moolaade - Amici del Cabiria
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moolaade - Amici del Cabiria
MOOLAADE' Anno: 2004 Altri titoli: MOOLAADE Data di uscita: 8/3/2006 Durata: 120 Origine: SENEGAL Genere: DRAMMATICO Produzione: OUSMANE SEMBENE PER FILMI DOMIREW Distribuzione: LUCKY RED (2006) Regia: OUSMANE SEMBENE Attori: FATOUMATA COULIBALY COLLE' ARDO GALLO SY MAIMOUNA HELENE DIARRA HADJATOU SALIMATA TRAORE AMSATOU AMINATA DAO ALIMA BA MAH COMPAORE DOMINIQUE T. ZEIDA IL MERCENARIO Sceneggiatura: OUSMANE SEMBENE Fotografia: DOMINIQUE GENTIL Musiche: BONCANA MAIGA Montaggio: ABDELLATIF RAISS Scenografia: JOSEPH KPOBLY Trama: Collé Gallo Ardo Sy ha subito la Purificazione (infibulazione) e per questo vuole sottrarre la sua unica figlia alla stessa tortura. Quando quattro ragazzine di un altro villaggio si rifugiano in lacrime da lei per scampare a questa pratica, Collé riesce a salvarle grazie al potere del Moolaade. Il villaggio esplode nello scontro tra due valori: il diritto d'asilo e un'antica tradizione. Critica: "La guerra dei sessi vista dall'Africa nera, dove non ci si combatte a colpi di carte bollate ma di mutilazioni genitali inflitte in nome di una tradizione più antica del Corano e della Bibbia. Dietro alla cinepresa c'è uno dei grandi padri del cinema africano, il senegalese Sembene Ousmane, 82 anni. Davanti, una donna del Burkina Faso che applica il 'Moolaadé' (diritto d'asilo) a quattro bimbe in fuga dal rito dell'escissione. (...) Lo schema è quasi brechtiano (ci sono anche un commerciante e un emigrato di ritorno), l'ambientazione quotidiana (tutto accade oggi ), ma ogni gesto prende un'eco mitica. Va in scena la nascita della politica (tre donne sposate allo stesso marito che confabulano di notte) e della democrazia. Il mondo rinasce ogni giorno. Non sono molti i film capaci di raccontarlo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 marzo 2006) "Definirlo un film femminista perché racconta il rifiuto di alcune donne del Burkina Faso per l'ignobile (e maschilista) usanza barbara dell'escissione o infibulazione, presente oggi in 38 dei 54 stati africani, è riduttivo. Il vecchio patriarca del cinema nero Sembene Ousmane, al secondo atto di una trilogia, offre un bellissimo, polemico film corale di antropologia culturale. Regìa semplice e saggia per raccontare una rivolta di costume che impegna non solo le bambine ribelli ma anche l'uso della radio, mentre un figliol prodigo torna da Parigi al villaggio con infernali doni mediatici. (...) L' interessante racconto ha momenti cupi e ìlari, diffonde verità collettiva con momenti afro-goldoniani." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 10 marzo 2006) "Il vecchio maestro affabula il problema attraverso le relazioni tra i personaggi, il loro confronto. E se per il film circola un'atmosfera vagamente fiabesca (la disposizione delle luci, la scelta dei colori), tuttavia egli applica un linguaggio diretto, semplice. Senza alcuno schematismo dimostrativo - non ne ha bisogno - ma con inquadrature nitide e con una sicura valorizzazione degli interpreti, per la maggior parte non attori di professione." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 10 marzo 2006) Nel Senegal, e in altri Paesi africani, la tradizione vuole che le bimbe subiscano l'asportazione del clitoride. Una pratica odiosa, non solo perché impedisce qualsiasi possibilità di piacere sessuale, ma anche perché estremamente pericolosa per le condizioni igieniche in cui viene effettuata. Sembene Ousmane, padre del cinema africano, si lancia con convinzione nel 1 contrastare questa pratica. E lo fa proprio ricorrendo a un’altra regola della tradizione, il Moolaadé, ossia la richiesta di protezione che se accettata diventa inviolabile dagli altri membri della comunità. Ecco quindi alcune ragazzine che chiedono di essere protette da Collé, sapendola contraria al rito. Richiesta accettata, limite