c`era una volta……. - Diocesi di Porto

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c`era una volta……. - Diocesi di Porto
C’ERA UNA VOLTA…….
C’era una volta un bambino di nome Luca assai capriccioso, ma proprio capriccioso, di quelli
che dopo aver chiesto una cosa, la gettano via un minuto dopo e ne pretendono un' altra;
frequentano la scuola, ma non studiano e non fanno i compiti; a tavola piluccano qua e là e poi
scappano, salvo poi a piagnucolare di aver fame e a rimpinzarsi di dolciumi sino a star male:
insomma, uno così, che forse qualcuno di voi conosce bene.
Il guaio di Luca era che i suoi genitori gliele davano tutte vinte, gli compravano giocattoli
costosi, che egli usava solo quel tanto da far morire d'invidia i compagni di scuola e poi non
toccava più.
Tormentava però la mamma perché nella sua collezione mancava il più bello, scoperto appena
nella vetrina di un negozio.
I genitori, che non avevano tempo per stare con lui, aiutarlo a fare i compiti e insegnargli le cose
utili, lo abbandonavano dinanzi alla televisione, sotto lo sguardo annoiato della babysitter, che
badava ai fatti propri, seppure non se ne usciva anche lei, non appena i signori scomparivano di
casa per i loro molteplici appuntamenti. Non è meraviglia che il povero Luca fosse piuttosto
infelice e senza prospettive di mutare la propria condizione.
Una volta, si avvicinava Natale e Luca faceva la lagna tutto il santo giorno perché era solo e non
aveva niente con cui giocare, la madre, per farlo star buono e placare anche i propri rimorsi, gli
disse: «Vestiti, usciamo e ti compro quello che vuoi per Natale». Colpito da quell'offerta
eccezionale, perché mai era uscito con la madre, che di solito gli faceva trovare i giocattoli nella
sua camera bene impacchettati a sfida della sua curiosità, Luca battè le mani ed esclamò:
«Presto, mammina, voglio comprare il giocattolo più bello, poi inviterò i miei compagni di
scuola, che moriranno d'invidia». Nessuna meraviglia ancora che Luca non avesse amici tra i
compagni di scuola.
«Allora, lo sai già quello che vuoi?» gli domandò la madre. «Sì», mentì Luca che non voleva
perdere l'occasione.
Uscirono e cominciarono a girare per le strade e i negozi, i più belli, che la madre conosceva già,
ma Luca diceva di no, qualunque cosa la madre, sostenuta dalle commesse, gli ponesse davanti.
Dopo molto tempo, spossati tutti e due, la madre disse: «Ora ce ne torniamo a casa, perché non
ne posso più e anche tu sei stanco. Quando ti deciderai a dirmi che cosa vuoi, lo compreremo».
Luca cominciò a frignare e a farsi trascinare. D'improvviso, passando così dinanzi a un negozio,
s'irrigidì e gridò: «Quello!»
La madre guarda e non capisce. Nella vetrina c'è un grande bambino di porcellana, come quelli
che si pongono nei presepi, ma è molto grande, a grandezza naturale. Luca tende la mano e
insiste: «Quello!»
«Ma non è un giocattolo», dice la madre, «è un bambino del presepio e noi non facciamo il
presepio. Vieni, su!» «Quellooo!» È una crisi violenta di capricci, che la madre non è abituata a
fronteggiare se non cedendo, sicché sospira rassegnata: «Va bene, entriamo».
Il negoziante prende il bambino dalla vetrina e indica come muove gli occhi, piange, dice
mamma, proprio alla maniera delle bambole più sofisticate fatte per le ragazzette. Luca è felice.
La madre compra anche le statue di Maria e Giuseppe, dei pastori, del bue e dell'asino e di un
angelo con la stella. Ha speso un patrimonio, ma si sente anche lei stranamente contenta. Dà
ordine che si porti tutto a casa e rassicura il figlio che il loro presepio sarà il più bello di tutta la
città.
A casa, il padre bofonchia: «Ma che sciocchezza hai fatto?» Però poi anche lui s’impegna a
costruire il presepio, fa le montagne con la carta, il ruscello che scorre davvero, il ponte, la
grotta, i prati con il muschio, e si sente anche lui contento e dice alla moglie vergognandosi:
«Mi fate proprio rimbecillire, tu e il marmocchio».
