Anno 05 Num. 18 - Medimia Magazine

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Anno 05 Num. 18 - Medimia Magazine
Rivista di Medicina, Attualità, Cultura
MEDIMIA MAGAZINE - Bimestrale - Giugno / Luglio 2015 - Anno V n° 18
La fotoprotezione contro
i danni del sole
Dermatologia
Verruche e condilomi
Oncologia
Cancro al seno
Oftalmologia
La presbiopia
Alimentazione
La dieta di mantenimento
Sommario
Editoriale
MEDIMIA MAGAZINE
Anno 5 n° 18
Giugno - Luglio
Oncologia
I raggi solari: rischi e benefici
3
Fattori di rischio e prevenzione del tumore al seno
46
Dermatologia
Cancro della mammella:
una nuova tecnica diagnostica
50
Il trattamento delle neoformazioni benigne
del volto
4
L’acne e gli esiti cicatriziali
8
Ricostruzione mammaria con lipofilling e prp
52
Urologia
Il sole sulla pelle: le fotodermatosi
12
La cistite interstiziale
57
Le cheratosi seborroiche
18
Oftalmologia
La pitiriasi versicolore: chi colpisce e come si cura
22
La laserterapia nel trattamento delle onicomicosi
26
Come dire addio agli occhiali dopo gli anta
59
Chirurgia
La stipsi: sintomo e causa di molte patologie
62
Alimentazione
La vitiligine: non solo un danno estetico
29
Estate e salute: la dieta di mantenimento
66
Verruche e condilomi
32
Idrologia
Psoriari d’estate
35
Chirurgia Estetica
La tossina botulinica
41
Master
Laser in dermatologia:
inaugurazione anno accademico
44
Artrosi e terapia termale
70
Filosofia
L’arcipelago delle emozioni
74
Contatti
Cerca il medico
79
Editoriale
Rivista di Medicina, Attualità, Cultura
MEDIMIA MAGAZINE - Bimestrale - Giugno - Luglio 2015 - Anno V n° 18
La fotoprotezione contro
i danni del sole
Pasquale Malvone
[email protected]
Dermatologia
Verruche e condilomi
Oncologia
Cancro al seno
Oftalmologia
La presbiopia
Alimentazione
La dieta di mantenimento
@MedimiaMagazine
I raggi solari:
rischi e benefici
I
tumori cutanei (escluso i melanomi) sono tra i più diffusi in assoluto: secondo i registri AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori)
sono infatti al primo posto tra gli uomini e al secondo tra le donne
dopo il tumore della mammella. In particolare, i carcinomi basocellulari e spinocellulari si sviluppano soprattutto nelle aree del corpo più esposte
al sole: viso, orecchie, collo, cuoio capelluto, spalle e dorso. Per cui uno dei
principali fattori di rischio è l’esposizione a raggi ultravioletti (UVA e UVB)
che derivano principalmente dal sole, ma anche da lettini e lampade solari
che devono quindi essere utilizzati con estrema cautela.
Basterebbero poche e semplici regole per scongiurare il rischio tumori.
Occorre, dunque, trovare un giusto equilibrio tra rischi e benefici, seguendo
poche regole ma basilari: tempi e modi di esposizione prestabiliti e, soprattutto, una protezione adeguata.
Oltre ad evitare le ore più centrali della giornata (12-16), occorre utilizzare creme solari con fattore di protezione 50+, per bambini e soggetti con
carnagione chiara e creme con fattore 50 per tutti gli altri. Meglio scegliere
quelle in latte o spray resistenti all’acqua e ricordarsi di applicarle più volte
nel corso della giornata. Secondo la Skin Cancer Foundation almeno ogni
due ore, e comunque dopo ogni bagno o attività sportiva.
Non dimentichiamo, comunque, che l’esposizione ai raggi solari ha diversi effetti positivi sul nostro organismo. Ha un effetto benefico sul nostro
umore e, soprattutto, stimola la produzione di vitamina D che, fissando il
calcio nelle ossa, previene il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi negli
anziani. Dunque, si al sole ma niente scottature e abbronzature eccessive.
ASSOCIATO ALL’UNIONE STAMPA
PERIODICA ITALIANA
Direttore responsabile
Pasquale Malvone
Coordinatore scientifico
Mario Sannino
Redazione scientifica
Giovanni Cannarozzo
Alfonso Carotenuto
Paolo Caterino
Luigi Cuoco
Gioacchino Listro
Cristiano Morini
Domenico Piccolo
Nadia Russo
Oriele Sarno
Marina Vaccaro
Hanno collaborato a questo numero:
Claudio Amitrano, Raffaele Aratro,
Luisa Barbaro, Paolo Caterino,
Anna Rita Cicalese, Maria Costantino,
Ester Del Duca, Valentina Dente,
Naida Faldetta, Jeanette Gaido,
Lorenzo Martora, Claudio Messere,
Steven Paul Nisticò, Carmine Prota,
Aldo Reale, Luca Rotunno, Claudio Savaresi
Coordinamento grafico
Antonio Di Rosa
Vincenzo Pinto
Photo editor
Luigi Caterino
Portale medimia.it
Antonio Galli
Agenzie Fotografiche
Fotolia
Mg Group
Editore
EPS srl
Stampa
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tel. +39 081 5109495
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L’autore è a disposizione degli aventi diritto con i quali
non è stato possibile comunicare, nonchè per eventuali
omissioni o inesattezze delle fonti delle immagini
riprodotte nel presente numero.
Registrazione n° 5 del 21/06/2010
presso il tribunale di T. Annunziata
Dermatologia
Il Laser Erbium-Yag
nel trattamento delle neoformazioni
benigne del volto
Lorenzo Martora
Specialista in Dermatologia e Venereologia
I
l Laser ablativo ad erbium (Er:YAG) si è rivelato
uno strumento particolarmente valido nella conduzione del rimodellamento cutaneo e per l’ablazione tissutale che avviene, infatti, con modalità
monitorizzabili e sicure. Questa sorgente laser produce una radiazione infrarossa di lunghezza d’onda pari
a 2940 nm che presenta un’affinità elettiva per l’acqua
dei tessuti superiore di 13 volte a quella del laser CO2.
Nella gestione soprattutto delle neoformazioni benigne
del volto, il Laser ad Erbium ha rappresentato un’innovazione notevole in quanto ha permesso di realizzare
miglioramenti, prima impensabili, con riduzione dell’eritema post-trattamento e di tutta una serie di effetti
collaterali molto evidenti con il Laser CO2 e con meto-
4
Dermatologia
diche tradizionali chirurgiche. Le proprietà del laser erbium che ne fanno uno strumento d’elezione per l’ablazione cutanea controllata derivano principalmente dal
fatto che l’acqua ha un picco di assorbimento intorno ai
3000 nm ed un ottimo assorbimento in tutto l’infrarosso. Il laser ad Erbium ha un range di emissione intorno
ai 3 nm (2,94 mm) che coincide esattamente con il picco
di assorbimento dell’acqua. Questo fa si che l’emissione
laser Erbium, per l’elevata affinità con l’acqua tissutale,
possieda una ZTN (Zone of Thermal Necrosis) sempre
molto piccola e fissa, indipendentemente dai passaggi
effettuati. L’energia fluente viene ceduta all’acqua e dissipata in vapore acqueo. La maggior quota energetica
è rilasciata entro la fase di vaporizzazione tissutale e
i frammenti ablati espulsi trasportano con sé la maggior energia fotonica, lasciandone una quota minima in
grado di danneggiare i tessuti circostanti. La chiave di
un’asportazione netta con minimi danni termici ai tessuti adiacenti, infatti, consiste nell’ablare il tessuto più
velocemente di quanto il calore possa essere trasmesso
ai tessuti adiacenti.
L’assenza di carbonizzazione delle superfici trattate
permette di valutare visivamente il grado di profondità
raggiunto. Le guarigioni sono rapide (10-15 gg), l’eritema è normalmente presente soltanto per circa un mese.
Il rischio di pigmentazioni irregolari e/o esiti cicatriziali
è molto basso. E’ buona norma, comunque, evitare di
effettuare tali interventi in concomitanza con l’esposizione al sole.
Nella casistica riportata di seguito presentiamo diversi casi trattati con ablazione mediante ERBIUM–Yag
di lesioni cutanee benigne difficilmente aggredibili con
metodiche tradizionali e/o chirurgiche soprattutto con
minimo decorso post-operatorio e quasi totale assenza
di esiti cicatriziali. Parametri utilizzati: spot 3, modalità VSP (very short pulse) con passaggio finale LP (long
pulse), fluenza 400-500 mJ/cm2, frequenza 4-6 Hz.
Neoformazioni benigne
Casi Clinici
Dermatologia
L’acne è da sempre la
patologia dermatologica che
caratterizza l’adolescenza
con un incremento di casi
nelle donne oltre i 20 anni
L’acne
e gli esiti cicatriziali
Aldo Reale
Specialista in Dermatologia e Venereologia
E’
la patologia dermatologica che più frequentemente colpisce gli adolescenti e che può
essere responsabile di gravi ripercussioni
sul piano psicologico. Interessando il viso,
infatti, determina spesso una riduzione dell’autostima
e della capacità di relazionarsi con i coetanei. Importante pertanto è trattare adeguatamente le lesioni che essa
provoca con il duplice scopo di limitarne l’estensione e
l’intensità, riducendo i possibili esiti cicatriziali delle
forme più aggressive.
L’età di insorgenza più comune dell’acne è intorno
ai 12-14 anni, in coincidenza con il periodo di sviluppo
ed evoluzione a livello ormonale. Una delle conseguenze della maturazione ormonale è l’ingrandimento delle
ghiandole sebacee, la cui alterata funzione è responsabile delle manifestazioni acneiche. Lo sviluppo delle
ghiandole sebacee innesca una catena di eventi: il sebo
è più denso ed è prodotto in quantità maggiore; lo sviluppo del dotto ghiandolare si associa ad una sua alterazione con conseguente desquamazione.
Il sebo frammisto ai cheratinociti di sfaldamento
crea un tappo allo sbocco ghiandolare che, in seguito a
8
Dermatologia
fenomeni ossidativi, assume un colore nerastro. Si forma, in tal modo, il comedone (o punto nero). A volte lo
sbocco ghiandolare risulta chiuso e non in contatto con
l’esterno; in tal modo il sebo si accumula, determinando
piccole lesioni biancastre lievemente rilevate sul piano
cutaneo.
In entrambi i casi l’accumulo di sebo crea un ambiente acido e spesso con scarso ossigeno, favorevole allo
sviluppo di lesioni infiammatorie e alla crescita di colonie batteriche, prevalentemente costituite dal P. Acnes,
che è il principale responsabile dei fenomeni infettivi
ed infiammatori che caratterizzano le forme moderate
e gravi di acne. Le manifestazioni descritte riassumono
le alterazioni che caratterizzano l’evoluzione dell’acne:
iperseborrea, ipercheratosi, infiammazione, infezione.
A seconda della prevalenza di tali alterazioni si manifestano: comedoni, microcisti, papule, pustole, cisti.
Così come le lesioni acneiche sono molto variabili, parallelamente anche le manifestazioni cliniche risultano molto differenti, caratterizzate da un polimorfismo
molto marcato. Possiamo parlare di acne comedonica,
papulosa, pustolosa, cistica, conglobata, in base alla
prevalenza del tipo di lesione.
La contemporanea presenza di tali lesioni è tipica
della forma clinica più frequente, definita polimorfa,
nella quale si osserva la coesistenza di tutte le lesioni
elementari che caratterizzano questa patologia.
L’intensità e la diffusione delle lesioni indirizza le
scelte terapeutiche. I principali farmaci impiegati attualmente sono i Retinoidi (derivati della Vitamina A),
gli antibiotici, il benzoil-perossido, la nicotinamide, oltre a supporti dermocosmetici costituiti da detergenti,
idratanti ed esfolianti. Un ruolo a parte svolge la terapia
ormonale a base di anti-androgeni ed estro-progestinici. Le forme lievi-moderate si giovano della sola terapia
locale, a volte affiancata da supporti nutrizionali. Le
L’acne e gli esiti cicatriziali
forme più gravi necessitano in genere di terapie per via
generale. Spesso si ricorre a combinazioni di farmaci: le
più comuni sono benzoil-perossido/retinoidi, benzoilperossido/antibiotici. Le prime efficaci nelle forme a
prevalenza comedonico-papulosa, le seconde utili nelle
forme più infiammate e con componente pustolosa.
La nicotinamide (vitamina B3) trova impiego nelle
forme di gravità lieve-moderata sia per uso locale che
come supplemento nutrizionale. Risulta molto tollerabile, utilissima nel periodo estivo, vista anche una azione fotoprotettiva della formulazione orale. Nelle forme
più gravi risulta necessario ricorrere a terapie sistemiche. Gli antibiotici (soprattutto macrolidi e tetracicline)
sono i più comunemente impiegati, spesso per tempi
lunghi.
Nella donna, di frequente, risulta necessario il ricorso ad estroprogestinici, a volte associati ad antiandrogeni (ciproterone acetato, spironolattone). Un ruolo
crescente sta assumendo l’inositolo, in grado di agire
positivamente sull’ovaio policistico, in genere presente
nelle donne in età post-adolescenziale affette da acne.
