Scarica il testo - Premio Letterario Castelfiorentino
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Tutta colpa della resina Resina. Ha sempre pensato che fosse tutta colpa della resina, solo di quella. Perché poi, insomma, è andata così alla fine, che c’ha rimuginato tutta la vita su quell’attimo in cui ha deciso di alzarsi dalla panchina per andare a lavarsi le mani appiccicose e quando è tornato lei non c’era più. Le aveva detto che avrebbe fatto in un momento, giusto il tempo di darsi una sciacquatina, ma poi vai a sapere che al bagno c’era la fila, oh, c’è sempre la fila quando ti scappa forte oppure quando hai fretta per qualche altro motivo, come nel suo caso. E poi la resina proprio non se ne voleva andare dalle sue mani, struscia struscia ma mica era semplice mandarla via. Uscito dal bagno, aveva guardato nella mia direzione con quegl’occhi smarriti e io avevo risposto con aria vaga, come a dire che non sapevo dove fosse lei, non ne avessi alcuna idea. Allora si era messo a girare come assecondato da un’improvvisa pazzia, quella pazzia palpitante eppure controllata che solo l’amore può dare. Ragiona, si era detto poi fermandosi, ragiona, ma dove mai potrà essere andata. E mentre pensava questo, gli era parso di vederla imbarcarsi sul traghetto per l’Isola d’Elba, sembrava davvero lei a vederla da quaggiù, i suoi capelli castani fino alle spalle, lievemente increspati, e le sue spallucce piccole e un po’ ossute. E la canottiera rosa salmone. Ma adesso non era sicuro che lei indossasse una canottiera rosa salmone, possibile che non lo ricordasse? Era piuttosto rosa-arancio, albicocca o color melograno? Non lo sapeva più. Forse non lo aveva mai saputo. 1 Forse si era perso tra le lentiggini del suo viso cercando di unirle in un gioco immaginario e impossibile da portare a termine, nelle sue iridi screziate, nei suoi tratti delicati e ottocenteschi di bambolina di porcellana. Davvero non lo sapeva più. Si era messo solo a correre, di nuovo a correre, e si era imbarcato pure lui sul traghetto. Solo lui. Perché poi sul traghetto non l’aveva trovata. Aveva passato in rassegna le persone una a una, le aveva fatte girare, anche quella con la canottiera rosa salmone che gli pareva lei, ma no, non era lei anche se poteva esserlo. E mentre si allontanava sulla schiuma del mare, guardava ancora dalla mia parte in cerca di lei, la panchina e la resina, e allora diceva Maledetta Piombino, maledetti i pini marittimi, maledetta la resina, maledetto tutto il mondo. L’aveva conosciuta quel giorno stesso. Non sapeva il suo nome, né tantomeno il suo numero di telefono. L’aveva aspettata a lungo nelle sue romantiche peregrinazioni e l’aveva avuta di fronte per pochi minuti, ma abbastanza per capire che sì, era lei, esattamente come l’aveva desiderata prima ancora di vederla. E l’aveva lasciata fuggire. All’Isola d’Elba aveva sentito il richiamo insistente delle onde e quasi si era buttato tra quelle per la disperazione, poi sulla spiaggia gli era parso di sentire la sua voce, leggera leggera come un sussurro accennato nelle prime ore del mattino, e aveva cominciato a cercarla tra i cespugli secchi, e dopo nella pineta ombrosa, e dopo ancora dentro se stesso. Cominciava a chiedersi se fosse mai esistita veramente, se magari non fosse altro che la donna di un dipinto di Chagall, un sogno ambulante che si era materializzato fino a diventare pura ossessione. Ma le dita ancora impiastricciate dalla resina e il suo odore gli dicevano il contrario, no, lei doveva pur essere da qualche parte. Sicché riprese a 2 cercarla. La cercò tra i lecci e i corbezzoli, la cercò tra le palme e i bossi di mare, la cercò ovunque senza trovarla. Provò anche a cercarla nelle strade asfaltate e piene di buche, nei marciapiedi stretti e nelle piazze affollate, ma no, pensò che una come lei doveva stare nella magia della natura d’estate, proprio nel mezzo, come una Venere bucolica. Poi d’un tratto il vento gli suggerì che doveva cercarla altrove, perché se cerchi a lungo in un posto finisci che non riesci più a vedere le cose anche se ci sono sul serio. Riprese il traghetto e tornò indietro, Maledetta Piombino, maledetti i pini marittimi, maledetta la resina, maledetto tutto il mondo, disse ancora. Nelle campagne intorno