Iperlipidemia Familiare Combinata

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Iperlipidemia Familiare Combinata
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Scuola di Specializzazione in
Medicina Interna
“P.L. Mattioli”
L’ Iperlipidemia Familiare Combinata
Dr. Vittorio Emanuele
Matricola
68292
Introduzione
L’iperlipidemia
familiare
combinata
o
FCHL
(Familial
Combined
Hyperlipidemia) è una delle più comuni iperlipidemie genetiche aterogene
che causa malattie cardiovascolari premature, tabella I (1-4).
Tabella I
______________________________________________________________
Dislipidemia
Frequenza
Difetto genetico
Ipercolesterolemia familiare
1/500
Mutazioni LDL-R
ApoB difettiva familiare
1/1000
Mutazioni apoB
Disbetalipoproteinemia
1/milione
Omozigosi apoE2
Ipercolesterolemia poligenica
10-20%
Non definito
Iperlipidemia familiare combinata
1-2%
Non definito
Ipoalfalipoproteinemia familiare
5-15%
Mutazioni nell’ apoAI, LCAT, ABCA1
______________________________________________________________
Sebbene Goldstein (1) già nel 1973, e subito dopo altri gruppi di ricerca (24), avesse identificato questa patologia, ad oggi non si dispone di alcun nesso
di causa-effetto, né di una definizione diagnostica unica, né del tipo di
ereditarietà; pertanto, non si è neanche in grado di distinguere gli eterozigoti
dagli omozigoti (5), anche perché non è noto se il disordine alla base è di tipo
monogenico o poligenico. Il nome della malattia deriva dalla variabilità di
fenotipi lipidici dello stesso paziente nel tempo e all’interno delle famiglie
affette;
classicamente,
infatti,
nei
pedigree
sono
presenti
pazienti
ipercolesterolemici, ipertrigliceridemici e/o pazienti con fenotipo misto. Lo
stesso paziente nel tempo può esprimere tutti i possibili fenotipi, compreso il
normolipidemico. Da alcuni autori (6-7) è anche usato il termine
iperapobetalipoproteinemia, in conseguenza del riscontro ematochimico di
elevati valori di Lipoproteina Apo B nel siero di questi soggetti.
Riassumendo, non si ha una spiegazione metabolica circa la variabilità del
fenotipo. Non vi è neanche accordo nella definizione diagnostica, non essendo
ancora tutti gli autori unanimi sulle caratteristiche cliniche ed ematochimiche
della malattia. L’unica cosa su cui vi è consenso è la variabilità del fenotipo
intra ed inter individuale.
Definizione
La prima definizione di Goldstein del 1973 parla di un difetto in cui vi sono
fenotipi lipoproteici multipli associati con un aumento del rischio per malattie
cardiovascolari. È noto, infatti, che la FCH è l’iperlipidemia più comune
quando si considerano famiglie con eventi cardiovascolari prematuri (16). Si
tratta, quindi, di una patologia che è altamente correlata con la comparsa di
eventi cardiovascolari prematuri. In base a tale rilievo, esclusivamente
epidemiologico, è stato possibile calcolare che la diagnosi di FCH raddoppia
il rischio cardiovascolare del paziente (17).
Caratteristiche cliniche
Nel 1986, durante il I workshop a Seattle, venne aggiunto tra le caratteristiche
non essenziali per la definizione clinica anche un aumento dei livelli
plasmatici di Apolipoproteina B. Nel 1998 il II workshop a Helsinki affrontò
il problema delle cause genetiche, arrivando però a poche conclusioni.
L’ultimo workshop della European Society for Clinical Investigation tenutosi
nel 2001 a Barcellona (8) ha dato come priorità proprio l’identificazione delle
caratteristiche necessarie per la diagnosi:
ü aumentata secrezione delle VLDL;
ü ridotta clearance delle lipoproteine postprandiali.