Nelle manifestazioni di maggiore gravità o non rispondenti ad altre terapie è necessario ricorrere ai retinoidi sistemici (isotretinoina). Questi agiscono su tutti
gli aspetti dell’acne, portando ad una drastica riduzione
della attività delle ghiandole sebacee, della carica batterica, e dell’infezione. L’isotretinoina essendo un farmaco teratogeno deve essere somministrata con cautela e
con copertura anticoncezionale alle donne. La sua assunzione causa fastidiosi effetti collaterali (soprattutto
marcata secchezza di cute e mucose). Ma nel complesso
risulta un farmaco sicuro ed in grado di bloccare e risolvere anche forme di acne di gravità estrema.
Una volta risolta la fase attiva, vanno rilevati i danni residui. Le forme più aggressive e profonde lasciano
esiti cicatriziali, in alcuni casi anche deturpanti. Sorge
Dermatologia
L’acne e gli esiti cicatriziali
Le cicatrici d’acne: un valido aiuto per contrastarle
Le cicatrici sono un serio problema psicologico ed estetico per il paziente acneico.
L’acne papulo-pustolosa e nodulare dà luogo a cicatrici atrofiche di non facile risoluzione.
Lysiscar emulgel della Roydermal Laboratoire Pharmaceutique è un dispositivo medico formulato per gli ispessimenti dello strato corneo e per promuovere i normali
processi di ringiovanimento cellulare della pelle. Per le proprietà dei suoi principi
attivi (Azeloglicina 30%, Acido glicolico 8% e Acido ialuronico 0,2%), può essere
consigliato per cicatrici d’acne, cute seborroica con pori dilatati, comedoni e punti
neri, iperpigmentazioni cutanee post infiammatorie e cheratosi di tipo attinico.
Applicare una piccola quantità del prodotto direttamente sull’area da trattare preferibilmente a sere alterne (salvo diverso suggerimento del medico) nelle prime
due settimane e poi tutte le sere per almeno otto settimane. Detergere la zona
prima di applicare il prodotto e favorirne la penetrazione con un leggero massaggio. Scopri il prontuario della linea completa di dermatologia, scaricando l’app
RoyDepliant da Playstore e App store.
Disponibile solo in farmacia e acquistabile on line all’indirizzo shop.roydermal.it
quindi la necessità di riportare la cute ad una situazione
accettabile. A seconda della gravità degli esiti le prospettive di risoluzione sono variabili e legate alla esecuzione
di trattamenti più o meno invasivi.
Sulle cicatrici più leggere possono essere sufficienti
peeling chimici superficiali e medi, a base di acido glicolico, piruvico o tretinoina. Lo step successivo consiste
nell’impiego di peeling profondi, soprattutto il TCA, in
grado di attenuare cicatrici anche rilevanti. L’intervento attualmente più efficace nella gestione delle cicatrici
importanti è il Laser resurfacing, utilizzando i sistemi
frazionati ed ultrapulsati che consentono, rispetto al
passato, maggiore efficacia e tempi di recupero molto
brevi.
Per quanto riguarda i fattori patogenetici responsabili dello sviluppo dell’acne il ruolo preponderante
è quello dello stimolo ormonale, in relazione ad età,
sesso e fattori genetici. Su questa componente di base
intervengono una serie di fattori, ambientali e comportamentali, che influenzano l’evoluzione della patologia.
L’alimentazione ha un ruolo da sempre discusso, ma
mai totalmente chiarito. Di certo si rileva come una eccessiva assunzione di grassi saturi di origine animale
(insaccati, latticini) induce aggravamento dei sintomi.
Importante è l’inquinamento ambientale, in quanto
eccesso di smog o polveri facilita l’occlusione degli sbocchi ghiandolari (fenomeno decisivo per l’innesco del
processo infiammatorio).
Lo stress interviene modificando la secrezione ormonale, influendo quindi sulla composizione del sebo.
L’assunzione di farmaci (cortisonici, psicofarmaci,
anabolizzanti, ecc.) e le malattie (sindrome ovaio policistico, iperandrogenismi, sindromi surrenaliche, ecc.)
possono favorire lo sviluppo di sindromi acneiche attraverso una interferenza con la funzione delle ghiandole
sebacee.
In conclusione l’acne è da sempre la patologia dermatologica che caratterizza l’adolescenza. Oggi si registra
un incremento di casi nelle donne oltre i 20 anni.
Le terapie attuali risultano in grado di attenuare e
bloccare l’evoluzione della patologia, ma resta fondamentale la collaborazione del soggetto affetto che deve
attuare comportamenti che non favoriscano la comparsa o l’aggravamento delle manifestazioni.
In più è opportuno rivolgersi prontamente a medici
specialisti, evitando il fai da te o i consigli di persone
non abilitate a trattare patologie, per evitare interventi
tardivi e ridurre i potenziali esiti cicatriziali.
10
Dermatologia
La Fotoprotezione
rappresenta il momento
fondamentale
della terapia per ogni
forma di fotodermatite
Il sole sulla pelle:
le fotodermatosi
Paolo Caterino
Specialista in Dermatologia e Venereologia
L
a radiazione solare è la fonte energetica che consente la vita e la crescita del mondo animale e
vegetale terrestre. La cute è organo bersaglio diretto con i suoi cromofori (sostanze assorbenti
l’energia radiante) epidermici: acidi nucleici, melanina,
aminoacidi, acido urocanico e dermici: emoglobina, bilirubina, betacarotene. Altro cromoforo presente nella
pelle, di grande valenza biologica, è il 7-deidrocolesterolo che sotto l’azione dell’UVB (295 – 320 nm) si trasforma in provitamina e poi, per isomerizzazione termica,
in Vit. D3, che, idrossilata in fegato e rene (calcitriolo),
svolge la sua benefica attività di assorbimento del calcio e del fosforo, consentendo la mineralizzazione delle
ossa, la differenziazione delle cellule immunitarie, svol-
12
Dermatologia
gendo azione antitumorale. La cute esposta alle radiazioni solari pone in atto meccanismi di protezione, per
cui si ispessisce e si abbronza; va distinta l’abbronzatura
rapida, che avviene per foto-ossidazione della melanina
presente nel corneo ed è rilevabile già alcune ore dopo
l’esposizione, dalla pigmentazione ritardata e persistente, che avviene per aumento di sintesi di melanina, trasferimento e distribuzione nei cheratinociti dei melanosomi e si verifica alcuni giorni dopo l’esposizione al sole.
Le reazioni cutanee alle radiazioni e le manifestazioni
del danno attinico variano a seconda del fototipo. La
classificazione più completa dei fototipi umani è quella
di Cesarini (Tab. 1).
Le fotodermatosi dirette sono acute, dovute a prolungata esposizione, come l’eritema solare e la dermatite eritemato – edemato – bollosa solare, corrispondenti
rispettivamente ad un’ustione di primo e di secondo
grado, o croniche, per danno attinico cumulativo nel
tempo sulle varie componenti biochimiche di epidermide e derma. Si può determinare danno displasico, come
nelle cheratosi e nelle cheiliti attiniche, anaplasico,
come nel corno cutaneo e nelle leucoplachie delle labbra
o francamente neoplastico con insorgenza di epiteliomi
baso e spinocellulari. Per il melanoma, nelle sue varie
espressioni cliniche, su un terreno di predisposizione
genetica assumono particolare importanza gli stress
solari ripetuti fin dall’epoca infantile e adolescenziale.
Il danno attinico cronico alterando le proteine di
sostegno del derma determina fotoinvecchiamento e
la cute assume un aspetto aggrinzito e rugoso, come
nell’elastosi a buccia d’arancio, o quadrettato come nella
cute romboidale della nuca, fino al determinarsi di sol-
Il sole sulla pelle
Fig. 1 - Eritema attinico. Sono osservabili tre aree diversamente interessate. Completamente protetta l’area del reggiseno; nella parte centrale
del decolleté è stato applicato irregolarmente il fotoprotettivo, mentre
gran parte del tronco e gli arti sono stati lasciati senza protezione.
chi profondi che rendono la cute del volto una maschera
severa e amimica.
Nelle fotodermatosi mediate un fotosensibilizzante
esogeno o endogeno, comportandosi da cromoforo assorbe radiazioni di una determinata lunghezza d’onda e
innesca fenomeni infiammatori eczematosi con meccanismo allergico o tossico. Nelle reazioni fotoallergiche si
verifica la partecipazione del sistema immunitario, con
l’insorgenza di un’eruzione simile nei suoi meccanismi
e nei suoi aspetti ad una dermatite da contatto allergica; le reazioni fototossiche, invece, sono assimilabili ad
una reazione irritativa primaria, senza partecipazione
del sistema immune. La distinzione clinica delle due
forme non sempre è facile: può essere utile praticare
Tabella 1: Classificazione del fototipo secondo Cesarini
Fototipo
Capelli
Pelle
Efelidi
Eritema
Abbronzatura
Capacità di
pigmentazione
Capacità
protettiva
0 (Albini)
I Rx - Rx
II Rx - Bi
III Rx - Br
IV Bi - Bi
V Bi - Br
VI Br - Br
Negroide
bianchi
rossi
dorati
castani
biondi
bruno chiari
marroni
neri
rosa
lattescente
chiara
chiara
chiara
scura
scura
nera
0
+++
++
++
0
0
0
0
ad ogni esp.
ad ogni esp.
lunghe esp.
lunghe esp.
prima abbr.
0
0
0
0
lieve
lieve
media
media
cupa
cupa
difficile
difficile
facile
facile
molto facile
molto facile
molto debole
lieve
grande
grande
molto grande
molto grande
13
Dermatologia
Fig. 2 - Dermatite eritematoedemato-bollosa
Il sole sulla pelle
determinanti la dermatosi bollosa.
La non completa conoscenza dei fattori etiologici e
delle molecole che agiscono da cromofori è caratteristica delle Fotodermatosi idiopatiche. Ricordiamo qui le
più frequenti come l’orticaria solare e la dermatite polimorfa solare.
L’Orticaria solare si manifesta con un’eruzione di
pomfi di piccole dimensioni nelle aree fotoesposte,
poco dopo l’irradiazione, in alcuni casi può verificarsi lo
shock anafilattico. La lunghezza d’onda della radiazione
responsabile può trovarsi nell’UVB, UVA, o nel visibile.
La terapia può avvalersi degli antistaminici, come della
desensibilizzazione (induzione di tolleranza) attraverso
ripetuta irradiazione con diverse frequenze dello spettro d’azione.
L’Eruzione Polimorfa Solare compare 24 – 36 ore
dopo l’esposizione. Recidiva caratteristicamente nella
tarda primavera e all’inizio dell’estate. La denominazione (DPS) è dovuta al fatto che può manifestarsi in
forme cliniche diverse, ma mantiene gli stessi caratteri
per ciascun paziente. Spesso è riscontrata un’eruzione
papulare eritematosa e congesta nell’area del décolleté
di donne giovani o su tutto l’ambito cutaneo qualche
giorno dopo una prolungata esposizione nelle ore centrali della giornata, con clima caldo umido.
>Dermatosi fotocondizionate:
- Da alterato metabolismo del triptofano (pellagra,
idrossichinuremia, morbo degli Hartnup);
- Da deficit riparativo del danno attinico (xeroderma
pigmentoso, porocheratosi attinica superficiale);
- Da deficit protettivo cutaneo (albinismo, vitiligine, fenilchetonuria).
- Dermatosi fotoinfluenzabili: Lupus eritematoso, dermatomiosite, rosacea, pemfigo eritematoso e foliaceo,
psoriasi, herpes, esantemi virali.
La Fotoprotezione rappresenta il momento fonda-
Fig. 3 - Cheratosi attinica
fotopatch-test. Numerosi farmaci possono comportarsi
da fotosensibilizzanti e determinare reazioni cutanee
eczematose, talora con caratteristiche che consentono
la diagnosi eziologica ancor prima dell’indagine allergologica.
Le reazioni di fotosensibilità indotte da prometazina
topica sono caratterizzate da manifestazioni eritematose a tonalità violacea, edematose, poco essudanti, lisce e
poco desquamanti, sempre limitate all’aree esposte alla
luce.
Le forme indotte da sulfamidici presentano lesioni intensamente eritematose in sede esposta e lesioni
papulo vescicolari sparse anche in sedi non esposte.
Farmaci con potenziale fototossicità sono antibiotici
(Tetracicline, fluorochinolonici, ac. nalidixico, ceftazidima, trimetoprim, sulfonamidi), antiaritmici (Cordarone, chinidina), antimalarici (Chinina), antimicotici
(Griseofulvina, ketoconazolo), FANS (Ibuprofene, ketoporfene, ac. tioprofenico, naprossene, ac. acetilsalicilico, fenilbutazone, ac. mefenamico), antipertensivi
e diuretici (Furosemide, idroclorotiazide, diltiazem),
antitumorali (5-fluorouracile, dacarbazina, metrotexato, vinblastina, flutamide, bleomicina), ipolipemizzanti
(Clofibrato), psoraleni (contenuti in profumi e farmaci),
sedativi e ansiolitici (Fenotiazine), coloranti (Eosina,
fluoresceina, blu di metilene, rosa di bengala), vari (Porfirine, catrame minerale, solfiti). Le Porfirie cutanee
sono fotodermatosi dovute all’azione fotosensibilizzante sistemica di metaboliti intermedi (porfine) della via
biosintetica dell’eme (protoporfirina chelata con ferro).