a Grosseto provò a cercarla tra i cipressi a punta, era lì che il vento gli aveva detto di andare. Entrò senza permesso nei vialetti privati e poi oltrepassò i cancelli e poi calpestò i cortili eleganti e fioriti di ville lussuose. Niente. Provò pure tra l’erba dei prati, strisciando tra le margherite e i papaveri. Era un concerto di vita, ma non c’era lei. Pensò che quella pazzia degli innamorati cominciava a prendere il sopravvento, che il sussurro diventava piano una voce sempre più marcata, ma non gli importava. Girò e girò, e tra i covoni fu uno stelo di grano a dirgli che doveva salire, perché gli angeli, una volta che hanno fatto il loro dovere, poi vanno sempre verso l’alto. Oppure era semplicemente il vento che l’aveva soffiata più su. Non stette tanto a pensarci e montò in macchina: si inerpicò verso Castel del Piano, dove provò a cercarla tra i tigli e i castagni. Macché. Non era neanche lì. Ma forse era lui che stava sbagliando, pensò. Era salito abbastanza in alto? Ecco, forse era questo il punto. Allora intraprese i tornanti e puntò dritto verso la montagna, andò dove 3 più su non poteva. Certo, c’erano sempre il Monte Bianco, il Kilimangiaro o l’Everest, ma lui pensò che fermarsi sul Monte Amiata poteva bastare. E poi un insetto gli aveva bisbigliato che lei non poteva essere che in Toscana, non oltre quella, perché il vento va bene è forte ma mica così tanto da trascinarla troppo lontano. Dette un’occhiata tra i sentieri tortuosi e tra i dirupi scoscesi, frugò tra le sterpaglie e i rovi, ma lo stesso nulla. Infine provò a dialogare con le querce e gli abeti, e loro purtroppo non dissero niente. Dico infine perché lui si mostrò un po’ stanco. Si era raggomitolato lì nel bosco e aveva provato a sentire i consigli degli uccelli, eppure ora che era così in alto nessuno parlava più. C’era troppo silenzio. Un silenzio di quelli spaventosi, da notte dei lupi e delle streghe che stava per arrivare. Basta, disse, me ne vado, tutto questo cercare mi ha messo fame. Scendendo si fermò a un baracchino in una piazzola e mangiò un panino con la salsiccia arrostita; pensò al delitto tragicomico della vita, che in fondo non riuscivi mai a ottenere quello che volevi, madonna com’era triste anche se gli era venuto l’appetito. Bevve pure un bicchiere di vino, poi guardò il tramonto che si sfumava di rosso e di giallo e di arancio e forse anche di rosa, e gli venne da pensare alla sua canottiera: ma era rosa salmone oppure no? Ogni tanto, dopo tutti questi anni, ritorna ancora qui. È vecchio, inesorabilmente vecchio. La chioma grigia e la faccia segnata da solchi rugosi. Ascolta il vento, le piante, gli uccelli e gli insetti. Non mi pare triste ora, a dire il vero. Semmai rassegnato. La sua vita non è andata come voleva ma in qualche modo è andata. Si siede sulla stessa panchina di legno, guarda in alto verso di me e poi pensa a lei. Maledetta Piombino, maledetti i pini marittimi, 4 maledetta la resina, maledetto tutto il mondo, dice ancora. Ma soprattutto maledetta la resina. Che ingenuo, mica lo sa che io l’ho fatto apposta. Se lui quel giorno fosse rimasto con lei, si sarebbero innamorati di un amore assoluto, cieco, anzi accecante, un amore di quelli che partono a mille e poi si bruciano presto, si sarebbero messi insieme, fidanzati, sposati, le famiglie-gli amici-il lavoro, avrebbero comprato casa, una station wagon, un cane dal pelo folto e dorato, avrebbero fatto vacanze esotiche e figli, specialmente figli, sì ma poi magari uno dei due si sarebbe stancato o forse tutti e due, avrebbero iniziato a cercare fuori quello che credevano di aver perso dentro, quindi avrebbero trovato un amante e via col divorzio, gli avvocati, gli alimenti, le offese, le recriminazioni, il rancore. E poi ho mentito, va bene, lo ammetto. Sapevo benissimo dov’era la ragazza: un tocco di resina e via a lavarsi le mani pure lei. Lui esce dal bagno, lei ci entra. Lei esce dal bagno, lui monta sul traghetto. Solo qualche secondo e si sarebbero incontrati. Ma è meglio così, datemi retta, io lo so come vanno queste cose, credetemi. Non si dovrebbe sottovalutare la saggezza degli alberi. O forse lo faccio soltanto per divertirmi un po’, a stare piantati qui ci si annoia prima o poi. Ma che importa, alla fine? 5