Ma poi mostra la propria opera, pieno di orgoglio, agli amici che vengono per il poker, la notte.
Il presepio è bello davvero, ma il bambino, lo metterà Luca nella grotta, fra Maria e Giuseppe, il
bue e l'asino, la notte di Natale, perché gli hanno spiegato che questo è l'uso. Intanto però lui lo
custodisce nella sua camera, lo contempla, lo accarezza, gli fa muovere gli occhi che pare si
volgano a guardare proprio lui con dolcezza, gli parla, gli dice che è il suo fratellino più piccolo,
visto che papà e mamma non vogliono dargliene uno vivo con cui giocare. Fa progetti, il primo
dei quali è invitare il giorno di Natale i suoi compagni di scuola, ai quali ha già raccontato della
favolosa bellezza del suo Gesù bambino. Ah, come ci resteranno!
Finalmente il grande momento arriva: per un miracolo straordinario i suoi genitori sono rimasti
in casa quella sera e sono presenti quando Luca con grande emozione poggia il bambino nel
posto preparato. Anche il padre batte le mani, poi se ne va; la madre raccomanda a Luca di fare il
bravo bambino e di dormire tranquillo. In casa c'è Peggy, la babysitter, tanto cara.
Lui non prova neppure a protestare, sa bene che se si mette a piangere, non cambia nulla, bagna
solo il cuscino di lacrime e poi si addormenta sfinito. È la sola occasione in cui i capricci non
funzionano: quando i genitori debbono uscire. Ma ora non gliene importa, ha il grande bambino
con sé. Giocherà con lui e il giorno dopo si godrà l'invidia e la rabbia dei suoi compagni.
Ci pensa tanto che li sogna, ma come un incubo, come se qualcosa andasse storto, come se...
Arrivano, tutti marmocchi della sua età, guardandosi l'un l'altro pieni di aspettativa, pronti alla
meraviglia e alla sconfitta. Lo sanno che Luca ha sempre le cose più belle. Egli è andato ad
accoglierli al cancello, li introduce in casa, nella stanza dove troneggia il bel presepio ancora
tutta al buio. «Attenti! Guardate!»
La sala s'illumina a giorno, i volti dei ragazzi sono imbambolati: Oh! Ma uno grida: «Dov'è il
bambino?» Luca, che non ha voluto perdersi la prima espressione di meraviglia dei compagni ed
ha lo sguardo fisso sui loro visi, a quel grido ha un tuffo al cuore e grida:
«Ma lì, non vedete?»
La voce gli muore in gola. Il bambino non c'è. Scomparso. Egli non ha la forza di muoversi,
neppure per avvicinarsi al presepio e controllare. Non c'è niente da controllare. Il bambino non
c'è più. Sente, come in una nebbia della mente, un coro di risa e poi il trambusto dei compagni
che se ne vanno sghignazzando.
Egli è rimasto solo, inchiodato alla sedia e gli occhi in quella grotta vuota. Gli altri non contano.
Nessuno, nulla conta ormai.
Gliel'hanno rubato. Chi gliel'ha rubato? Dirà a suo padre di porre annunzi sul giornale, di
promettere un premio a chi gli fa riavere il suo bambino, di fare denunzia alla polizia, di...
Volge lentamente la testa verso la finestra da dove entrano fiotti d'aria fredda. È aperta, la
finestra. Come mai è aperta? Il ladro è entrato di là, certamente. Dovranno vedersi le orme,
perché c'è neve là fuori. È caduta tanta neve in questi giorni.
Luca si alza con decisione, sicuro di aver scoperto il bandolo della matassa. È disposto anche a
seguire le orme. Sa come si fa: ha visto tanti film alla televisione. Troverà il ladro.
Guarda e resta interdetto: sul davanzale coperto di neve ci sono dei segni, sembrano...ma non è
possibile. Ora spinge lo sguardo fuori, si sporge con tutta la persona. Gli stessi segni continuano
giù, sotto la finestra, e proseguono... Sì, sono orme di piedi, ma di piedi piccoli, piedi nudi di
bambino, come se il suo bambino si fosse da solo inoltrato sulla neve. Non si vedono altre
impronte.