Queste sono le più documentate e, al momento, le più accettate alterazioni
metaboliche riscontrate nell’FCH. L’aumentata secrezione delle VLDL,
soprattutto le VLDL2, produce ipertrigliceridemia ed elevati livelli di ApoB
plasmatici. La ridotta clearance delle VLDL1, invece, favorisce la formazione
delle LDL piccole e dense, estremamente aterogene, con conseguente
ipercolesterolemia. In conseguenza di ciò, gli autori suggeriscono che l’FCH
può essere diagnosticata quando è presente il fenotipo ipertrigliceridemia con
iperApoB in più di un familiare e con almeno un familiare affetto da malattia
cardiovascolare prematura. La definizione proposta da questi autori (8) è
estremamente semplificata se confrontata, per esempio, con quella di
Sniderman (5) che nello stesso anno elencava fra le caratteristiche fenotipiche
essenziali dell’FCHL:
ü ipertrigliceridemia e iperapoB;
ü aumento delle LDL piccole e dense;
ü aumento delle concentrazione plasmatiche di ApoE e ApoCIII.
Fra le caratteristiche frequenti ma non essenziali lo stesso Sniderman citava:
ü basse concentrazioni plasmatiche di HDL (<di 40mg/dl nelle donne e
<di 35mg/dl nei maschi);
ü presenza di iperlipidemia tipo IIA (aumento del LDL colesterolo).
Per quanto riguarda i valori cut-off point, questi dipendono ancora una volta
dagli autori, ma quelli più largamente accettati sono 125mg/dl per l’ApoB e
1.5 mmol/L (circa 130mg/dl) per i trigliceridi. Sono questi, quindi, i
riferimenti che si utilizzano per identificare quello che, nell’FCH, sarebbe il
fenotipo
caratteristico:
quello
ipertrgliceridemico
con
associata
iperapolipoproteinemia B (iperTri-iperapoB). Importante è anche capire il
motivo su cui ci si è basati per scegliere questi valori di riferimento. Per
quello che riguarda i livelli di trigliceridi, si fa riferimento al fatto che
1,5mmol/L è il livello a cui cominciano ad aumentare in maniera esponenziale
le LDL piccole e dense (9). Il valore dell’Apo B, invece, si basa su
osservazioni provenienti dal Quebec Cardiovascular Study (10). In tale studio
prospettico tra i pazienti ipertrigliceridemici il rischio cardiovascolare
aumentava solo fra quelli in cui i valori di apo B erano maggiori di 125mg/dl.
Diagnosi
Per fare diagnosi di iperlipidemia familiare combinata la prima cosa da fare,
la più importante ed anche la più difficile ai fini della diagnosi, è senz’altro
quella di costruire un albero genealogico accurato e preciso della famiglia da
cui il soggetto in esame proviene. Nell’albero genealogico devono essere
riscontrati il fenotipo lipidico e la presenza di malattie cardiovascolari, onde
ricavare le informazioni che servono ai fini della diagnosi: la presenza di
diverse alterazioni del profilo in più di un familiare, la presenza di almeno un
familiare con malattia cardiovascolare prematura. Trattandosi di un processo
lineare come l’aterosclerosi, è difficile stabilire un’età al di sotto della quale
l’evento cardiovascolare è da definirsi prematuro. Comunque, sulla base della
frequenza di tali eventi nella popolazione sana, un evento cardiovascolare in
un maschio prima dei 55 anni o in una donna prima dei 60 sono senz’altro da
definire prematuri. Vi è poi un range intermedio (55-60 nei maschi e 60-65
nelle donne) al di sopra del quale gli eventi non possono definirsi prematuri.
La differenza fra maschi e femmine è da attribuirsi all’effetto protettivo che
l’essere fertili nelle donne comporta. Gli esami ematochimici prevedono il
profilo lipidico completo (da ripetere 3-4 volte in 6-8 mesi, onde valutare la
variabilità intra individuale) comprendente l’ApoB. Utili ma di scarsa
applicabilità clinica, data l’esigua disponibilità sul territorio, sono esami più
approfonditi per lo studio del metabolismo lipidico, come le attività
enzimatiche (per esempio della Cholesterol Ester Transfert Protein ) o il
dosaggio delle LDL piccole e dense o l’elettroforesi delle lipoproteine.