Sono solitamente distinte in eritropoietiche ed epatiche
in base alla sede dell’anomalia enzimatica che ne è causa. Nella porfiria cutanea tarda è compromessa l’attività
enzimatica epatica dell’uroporfirinogeno sintetasi con
secondario accumulo di porfirinogeno policarbossilato,
il quale viene ossidato in porfirine fotoattive, cromofori
Fig. 4 Cheilite Solare in
trasformazione carcinomatosa
14
Fig. 5 Corno Cutaneo su base
infiltrata e neovascolarizzata
Dermatologia
Il sole sulla pelle
Protezione efficace
per tutta la famiglia
Il sole è un amico dei bambini perché attivando la
vitamina D, presente sulla pelle, promuove la calcificazione delle ossa. Ma i raggi solari possono rappresentare una seria minaccia per la salute dei più
piccoli e dei loro genitori.
Per questa ragione, i dermatologi consigliano di
esporsi al sole proteggendo la pelle con creme solari schermanti a fattore alto.
Fig. 6 Cheratosi attinica ed epitelioma su cute con danno solare cronico
(elastosi a buccia d’arancia, rughe e solchi)
La linea Chitosol della Roydermal Laboratoire
Pharmaceutique è un dispositivo medico particolarmente indicata per i bambini e i fototipi chiari.
Si tratta di filtri solari ad elevata efficacia protettiva, in grado di schermare la pelle dai danni nocivi
delle radiazioni solari.
mentale della terapia per ogni forma di fotodermatite,
realizzando l’adeguata prevenzione primaria e secondaria. Va distinta in topica e sistemica. I prodotti fotoprotettivi sono formulati per i diversi tipi di pelle e differenziati nella scelta dei veicoli e delle sostanze filtranti
o schermanti.
Così per pelli acneiche e soggetti molto pelosi sono
indicati gli idrogel o formulazioni spray, per soggetti colpiti in modo particolare dai segni del photoaging
sono formulati prodotti arricchiti di sostanze elasticizzanti e nutrienti. È sufficiente in linea di massima
consigliare valori di SPF = 10 – 20 per soggetti sani di
fototipo III e superiori, SPF > 30/UVB e >15/UVA per
soggetti sani di fototipo II e I. L’efficacia del protettivo è
condizionata dall’attività fisica e da intense sudorazioni; l’applicazione va ripetuta dopo il bagno o la doccia,
tenendo presente la sostantività della formulazione; va
applicato in adeguate quantità, non trascurando le orecchie, la porzione posteriore del collo, il dorso dei piedi, i cavi poplitei, il cuoio
capelluto alopecico.
La fotoprotezione sistemica è determinata da una
dieta ricca e variata, eventualmente integrata con la
somministrazione di vita- Fig. 7 - Fotodermatite mediata dal
mine e altri antiossidanti
lattice di fico
esogeni e oligoelementi.
(Fitofotodermatite)
Chitosol è resistente all’acqua (waterproof) ed è
formulata con un filtro chimico-fisico che riduce
il rischio di sensibilizzazione allergica rispetto ai
tradizionali filtri chimici in commercio.
15
Dermatologia
Cheratosi seborroiche:
un fastidioso disturbo estetico
Mario Sannino
Specialista in Oncologia Dermatologica
L
a cheratosi seborroica è una forma di iperplasia
benigna dell’epidermide che si manifesta come
macchia brunastra più o meno rilevata sul piano
cutaneo, con aspetto verrucoso o squamo-crostoso. Può essere pruriginosa e, se traumatizzata, dare
origine a sanguinamento. Viene anche definita verruca
seborroica o senile, ma non è di origine virale e pertanto
non contagiosa. Può presentarsi isolata oppure diffusa,
in genere su viso e tronco, e arrecare un serio disturbo
estetico. Le cheratosi seborroiche si presentano in soggetti di entrambi i sessi, a partire dai 40 - 50 anni. Da
qualche anno, in seguito all’eccessiva fotoesposizione,
l’età di insorgenza si è abbassata notevolmente, e già a
partire dai 30 anni è possibile fare diagnosi di cheratosi seborroica. Assieme alle rughe ed al fotodanneggiamento, le cheratosi arrecano un senso d’invecchiamento precoce, soprattutto quando sono localizzate al volto.
Le cheratosi possono essere anche di grandi dimensioni tanto da preoccupare il paziente ed essere scambiate per tumori della pelle come il melanoma. In alcuni
individui, familiarmente predisposti (trasmissione genetica dominante) o a causa di patologie concomitanti,
tendono a essere molto numerose e con crescita rapida
tanto da procurare un fastidio, oltre che visivo, anche
18
Dermatologia
nel vestirsi o lavarsi. In questo caso occorre procedere
alla loro eliminazione. La loro crescita è potenziata da
alterazioni ormonali o irritazioni, pur non costituendo
la causa scatenante: per questo motivo la menopausa,
momento di elevata modulazione ormonale nella donna, coincide con una crescita abnorme delle verruche
seborroiche, soprattutto sotto la piega mammaria.
Molte sono le neo-formazioni cutanee da cui bisogna
differenziare la cheratosi seborroica:
• lentigo solare, che a differenza della cheratosi non
può essere palpata durante l’esame obiettivo (è solo una
macchia sulla pelle);
• cheratosi attinica pigmentata;
• melanoma piano in placca;
• carcinoma basocellulare pigmentato;
•carcinoma spinocellulare.
Le formazioni seborroiche, contrariamente alle cheratosi attiniche che possono evolvere in carcinoma spinocellulare, non si trasformano mai in forme tumorali
Cheratosi seborroica
maligne, ad eccezione della cheratosi bowenoide che
però è un’entità ben diversa dalla seborroica. Nel caso in
cui fosse necessaria l’asportazione per motivi estetici e
funzionali, si può ricorrere all’asportazione chirurgica o
al curettage, alla diatermocoagulazione, alla crioterapia
e alla laser-terapia. In particolare quest’ultima assicura
una corretta rimozione senza rischio di esiti come cicatrici, iper e ipopigmentazione, che spesso riscontriamo
quando si impiegano metodiche più cruenti come diatermo e crioterapia.
Senza dubbi il trattamento ottimale per allontanare
le cheratosi seborroiche del volto resta la laserterapia,
mediante impiego di laser CO2 o Erbium laser. Prima
della rimozione delle cheratosi seborroiche occorre
sempre effettuare una corretta diagnosi. Lo specialista
dermatologo è la figura professionale più qualificata
che, mediante un esame non invasivo, la dermatoscopia, può effettuare una adeguata diagnosi delle lesioni
pigmentate.
Diagnostica non invasiva con metodica multispettrale
Cheratosi seborroiche del volto. Trattamento di vaporizzazione con laser CO2 ablativo:
focale 7 mm, emissione pulsata, potenza 0.2 – 0.8 w frequenza 5-10 hz
20
Dermatologia
“Le aree più colpite sono
il torace, le braccia,
il terzo inferiore del
viso, il collo e le spalle”
La pitiriasi versicolore:
chi colpisce e come si cura
Marina Vaccaro
Specialista in Dermatologia e Venereologia
L
a pityriasi versicolor o versicolore, nota anche
come dermatomicosi furfuracea e definita volgarmente ed impropriamente “fungo del mare”,
è un’infezione cutanea superficiale causata generalmente da un lievito del genere Malassezia, in particolare la Malassezia Furfur, che normalmente colonizzano la cute umana, e può diventare patologica solo
in determinate circostanze a causa di fattori favorenti
endogeni ed esogeni.
Ad esempio tra quelli esogeni ritroviamo le alte temperature e l’elevata umidità; mentre tra gli endogeni vi
sono la cute untuosa, l’iperidrosi (eccesso patologico
della sudorazione), l’alterazione del pH cutaneo, la pre-
disposizione, la terapia steroidea, l’immunosoppressione, il diabete, la denutrizione cronica, la scarsa igiene
personale e la gravidanza.
La pitiriasi versicolore è una malattia molto comune
e presente in tutto il mondo. Interessa persone in buona salute, in particolare le popolazioni che vivono in regioni tropicali o subtropicali. Ne sono particolarmente
soggette donne sane in età adolescenziale e nella prima
maturità (21 - 30 anni) ed in generale gli adolescenti o i
giovani adulti. Alcuni studi epidemiologici hanno inoltre dimostrato la presenza di predisposizione familiare.
La pitiriasi versicolore colpisce sia gli uomini che
donne. Si tratta, quindi, di una dermatite molto comu-
22
Dermatologia
ne in Italia. La sua incidenza varia dal 30- 40% nei climi
tropicali a solo l’1-4% nei climi più temperati.
La pitiriasi versicolore è caratterizzata da alterazioni della pigmentazione cutanea. Si presenta con macchie irregolari, ben demarcate, piane e di vario colore:
marrone chiaro se compaiono su pelle non abbronzata
(variente ipercromica); chiare se su cute sana abbronzata o naturalmente scura (variante ipocromica), poiché il lievito interferisce con la produzione endogena di
melanina bloccando l’attività delle tirosinasi. In realtà
l’aspetto delle chiazze è diverso a secondo se il lievito
si trova nella sua forma attiva, colorito bruno chiaro e
fine desquamazione in superficie, o non attiva. Da qui
il nome versicolor, che significa “cangiante”, che muta
colore. Le aree più colpite sono il torace, le braccia, il
terzo inferiore del viso, il collo e le spalle, ma le macchie si possono riscontrare in qualsiasi parte del corpo
fatta eccezione per le estremità. Normalmente si tratta
di una micosi superficiale asintomatica, in alcuni casi
provoca un lieve prurito. Risulta ben visibile durante
l’estate e subito dopo grazie all’abbronzatura che rende
visibili le chiazze ipo-acromiche, che rappresentano l’esito dell’attività del lievito.
La diagnosi è sia clinica che laboratoristica. Al microscopio ottico, eseguendo un semplice vetrino da grattamento metodico, la Malassezia furfur e la Malassezia
globosa appaiono sotto forma di lieviti riuniti in gruppi
di cellule sferiche od ovali ed è di facile riscontro anche
la presenza di piccole ife spesso allineate fra loro. Oltre
all’esame obiettivo e microscopico, risulta determinante
La pitiriasi versicolore
l’esame alla luce di Wood (meglio conosciuta come “Reazione di Wood”) che rende visibile il lievito sotto forma
di una fluorescenza gialla. La coltura, sebbene non sia
un metodo comune di diagnosi, può essere effettuata su
appositi terreni con aggiunta di olio d’oliva.
La pitiriasi versicolore è una malattia cronico-recidivante, persistente, e di norma non guarisce spontaneamente. Il trattamento prevede sia l’impiego di farmaci
ad uso topico che sistemico. Andrebbe eseguito nei mesi
primaverili, in modo da prevenire il tipico inestetismo
visibile in estate, ma va prolungato con una terapia di
mantenimento annuale (60% di recidiva entro un anno,
80% entro il secondo). Si utilizzano alcune formulazioni di shampoo contenenti solfuro di selenio (2,5%), solfuro-salicilico (2%) o molecole antimicotiche. Quando
risulta persistente e quindi si somministrano farmaci
per via sistemica: Fluconazolo (200 mg), Ketoconazolo (200 mg), Itraconazolo 100 mg, due volte al giorno
per 5-7 giorni. Inoltre, una maggiore cura della propria
igiene allontana le possibili recidive. In alcuni soggetti
il lievito si ripresenta con insistenza e sembra che non
esistano modalità per eliminarlo completamente, se
non per periodi limitati. In realtà, in situazioni normali,
l’igiene personale ha poco a che fare con la comparsa
della patologia, in quanto la sua proliferazione aumenta
in ambienti umidi e caldi. Quindi docce calde possono
creare un ambiente adatto al suo sviluppo (palestre,
saune, spa, etc.). Invece sono molto utili esposizioni a
fumi termali di origine sulfurea dal momento che lo zolfo combatte il microrganismo.
Le infezioni micotiche nell’attività sportiva
La pratica di una costante attività fisica è uno degli aspetti che concorrono a mantenerci in uno stato di buona salute fisica. Ma allo stesso tempo, può essere l’habitat
naturale delle micosi, in particolare la pitiriasi versicolore. Questo perché l’ambiente
caldo-umido dei locali di palestre e piscine, spogliatoi e bagni possono essere un luogo
a rischio per contrarre l’infezione.
Per questo motivo, il primo passo da compiere è quello di una corretta igiene personale
con specifici prodotti dermatologicamente formulati.
Acidine, della linea Klinè - Valderma, è un detergente dermoprotettivo a pH 4,5 specifico
per il ripristino dell’acidità fisiologica della cute e delle mucose, come tampone nelle
variazioni del pH cutaneo, fattore favorente alterazioni dermatologiche come micosi,
vulvo-vaginiti, balano-postiti ed eczemi microbici. Il bagno-doccia riequilibrante è
preventivo in particolar modo nelle pratiche sportive a rischio di contaminazione (piscine, palestre). In farmacia è disponibile la nuova confezione convenienza da 500 ml.
24
Dermatologia
L’onicomicosi
colpisce soprattutto
le persone anziane
e negli ultimi anni
anche i giovani
La laserterapia nel trattamento
delle onicomicosi
Jeanette Gaido
Specialista in Dermatologia e Venereologia
L
e onicomicosi sono patologie infettive delle unghie,
in particolare dei piedi. La prevalenza delle onicomicosi ha un range dal 2-28% nella popolazione generale con una incidenza maggiore in alcuni gruppi
di soggetti immunodepressi, con diabete mellito e negli
anziani.