invalicabile segnato da nastrini e reazione inviperita degli anziani del villaggio e dei tradizionalisti, ingabbiati però dal Moolaadé. Il film, entusiasticamente accolto due anni fa a Cannes, è distribuito ora dalla Lucky Red a partire, non a caso, dall’8 marzo, giorno della festa della donna. (Antonello Catacchio, Ciak - 15/03/2006) Prodotto da un gruppo di Paesi africani, sostenuto da Amnesty International e dalle agenzie delle Nazioni Unite in Senegal, girato nel Burkina Faso, premiato a Cannes nel 2004 (nella sezione Un certo sguardo), diretto dall’ammirato regista del Senegal Ousmane Sembene, 83 anni, Moolaadè è un film molto efficace sull’ antico uso di tagliare il clitoride alla donne africane «per purificarle». Di questa abitudine barbara, ora fuori legge in alcuni Paesi ma ancora praticata in 25 Paesi africani, occorre conoscere certe parole, perlopiù in lingua mandingo, malinkè o wolof: salindè designa la mutilazione genitale delle bambine, che le rende atte al matrimonio; bilakoro indica la ragazza che non ha subito l’escissione e che non può essere sposata; moolaadè definisce la protezione accordata a qualcuno in fuga e ha valore stregonesco di imposizione, di fattura. Della mutilazione genitale s’è parlato spesso, ma conoscerne in un film i modi e le conseguenze è tutt’altra cosa. Nel villaggio di Mooaadè due bambine fuggite per psura della mutilazione muoiono buttandosi nel pozzo; alcune mutilate muoiono perché male operate oppure non riescono più ad orinare; quattro bambine spaventate cercano la protezione di una donna coraggiosa; nel villaggio si accende una forte e crudele polemica con esiti non negativi. Il film interessantissimo è anche bello nello stile di Sembene: semplicità, paesaggi, costumi e colori meravigliosi, interpreti spontanei e bravi, neppure una sfumatura di folclore, ironia, partecipazione appassionata. (Lietta Tornabuoni, La Stampa - 10/03/2006) Un felice ritorno di Ousmane Sembène, la personalità più rappresentativa del cinema che si fa in Senegal ed anche della cultura dell’Africa nera, insieme con il suo grande compatriota Léopold Sanghor, il poeta della «negritude». Sempre attento alle condizioni della gente del suo Paese, sempre pronto a raddrizzare torti e a cimentarsi in polemiche in favore della modernità e della giustizia. Oggi così scende in campo contro l’escissione, quella mutilazione genitale femminile che da qualche tempo qui da noi è vietata a norma di legge. In Senegal, invece e in tutta l’Africa, è tuttora molto praticata e, dato il rispetto precario delle più elementari norme igieniche, provoca spesso la morte di quelle povere bambine che vi sono sottoposte. Il film, così, comincia proprio con la fuga di alcune bambine per sottrarsi a quel sanguinoso rituale trovando riparo in casa di una donna, madre di una ragazza da marito, che, per difenderle. secondo un’antica tradizione, proclama il «moolaadé» un’espressione in lingua «uolof» da tradursi più o meno come protezione o diritto d’asilo. Un gesto temerario che scatena contro la donna il suo stesso marito e tutti gli uomini del villaggio, con l’aggravante che, non avendo voluto far praticare l’escissione neanche alla propria figlia, adesso se la vede rifiutare come impura dalla famiglia del promesso sposo. Per arrivare la lieto fine sarà necessaria una tumultuosa rivolta di tutte le donne del villaggio che otterranno anche di poter ascoltare la radio e la televisione fino a quel momento messe al bando dai loro mariti desiderosi di tenerle all’oscuro di tutto. Una progressione serrata, con tutte le tensioni necessarie per farvi scattare all’interno ritmi tesi e in qualche momento anche angoscianti. Con la consueta attenzione di Ousmane Sembène per il dato reale, in una cornice ravvivata sempre dai colori forti degli abiti di uomini e donne, mentre, attorno, il villaggio, con linearità e lindura, vi fa da cornice con tutta l’evidenza e l’autenticità necessaria (è stato scelto non in Senegal ma nel Burkina Faso). I modi, anche quando si arriva alla catarsi finale, sono sempre asciutti, evitando il declamato delle polemiche scoperte, per merito anche di interpreti - alcuni professionisti che sotto la guida di un regista esperto non denunciano mai la maniera, mirando alla verità senza nessuna di quelle forzature spesso presenti nei film che ci arrivano dall’Africa. Il segno, da quasi sessant’anni, di un serio autore di cinema. (Gian Luigi Rondi, il Tempo - 09/03/2006) Non è un caso che sia uscito proprio l’8rnarzo, festa della donna, nelle sale di Roma, Milano,Torino e Firenze, Moolaadé, coraggioso film del regista senegalese Sembene Ousamane già premiato a Cannes nel 2004 - denuncia una delle più crudeli pratiche di discriminazione femminile, la mutilazione genitale (mgf) di cui soffrono secondo l’Onu 120 milioni di donne, inflitta ogni anno a due milioni di bambine in molti paesi africani, in alcune zone della penisola arabica, dell’Indonesia e nelle comunità islamiche in Europa. Il film è patrocinato da Amnesty Intemational, Aidos e dalla campagna “Stop mgf” ‘di Emma Bonino ed è distribuito da Lucky Red. Moolaadé nella lingua pulaar significa diritto d’asilo. Quello chiesto da quattro bimbe terrorizzate, in un villaggio rurale del Burkina Faso, a ColléArdo, una donna che dopo avere perso due bambine per colpa dell’escissione ha rifiutato di «far tagliare» la figlia. E protegge le quattro bimbe. Si apre un conflitto tra il rispetto di due tradizioni: quella della protezione al fuggiasco e quella della “purificazione” delle donne, che nessun uomo sposerebbe se restano bilakoro, cioè “impure”. L'intervento, praticato tra l'altro senza alcuna precauzione igienica, può provocare la morte Nel migliore dei casi cancella brutalmente la sessualità, comportando anche gravissimi rischi al momento del parto. Il film squarcia il velo su una società arcaica e poligama in cui la donna è totalmente sommessa agli uomini. Ma racconta anche il riscatto e la tenacia delle mogli, che nonostante le frustate, rifiutano in blocco la pratica per tutte le figlie. La vera forza dell'opera è che la denuncia non arriva da un Occidente inorridito, un po' ipocrita e post-coloniale, ma dall'Africa stessa: Dobbiamo aprirci al futuro - dice il regista Ousamane – e modificare i nostri comportamenti Ma dobbiamo decidere da soli e per noi stessi» (Luca Liverani, L’Avvenire - 09/03/2006) 2 Chiedere e ottenere protezione. Aiuto, tutela, una mano. Per difendere la dignità e l'integrità delle persone. In un mondo avido e onnivoro fino all'obesità come il nostro, dove anche il sud è un po' nord, tenuto in pugno e progressivamente sottosviluppato, è la cosa più difficile da conquistare. Tanto che la produzione di «solitari» perdenti per mezzo della solitudine pianificata sembra una delle attività post-industriali più rigogliose...Un disoccupato che sa solo guidare l'auto per far reddito e a cui viene strappata la patente. Un pilota Usa che rifiuta di sganciare bombe sul paese sbagliato e in una guerra ingiusta (o anche un collezionista di leva di foto militari...). Uno studente africano senza avvenire che emigra alla ventura, perché i suoi ministri trafficano in modo pesante con l'Fmi. Una persona, non ancora infetta, circondata in un mall-center da zombies famelici, inusualmente veloci e anticonsumisti; un artista cristano ortodosso che ama una donna musulmana e che non capisce, nel mondo della globalizzazione dal basso, perché bisogna cedere ai nazionalismi dall'alto e alle pulizie etniche; un bevitore di vino costretto a passare alla birra perché il barrique cocacolizza l'ex sovversivo piacere bacchico... Sono alcune tragedie insostenibili che abbiamo visto, vissuto e a volte incorporato ieri, nel bunker sputafilm e sputa intermittenti di Cannes 57. Tragedie irrisolvibili, appunto, finché la moltitudine organizzata non rovesci lo stato di cose