Quest’ultima, a volte, può essere utile nella diagnosi differenziale con altre
iperlipidemie, come quella tipo III di Fredrickson. A tal proposito, nel caso di
trigliceridemia
molto
elevata
(intorno
a
1g/dl),
è
assolutamente
indispensabile l’esame del siero a 4°C dopo 12h, onde svelare una possibile
iperchilicronemia. Dal punto di vista obbiettivo, specie in pazienti che non
hanno già avuto eventi cardiovascolari, ci si deve aspettare poco:
generalmente non sono presenti xantomi che comunque non sono in nessun
modo né patognomonici né associati alla malattia (15). Si devono poi
aggiungere altre indagini, al fine di escludere iperlipidemie secondarie o per
meglio stratificare il rischio cardiovascolare del paziente. Fra le prime
ricordiamo l’esame urine, gli enzimi epatici, il profilo di funzionalità renale e
tiroidea, l’insulinemia, l’uricemia l’OGTT, per citare i più frequenti. Nel
secondo gruppo, invece, rientrano l’ECG, l’esame ultrasonografico delle
arterie carotidi, l’indice di Winsor e, qualora necessari, altre indagini più
specifiche: ecg sotto sforzo, etc. Ancora aperta è la discussione sull’età di
esordio di tale patologia. Si ritiene, infatti, che l’esordio sia abbastanza
tardivo e comunque sempre dopo l’adolescenza, intorno ai 20-30 (14). Alcuni
studi (11), però, non hanno escluso una manifestazione più precoce anche
durante l’infanzia. E’ un dibattito tuttora in corso. È da ricordare che,
trattandosi di una patologia frequente (1-3% della popolazione occidentale e
14% di tutti i pazienti con malattia cardiovascolare prematura) (12), la sua
precoce identificazione sarebbe in grado di risparmiare migliaia di eventi
cardiovascolari all’anno (13). Riassumendo, tutti gli autori sono d’accordo nel
definire come criteri primari per la diagnosi di FCHL la variabilità intra ed
inter individuale e la presenza nella famiglia di eventi cardiovascolari
prematuri. La maggior parte è anche d’accordo nell’aggiungere tra questi
criteri un’ipertrigliceridemia (>1.5mmol/L) con contemporanea iperApoB
(>125mg/dl). Discussioni sono in corso riguardo il valore del basso HDL
colesterolo, il rapporto LDL/apoB, la presenza/assenza di xantomatosi. Come
abbiamo già avuto modo di dire, devono essere ovviamente escluse le
dislipidemie secondarie. Particolare attenzione va dedicata alla diagnosi
differenziale con la sindrome metabolica, da cui la FCH può spesso essere
difficilmente distinguibile. Ricordiamo, infine, che la stessa obesità di grado
medio e grave (BMI> di 35 kg/m2) e il diabete mellito di tipo II possono dare
fenotipi lipidici simili a quello dell’FCH.
Patogenesi e alterazioni metaboliche e funzionali
L’FCH è probabilmente prodotta da un insieme di disordini (5):
ü aumentata sintesi epatica di VLDL e ApoB100;
ü ridotta clearance post-prandiale dei trigliceridi;
ü alterato intrappolamento degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo;
ü aumento di FFA plasmatici post-prandiali;
ü aumento della sintesi dei corpi chetonici post-prandiali;
ü alterata soppressione degli FFA da basse dosi di insulina;
ü insulino-resistenza.