Luca è così impressionato che scavalca il davanzale, senza rendersi conto di quel che fa, scende
giù in giardino, guardando con estrema attenzione i segni chiarissimi sul manto bianco.
Cammina, cammina, oltrepassa il cancello di casa che si apre al suo passaggio, e va oltre, per
strade sconosciute, fuori città, in mezzo alla campagna, finché giunge alla riva di un fiume
vorticoso. Non è molto largo, ma abbastanza da non poter essere attraversato a guado; di ponti
neppure l' ombra.
Che fare? Di là, all’altra riva, quelle orme petulanti proseguono come una sfida, come uno
sberleffo. Egli non può fermarsi, deve sapere dove portano, dov'è andato a cacciarsi il Gesù
bambino e perché.
Con circospezione scende per la ripa scoscesa, ma scivola e ruzzola giù. Non cade dentro
l’acqua, perché in quel punto c'è un rialzo di roccia ed egli vi sbatte sopra. Si sbuccia le mani e le
ginocchia, ma è deciso a non piangere, non gliela può dare vinta.
Però il fiume resta: da vicino le acque sono apparse davvero pericolose. Scopre del muschio
nell'incavo d'una roccia. Tenta di strapparlo per mitigare il bruciore delle ferite e sobbalza di
spavento. Una vocina ha gridato: «Ehi, attento a quello che fai!»
Luca si guarda intorno, ma non vede nessuno. Solo un piccolo grillo balza fuori dal suo
nascondiglio e va a collocarsi sulla roccia di fronte:
«Sono qui, non vedi? quando ti muovi, devi badare a non far male agli altri, hai capito?»
Il grillo era proprio arrabbiato. Luca si mise a ridere e cercò di prenderlo, ma quello con un balzo
gli sfuggi dalla mano. «Dove sei?» chiese Luca, «non voglio farti del male, grillo, te lo giuro».
«Eh, non mi fido», disse la vocina alle sue spalle, «non so chi tu sia, hai già attentato alla mia
vita. Sta' lontano, anzi è meglio che vada via, ché non hai niente da fare nel mio territorio» .
«Ascoltami, grillo», disse Luca spazientito, «sono un ragazzo, figlio di gente importante; non
puoi trattarmi così». «Ah, tu credi di impressionarmi con le tue arie. No davvero. Io sono
vecchio quanto Matusalemme e di gente importante ne ho vista molta più di te. Ma cosa sto a
dire a te di Matusalemme. Tu non sai chi era Matusalemme, vero?
Beh, lo supponevo: sei ignorante. Cosa sei venuto a fare? che vuoi?»
Luca gli raccontò la storia del bambino scomparso e concluse che non sapeva come attraversare
il fiume.
«Ma forse tu che sei di queste parti», continuò, «conosci dove c'è un ponte. Devi dirmelo. Su,
parla».
E con un gesto improvviso si lanciò di nuovo ad afferrare il grillo, che però stava in guardia e
saltò via.
«Lo dicevo che non dovevo fidarmi. Sei un assassino, organizzato a dar caccia ai poveri animali,
ecco chi sei. Ma ora ti concio io», strillò il griIlo, balzando di qua e di là e facendo un fracasso
indiavolato con lo sfregolio delle elitre.
Al richiamo, un nugolo d'insetti parve spuntare dal nulla e addensarsi minaccioso, per dargli man
forte: api, vespe, mosconi, zanzare, il meglio dell' esercito, pronto all' assalto con pungiglioni
bene affilati e un brontolio per nulla rassicurante.
«No no, aspettate», gridò Luca pieno di spavento con le mani levate a protezione del volto, «qui
c'è un equivoco, non ho voluto far del male a nessuno».
Ma quelli non si placavano. Luca cercava di farsi piccolo piccolo per diminuire il bersaglio a
quegli spaventosi aculei, dritti come pugnali.
«Aiuuutooo!» gli sfuggì dal profondo del cuore.
