formula: «Inimicizia amichevole». Dal momento che l’Italia e l’Egitto sono coinvolti
in una sfida che nessuno dei due può vincere in un colpo solo, manterranno le relazioni
commerciali, ma approfitteranno di tutte le occasioni per sottrarsi quote di potere nel
Mediterraneo. Le tensioni tra l’Italia e l’Egitto sono una delle tante conseguenze
negative, per l’Italia, del crollo di Gheddafi, che ha scatenato gli appetiti di chi vuole
sedersi a capotavola nella ricostruzione della Libia. E siccome gli Stati Uniti, e i principali
paesi europei, hanno già stabilito che quel posto sarà occupato dall’Italia, Al Sisi espone
il suo ventre famelico. Nessuno pensi che quest’uomo, essendo un generale truculento,
sia un politico inetto perché non lo è affatto. Mentre l’Italia discute eventuali misure da
prendere contro l’Egitto, Al Sisi incontra - si presti attenzione - in Egitto, e non in Arabia
Saudita, il potente re Salman, con il quale sta intensificando, a ogni piè sospinto, le
relazioni politiche e commerciali. Re Salman è grato ad Al Sisi per averlo affiancato nei
bombardamenti contro i ribelli filo-iraniani in Yemen e, guarda caso, Al Sisi lo incontra
proprio nel giorno in cui invia i magistrati egiziani a scontrarsi con quelli italiani a Roma.
Inutile dire che l’Arabia Saudita ha firmato un accordo da 20 miliardi di dollari per
rifornire l’Egitto di petrolio per i prossimi 5 anni, e un accordo di 1,5 miliardi di dollari
per lo sviluppo del Sinai. Quando due Paesi iniziano il gioco dell’ “amichevole inimicizia”,
i rispettivi governi sanno che esiste soltanto un modo di migliorare la propria posizione
strategica che è quello di stringere alleanze. Ecco perché la risoluzione del Parlamento
Europeo, in nostro favore, ci aiuta a comprendere quali grandi vantaggi abbia l’Italia nel
fare parte dell’Unione Europea e dell’area euro. Il problema del governo italiano non è
soltanto la verità sulla morte di Regeni, ma la difesa degli interessi di sessanta milioni di
italiani.
LA NUOVA di sabato 9 aprile 2016
Pag 1 Se il premier è costretto a difendersi di Bruno Manfellotto
Se l’onda dell’opposizione si abbatte con particolare violenza su un ministro del governo
in carica, può essere l’indizio di una più ampia manovra che ha per obiettivo il premier.
Sospetto di spallata. Se poi la risacca cerca di trascinare via un secondo ministro - Giulio
Andreotti lo ricordava con il solito sorrisetto - potrebbe trattarsi di una semplice
coincidenza. Ma se a lungo andare i ministri sotto tiro diventano tre, allora è la prova
che il tentativo in atto è deciso e robusto, che chi si dà da fare pensa che questo sia il
momento di attaccare perché per la prima volta la vittima designata gli appare in
difficoltà, sull’orlo di una crisi di nervi, perfino un po’ logorata. Da qui la decisione di
affondare. Prima della reazione, del colpo di coda, della mossa a sorpresa. Il petrolio ci
ha messo pochi giorni a defluire minaccioso dalla Basilicata fino a Palazzo Chigi. Prima è
toccato a Federica Guidi, e meno male che in poche ore ha fatto i bagagli e che i pm la
considerano parte lesa, sottoposta alle pressioni svergognate del suo compagno, uno
spregiudicato faccendiere di provincia. Poi l’attenzione si è spostata su Maria Elena
Boschi, faccia d’angelo e carattere di ferro, ma non ci sono evidenze per incastrarla.
Infine, e forse questo è l’elemento più inquietante, è stata la volta di Graziano Delrio,
personaggio di snodo, uomo politico al confine tra il cerchio magico del premier e la
nomenklatura del Pd, per il quale è stato rispolverato un dossier di accuse che già era
stato squadernato e poi ritirato per inconsistenza di prove. Che se ne riparli è indizio, il
terzo, di qualcosa d’altro. Era successo più o meno in coincidenza con la decisione del
premier di sacrificare uno dei suoi collaboratori più stretti, il sottosegretario alla
Presidenza, l’uomo macchina del governo. Allora Matteo Renzi lo aveva allontanato per
rafforzare i suoi collaboratori più stretti, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Ma mentre
Delrio si trasferiva da Palazzo Chigi al ministero per le Infrastrutture, ecco circolare le
voci di una sua gita di anni prima a Cutro, Crotone, per partecipare, sindaco assieme ad
altri sindaci, a una processione in odore di inchino ai boss della ’ndrangheta. La storia
era stata poi smontata dagli stessi magistrati e di fatto archiviata, ma è tornata utile più
avanti, prima nei conversari tra lobbisti intercettati, evocata come possibile arma di
ricatto e di pressione nei confronti del ministro e del governo, e poi dalle opposizioni
contro Renzi & C.: «A questo punto voglio sapere se davvero un carabiniere ha
preparato dei dossier falsi contro un ministro della Repubblica», ha commentato Delrio.
Anche lui pensa che tre indizi facciano una prova... Dunque si capisce bene il nervosismo
del premier, costretto stavolta ad andare in tv non solo per passare al contrattacco, ma
anche per difendersi («Questo non è il governo delle lobby»). Forse, dopo due anni di
lavoro e molte cose comunque condotte a termine, Renzi si accorge che non è così facile
affondare il coltello ovunque voglia: incontra ostacoli, non riesce ad arginare la marea di
accuse, e il gioco degli interessi incrociati - politici, economici, locali - non si può
sbrogliare solo accentrando su di sé ogni decisione. La solitudine rischia di divenire
isolamento (Galli della Loggia), e l’assunzione di responsabilità la calamita per attirarsi
addosso tutte le colpe, anche quelle non sue. Non è un caso, dunque, che le opposizioni
lancino l’operazione sfiducia adesso, vigilia delle Amministrative e del Trivella day, ma
anche nel pieno della campagna alla quale il premier tiene di più, quella per il
referendum sulla riforma costituzionale, l’occasione in cui il Paese dovrà scegliere tra il
nuovo che lui vuole incarnare («cambiare verso») e la conservazione dell’esistente. Ecco
perché ciò che Renzi teme di più è finire in un’ondata denigratoria tesa a dimostrare che
anche il governo del Rottamatore, dell’uomo nuovo, del nemico di ogni comoda
convenzione può finire in una brutta storia di politica e affari. Per questo deve
riconquistare il centro del campo. E subito.
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