Per questo risulta fondamentale tentare di separare un problema da un altro. A
tal fine è stato proposto che l’alterazione patofisiologica basilare nella FCH
fosse un alterato modo di “intrappolare” e ritenere gli acidi grassi da parte del
tessuto adiposo. Questo, insieme ad altre alterazioni del metabolismo lipidico
e ad altri fattori indipendenti, sarebbe il responsabile della varietà dei fenotipi
lipidici in questa patologia. Fondamentale risulta, quindi, la comprensione
dei delicati e complessi meccanismi che regolano l’influsso e l’efflusso degli
acidi grassi che vanno e vengono dal tessuto adiposo. Sembra abbastanza
chiaro che uno dei difetti principali di questa patologia è l’aumentata
produzione di Apo B da parte del fegato. Questo produce un aumento della
sintesi epatica di VLDL con conseguente incremento delle concentrazioni di
LDL plasmatiche. In che modo e per quali motivi avviene questa aumentata
produzione di Apolipoproteina B da parte del fegato? Per rispondere a queste
domande, si deve tornare al metabolismo degli acidi grassi a livello del
tessuto adiposo. Vi sono diversi metabolismi che interagiscono e che
producono l’influsso e l’efflusso netto di acidi grassi dal tessuto adiposo.
Sono, quindi, moltissime le modificazioni che possono produrre alterazioni
simili. La combinazione di questi fattori potrebbe essere responsabile della
variabilità fenotipica dell’ FCH. In condizioni normali, circa il 60% degli
acidi grassi circolanti raggiunge il tessuto adiposo; il resto rimane nel torrente
ematico. Un’importante frazione di acidi grassi ematici residui finisce nel
fegato, dove avviene la trasformazione in trigliceridi, che quindi ritornano nel
torrente ematico trasportati dalle VLDL. Queste lipoproteine a bassissima
densità entreranno, poi, di nuovo nel tessuto adiposo, nei cui capillari
incontreranno un enzima, la lipoprotein lipasi (LPL). Questo enzima è in
grado di idrolizzare i trigliceridi trasportati dalle VLDL e quelli dei
chilomicroni e di rilasciare acidi grassi liberi. Questi vengono poi utilizzati
dal tessuto adiposo o anche da quello muscolare per essere immagazzinati nel
primo o consumati nel secondo. A tal proposito, studi in vitro hanno
dimostrato che un’aumentata concentrazione di acidi grassi liberi, o FFA, è in
grado di inibire l’attività della LPL, producendo il prematuro distacco dalla
parete endoteliale dove avvengono le reazioni di idrolizzazione a carico di
VLDL e chilomicroni. Per riassumere, un ridotto “intrappolamento” degli
FFA da parte del tessuto adiposo produce da un lato l’aumento della quota di
FFA che raggiunge il fegato e dall’ altro l’inibizione dell’attività della LPL.
Una maggiore quantità di FFA, dunque, raggiunge il fegato che risponde
aumentando la produzione di VLDL. Questo spiega il motivo per cui gli FFA
in molti studi sono in grado di predire i valori di trigliceridemia plasmatici sia
totale che a digiuno. Ancora, sebbene una misurazione diretta della quota di
FFA “intrappolati” dal tessuto adiposo nei pazienti con FCH non è ancora
stata valutata, molti studi hanno invece dimostrato come la concentrazione di
FFA sia aumentata in questi pazienti sia a digiuno che in fase postprandiale.
E’ stato possibile dimostrare lo stesso aumento in fase postprandiale per le
VLDL e chilomicroni. L’aumento degli FFA a digiuno, nei pazienti FCH,
potrebbe in parte essere spiegato dall’alterata soppressione del rilascio degli
FFA mediato dall’azione sulla lipasi ormono sensibile stimolata dall’insulina.