E di colpo, senza saper come, si fece silenzio e l'esercito nemico scomparve.
«Meno male!» sospirò Luca con sollievo, «ma come mai sono spariti?»
La sua condizione però non era migliorata di molto, perché il fiume era sempre lì. Aveva voglia
di piangere, ma respinse l'idea, perché non c'è gusto a piangere quando nessuno ti vede. Forse mi
conviene chiedere ancora aiuto, pensò. La prima volta ha funzionato.
«Aiuuutooo!»
«Arrivo, non gridare, diamine! Dammi tempo, no?»
«E questa chi è?» si chiese Luca, tra curioso e spaventato. La voce veniva da terra e pareva di
una donna anziana che faceva fatica a muoversi.
«Eccomi!» disse finalmente, dopo un lungo silenzio, con il fiato grosso. Luca non vedeva
nessuno.
«Dove sei?»
«Quaggiù» .
Luca abbassò gli occhi e scorse una piccola tartaruga, che moveva la testolina all' ingresso di un
buco.
«Oh, quanto sei buffa! come mai sei qui?»
«Sarò buffa, ma ho sentito il tuo grido e sono accorsa. Non sei stato tu a chiamare aiuto? Aiuto
non è proprio una parola magica, ma c'è vicina».
«Certo, sono stato io. Ma tu di che parola magica parli? Che aiuto puoi darmi, tu?»
«Non hai visto come sono spariti gli amici del grillo? È un buon vecchietto, il mio amico grillo,
ma perde subito le staffe e insieme con la sua banda può diventare pericoloso, se lo provochi».
«Tu chi sei? Dico, lo vedo che sei una tartaruga, ma come hai fatto ad allontanare quella terribile
masnada?» chiese Luca, che ormai cominciava a riflettere sui pericoli della propria impulsività.
«Beh, io sono fata Olivia e cerco di mettere pace attorno e d'insegnare qualche buona cosa ai
monelli come te. Se mi ascolti, te ne verrà bene, altrimenti passerai qualche brutto guaio. Ecco!».
Luca rispose che lui era prontissimo ad ascoltare se la tartaruga era davvero una fata. Ma doveva
dimostrarglielo.
Lui doveva attraversare il fiume per trovare il bambino scomparso dal suo presepio. Poteva la
fatina aiutarlo?
«Certamente, se sei disposto a usare le tre parole magiche» .
«Parli davvero di tre parole magiche?» «Sì! »
«E quali sono?»
«Eh, non è così facile».
«Che vuol dire?»
«Bisogna trovarle».
«Come? dove?»
«Va' per questo sentiero, sino a che vedi un cespuglio di pungitopo. Giù, vicino al tronco,
troverai una scatola azzurra. Dentro c'è la prima parola magica. Attento però, perché un custode
fa la guardia, un cane feroce, un molosso di nome «Orgoglio».
«Ma io ho paura».
«Con la paura non ottieni nulla».
«E se mi assale?»
«Di' la parola magica e andrà tutto bene».
«E se non funziona?»
«Funziona, se la dici con tutto il cuore».
Non molto persuaso, Luca s'incamminò per il sentiero indicato dalla fata tartaruga, giunse in men
che non si dica dinanzi al cespuglio, scorse la scatola azzurra appoggiata graziosamente al
tronco, come se aspettasse proprio lui per essere sollevata. Egli si guardò intorno e non vide
ombra di cane. Si chinò, prese la scatola e lentamente, con il cuore che gli batteva a mille,
l'aperse. Subito emise un sibilo di disprezzo: «Non è che questo ?»
Aveva trovato un pezzetto di carta qualunque con sopra scarabocchiata la parola «scusa!» Luca
si rabbuiò. Egli non aveva chiesto scusa a nessuno, mai, neppure ai suoi genitori o al maestro,
che erano ben altro di quel grillo presuntuoso. Fece per gettar via il pezzo di carta, quando un
latrare furioso e la sagoma di una cagnaccio con la gola spalancata che gli si avventava contro lo
fecero cadere a terra pieno di terrore.
Sono morto, pensò, ma al secondo momento ricordò le raccomandazioni della fatina e mormorò
con tutto il cuore:
«Scuuusa!»