presenti, impresentabili perfino per Fassino. Abbiamo trovato quasi tutto questo in: Life is a miracle, La vita è un miracolo (in gara), sarabbanda sulla guerra in Bosnia, sempre più fracassona, ma anche ottimista e ben congegnata da un Emir Kusturica (Serbia) più leggiadro del solito; nei fuori competizione La corte del 10° distretto-Momenti da processi, di Raymond Depardon (Francia), documentario su come si giustiziano - rito abbreviato e sentenze decollanti - i proletari e i più deboli di Parigi, certi in buona coscienza di far parte di una civiltà giuridica moderata, laica e democratica; e L'alba dei morti viventi (Down of the dead) di Zack Sneyder (Usa), già uscito da settimane nelle nostre sale, con dieci minuti iniziali di horror a base di effetti elettro-psycho-shock (per poi procedere all'interrogatorio?) e dopo mai un momento di terrore, solo una meccanica ripetizione di trucchi da sottogenere copiati dai tg dell'ora di punta; infine, nel Certain Regard, appunto, Moolaade (Protezione) del patriarca senegalese del cinema africano, Sembene Ousmane, sull'escissione e le mutilazioni genitali alle bambine atrocità intesa giustamente dal regista come contraddizione principale, oggi, «tra noi e il nemico», tra «civiltà e barbarie»; come uno dei temi forti di scontro politico e culturale, in un villaggio sperduto del sub-Sahara, e non altrove tra i grattacieli, tra idee giuste e sbagliate, tra «il vecchio e il nuovo»... Film che solo una commissione di selezione gravemente lesionata nei principi estetici o morali, ha scippato al concorso maggiore e all'esposiziane mediatica che più conta. Essendo una produzione maggioritariamente interafricana (Camerun, Tunisia, Marocco, Burkina Faso e Senegal), oltre che sostenuta dal fondo Eurimages e dalla Francia, se no neppure arrivava tra le palme della Croisette, evidentemente questo capolavoro epico, di potenza brechtiana, su un gruppo di donne che decide di dire basta alle «sacre tradizioni ancestrali» (le mutilazioni sono tollerate in 38 dei 54 stati del continente, oltre che in Iraq dagli Usa) e prendere il machete contro chiunque oserà sfiorare da ora in poi una vagina di bimba, deturperebbe un po' troppo la costruzione immaginaria e mistificante dell'Africa che ci scodellano i media: come luogo monotonamente incapace di osservarsi bene e laicamente in viso e operare cambiamenti razionali prima che sia troppo tardi e prima che tutto il continente cada, tra gli hurrà degli euro e degli americani, in braccia ai loro migliori alleati, i capi villaggio facilmente comprabili, oscurantisti, maschi sciovinisti e fascisti. Una sacra alleanza che nessuno vuole fermare: in Sierra Leone, Ruanda, Nigeria e Sudan. E che ora minaccia il meno fondamentalista Senegal. In lingua wolof Moolaade significa protezione. Parola antica, tradizionale, ma di quelle che riconciliano con le vecchi buone cose di un volta. Infatti Collé Gallo Ardo Sy, infibulata da giovane e dunque poi massacrata nella pancia per dare alla luce con un supercesareo sua figlia, accoglie quattro ragazzine nella sua casa impedendo a chiunque (grazie al moolaade, antico rito di protezione) di torcerle un capello. Due loro amichette si sono gettate nel pozzo, pur di non farsi mutilare. Un'altra morirà, dopo l'orrenda operazione. Collé, metà delle donne del villaggio e un venditore ambulante ex soldato troppo onesto per non farsi sbattere fuori dalle truppe «pacificatrici» della Nato corrotta, si scontrano con i notabili, le beghine ignoranti, qualunque bigotto non voglia più farsi «mettere sotto» dalle donne. Verrà frustrata quasi a morte, tutti i transistor sequestrati e messi al rogo come simbolo di un mondo che vuole sovvertire l'ordine. E in realtà di un bell'omaggio a Russ Meyer si tratta (Mondo Topless). Ma Collé vincerà. (Roberto Silvestri, Il Manifesto - 07/08/2004) In un villaggio del Burkina Faso, quattro bambine sfuggono alla salindé, mutilazione rituale