Molti studi, infatti, hanno evidenziato una riduzione dell’attività di questa
lipasi nei pazienti FCH. A tal proposito vi è un’importate quantità di dati a
supporto dell’ipotesi che il metabolismo glucidico possa avere un ruolo
importante nell’FCH. Ad esempio, l’insulino resistenza spesso accompagna
l’FCH. E’ impossibile, sulla base dei dati a disposizione al momento, capire
chi sia la causa e chi la conseguenza. Cerchiamo ora di individuare i
determinanti patofisiologici dell’alterato “intrappolamento” e della ritenzione
degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo, prendendo in considerazione:
determinanti dell’uptake degli FFA, determinanti del release degli FFA, ruolo
di LPL, ruolo dell’insulina, degli ormoni sessuali e della dieta.
Determinanti dell’uptake degli FFA
I primi enzimi che dobbiamo prendere in considerazione sono quelli
responsabili della sintesi dei trigliceridi, a partire dal glicerolo 3 fosfato. Gli
enzimi sono: glicerolo 3 fosfato aciltransferasi, fosfotidil-fosfoidrolasi e
diacilglicerolo-acetil-tranferasi. Quale tra queste sia l’attività enzimatica
responsabile della frequenza di sintesi dei trigliceridi non è noto. In più
praticamente nulla si sa sui loro meccanismi di regolazione o su quelli di
traduzione intracellulare del segnale. In linea di principio, una qualsiasi
alterazione di uno di questi tre enzimi (mutazioni genetiche o alterazioni della
loro regolazione) dovrebbe ridurre l’intrappolamento degli FFA da parte del
tessuto adiposo, dal momento che non vi sarebbe richiesta di substrato. Non
bisogna dimenticare, inoltre, il glicerolo 3 fostato. La sua produzione dipende
dal livello di uptake del glucosio, a sua volta funzione dell’attività di due
trasportatori specializzati nel trasferimento intracellulare del glucosio
(GLUT1 e GLUT4), e dall’attività di una esochinasi che provvede alla
fosforilazione. Anche un’alterazione di quest’ultima via metabolica ha come
risultato un’incapacità dell’adipe di acquisire e trattenere gli FFA. Infine, vi
sono le proteine e gli enzimi responsabili della presentazione degli FFA alla
glicerolo-3-fosfatasi. Tra queste proteine distinguiamo quelle di membrana,
che influenzano il trasporto degli FFA (FAT/CD36, FATP, FABPm), i
trasportatori intracellulari (P2/FABP) e l’attivazione da parte degli FFA del
acil-CoA-sintetasi.
Determinanti del rilascio degli FFA
Come è ovvio, l’ intrappolamento degli FFA non dipende solo dalla velocità
con la quale questi vengono assorbiti dal tessuto adiposo, ma anche da quella
con cui vengono rilasciati. Il principale determinante del rilascio degli FFA da
parte del tessuto adiposo è la lipasi ormono sensibile (HSL). Bisogna, però,
distinguere fra la frequenza con cui viene effettuata l’idrolisi dei trigliceridi e
quella con cui gli FFA vengono rilasciati. Quest’ultima, infatti, è funzione
della riesterificazione dei trigliceridi che erano immagazzinati nel tessuto
adiposo. L’attività della HLS, infatti, sembra essere ridotta invece che
aumentata nei pazienti con FCH. Queste evidenze suggerirebbero che
l’aumento del rilascio degli FFA potrebbe essere dovuto alla riduzione della
riesterificazione dei trigliceridi.
Lipoprotein-Lipasi
E’ stato già descritto che la LPL è responsabile dell’idrolisi dei trigliceridi
contenuti nelle VLDL e nei chilomicroni. Questa attività enzimatica si svolge
sulla superficie endoteliale dei capillari. La LPL, quindi, è una delle principali
responsabili della quantità di FFA che entrano nell’adipocita. Anche la
quantità di trigliceridi sintetizzata dal tessuto adiposo gioca un ruolo
fondamentale nello stabilire la quantità di FFA assorbiti dall’adipe. Da questo
si può facilmente predire un ruolo fondamentale dell’LPL nella patogenesi
dell’FCH. Così non è, però, se si considerano gli studi genetici di
associazione e quelli in cui alterazioni dell’LPL non hanno dimostrato di
aumentare il rischio cardiovascolare.