Gli agenti fungini sono principalmente i dermatofiti, le
muffe non-dermatofitiche e lieviti genere Candida. Possono colpire le unghie delle mani e dei piedi, con una maggiore incidenza su queste ultime, ove viene invasa l’unità
ungueale. Il fungo può aggredire direttamente unghie sane,
tuttavia alterazioni distrofiche locali e/o la concomitanza di
patologie sistemiche facilitano la loro penetrazione. Questo
è particolarmente evidente nel caso delle infezioni causate
da muffe non-dermatofitiche o infezioni da lieviti. Le onicomicosi hanno un esordio insidioso e, se non trattate, progrediscono fino ad invadere tutta l’unghia e colpire le altre
unghie. Le manifestazioni cliniche, in relazione alla modalità di invasione della lamina ungueale da parte dei miceti
sono principalmente: subungueale distale SD, subungueale
laterale SL, subungueale prossimale SP, bianca superficiale
BS, ungueale totale ST, endonix con la formazione di dermatofitoma e perionissi quest’ultima causa infiammazione
anche ai tessuti periungueali.
Fra gli agenti eziologici causali i dermatofiti Trichphyton
rubrum e Trichophyton mentagrophytes sono responsabi-
26
Dermatologia
li di circa il 90% dei casi, per le muffe non-dermatofitiche
Scopulariopsis brevicaulis, Fusarium spp e Aspergillus spp.
sono gli agenti micotici più incriminati. Nel caso di infezioni da lieviti la Candida albicans è predominante in relazione
alle infezioni da Candida non-albicans, ad esempio C. glabrata, C. krusei, C. tropicalis. La modalità di trasmissione
avviene generalmente da uomo a uomo mediante contatti
in luoghi ed ambienti caldi ed umidi come piscine, docce
pubbliche e sauna o l’utilizzo di scarpe infette. Clinicamente, le onicomicosi possono comportare oltre ad un imbarazzo sociale, un vero e proprio disagio di tipo funzionale con
difficoltà ad eseguire funzioni quotidiane, come camminare
o deambulare. La “cura clinica” e “cura micotica” delle onicomicosi rappresenta tuttora una sfida per il dermatologo.
Le diverse terapie finora utilizzate per debellare i funghi
responsabili delle infezioni prevedono in primis terapia topica, sistemica, meccanica/chirurgica o una combinazione
di questi metodi con risultati talvolta parziali, incompleti o
temporanei. In alcune circostanze esiste un’alta percentuale di recidive e/o reinfezioni. Per la cura delle onicomicosi,
in determinate condizioni, ad esempio nei pazienti anziani,
ove la terapia topica non è facile da eseguire o nel caso che
l’utilizzo di farmaci sistemici non sia possibile per interazioni farmacologiche, esiste oggi un’alternativa terapeutica: l’impiego del laser.
>Metodo: Uno studio pilota, utilizzando laser Nd:YAG
long-èulsed 1064 nm, è stato eseguito su 20 soggetti per un
totale di 29 unghie con onicomicosi, confermate mediante
Le onicomicosi
l’esame micologico ed utilizzando il “onychomycosis score
index” (OSI) come parametro clinico.
>Risultati: Venti pazienti, di cui 14 donne (74%) e 6
uomini (26%), con range di età compresa tra 18 anni e 77
anni, con una età media di 43 anni, con un totale di 29 unghie (26 piede – 3 mani) colpite da onicomicosi diagnosticata mediante esame clinico ed esame micologico, sono stati
sottoposti a terapia laser, per un totale di 4 sedute a distanza di una settimana ciascuna, con l’obiettivo di eliminare le
infezioni fungine.
>Conclusioni: I risultati ottenuti hanno dimostrato
che questa tecnica potrebbe essere utile nella “guarigione
temporanea” dell’onicomicosi, con miglioramento dell’OSI,
della guarigione clinica e micologica. Per migliori risultati
è utile eseguire una medicazione mediante curettage del
materiale ungueale friabile e della cute circostante; ove è
presente un dermatofitoma o un’ipercheratosi ungueale
l’utilizzo di sostanze cheratolitiche, di una fresa o di un
laser ablativo tipo Erbium o CO2 riduce lo spessore della
lamina facilitando la efficacia del laser. Non si sono verificati effetti collaterali durante o dopo la procedura. Non
sono stati necessari l’utilizzo di analgesici o di anestesia
durante la procedura. La procedura è di semplice esecuzione e riproducibile. Per la mancanza di effetti collaterali è
una metodica utilizzabile nei soggetti anziani, nei pazienti
con patologie epatiche, in soggetti immunodepressi o in
chi assume farmaci sistemici che interagiscono con farmaci
antimicotici orali.
Dermatologia
E’ una delle patologie
cutanee più devastanti
dal punto di vista
psicologico
La vitiligine:
non solo un danno estetico
Oriele Sarno
Specialista in Dermatologia e Venereologia
L
La vitiligine è una dermatosi cronica, caratterizzata
da una carenza (ipocromia) o una totale mancanza
(acromia) di pigmento. Si manifesta sotto forma di
chiazze e/o macule di colorito uniforme, bianco-latte
o avorio, di dimensioni variabili da pochi millimetri a
diversi centimetri.
Le lesioni sono ben circoscritte, a margini netti e
spesso iperpigmentati. Le chiazze, di solito disposte
a vitiligine è una malattia acquisita della cute
con incidenza dello 0,5-2% nella popolazione
mondiale. In Italia si stima circa 1.000.000 di
affetti. La vitiligine sembra manifestarsi con
maggiore frequenza tra i 10 e i 30 anni, con un’età
media di insorgenza di circa 20 anni nel 50% dei casi.
Tuttavia può svilupparsi ad ogni età; infatti i casi pediatrici sono notevolmente in aumento rispetto al passato.
29
Dermatologia
simmetricamente, possono comparire in qualsiasi
parte del corpo e la loro insorgenza è indipendente dal
sesso, dall’età, dalla razza e dal fototipo. Si localizzano
più frequentemente al volto, alle ascelle, agli arti, al
dorso delle mani, all’areola del capezzolo, all’ombelico,
ai genitali, etc; anche se, in realtà, possono coinvolgere
tutto l’ambito cutaneo.
Istologicamente la cute coinvolta è caratterizzata da
assenza o riduzione del numero di melanociti.
La vitiligine è progressiva e non guarisce spontaneamente se non in rarissimi casi; è però una dermatosi
indolore, non contagiosa e assolutamente benigna; non
pregiudica lo stato generale di salute, ma può risultare
psichicamente e socialmente invalidante essendo causa
di inestetismi quasi sempre estesi.
Generalmente viene considerata un problema puramente estetico e, quindi, di minima importanza
per la salute. In realtà, diversi autori la definiscono
come una delle patologie cutanee più devastanti dal
punto di vista psicologico, supportati dal riscontro di
una maggior incidenza di depressione. Nei pazienti si
La vitiligine
denota una marcata diminuzione dell’autostima, dei
rapporti interpersonali e quindi della qualità della
vita. Spesso riferiscono episodi di discriminazione
nell’ambiente lavorativo, scolastico, sociale e, a causa
della ridotta autostima, una non soddisfacente vita di
relazione. Se si considera poi che il 50% dei soggetti
colpiti è in età adolescenziale o ha meno di 20 anni
e che è frequente la localizzazione al volto, al seno e
ai genitali, si comprende come la malattia costituisca
nel periodo dei primi approcci interpersonali, emotivamente coinvolgenti, un serio problema, vissuto con
enorme sofferenza.
La vitiligine può essere distinta in localizzata, generalizzata e universale. L’esordio e il decorso clinico
della malattia sono insidiosi e imprevedibili. Spesso
il paziente si accorge della patologia solo nel periodo
estivo, soprattutto nelle aree fotoesposte. Il decorso è
estremamente variabile: può rimanere stabile per anni
o estendersi rapidamente a tutta la superficie cutanea.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la malattia progredisce lentamente per la comparsa di nuove lesioni
e/o per l’accrescimento centrifugo di quelle pregresse.
In una piccola percentuale di casi (1,3%) si verifica
una repigmentazione spontanea (parziale o globale),
forse indotta dall’esposizione solare o da altri fattori
non ancora identificati. Tale miglioramento, però, solo
raramente è definitivo.
L’eziologia della vitiligine è ancora sconosciuta, nonostante i numerosi studi volti a stabilirne la causa.
La patogenesi appare complessa con l’intervento sia
di fattori genetici che ambientali. L’origine di questo
disturbo è probabilmente imputabile ad un difetto
genetico coinvolgente il sistema immunitario (come
dimostrato dall’associazione con disturbi autoimmuni
30
Dermatologia
la tua rivista medica
di altri organi) sul quale possono interagire numerose
concause esterne più o meno conosciute, quali stress
psicofisico, traumi fisici, ustioni, terapie farmacologiche, malattie virali, etc, che modulano in senso positivo
o negativo il decorso di questa dermatosi.
La malattia infatti è il risultato di una azione patogena non ben identificata che determina la scomparsa
dei melanociti e la successiva formazione di una zona
priva di pigmento melaninico (ipo-acromica).
Esistono attualmente diverse ipotesi patogenetiche:
autoimmune, neurogenica, autocitotossica ed una, più
recente, detta “convergente” che le riassume. I soggetti
affetti da vitiligine mostrano familiarità in circa 1/3
dei casi, e alcuni pazienti riferiscono uno stress psicofisico o un traumatismo meccanico sulla cute (fenomeno
di Koebner) come evento scatenante o aggravante della
malattia. Nei pazienti affetti spesso vengono osservate
altre condizioni patologiche associate, cutanee ed extracutanee. L’associazione con malattie autoimmuni
(ad esempio tiroiditi, gastriti, malattia di Addison ed
alopecia areata) è stata ampiamente descritta.
Negli ultimi anni numerosi studi hanno condotto
alla crescita esponenziale delle opzioni terapeutiche
a nostra disposizione: steroidi topici, immunomodulatori topici (TIMs - inibitori della calcineurina),
fototerapia (UVB e UVA) e foto chemioterapia (PUVA),
terapie chirurgiche (autotrapianto di melanociti), terapie depigmentanti, stimolazione laser, etc.
Attualmente le opzioni terapeutiche più efficaci
sono gli NB-UVB e i TIMs. L’avvento di questi ultimi
ha influenzato notevolmente il trattamento della
vitiligine. Il meccanismo di azione dei TIMs potrebbe
essere quello di inibire l’attivazione dei linfociti T e la
produzione di varie citochine, attraverso l’inibizione
dell’enzima calcineurina. Numerosi studi clinici hanno
dimostrato che i TIMs (tacrolimus e pimecrolimus)
sono efficaci e sicuri anche nei casi non responsivi alle
terapie convenzionali. Esiste, comunque, la necessità
di individuare nuove strategie che diano risultati ottimali e duraturi nella maggior parte dei pazienti. Un
passo in avanti in tal senso si è ottenuto con l’impiego
contemporaneo di più opzioni terapeutiche.
Infine il dato più evidente sia ai pazienti in terapia
che ai medici, oltre alla repigmentazione ottenuta, è
sicuramente il notevole miglioramento della qualità
della vita, poiché la vitiligine non è solo un semplice
danno estetico, ma anche un grave problema psicologico per il paziente.
Rivista di Medicina, Attualità, Cultura
MEDIMIA MAGAZINE - Bimestrale - ottobre 2011 - Periodico a diffusione gratuita - Anno II n° 5
la caduta dei capelli
falsi miti da sfatare
cellulite:
non solo estetica
8
artrosi:
sintomi, terapia e cura
13
l’importanza del
latte materno
18
occhio ai
filler permanenti
50
FOCUS
31
autunno
una stagione da vivere
reportage:
i “giardini” di riyad
62
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C.A.P.
Dermatologia
Sia le verruche
che i condilomi possono
essere trattati con creme
o lozioni di prescrizione
specialistica dermatologica
Verruche e condilomi:
un problema molto frequente
Valentina Dente
Specialista in Dermatologia e Venereologia
L
e verruche sono infezioni virali con esclusiva
predilezione della pelle e delle mucose.
Possono interessare tutte le parti della pelle.
Quando, invece, sono localizzate nel distretto
genitale prendono il nome di condilomi.
> Ma cosa sono i virus?
I virus sono particelle piccolissime che si inseriscono
nel DNA delle cellule. Integrandosi in questo, usano e
si nutrono del “cibo” cellulare, crescendo e moltiplicandosi al posto delle cellule in cui si sono integrati, prendendone il posto. Possono diffondersi anche a distanza
e, a seconda del tipo di virus, possono essere colpite più
parti del corpo. Un esempio è il caso dell’influenza dove
i virus trovano particolare giovamento nel moltiplicarsi
nei polmoni o nelle cavità nasali. Nel caso delle verruche, la pelle è la sede dove queste particelle riescono a
32
Dermatologia
Verruche e condilomi
sopravvivere. Queste ultime particelle virali citate prendono il nome di Papilloma virus (HPV). Diversi sono i
ceppi interessati nel caso delle verruche, e ancora altri
e differenti sono i ceppi che provocano le verruche dei
genitali, che prendono il nome di condilomi.
Le verruche assumono un aspetto visivo differente
a seconda della sede ove sono solite presentarsi: più
piatte sul volto; più spesse, dure e callose sulle superfici
palmo-plantari, dove la pelle è più doppia e anche più
sottoposta, in taluni casi, a facili traumatismi. Molto fastidiose e difficili da trattare sono anche le verruche che
si presentano attorno alle unghie.
Il contagio può avvenire tra due persone differenti o
nella stessa persona già affetta, il problema è che può
essere trasportato in altre sedi del corpo, come ad esempio mano-viso o unghia-bocca/lingua o mano-piede. Il
contagio avviene per contatto senza che necessariamente ci sia della fuoriuscita di sangue.