dei genitali femminili. Chiedono protezione a Collé, che a suo tempo la ha subita e vuole evitarla alla figlia Amsatou, che per sposare Irahim dovrebbe “purificarsi”. Collé le accoglie in casa appellandosi al moolaadé, il sacro diritto d’asilo, non rispettando il quale si va incontro allo spirito della kalifa. Lo fa sfidando le donne che praticano l’escissione, gli uomini della comunità, il marito. Premiato a Cannes nella sezione Un certain regard 2004 e appoggiato dalla campagna di Amnesty International “Mai più violenza sulle donne”, Mooladé, secondo episodio di una trilogia sull’eroismo in Africa oggi, è altamente simbolico (vedi Yeleen di Souleymane Cissé), naif e realistico insieme, segue il ritmo della cultura orale africana e dei suoi codici, per spingere il continente al cambiamento, indicato dall’immagine finale della moschea. Lo scrittore e regista senegalese Ousmane Sembene, premiato dalla giuria di Venezia nell’88 con quel durissimo Campo Thiaroye che denunciava i massacri francesi sui soldati senegalesi durante la Seconda guerra, educato alla scuola di cinema di Mosca, pratica un cinema politico, necessario e denuncia violenza, pedofilia, maschilismo. (Raffaella Giancristofaro, Film Tv - 08/03/2006) L’82enne Sembene Ousmane è il pioniere del cinema africano, avendo diretto nel 1966 la prima produzione continentale dopo la formazione alla scuola di cinema di Mosca e i mille mestieri nella Francia colonialista. Acuto osservatore delle 3 contraddizioni che animano l’Africa, ha vinto con “Moolade” la sezione “Un certain regard” a Cannes 2004 e torna sui nostri schermi a quasi 20 anni da “Campo Thiaroyé”. In un piccolo villaggio, sei bambine scappano per non essere sottoposte al rito dell’escissione, ovvero la mutilazione dei genitali come “purificazione” e viatico per un futuro da sposa. Due di loro spariscono, e saranno ritrovate in fondo a un pozzo. Altre quattro chiedono la protezione (mooladé) della seconda delle tre mogli di un notabile del villaggio, Collé Ardo, che a suo tempo ha rifiutato l’escissione della figlia Amsatou, partorita in circostanze drammatiche dopo aver perso due figli alla nascita. La protezione è una consuetudine rispettata, tra diritto orale e superstizione, che può essere spezzata soltanto dall’interessata, anche indotta dal marito con la forza. Il villaggio si divide, le “sacerdotesse” dell’ortodossia reclamano le bambine e denunciano Collé Ardo al consiglio degli uomini. Costoro ne approfittano per vietare a tutte le donne di ascoltare la radio, strumento di corruzione che “accende i cervelli”, mentre il marito della coraggiosa donna dovrà piegarsi al volere comune e usare la frusta perché il giuramento sia spezzato. L’affronto contro la novella Lisistrata, l’accentuarsi dell’oscurantismo e l’ennesima morte di una fanciulla per le conseguenze del rito produrranno l’effetto di unire le donne in una ribellione contro i soprusi, convincendole a sfidare una tradizione millenaria quanto barbara, che costringe al nubilato le donne “impure”. Secondo capitolo di una trilogia sull’eroismo quotidiano in Africa, “Mooolade” si dipana con un fluire dolce e un respiro lento, tra le tinte pastello del villaggio assolato (splendida la location nel Burkina Faso), le musiche soavi e i toni da favola ancestrale, che gradualmente lasciano emergere la tragedia della mutilazione, ancora praticata in 25 stati africani nonostante i divieti. La leggerezza del tocco consente affondi implacabili, così come la tensione è spezzata da digressioni nel quotidiano, dallo scorrere ordinario dell’esistenza. Molto netta e ben orchestrata la scansione degli eventi e dei numerosi personaggi, con una messa in scena tradizionale ma accurata. Il film è un interessante viaggio nella superstizione accettata supinamente dalla maggioranza silenziosa, in nome della sottomissione della donna sotto un’apparente concordia (attenzione ai dettagli, ad esempio la scena