Come per incanto, il cane perdette la ferocia, diventò un agnellino e cominciò a leccargli la
mano.
Luca era sbalordito. Fece una carezza al cane e a lenti passi tornò pensieroso dove aveva lasciato
la fata. Ma la sua meraviglia crebbe: non c'era nessuno, la tartaruga era scomparsa e al posto
della piccola grotta splendeva una bellissima pianta di rose fiorite. «Come son belle!» esclamò
Luca e d'istinto tese la mano a cogliere un fiore. Ma una folata subitanea di vento gli strappò le
rose di mano e ne diffuse i petali per l'aria.
«Anche il vento ce l'ha con me?» si chiese Luca contrariato. «Dopo tutto, non ho fatto niente di
male. Fatina, dove sei? forse ti sei arrabbiata perché ho voluto cogliere le tue rose? Scusa, sai, te
lo dico con tutto il cuore: Scusa!»
In quel momento, come ubbidendo all'invito di qualcuno, alzò gli occhi al cielo e vide che i
petali delle rose, invece di disperdersi qua e là per l'aria, andavano radunandosi insieme in un
balletto grazioso come volo di farfalle e via via posandosi a una a una gentilmente sul terreno.
Luca ne seguiva incantato gli ondeggiamenti e, quando scorse tutti i fiori per terra, fece ancora
un oh! di meraviglia: i petali avevano formato una parola, anzi due per l'esattezza. Avevano
scritto: «Per favore!»
Egli era un ragazzetto intelligente e capì subito che doveva trattarsi di una parola magica. Del
resto, anche se non era solito pronunziarla quell' espressione, l'aveva sentita qualche volta
attorno a sé. Per curiosità e anche con un pizzico di cattiveria a cui spesso non sapeva rinunziare,
gridò: «Per favore, grilletto vecchietto, fatti vedere, in questo cielo scuretto, ma soletto soletto,
per favore, vecchietto».
«Eccomi!» disse una vocina aspra. «Mi hai costretto a venire per colpa della parola magica che
la mia svanita vicina ti ha insegnato. Ma non credere che la passi liscia, sai. I miei amici sono
pronti a darti la lezione che meriti».
Il grillo saltellava qua e là e pareva davvero seccato. Luca avrebbe voluto ridere, ma sentiva da
qualche parte addensarsi il noto stridio degli insetti furibondi ed ebbe paura. Ricordò poi che
conosceva un' altra parola magica. Forse poteva provarla anche con il signor Matusalemme, o
come si chiamava quest' accidenti d'un grillo. Studiò un' espressione umile del volto e pronunziò
con voce untuosa: «Scusa, signor grillo, se ti ho disturbato. Non volevo. Scusa proprio tanto!»
Non l'avesse mai fatto. Un improvviso sciame d'esseri puntuti si rovesciò su di lui e prese a
punzecchiarlo da tutte le parti.
«Ahi, ahi! per favore, fatina, aiuuuto!» gridava Luca, questa volta con tutto il cuore. E il
miracolo si rinnovò: gl'insetti sparirono d'incanto ed egli si ritrovò per terra, sfregando il viso con
la neve, per attutire il bruciore.
«Prendi questa», disse la tartaruga porgendogli una foglia tenera che teneva fra le labbra. «Ecco,
passala sulle mani e sul volto. Si chiama «gentilezza».
Luca ubbidì in silenzio e fu guarito all'istante dal bruciore delle punture.
«Grazie, fatina, non saprei come fare senza di te».
«Bene, bene!» rispose la tartaruga contenta. Vedo con piacere che hai saputo trovare da te
l'ultima parola magica.
Luca non capiva.
«Altro che! Se non fossi arrivata tu, la parola magica non mi avrebbe salvato.
Dopo tutto, l'ho detta due volte a quel dannato grillo la parola «scusa». E come risultato, mi
faceva massacrare dai suoi amici».
«Ti aveva avvisato», l'ammonì la fatina. «Ricordi che ti avevo raccomandato di pronunziarla con
tutto il cuore, quella parola? Tu invece hai voluto fare lo spiritoso e hai ferito la dignità di una
creatura.