Sono molteplici i fattori che ne favoriscono l’attecchimento e la crescita: prima di tutto le difese immunitarie
basse, per cui, entrando in contatto con l’infezione il
corpo ne rende possibile la crescita. L’ambiente umido
è un’altra causa importante di diffusione dell’infezione,
ambientale e/o atmosferico, e il contatto con oggetti o
superfici infette. A questo proposito, il sistema immunitario alterato spiega perché in uno stesso ambiente
familiare spesso solo una parte dei componenti della
famiglia ne è affetto, pur entrando tutti in contatto con
l’agente infettante. Gli ambienti delle palestre o piscine
dove c’è condivisione degli spazi il contagio si diffonde
con molta faciltà e con molta rapidità.
I condilomi, invece, sono classificabili come infezioni sessualmente trasmesse. Le infezioni sessualmente
trasmesse sono, appunto quelle che si trasmettono durante i rapporti sessuali. Un tempo, ma anche adesso
sono spesso associate alla sola trasmissione mediante la
prostituzione. In realtà la sempre maggiore diffusione
di rapporti occasionali, senza l’uso del preservativo, con
partner etero e/o omosessuali, ne ha consentito la sempre maggiore espansione. Paradossalmente, la prostituzione professionale, grazie a maggiori controlli igienico-sanitari, è più controllata da questo punto di vista.
I condilomi sono il primo tipo di infezione sessualmente trasmessa nei soggetti tra i 15 e i 24 anni, favoriti dai comportamenti giovanili che ne facilitano la
sensibilità al contagio. Spesso sono associati ad infezioni sessualmente trasmesse di maggiore importanza, per
cui è bene provvedere in caso di infezione ad eseguire
anche altri tipi di test sierologici. Inoltre sono causa scatenante di processi infiammatori che possono in alcuni
casi sfociare in precancerosi. Nelle donne i condilomi
possono interessare anche il distretto vaginale interno:
pertanto si rende indispensabile un lavoro di equipe
mediante una visita ginecologica con eventuale colposcopia.
La colposcopia serve a studiare in modo più approfondito eventuali infezioni e/o precancerosi del collo
dell’utero. Utile, a tal proposito, che, se anche uno solo
dei partner si sia infettato, anche l’altro si sottoponga
ad una ispezione dermatologica-venereologica di controllo.
Sia le verruche che i condilomi possono essere trattati mediante prodotti in creme o lozioni di prescrizione
specialistica dermatologica, che evocano una risposta
infiammatoria volta a stimolare la spontanea reazione
del sistema immunitario.
Spesso queste sono inefficaci: pertanto è preferibile farle eliminare dal dermatologo mediante tecniche
di tipo fisico, che sfruttino le proprietà ustionanti del
caldo o del freddo. Quest’ultimo consente maggiore ricrescita delle cellule sane durante la fase di cicatrizzazione. Può aiutare la nuova crescita di pelle sana, tra le
altre, applicare una crema riepitellizante e disinfettante
a base di acido ialuronico e perossido di idrogeno e detergersi con un sapone disinfettante.
Utile è assumere integratori, anche a base di prodotti naturali, che aiutino a migliorare dall’interno le difese immunitarie. A scopo preventivo, è utile durante
il periodo di terapia, utilizzare materiale monouso per
evitare di contagiarsi nuovamente durante il periodo di
terapia e di disinfettare le superfici con cui si entra in
contatto.
Per quanto riguarda i condilomi, è utile sensibilizzare, soprattutto i giovani, all’utilizzo del condom. Non
sottovalutiamo i condilomi, perché le infezioni sessualmente trasmesse sono il secondo tipo di infezioni più
diffuse in Europa dopo il gruppo delle malattie infettive.
E non discreditiamo neanche le verruche e la loro
importanza: spesso possono compromettere la funzionalità di una parte del corpo. Per esempio potrebbero
compromettere l’esito di un’importante competizione
di uno sportivo se localizzate sotto la pianta del piede.
O una persona che presenta tale infezione sulle mani
e/o sul volto, potrebbe avere compromissioni di tipo sociale, non potendo scambiare strette di mano amichevoli o baci sulle guance.
34
Dermatologia
L’esposizione solare
va intesa quale valido
supporter alle terapie
tradizionali e mai come
trattamento sostitutivo
Psoriasi d’estate:
i raggi solari sono salutari?
Steven Paul Nisticò
Università di Roma Tor Vergata
Dipartimento di Dermatologia
Ester Del Duca
Università di Roma Tor Vergata
Dipartimento di Chirurgia
C
onoscere la psoriasi
La psoriasi è una dermatosi cronica, ossia
persistente e duratura, a carattere infiammatorio, che colpisce circa l’1-2% della popolazione,
interessa tutte le fasce d’età, senza prevalenza di sesso,
ed è più frequente nella razza bianca. E’ caratterizzata
dalla comparsa di chiazze eritemato-desquamative, con
squame argentate superficiali e bordi netti. Pur non
infettiva, tale patologia, ha un forte impatto negativo
sulla vita personale, sociale e relazionale di chi ne è colpito, per il marcato disagio sia psichico che fisico, legato
non solo alla gravità ma anche alle sedi delle lesioni. La
presenza delle chiazze sulle mani o altre zone visibili del
corpo, il prurito ed il dolore possono interferire, infatti,
35
Dermatologia
con molte normali attività quotidiane e molti pazienti cambiano le proprie abitudini personali per il timore
che si vedano le chiazze, limitandosi nell’indossare abiti
corti, andare in spiaggia, in piscina o persino dal parrucchiere. Anche le chiazze localizzate sul cuoio capelluto infatti, che vengono spesso scambiate per forfora,
possono essere particolarmente imbarazzanti.
Le localizzazioni cutanea e annessiale sono quelle di più frequente riscontro, ma è ricorrente anche il
coinvolgimento delle mucose e delle articolazioni. Può
interessare la pelle in qualsiasi zona del corpo, e nella
maggior parte dei casi gomiti, ginocchia, cuoio capelluto, parte bassa della schiena, viso, palmo delle mani e
pianta dei piedi, unghie delle mani e dei piedi, tessuti
molli della cavità orale e della zona genitale.
L’eziologia della psoriasi non è ancora molto chiara.
Fattori immunitari, genetici, ambientali sono certamente implicati nella suscettibilità alla malattia.
Nella psoriasi si evidenziano anomalie biochimiche e
morfofunzionali dello strato corneo e di tutta l’epidermide, che interessano non solo le lesioni, ma anche la
cute sana del soggetto che ne è colpito. E’ stato proposto un modello di ereditarietà multifattoriale, secondo
il quale per il verificarsi dell’insorgenza della psoriasi
è necessaria l’integrazione sia di fattori genetici sia di
eventi scatenanti. Si è evidenziato come l’incidenza del-
Psoriasi d’estate
la psoriasi in figli con un solo genitore affetto da psoriasi si aggira attorno al 16,4% per raggiungere una percentuale del 50% se entrambi i genitori sono affetti. È il
sistema immunitario che gioca un ruolo di primo piano
nello sviluppo della malattia. Un disordine immunomediato dai Linfociti T CD4 attivati che liberano citochine proinfiammatorie sarebbe responsabile dell’eccessiva e rapida riproduzione cellulare dell’epitelio.
Nel soggetto psoriasico, lo strato basale presenta un
numero di mitosi superiore alla norma con un ritmo di
crescita cellulare accelerato, che esita in una produzione
abnorme di cheratinociti. I cheratinociti, inoltre, conservano ancora il nucleo a livello dello strato corneo, cosiddetta paracheratosi, processo alla base della formazione delle squame, caratteristica patognomonica della
chiazza eritemato-squamosa psoriasica.
Al rilascio di citochine ad azione proinfiammatoria e
alle molecole di adesione quali ICAM 1 dei cheratinociti sottoposti a traumi, sembra essere legata la patogenesi del fenomeno di Koebner, che non è altro che un
peggioramento, o una riacutizzazione o la comparsa di
nuove lesioni in seguito a un evento traumatico di diversa natura chimica, fisica o infettiva. Pertanto, anche
lo sfregamento dovuto a vestiario poco adatto e stretto,
soprattutto nella stagione estiva o a traumi sportivi con
aumento della temperatura corporea, possono essere
causa, specialmente nelle sedi genitali, del mantenimento della malattia in fase attiva o del suo peggioramento.
>A cosa stare attenti: fattori scatenanti
Il soggetto affetto da psoriasi deve imparare a riconoscere quali sono le condizioni e le abitudini di vita che
influenzano negativamente la sua malattia, e pertanto
a saper modificare di conseguenza il proprio stile di vita
per trarne beneficio.
Ambienti malsani, stress, abuso di alcool, fumo, obesità, abitudini alimentari scorrette, mancanza di esposizione solare sono fattori che contribuiscono sicuramente ad aggravare la malattia. Ma non basta, è necessario
che si sappiano individuare anche i fattori in grado di
scatenare una psoriasi silente o una recidiva di cui è necessario informare il dermatologo affinché si intervenga
nel percorso terapeutico da seguire ed eventualmente
riformulare. Tra i fattori scatenanti citiamo, in quanto
riconosciuti tali, quelli di più comune riscontro:
Traumatismi: Traumi locali, ferite, graffi e abrasioni
possono essere punto di partenza di nuove chiazze psoriasiche; anche un semplice tatuaggio può scatenare il
36
Dermatologia
Psoriasi d’estate
fenomeno di Koebner e la riacutizzazione di una psoriasi a placche. Per lo stesso motivo è bene evitare abiti
di lana o tessuti irritanti a diretto contatto con la pelle.
E ancora stare molto attenti alle Scottature solari o da
lettini abbronzanti;
Infezioni: Faringotonsillite streptococcica, Candida
albicans, Malassezia; infezioni delle alte vie respiratorie.
Farmaci: Sali di litio, interferone, beta bloccanti, ace
inibitori, fans e salicilati; Interruzione brusca di trattamento cronico con corticosteroidi;
Fattori psicologici: Ansia, stress psichici e fisici sono
i fattori che più spesso scatenano o aggravano l’andamento della patologia psoriasica. L’ansia ha una duplice
sfaccettatura in quanto legata sia all’andamento proprio
della malattia che all’impatto visivo della stessa che può
compromettere le relazioni interpersonali;
Abitudini di vita: Consumo di tabacco e alcool (spesso associati a insorgenza precoce e maggior rischio di
recidive di psoriasi).
Obesità (aumenta il rischio di psoriasi grave);
Fattori Ambientali e Clima: Il freddo e i cambi di stagione sono fattori predisponenti. L’esposizione al sole
ha generalmente un effetto favorevole a meno che non
sia troppo intensa ed eccessiva.
>Il sole amico “per la pelle”
Generalmente, nel corso dell’estate, la psoriasi tende
a migliorare sensibilmente o, addirittura, scomparire
del tutto. Questo avviene in circa l’80% dei casi, senza
dimenticare che circa il 5% dei casi invece peggiora con
una eccessiva esposizione solare. E’ in particolar modo
in presenza delle varianti pustolose ed eritrodermica
della malattia, che si può verificare una recrudescenza
dei sintomi.
Del resto una delle cure canoniche per la psoriasi,
la fototerapia, si basa proprio sull’utilizzo della parte
cosiddetta “buona” dei raggi ultravioletti. I raggi ultravioletti (UV) emessi dal sole hanno effetto distruttivo
sui linfociti T della pelle, in questo modo il processo infiammatorio regredisce e rallenta la sovrapproduzione
di cellule che è causa della comparsa delle squame sulla
pelle; naturalmente, il sole va però preso con precauzione per evitare scottature ed eritemi.
Un’eccessiva esposizione solare quando ancora non si
è abbronzati può essere responsabile di una recidiva o
di un forte peggioramento del quadro clinico a causa del
fenomeno di Koebner. E’ importante, non dimenticare
mai come una scorretta ed esagerata esposizione solare
può esporci ad altre problematiche e inficiare i miglioramenti attesi. Questo vale anche per l’esposizione alle
lampade UV.
In ogni caso l’esposizione solare va sempre intesa
quale valido supporter alle terapie tradizionali e sicuramente mai come trattamento sostitutivo delle stesse, in
quanto non è in grado di sostituire la fototerapia PUVA
o UVB a banda stretta.
Inoltre il sole agisce facendo aumentare la sintesi di
vitamina D, la quale esercita la sua azione antipsoriasica, in quanto contribuisce a ridurre la velocità di crescita abnorme delle cellule della cute e attenua l’infiammazione allontanando i linfociti.
Non è da escludere, come effetto aggiuntivo, che di
per sé il relax al sole o una bella vacanza al mare agiscano da antipsoriasici in quanto stimolano la produzione
di endorfine che elevando il tono dell’umore diminuiscono la percezione dello stress.
In quest’ottica, il binomio sole e mare diventa una
combinazione vincente per far regredire le lesioni, in
quanto combina l’azione cheratolitica dell’acqua marina
che livella le lesioni, con l’azione dei raggi solari, creando un effetto sinergico antinfiammatorio che lenisce il
prurito delle lesioni, elimina le cellule morte e favorisce
la rigenerazione cutanea.
Bisogna comunque fare attenzione a non esporsi
al sole dopo aver utilizzato da poco sostanze fotosensinilizzanti, tipiche nei trattamenti terapeutici della
psoriasi, quali catrami o farmaci come la ciclosporina
e l’etretinato, per i possibili effetti collaterali spiacevoli
che possono causare, quali macchie sulla cute. Pertanto
è sempre opportuno consultare il proprio dermatologo
prima di decidere di esporsi al sole.