Insulino-resistenza e ormoni sessuali.
L’insulina in fase post-prandiale è in grado di regolare la concentrazione di
LPL con aumento nei capillari del tessuto adiposo e riduzione in quelli
muscolari. In risposta all’insulina, e sempre in fase postprandiale, vi è anche
un aumento del flusso sanguigno a livello degli adipociti. Vi sono, infatti,
evidenze che suggeriscono un’alterata vasodilatazione insulino-dipendente in
pazienti con FCH. Per quello che riguarda gli ormoni sessuali, si vuole solo
ricordare che essi sono i determinanti principali della distribuzione di adipe
nel corpo, che, come è noto, è sesso specifica oltre che locus specifica. In più
vi sono evidenze che suggeriscono come la sospensione del trattamento con
estroprogestinici, in corso di terapia ormonale sostituiva in donne in postmenopausa, possa ridurre l’assorbimento adiposo degli FFA.
Dieta
Concludiamo questa carrellata sulle alterazioni metaboliche nell’FCH con la
dieta. Il consumo eccessivo di grassi animali e, più in generale, di calorie
aumenta il pool di energia da immagazzinare nel tessuto adiposo. In tal senso
vale il concetto che gli acidi grassi non ingeriti non devono neanche essere
immagazzinati. L’FCH è stata associata in molti studi all’obesità, alla
sindrome metabolica, all’insulino-resistenza. La dieta e il livello di attività
fisica del soggetto hanno un ruolo fondamentale nel metabolismo lipidico e
degli acidi grassi dell’organismo.
Altre alterazioni
I pazienti con FCH sono comunque dei pazienti con un albero vascolare
precocemente colpito dall’aterosclerosi. Lo spessore medio intimale, rilevato
(IMT) mediante tecnica ultrasonorografica ad alta risoluzione a livello
dell’arteria carotide comune e carotide intera, infatti, e la concentrazione di
LDL piccole e dense sono notevolmente più elevati. In particolare, l’IMT
aggiunge valore prognostico in questi pazienti, considerato che è ormai
accettato come end-point surrogato nella maggior parte degli studi (27-28).
Anche questo dato è in accordo come il precedente sul fatto che i pazienti
affetti da FCH hanno un elevato rischio di malattie cardiovascolari già
all’inizio dell’età adulta (dopo i 30 anni). Dati propri indicano che un'altra
alterazione in questi pazienti potrebbe riguardare la funzione endoteliale.
Quest’ultima, rilevata mediante metodica non invasiva con approccio
brachiale
(protocollo
di
D.
Celermajer),
ha
dimostrato
di
essere
significativamente alterata nei pazienti con FCH paragonati a pazienti con
pari dislipidemia ma non familiare confrontati per età e sesso e trattamento
farmacologico (FMD 7,42% FCH vs 5,09 HLP P=0,017).
Genetica
Sono stati fatti e sono tuttora in corso numerosi sforzi per chiarire i
meccanismi genetico-molecolari
di questa patologia, ma ad oggi nulla di
esaustivo è stato svelato. Sono stati a tal proposito tentati diversi approcci di
ricerca: il Genomic Wide Scan, il Genetic Mapping, il Modifier Genes, il
Candidate Gene Approach (29-41). Quest’ultimo è uno dei più usati (tabella
2) sebbene con scarsi e contrastanti risultati.
Tabella 2
______________________________
______________________________
Molti sono, altresì, i ricercatori impegnati nello sviluppo di modelli animali
per lo studio della patologia. Diversi sono i motivi di questo momentaneo
fallimento. In primo luogo si deve considerare l’enorme variabilità fenotipica,
che rende estremamente difficile oltre che non certa la diagnosi. A questo si
aggiunge il fatto che non si conosce il tipo di ereditarietà e il ruolo dei fattori
ambientali e che la malattia ha una penetranza incompleta. Nonostante tutto,
vi è un’idea sul modello genetico dell’FCH in base ai dati genetici, biochimici
e clinici che abbiamo in questo momento a disposizione (fig.1). Quest’idea
prevede l’esistenza di geni maggiori e geni modificatori. I primi, quelli di cui
recentemente si è scoperto un forte linkage (loci cromosomi 1 e 11) avrebbero
un ruolo fondamentale e dovrebbero essere per forza presenti nella malattia.