di sesso che per la donna escissa si trasforma in una tortura). La dolcezza dei portamenti cela dunque uno spietato atto d’accusa contro l’ignoranza che umilia, uccide, rende disabile il genere femminile che non osa ribellarsi. Il finale di rivoluzionaria e dolorosa solidarietà (“la speranza fa nascere il coraggio”) suggella un film che riesce a far prevalere il linguaggio cinematografico sugli intenti didattici, incitando il popolo africano a spezzare il giogo e guardare al futuro, simbolizzato dall’antenna televisiva dell’ultima inquadratura. Efficace connubio di grazia e orrore, sapientemente distribuito in versione originale sottotitolata. (www.fice.it) L'ultraottantenne Sembene Ousmane scende in campo per denunciare l'infibulazione. Con un film necessario: Moolaadé Innanzitutto un film necessario, per denunciare e rendere illegale l'usanza barbara dell'infibulazione delle bambine. Cioè l'escissione parziale dei genitali femminili per limitare in seguito il desiderio sessuale e l'eventuale adulterio verso il futuro marito (e perciò definita "purificazione"). Secondo il regista di Moolaadé, l'82enne maestro del cinema senegalese Sembene Ousmane, tali mutilazioni sono tuttora praticate in oltre 25 paesi africani sui 50 riconosciuti dall'ONU. Una tradizione secolare arbitrariamente fatta derivare dalle prescrizioni del Corano, per esempio nelle zone africane di credo musulmano. Viene applicata da donne preposte con mezzi primitivi (coltelli), procurando alle piccole vittime infezioni ginecologiche (fino all'HIV), se non la morte. Una tortura che però "passa" come dovere familiare fra madri e figlie, sotto il tacito nulla-osta dei maschi della tribù, poligami e mariti-padroni. Moolaadé (premio Un Certain Regard a Cannes) racconta la presa di coscienza contro l'infibulazione da parte di madri e mogli di un villaggio dell'Africa. Lo strumento della ribellione è la magia del "moolaadé", il sortilegio che protegge col diritto d'asilo i fuggiaschi che si rifugiano in casa di chi ha tale potere. L'angelo custode in questione è Colle Ardò, donna controcorrente che sette anni prima si era rifiutata di sottoporre la figlia all'escissione. A lei chiedono aiuto quattro bambine, scappate per paura dal rito della "salindé" e dalle sacerdotesse che lo officiano, mostrate come una specie di congrega di streghe vestite di rosso. Colle Ardò dà inizio al "moolaadé" sbarrando l'ingresso della sua casa con una corda colorata: nessuno oserà oltrepassare la soglia ed offendere lo spirito della "protezione", che altrimenti causerebbe rovina e morte al trasgressore. Attraverso la coraggiosa resistenza, neanche piegata da una pubblica punizione a colpi di frusta per mano del marito (istigato dai "saggi" anziani), la donna catalizza il risveglio dell'indipendenza muliebre. Infine "disarma" le sacerdotesse mettendo fine all'usanza crudele (almeno lì), alla faccia degli scandalizzati maschi che avevano sequestrato le radio delle donne, per impedire loro l'ascolto di musica e notizie. Il regista allarga la problematica dall'infibulazione al bisogno vitale dei "media", per uscire dal vecchio isolamento aprendosi alla modernità. Una donna del posto dichiara: "Vogliono chiuderci il cervello". E il figlio del capotribù (che ha studiato a Parigi), al padre accecato da schemi "talebani" risponde: "Non si può far tacere radio e televisione, oggi fanno parte della nostra vita"... (www.cinematografo.it) Note: -CANNES FILM FESTIVAL 2004 Won Prize of the Ecumenical Jury - Special Mention: Ousmane Sembene Won Un Certain Regard Award: Ousmane Sembene -EUROPEAN FILM AWARDS 2004 Nominated Screen International Award: Ousmane Sembene (Burkina Faso/Morocco/Tunesia/Cameroon.) 4 -LOS ANGELES PAN AFRICAN FILM FESTIVAL 2005 Won Jury Award: Ousmane Sembene -MARRAKECH INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2004 Won Special Jury Award: Ousmane Sembene Nominated Golden Star: Ousmane Sembene 5