>Psoriasi: il decalogo d’oro da osservare per una
corretta esposizione al sole
Osservare alcune semplici suggerimenti rende estremamente terapeutici i raggi solari:
• Mantenere una certa prudenza nelle prime esposizioni, per evitare le scottature, scegliendo le ore meno
calde della giornata. L’esposizione deve essere graduale, con incrementi di 5-10 minuti al giorno evitando
rischiose “full immersion” iniziali. Sarebbe preferibile
cominciare l’esposizione al sole gradualmente in primavera; prevenire le scottature solari e i possibili danni
indotti dalle radiazioni ultraviolette, evitando l’esposizione nella fascia oraria più calda, che va dalle 11.00 alle
15.00;
• Proteggere la pelle con prodotti che abbiano un fil-
37
Dermatologia
tro adeguato al proprio fototipo, iniziando con fattori
più alti, quindi più bassi nei giorni successivi ai primi.
E’ importante stendere le creme uniformemente circa
15/20 minuti prima dell’esposizione, senza dimenticare orecchie, nuca e piedi, e rinnovare l’applicazione per
mantenere la protezione, dopo essersi bagnati o asciugati o anche dopo aver sudato;
• Alternare, all’esposizione al sole, frequenti e brevi
bagni, per via dell’azione decapante dell’acqua salata che
favorisce il distacco delle squame e asciugarsi tamponando la pelle con l’asciugamano evitando lo strofinio;
• Consultare il Dermatologo per valutare l’opportunità di modificare la terapia d’estate, in considerazione
di eventuali possibili interazioni tra sole e trattamento
farmacologico in corso. Molti farmaci utilizzati, infatti,
possono essere fotosensibilizzanti, quindi si è più predisposti alle scottature. Va valutata quindi l’interruzione
della loro assunzione o in alternativa va accompagnata
da particolari cautele durante i periodi di esposizione
solare prolungata;
• Mantenere la pelle il più possibile pulita mediante
l’utilizzo di detergenti non aggressivi quali saponi neutri o a base oleosa e oli detergenti di origine naturale.
Può essere utile anche l’uso di creme doposole emollienti, protettive, non profumate, ricche di sostanze riparatrici e antinfiammatorie, che restituiscano alla pelle la
giusta idratazione per mantenere l’elasticità cutanea e
allo scopo di facilitare l’eliminazione delle squame, prevenire secchezza, prurito, grattamento ed escoriazioni;
• Bere molta acqua (almeno due litri al giorno) e succhi vitaminici. Un mese prima di sottoporsi ad esposizione solare sarebbe opportuno assumere integratori
alimentari a base di vitamine A ed E, consigliati dallo
specialista. Evitare le bevande alcoliche, che peggiorano la psoriasi e seguire un’alimentazione fresca e leggera: frutta e verdure di stagione, ortaggi, cereali, pane
e pasta preferibilmente integrali, riso integrale, pesce,
alimenti ricchi di antiossidanti, olio d’oliva, evitare formaggi fusi, burro, lardo, carne rossa, insaccati, fritture,
uova;
• Evitare l’uso di crema depilatoria che potrebbe provocare allergie, preferire, l’uso del rasoio e, in assenza
di placche, anche la cera a caldo/freddo, gli epilatori e
le pinzette. Idratare rigorosamente la cute dopo la depilazione;
• Indossare abiti in fibra naturale, meglio se larghi e
piuttosto comodi privi accessori che possano creare microtraumi a contatto con la pelle e usare calzature aper-
Psoriasi d’estate
te e comode, per aiutare la pelle a traspirare e restare
asciutta;
• Evitare le circostanze che creano sudorazione eccessiva che può peggiorare i sintomi;
• Prevenire le punture d’insetti con l’uso di repellenti
privi di sostanze irritanti; in caso di punture di meduse
o insetti, di contatto con erbe urticanti o alghe, procedere con i rimedi convenzionali, facendo attenzione a
non grattare le lesioni, per non creare irritazione e riesacerbazione delle chiazze di psoriasi. Lenire il prurito
con applicazione di pomate specifiche.
>Quali terapie possibili?
Si dispone oggi di molti farmaci e trattamenti; da
quelli per uso topico, alla fototerapia, alla terapia sistemica, per via orale o per iniezione fino all’applicazione
della Tecnologia Laser.
In ogni caso è molto importante adeguare la terapia
allo stato della malattia, in relazione alle manifestazioni cliniche in atto, alla localizzazione, alle recidive ed ai
39
Dermatologia
risultati di precedenti trattamenti terapeutici, nonché
età, sesso, stili di vita.
Tra i farmaci per uso topico sono di frequente utilizzo gli unguenti a base di corticosteroidi (cortisone), e
a base di retinoidi, sostanze derivate dalla vitamina A.
Una svolta nei trattamenti per uso topico è data oggi
dai derivati della vitamina D3.
Questi preparati, associati o meno a betametasone,
si sono mostrati più efficaci, rapidi e meglio tollerati rispetto alle terapie convenzionali con il vantaggio di una
sola applicazione quotidiana e di mantenere i risultati a
lungo termine con un buon profilo di sicurezza. La fototerapia si avvale di luce artificiale, controllata. La prima
forma di fototerapia nella psoriasi è stata certamente
l’esposizione alla luce solare, in quanto i raggi ultravioletti (UV) emessi dal sole determinano il rallentamento
della comparsa di squame sulla pelle.
La fototerapia con raggi UVB usa, quali sorgenti di
luce, speciali lampade UVB a banda stretta con lunghezza d’onda pari a 311 nm. Altra forma di fototerapia prevede l’utilizzo di lampade UVA (cosiddetta PUVA terapia) con la contestuale somministrazione di psoraleni
farmaci foto sensibilizzanti, che potenziano l’effetto dei
raggi UVA. Un grosso limite di questa terapia è che, se
protratta per troppo tempo, aumenta il rischio di carcinogenesi cutanea.
Il trattamento della psoriasi moderata-severa si basa
prevalentemente su farmaci sistemici quali ciclosporina, methotrexate o la fototerapia. In caso d’inefficacia,
Psoriasi d’estate
controindicazione o intolleranza a questi trattamenti si
può ricorrere alla terapia biotec, che è l’alternativa più
moderna per la cura della psoriasi, e si avvale dell’uso
dei cosiddetti farmaci biologici. Si tratta di farmaci immunosoppressori iniettabili.
New entries in questa categoria sono il Secukinumab
e l’ixekizumab inibitori di interleuchina 17A (IL-17A).
Il Secukinumab è il primo farmaco a essere approvato
in Europa come terapia di prima linea per la psoriasi di
grado moderato-severo e questa approvazione rappresenta una svolta decisiva nel trattamento della patologia psoriasica, poiché fornisce ai pazienti una nuova
opzione terapeutica.
In ultimo vale la pena fare un accenno all’utilizzo, per
il trattamento della psoriasi, della tecnologia Laser, nello specifico di un particolare sistema Laser ad Eccimeri.
Questa tecnologia rilascia in pochi secondi l’energia necessaria a correggere le alterazioni cellulari che sono alla
base della malattia. A seguito di tali applicazioni si verifica una rapida regressione delle chiazze psoriasiche,
già dopo alcune sedute di pochi secondi; tutto ciò senza
bisogno di applicare creme, assumere farmaci e senza
coinvolgere la cute sana circostante le lesioni.
La gamma di soluzioni disponibili per una patologia
tanto studiata è ampia, ma tutto ciò risulta inefficace
senza una presa di consapevolezza del paziente che la
regressione e la quiescenza della malattia dipendono da
una stretta aderenza al trattamento e dall’igiene delle
norme di vita quotidiane.
Chirurgia estetica
La T.B. è un trattamento
efficace, con pochi e
rarissimi effetti
collaterali, se praticato
da mani esperte
La tossina botulinica in
medicina estetica e non solo
Claudio Amitrano
Specialista in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
A
ttualmente il trattamento delle rughe del
volto con la tossina botulinica è in assoluto il
trattamento estetico più praticato al mondo.
Malgrado ciò, esistono ancora molti timori
da parte delle pazienti sul suo utilizzo. Questo atteggiamento è completamente errato. Infatti possiamo af-
fermare che la tossina botulinica per uso estetico è un
trattamento assolutamente sicuro, con risultati certi e
ripetibili, e con scarsissimi effetti collaterali.
La T.B. non è una novità assoluta, la moda del momento o qualcosa del genere ma è un farmaco molto
ben studiato (da oltre 30 anni) ed autorizzato dai mi-
41
Trattamento antiaging
rughe e zampe di gallina
L’acido ialuronico è uno dei componenti fondamentali del tessuto connettivo. Grazie alle
sue proprietà conferisce alla pelle le classiche
caratteristiche di elasticità e morbidezza.
La sua concentrazione tende a diminuire con
l’avanzare dell’età, con conseguente formazione di rughe ed inestetismi cutanei.
Se da un lato questo costante e considerevole decremento è tra i principali responsabili
dell’invecchiamento cutaneo dall’altro l’iniezione di acido ialuronico consente di riattivare le pelli mature stimolando la funzionalità
cellulare e donando alla pelle la compattezza
e la lucidità perduta.
Per tutti questi motivi tale sostanza viene
utilizzata con successo in campo dermatologico-estetico ormai da diversi anni. In particolare il trattamento a base di collagene ed
acido ialuronico costituisce la base dei cosid-
detti filler, trattamenti utilizzati per colmare
e spianare le rughe del viso.
Filler Instant della Roydermal contiene una
innovativa fibra silica rivestita da acido ialuronico che, disponendosi nei microsolchi,
colma all’interno le rughe profonde dell’area
periboccale e perioculare.
L’acido ialuronico nanosilico ha maggiore
affinità per l’acqua dell’epidermide (effetto
idratante) che, rigonfiandosi (effetto plumping) riduce visibilmente le rughe superficiali
e profonde.
Il risultato è quello di un effetto tridimensionale anti-aging immediato, la pelle appare
subito più compatta e luminosa.
L’acido ialuronico, oltre a conferire al tessuto
tono e trofismo, funziona anche da barriera
contro la diffusione di particolari sostanze
nocive come batteri ed altri agenti infettanti.
Visione tridimensionale del prima e dopo trattamento con Filler Instant
Chirurgia Plastica
nisteri della salute di tutto il mondo. E’ un farmaco ed
in quanto tale è utilizzato anche per il trattamento di
varie patologie. Ma è nel corso di alcuni studi sul trattamento dello strabismo e del blefarospasmo che un
paziente fece notare la scomparsa delle rughe della glabella (quelle sul naso in mezzo alle sopracciglia). Come
spesso accade in ambito scientifico lo studio di una cosa
ha condotto alla scoperta di un’altra cosa: la possibilità
di trattare le rughe mimiche del volto.
Sono quindi moltissimi anni che la T.B. viene studiata ed utilizzata sia per le rughe per trattare il blefarospasmo, lo spasmo facciale, la distonia cervicale, le spasticità degli arti, le ragadi anali, l’iperidrosi, ecc.
Il razionale che differenzia il trattamento delle rughe
con T.B. rispetto ad esempio al trattamento con infiltrazioni a base di acido Ialuronico è che, mentre l’acido
Ialuronico è soltanto un volumizzante (cioè riempie la
ruga fisicamente), la T.B. riesce a trattare l’origine del
problema che è alla base delle rughe mimiche del volto
e cioè la contrattura muscolare. Infatti è la contrattura
dei muscoli mimici del volto (associata alla minor elasticità cutanea acquisita con il trascorrere degli anni) che
origina la maggior parte delle rughe. La T.B., favorendo
un rilassamento provvisorio dei muscoli mimici, determina la scomparsa delle rughe.
Il risultato del trattamento è davvero sorprendente e,
va detto senza tema di smentita, che attualmente non
esiste nessuna terapia altrettanto efficace e così poco invasiva che dia i medesimi risultati.
>Il trattamento
Il trattamento viene eseguito in ambulatorio attraverso l’infiltrazione di piccolissime quantità di T.B. nei
muscoli mimici del terzo superiore del volto, delle labbra e del collo, ricorrendo ad un ago minuscolo (4 mm).
E’ quasi indolore e non lascia segni. Inoltre la correzione
delle rughe avviene gradualmente: inizia circa 24/48 ore
dopo il trattamento e raggiunge la massima efficacia in
10/15 giorni. Poi la correzione rimane stabile per 4/6
mesi, per poi ritornare allo “status quo ante”.
Ovviamente il trattamento può essere ripetuto più
volte per mantenere i piacevoli risultati raggiunti. Un
aspetto importante da mettere in evidenza è che la T.B.,
mettendo a riposo per diversi mesi i muscoli mimici, ritarda l’approfondirsi delle rughe e quindi è l’unico trattamento che ci consente di prevenire in maniera efficace
il manifestarsi o l’approfondirsi delle stesse. Ripetendo
i trattamenti in genere si nota anche una maggiore durata del rilassamento muscolare e, di conseguenza, della
Tossina botulinica
Possono essere trattate le seguenti rughe:
a) Glabellari e quelle del m. procero (quelle in
mezzo alle sopracciglia)
b) Frontali (quelle orizzontali della fronte)
c) Perioculari (le zampe di gallina)
d) Periboccali (le rughe del fumatore)
e) Bunny lines (le rughe ai lati del naso o del coniglietto)
Inoltre possono essere trattati i seguenti
inestetismi:
a) Collane di Venere (rughe orizzontali del collo)
b) Bande platismatiche (cordoni verticali del collo)
c) Mento “a pallina da golf” (mento rotondo e
bucherellato)
d) Sorriso gengivale (eccessiva scopertura dei
denti quando si ride)
e) Punta del naso cadente
f) Sopracciglio cadente nel terzo esterno (brow
lift)
g) Bocca con le commissure cadenti o bocca triste
scomparsa delle rughe. Vi sono pazienti con una durata
di circa un anno. Vorrei, infine, citare un ulteriore problema che può essere risolto con la T.B.: l’iperidrosi, ovvero l’eccessiva sudorazione di mani, piedi, ascelle, ecc.