Spero che ora abbia appreso la lezione: se hai offeso qualcuno, devi saper chiedere scusa con
sincerità e rispetto».
«Si sì, fatina, lo farò. Grazie!»
«Ecco, bravo! «Grazie!» è la terza parola magica. Tu hai saputo trovarla dentro di te. Questo
significa che, dopo tutto, sei un bravo ragazzo e puoi fare tante cose belle nella vita. Vediamo:
ripetile, con ordine le tre parole che hai appreso».
«Scusa, per favore, grazie!»
«Bravo! Non dimenticare di usarle quanto più spesso puoi e tutto andrà bene».
«Sì, ti ringrazio ancora, ma come faccio ora a passare il fiume? Ho perduto molto tempo e non
potrò più raggiungere il bambino del mio presepio che è scomparso». «Usa le parole magiche,
no? adesso le conosci, perché non le usi? il bambino le sentirà».
«Come càpita?»
«Interroga il tuo cuore».
Luca rimase pensieroso a guardare la notte.
C'era tanto silenzio che avrebbe potuto chiamarlo il volto della pace, se non avesse udito lì
vicino il gorgogliare furioso del fiume. Quel rumore si trasformò in voce, che gli parlava dentro
però: «Tu hai voluto farti bello dinanzi ai tuoi compagni e hai voluto umiliarli, perché non sono
ricchi come te. Per questo il bambino è scomparso dal tuo presepio» .
«Scusa», mormorò Luca, «hai ragione. Non lo farò più».
A queste parole, in cielo scoppiò una girandola di luci più belle e più fitte che non nei giochi
d'artificio per la festa del paese. Percorsero l'aria danzando su una musita dolce e vivace e a ogni
evoluzione parevao accendere nuovi astri di gioia nel cielo luminoso.
«Bello, bello!» esclamava Luca battendo le mani. «Per favore, non scomparite. Portatemi con
voi».
Uno sciame immenso di farfalle scintillanti eseguì una rapida evoluzione nell'aria e poi si
precipitò verso di lui, reggendo un tappeto di lucciole.
«Sali!», disse una voce e Luca levò il piede e si ritrovò subito in alto, oltre il fiume, nel cielo
vastissimo, a danzare con le stelle.
Grazie, grazie! è stupendo!» esclamava, abbandonandosi all'onda dolcissima della gioia
misteriosa insieme agli angeli che cantavano: «È Natale! Gloria a Dio nell' alto dei cieli e pace in
terra agli uomini che egli ama!» sopra un presepio vivente, con una donna, un uomo, un
bambino, il bue e l' asino.
«Gloria nel cielo e pace sulla terra,
per il Natale di Gesù!»
«Luca, Luca, svegliati, è tardi. Su, non fare capricci. Oggi è Natale!»
Luca aperse gli occhi a fatica e vide che la mamma aveva posto nella stanza il grande bambino
del presepio. Egli si sollevò a sedere sul letto, guardò il bambino, guardò la mamma e sorrise,
come nessuno ricordava che avesse mai sorriso.
Disse:
«Grazie, mamma! Scusa, mi alzo subito. Porgimi la vestaglia, per favore. Buon Natale!»
La povera donna a momenti sveniva. Ma Luca saltò giù dal letto e corse ad abbracciarla con il
cuore che cantava di felicità.
CONCLUSIONE
«Lasciate che i piccoli vengano a me»
Usciti dalla fanciullezza esiste un periodo in cui pensiamo che le favole abbiano poco a che fare con noi.
Arriva per tutti, però, il giorno in cui riandiamo ad esse con un sentimento di grande dolcezza e nostalgia
e ricordiamo chi, magari nel tepore di un abbraccio, ce le raccontava.
Gianni Giorgianni (P. Giovanni Giorgianni S.J.) ha pensato certamente ai più piccoli scrivendo questa
favola, ma senza esclusione di età. Esiste, infatti, in ognuno di noi, anche se attutito dalle sovrastrutture
che l'età adulta porta, quel «bambino» che vuole sentirsi dire cose importanti con il linguaggio semplice
dell' amore che ci abbraccia proprio tutti.