Ci sarebbe, poi, una serie di altri geni secondari, chiamati modificatori perché
in grado di influenzare l’espressione di quelli principali. Questi geni e la loro
interazione sarebbero anche i responsabili dell’estrema variabilità della
patologia.
Figura 1
Terapia
Considerata la frequente concomitanza di resistenza insulinica e soprattutto
dell’obesità, in questi pazienti il primo obbiettivo da raggiungere è senz’altro
quello del peso ideale. La restrizione calorica, quindi, a tal fine è indicata. Più
in generale, sono da favorire i carboidrati complessi (pasta riso ecc.) a scapito
di quelli semplici (saccarosio, glucosio), i grassi monoinsaturi (olio di oliva) a
scapito di quelli saturi di origine animale. Sarebbero, invece, assolutamente
da evitare gli alcolici, a causa del loro effetto ipertrigliceridemizzante.
Qualora dopo la correzione dietetica il profilo lipidico continuasse a rimanere
alterato, alcuni studi (41-67) hanno dimostrato che il trattamento
farmacologico può normalizzare il profilo lipidico. In particolare, nel caso di
fenotipo ipertrigliceridemico, i fibrati sono i farmaci di prima scelta. Studi
clinici randomizzati controllati hanno dimostrato la loro efficacia sia in
prevenzione primaria che in prevenzione secondaria (68, 69). I fibrati, inoltre,
hanno
dimostrato
di
aumentare
i
livelli
di
HDL
colesterolo.
L’ipoalfalipoproteinemia, infatti, si associa frequentemente al fenotipo
ipertrigliceridemico. Per quello che riguarda il fenotipo ipercolesterolemico,
le statine anche di recente hanno dimostrato di essere un validissimo aiuto, nel
ridurre il rischio di eventi cardiovascolari in questi pazienti (70). Quando è
presente, il fenotipo misto va trattato con una terapia di associazione.
Ampiamente dimostrata è l’efficacia dell’associazione fibrati-statine, anche se
sotto stretto controllo medico, considerata la relativa maggiore frequenza di
casi di danni muscolari rispetto alla monoterapia. Non dobbiamo dimenticare
che spesso in questi pazienti sono presenti stati di comorbosità. Diabete e
ipertensione sono frequentemente associati, infatti, all’FCH. In tali casi sono
da preferire farmaci come la Metformina per il diabete e gli Ace-Inibitori
come antipertensivi. In tutti i casi si deve tendere al raggiungimento del goal
terapeutico stabilito dalle correnti linee guida NCEP ATP III (71).
Conclusione
A 30 anni dalla definizione della patologia non si è ancora in grado di
conoscere l’alterazione genetica che produce la malattia. Di contro, i criteri
per la diagnosi oggi sono molto più precisi di un tempo e consentono, con un
po’ di attenzione clinica, di porla molto più precocemente di una volta.
Questo si trasformerà in un enorme beneficio per il paziente a cui, per mezzo
della terapia, potranno essere evitati eventi con favorevoli ripercussioni quod
vitam e quod valetudinem. In questi casi, poi, a trarne vantaggio è l’intera
famiglia del probando; infatti, la diagnosi di FCH ad un membro può
permettere l’identificazione di altri familiari affetti. Nella pratica clinica, però,
sono ancora troppo poche le diagnosi di questa che, dopo l’ipercolesterolemia
comune ed escludendo le secondarie, rimane l’iperlipidemia aterogena più
frequente nella popolazione.
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