L’iperidrosi può diventare un problema invalidante
dal punto di vista psicologico e pregiudicare l’attività
sociale degli individui che ne sono affetti. In alcuni casi
la sudorazione è eccessiva e le sue conseguenze (come
tracce di bagnato sui vestiti o l’odore acre che spesso ne
deriva) possono portare il soggetto iperidrotico a isolarsi.
Dunque, visto che la T.B. oltre ad inibire la contrazione muscolare inibisce anche le ghiandole sudoripare,
con qualche “punturina” alle ascelle, piuttosto che alle
mani o ai piedi è possibile risolvere il problema per 8/12
mesi.
In conclusione non rimane che ribadire che la T.B. è
un trattamento straordinariamente efficace, con pochi
e rarissimi effetti collaterali e che, se praticato da mani
esperte, può dare risultati veramente eccellenti sia in
medicina estetica sia per il trattamento di molte patologie.
43
Master
Master Laser in Dermatologia:
inaugurato il nuovo
anno accademico
H
a preso il via lo scorso 16 maggio 2015 il Master Universitario di Secondo Livello “Laser
ed altre sorgenti di luce: applicazioni diagnostiche e terapeutiche in Dermatologia
e Medicina Estetica”, presso l’Università degli Studi di
Roma - Tor Vergata per gli anni accademici 2014-2015
e 2015-2016.
Sono trenta gli iscritti che frequenteranno i corsi del
Master nei prossimi diciotto mesi, al termine dei quali conseguiranno il titolo universitario di specialisti in
“Laserterapia in Dermatologia”. Le lezioni, tenute da
esperti nazionali del settore, forniranno le nozioni fondamentali per la costruzione da parte dei partecipanti
di un Ambulatorio laser competente ed avanzato nella
diagnosi e cura di tutta la patologia dermatologica suscettibile di trattamento laser, dal tessuto pigmentario
a quello vascolare a quello d’organo.
Solo una didattica che scaturisca da una ricerca universitaria e che sia condivisa da linee guida nazionali ed
internazionali, riesce a garantire un contributo forma-
44
Master
Inaugurato il nuovo anno accademico
tivo veramente valido ed
Firenze, e Napoli. Un
utile per la crescita proruolo di primo piano è
fessionale di un Medico
stato svolto anche per
che si voglia dedicare inquesto biennio dal gruptensamente allo studio
po di formazione GILDed alle applicazioni delle
FTP (Gruppo Italiano di
sorgenti di luce. Una laLaser Dermatologia per
serterapia che sia quindi
la Formazione Teoricomateria di vero interesPratica), che svolge da
se e non semplicemente
molti anni stage e corsi
un argomento dibattuto
di formazione in ambito
Allievi diplomati nell’edizione 2012/2013
in incontri occasionali o
nazionale sul corretto
poco attenti.
uso delle sorgenti di luce.
La prima edizione del Master Universitario, che si è
Il GILD curerà, per il nuovo anno accademico, non solo
conclusa nel novembre 2014, ha visto ben 28 Allievi digli aspetti organizzativi ma anche quelli di didattica e
plomarsi in Laserterapia dermatologica e alcuni di quericerca. Tutto questo è stato reso possibile grazie ad una
sti Allievi hanno già pubblicato su riviste scientifiche di
sinergia costante con il mondo universitario, culminaforte impatto la propria tesi discussa al conseguimento
ta con la partnership del Dipartimento di Medicina dei
del diploma. Per offrire continuità all’offerta formativa,
Sistemi – Clinica Dermatologica diretta dal Prof. Sergio
da quest’anno gli Allievi potranno completare la propria
Chimenti, dell’Università degli Studi di Roma - Tor Verformazione presso i Centri laser accreditati di Roma,
gata.
45
Oncologia
Grazie alla diagnosi
precoce e alla
prevenzione cresce il
tasso di sopravvivenza
Fattori di rischio e prevenzione
del tumore al seno
Luisa Barbaro
Specialista in Ginecologia e Oncologia
I
l tumore della mammella costituisce la prima causa di morte dopo le Malattie Cardiovascolari nelle donne ed è la neoplasia più diffusa sia nei paesi
industrializzati sia in quelli in via di sviluppo, con
un’incidenza di 1 donna su 10.
In Italia si registrano oltre 30.000 nuovi casi ogni
anno, circa 7/8000 nelle donne di età inferiore a 50
anni, 13/14000 nella fascia tra i 50 e i 70 anni. Nel nostro paese circa 10 donne su 100 sono destinate a contrarre la neoplasia mammaria nel corso della loro vita.
Negli anni 60 solo il 30% delle donne sopravviveva,
oggi siamo all’80% grazie a diagnosi precoci, a strumenti sempre migliori ed indagini sempre più sofisticate, oltre a nuove metodiche terapeutiche sempre più efficaci.
Molti dei fattori di rischio associati allo sviluppo delle neoplasie mammarie non sono modificabili, come
l’età, la storia familiare, il menarca precoce. Su altri è
invece possibile intervenire con modificazioni del proprio stile di vita (attività fisica, cosmetici compatibili,
blog-terapia), delle abitudini alimentari (dieta consigliata: broccoli, cavoli, cipolle, pomodori, ma anche alghe,
semi di lino, rucola e senape) e dell’uso di farmaci. La
sua incidenza continua ad aumentare ma allo stesso
tempo cresce il tasso di sopravvivenza. Come? Soprattutto grazie alle diagnosi precoci, alla prevenzione ed a
controlli genetici in donne con marcata familiarità. Per
combattere la malattia infatti, assume un’importanza
strategica l’adesione ai programmi di screening perché
46
Oncologia
Il tumore al seno
con controlli regolari, si ottengono guarigioni quasi al
100%. Secondo le linee guida dell’American Cancer Society, in assenza di segni o sintomi di neoplasia mammaria tutte le donne dovrebbero effettuare:
Autopalpazione del seno a partire dall’età di 20 anni
e con regolarità (nei Consultori Familiari vengono svolti dei corsi appositi), rivolgendosi al senologo di fiducia qualora si riscontrassero modificazioni od anomalie
dell’anatomia di base delle mammelle;
Visita senologica con cadenza annuale delle donne al
di sopra dei 35/40 anni anche asintomatiche, (Consultori Familiari, Policlinici Universitari U.O.S. Senologia e
Aziende Ospedaliere);
Mammografia compiuti i 40 anni, con l’esame in due
proiezioni a cadenza annuale (c/o poliambulatori ASP,
Policlinici Universitari e Aziende Ospedaliere).
Per quanto riguarda l’autopalpazione al seno, è importante per le donne prestare attenzione ad eventuali,
insoliti cambiamenti del proprio seno. Dopo i vent’anni
l’autopalpazione andrebbe fatta una volta al mese (tra
il 7° ed il 14° giorno del ciclo mestruale). Prima dell’autopalpazione è importante l’osservazione del seno e del
capezzolo con le braccia alzate stese e poi piegate.
L’autopalpazione va eseguita con la parte interna dei
polpastrelli, palpando il seno partendo dal cavo ascellare con piccoli movimenti ascellari disegnando una
spirale dall’esterno verso il capezzolo in senso radiale e
dall’alto verso il basso.
In presenza di qualunque segno e sintomo tra quelli
sopra elencati a carico della mammella, le donne devono rivolgersi al medico specialista. Il senologo clinico
valuterà caso per caso la necessità di integrare i test di
screening con ulteriori metodiche di approfondimento diagnostico quali: Ecografia della mammella (c/o
Poliambulatori ASP, Policlinici Universitari e Aziende
Ospedaliere); Risonanza magnetica mammaria (Policlinici Universitari, Aziende Ospedaliere, Strutture Priva-
te Convenzionate); Esame citologico o istologico (ago
aspirato o macro-agobiopsia o biopsia escissionale presso Policlinici Universitari, Aziende Ospedaliere); Analisi
del sangue- marker (CA-15-3 i cui valori normali sono
<30u/ml); Consulenza genetica e secondariamente i
test genetici in caso di familiarità. Nel caso di presenza
di micro calcificazione sospetta all’esame mammografico, il clinico potrà richiedere ulteriore approfondimento
diagnostico strumentale con esame cito-istologico mediante prelievo con “Mammotome” (presso, Policlinici
Universitari, Aziende Ospedaliere, Strutture Convenzionate). Per capire la natura del tumore prima possibile, è fondamentale per le donne effettuare altri test,
in particolare la scintigrafia della mammella (in grado
di individuare le piccole lesioni), la duttogalattografia
o galattografia (per evidenziare formazioni patologiche
nei dotti galattofori), la radiografia del torace, e la risonanza magnetica o risonanza magnetico nucleare.
Esiste un tumore al seno definito “Triplo Negativo”
che rappresenta il 15% delle neoplasie mammarie ed è il
più aggressivo. Questi tumori non presentano sulla loro
superficie quelle molecole che li rendono sensibili alla
ormono-terapia o alle terapie che colpiscono il recettore
per il fattore di crescita epidermico umano di tipo due,
HER2. Ne esistono due tipi, quello basale e quello non
basale, che ha un basso rischio di ripresa della malattia
ed una prognosi migliore. Sarà il Medico-patologo che
condurrà lo studio di alcuni biomarcatori (piccole molecole dette MicroRNA circolanti nel sangue) a stabilire
l’evoluzione e la progressione del tumore Triplo-negativo basale per un migliore utilizzo di terapie mirate.
Per stabilire l’eventuale presenza di metastasi in particolare nel fegato, nei polmoni e nelle ossa, ci sono poi
altri esami che il medico oncologo, nel caso di diagnosi del K mammario, dovrebbe richiedere la scintigrafia
ossea, l’ecografia epatica, la risonanza Magnetico-Nucleare. Per quanto riguarda la gravidanza ed il tumore
al seno, in Italia vi è una gestazione su tremila ad essere accompagnata dal cancro alla mammella, infatti il 15% delle neoplasie al seno colpiscono le donne
under 35 gravide. In questi casi l’ecografia mammaria
rimane il gold standard tra gli esami strumentali. Sul
“quando” progettare una gravidanza, si consiglia di attendere almeno due anni, periodo con un maggior tasso di recidive. Per quanto riguarda invece le cure, vi è
una nuova scoperta italiana, l’Immunoterapia, terapia
genica (TGET) che dimostra come le cellule del sistema
immunitario modificate sopravvivono per oltre 10 anni
Bisogna prestare attenzione a:
1. Nodulo palpabile, nuovo ed evidente; 2. Dolore al
seno o strane sensazioni; 3. Retrazione del capezzolo; 4. Secrezione ematica o sieroematica dal capezzolo
(perdita di sangue o di liquido in particolare se da uno
solo dei due); 5. Alterazione della cute mammaria (ispessimenti, raggrinzimenti o avvallamenti della cute); 6.
Vene in rilievo; 7. Infiammazioni o eruzioni cutanee; 8.
Nodulo palpabile nel cavo ascellare.
47
Oncologia
negli esseri umani e possono essere applicate contro i
tumori. Questi nuovi trattamenti contro il cancro, basati sui linfociti T staminali di memoria, ingegnerizzati
cioè corretti geneticamente, sono in grado di riprodursi
per anni nel sangue di un individuo e di “attaccare” in
caso di malattia. Si mantiene cioè nel tempo la capacità
del sistema immunitario di persistere nel sangue delle
pazienti, rappresentando così una riserva per le cellule
che agiscono in prima linea contro le cellule malate.
Importante inoltre nel caso di tumore alla mammella, è un sostegno psicologico per tutti i disagi derivanti dall’evento traumatizzante, da una nuova immagine
corporea, dalle ansie, dalla rabbia, dalla paura, da una
condizione di equilibrio, del tono dell’umore alterato e
da una grossa carica emotiva. Interessante è dunque un
lavoro di multidisciplinarietà tra il chirurgo senologo,
lo psiconcologo ed il chirurgo oncoplastico, per aiutare
la donna ad avviare processi di accettazione di sè altrimenti impossibili. Utile è anche dedicare qualche ora
alle donne operate per aiutarle a vivere meglio le conseguenze delle cure sui rapporti di coppia, sulla sessualità,
sulla menopausa precoce, perché non restino in solitudine e trasparenza, con il fantasma dell’abbandono per
la paura della perdita della loro femminilità. Per almeno
altri 5 anni si raccomanda il follow-up con visita senologica ogni 4 sei mesi, mammografia all’anno ed un esame
Il tumore al seno
pelvico annuale. Esiste inoltre la blog-terapia per lottare
vivere e sorridere, lezioni di bellezza, trucco e foulard.
Grazie alla prevenzione, infatti, eventuali alterazioni
vengono identificate negli stadi più precoci, mentre con
provvedimenti semplici (chirurgia conservativa), è possibile guarire oltre il 90% dei casi. Per questo motivo è
molto importante il ruolo del Consultorio per quanto
riguarda la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore al seno, come previsto dal POMI (Progetto Obiettivo
Materno-infantile). Nell’ambito di questa tematica tutte le ASP regionali hanno organizzato lo “Screening per
il K mammario” che è un programma che prevede un
invito con regolare scadenza, rivolto a tutte le donne dai
50 ai 70 anni, ad effettuare una mammografia con lo
scopo di diagnosticare precocemente il carcinoma mammario.
Dunque vanno aumentate le campagne informative,
con maggiore attenzione sugli stili di vita e sugli esami per la diagnosi precoce. Ed è questo l’obiettivo della
nuova campagna “Pink is Good” lanciata in occasione
del mese della prevenzione, che prevede una prevenzione personalizzata. Bisogna così istituire le Brest Unit
cioè centri specializzati per la diagnosi precoce in tutta
Italia, in modo tale da organizzare delle reti di senologia
sul territorio per una migliore qualità di vita per tutte
le donne.
Contro il naturale invecchiamento cellulare
Keratose 100 è un complemento nutrizionale ad alto contenuto in acido gamma linolenico
(omega 6), estratto di bromelina (da gambo d’ananas) ed estratto di melone (ricco in vitamina
A- C-E), che contrasta il naturale invecchiamento cellulare causato dallo stress ossidativo.
La vitamina E è stata adoperata con successo nella cura della displasia mammaria benigna, o
precancerosa, conosciuta col nome di mastopatia fibrocistica. Essa, inoltre, diminuisce la tensione mammaria che si ha in periodo premestruale e si ritiene che possa aumentare la capacità
del selenio di combattere il tumore al seno. E’ stato dimostrato che la vitamina E protegge
dagli effetti negativi della radioterapia e riduce gli effetti collaterali di alcune chemioterapie.
Alcune ricerche effettuate sulle cavie hanno mostrato una prevenzione totale dello sviluppo
di tumori.
La vitamina E, C ed i bioflavonoidi sono stati adoperati come coadiuvante nel trattamento delle vene varicose come alternativa all’intervento chirurgico. La vitamina E è un potente immuno-stimolante; le persone che hanno alti livelli di vitamina E nel sangue hanno
ottimi livelli di funzionalità immunitaria. In quanto enzima proteolitico, la Bromelina è utilizzata nelle dispepsie, ma il suo utilizzo
principale è come antiinfiammatorio ed antiedematoso. Risulta particolarmente efficace nel trattamento degli stati infiammatori dei
tessuti molli associati a trauma, nelle infiammazioni localizzate (specialmente in presenza di edema), e nelle reazioni tissutali postoperatorie. La sicurezza dell'impiego della bromelina rispetto ai FANS è maggiore in quanto non gastrolesiva. È nota la sua capacità
sinergica nelle terapie antibiotica ed antitumorale.
48
Oncologia
L’elastosonografia
fornisce un notevole
contributo nella
diagnosi del cancro
della mammella
Cancro della mammella:
Eco-Color-Doppler con la tecnica
della Elastosonografia
Luca Rotunno
Specialista in Chirurgia Generale
G
razie agli studi approfonditi che hanno permesso di dimostrare come la crescita e la
diffusione del tumore sono correlati alla capacità delle cellule neoplastiche di rinvigorire lo sviluppo dei nuovi vasi, la teoria dell’angiogenesi
ha suscitato negli ultimi anni un interesse crescente
ed è diventata un importante fattore nella diagnosi e
nella terapia del cancro mammario. La metodologia
dell’eco-color-doppler è lo strumento ottimale nel riconoscimento diagnostico delle formazioni tumorali
mammarie, permette un’attenta valutazione della loro
angiogenesi e fornisce fondamentali indizi per una diagnosi differenziale dei nodi solidi del seno.
L’eco-color-doppler è uno strumento essenziale nella
50
Oncologia
diagnosi delle lesioni mammarie in donne di età compresa tra i 18 ed i 40 anni. Nelle donne che superano i
40 anni di età, l’eco-color-doppler rappresenta un importante supporto di indagine essenziale nella diagnosi del tumore mammario e contribuisce ad evidenziare
nuovi casi di tumore mammario che sarebbero sfuggiti alla diagnosi precoce con la sola mammografia. I risultati diagnostici, davvero sorprendenti con l’utilizzo
dell’eco-color-doppler, sono dovuti all’identificazione di
carcinomi multifocali che l’esame mammografico o la
comune ecografia permetterebbero di identificare con
difficoltà.
Questo metodo riconosce la presenza di focolai
multipli che nel corso dell’esame istologico si sono riconosciuti essere carcinomi multiformi e multicentro,
permettendo così al chirurgo di adottare una decisione
terapeutica più opportuna. L’eco-color-doppler è l’esame fondamentale nel diagnosticare i linfonodi ascellari
metastatici. Infatti, in molti casi, la presenza di ipervascolarizzazioni si identifica con il referto istologico della
presenza di metastasi. Pertanto potrebbe risultare utile per il follow-up dei linfonodi ascellari nelle pazienti
operate di cancro mammario secondo la tecnica del linfonodo sentinella laddove lo svuotamento ascellare non
sia stato praticato.
Di recente, all’eco-color-doppler, è stata associata la
tecnica dell’elastosonografia, che fornisce informazioni
Eco-Color-Doppler
relative all’elasticità dei tessuti. Tale metodica, si basa
sul presupposto che i processi patologici (neoplastici,
infiammatori acuti, traumatici, etc.) modificano le caratteristiche fisiche dei tessuti quindi la loro elasticità,
consistenza e mobilità. Sulla base di ciò nasce l’idea di
valutare l’elasticità dei tessuti in vivo sfruttando le onde
ultrasonore, le stesse utilizzate per l’ecografia tradizionale. Le potenzialità dell’elastosonografia sono particolarmente indicate per lo studio della mammella e dei
linfonodi. La corrispondenza di un colore ad un grado
preciso di elasticità tissutale è di facile interpretazione
per il medico grazie alla presenza di una scala colore presente su tutte le apparecchiature. Le correlazioni anatomo-patologiche delle lesioni con i dati elastosonografici
sembrano indicare una buona concordanza.
L’elastosonografia fornisce un notevole contributo
nella diagnosi del cancro della mammella riducendo
moltissimo il numero di pazienti da sottoporre ad agobiopsie mammarie, tecnica, ricordiamo, molto invasiva
che nel 70-80% dei casi non si rivela necessaria e, inoltre, riduce i costi e lo stress del paziente.
In conclusione, è nostra opinione che l’eco-color-doppler, associata alla tecnica innovativa dell’elasonografia,
potrebbe essere di grande beneficio al chirurgo ed apre
certamente una nuova era nel campo della diagnostica
per immagini non invasiva nella diagnosi del cancro della mammella.
51
Chirurgia
Le nuove protesi con
gel ad alta coesività
permettono di
adattarsi alla
morfologia
della paziente
Ricostruzione mammaria con
Lipofilling e PRP
Naida Faldetta
Specialista in Chirurgia Oncoplastica
Francesca Sorrentino
Medico Chirurgo
D
i recente introduzione, nell’ambito della ricostruzione mammaria, è l’uso di cellule staminali provenienti da tessuto adiposo autologo
in associazione a plasma ricco in piastrine.
Nel tessuto adiposo, come nel midollo osseo, sono
presenti, accanto agli adipociti, delle cellule staminali
totipotenti che hanno la possibilità di differenziarsi in
cellule di diversi tessuti; quando si esegue un lipofilling
(altrimenti detto lipostruttura o trapianto di grasso)
sono proprio queste cellule staminali che sopravvivono
e sono in grado di differenziarsi, inoltre possedendo capacità di neoangiogenesi contribuiscono ad un migliore
trofismo locale dell’area interessata al trapianto. Il lipofilling, inteso pertanto come trasferimento di cellule
52
Chirurgia
adipose, ma soprattutto di cellule staminali, ha diversi
obiettivi e potenzialità: Riempimento, Ristrutturazione, Rigenerazione.
Il riempimento è dimostrato dall’incremento volumetrico, la ristrutturazione e la rigenerazione sono
evidenziati dai miglioramenti della qualità dei tessuti
cutanei e sottocutanei in caso di trattamento di tessuti
scarsamente irrorati come aree ulcerate, radiodermiti,
radionecrosi e cicatrici di vario tipo. Nell’ambito della
chirurgia oncoplastica mammaria il lipofilling:
- Può essere molto utile come integrazione e complemento della ricostruzione mammaria con protesi andando ad avvolgere ed imbottire la protesi aumentando lo spessore del tessuto sottocutaneo contribuendo
a rendere meno evidente la protesi stessa, riducendo
la sensazione di “seno freddo” spesso presente in caso
di ricostruzione, aumentando il grado di ptosi con un
aspetto più naturale della mammella ricostruita;
- Può essere utilizzato per reintegrare i volumi mancanti in caso di esiti di quadrantectomie, anche se non
tutti concordano sull’opportunità del lipofilling in questi casi per le possibili recidive della malattia anche a
distanza di molti anni;
- Può essere utilizzato per correggere malformazioni
e deformità di sviluppo che si presentano con asimmetrie volumetriche di modesta/moderata entità rispetto
al seno controlaterale;
- Recentemente è stato proposto anche per la ricostruzione totale del seno dopo mastectomia; anche se,
in tal caso, è opportuno sottolineare che sicuramente
sono necessari più interventi a distanza di alcuni mesi
con un iter ricostruttivo che, anche in caso di mammelle
di piccolo volume, è sicuramente di almeno un anno/un
anno e mezzo;
- Può rappresentare l’unica alternativa ricostruttiva
nei casi di rigetto di protesi.
Le applicazioni del lipofilling a livello mammario
possono essere pertanto molteplici e di grande rilievo.
C’è unanimità di consenso nel considerare tale tecnica
utile nel migliorare i risultati ottenuti con la ricostruzione mammaria, tuttavia deve essere utilizzata con
cautela e, secondo il nostro avviso, non impiegata nei
casi di interventi chirurgici per tumori particolarmente
aggressivi (associati a linfangiosi neoplastica o neoplasie triple negative) o in interventi di quadrantectomia,
per l’elevato rischio di recidiva associato al trapianto di
cellule staminali. E’ stato inoltre dimostrato che non determina un ritardo diagnostico del carcinoma mamma-
Ricostruzione mammaria
rio, in quanto un radiologo esperto riesce a distinguere
le calcificazioni legate al tumore da quelle dovute dalla
liponecrosi del lipofilling.
>Lipofilling: tempi chirurgici
Il lipofilling può essere eseguito in anestesia locale
con sedazione in regime di day-hospital, oppure in anestesia generale in regime di ricovero. Prelievo: le incisioni nelle sedi del prelievo che possono essere diverse
(pancia, braccia, cosce, fianchi) sono di pochi millimetri
tali da permettere l’ingresso di microcannule che non
determinano esiti cicatriziali.
Il prelievo viene di norma effettuato con la tecnica
della lipostruttura (tecnica sec. Coleman) che fa uso di
una siringa da 10 ml con attacco Luer-lock e con una
cannula di 3 mm di diametro e 15 o 23 cm di lunghezza,
i cui fori di ingresso hanno dimensioni tali da permettere il passaggio delle particelle di tessuto adiposo attraverso il lume della siringa Luer-lock. In questo modo,
durante l’aspirazione, viene mantenuta una bassa pressione negativa che riduce il traumatismo del processo
sugli adipociti, preservandone la vitalità. Una volta che
la siringa è stata riempita dal grasso aspirato, la cannula
viene rimossa e un tappo Luer-Lock viene posto sulla
siringa per sigillare l’apertura.
Processazione del grasso prelevato: la purificazione
del grasso prelevato può avvenire per centrifugazione e
una volta rimosso lo stantuffo, la siringa viene posizionata in una centrifuga sterilizzata e fatta centrifugare a
3000 rpm per tre minuti o per decantazione.
La tecnica di Coleman, la più diffusa, utilizza come
procedura di purificazione la centrifugazione ma indipendentemente dalla tecnica il risultato finale sarà la
formazione in provetta di 3 strati:
1. lo strato superiore è oleoso e costituito essenzialmente da materiale fuoriuscito da cellule adipose traumatizzate;
2. lo strato inferiore è il più denso fra i tre ed è formato da sangue e soluzione fisiologica;
3. lo strato intermedio contiene cellule adipose vive
che saranno poi infiltrate nella zona da correggere.
Sia lo strato superiore che quello inferiore vengono
rimossi rispettivamente usando stoppini assorbenti ed
esercitando con lo stantuffo una lieve pressione; nella
siringa rimane il solo strato intermedio.
E’ infatti necessario isolare il più possibile gli adipociti da trapiantare al fine di diminuire la risposta infiammatoria dopo il reimpianto; se nel sito ricevente sono
presenti molti detriti cellulari si sviluppa un’intensa re-
53
Chirurgia
azione infiammatoria con l’attivazione delle cellule della
flogosi.
Trasferimento degli adipociti nella mammella da
trattare: avviene con microcannule, senza lasciare cicatrici. L’intervento non è doloroso e la durata varia a
seconda della quantità di grasso da impiantare da 60
minuti a 2 ore. Nel post-operatorio è previsto l’utilizzo,
nell’area del prelievo, di una guaina compressiva, per
ridurre eventuali ecchimosi o gonfiori, che viene mantenuta generalmente per tre settimane dopo l’intervento. Sempre nel post-operatorio può essere presente un
lieve indolenzimento delle aree trattate, controllabile
comunque con antidolorifici di uso comune. Il ritorno
alle normali attività è
graduale, nell’arco di alcune settimane.
Il risultato, apprezzabile già dopo le prime
tre settimane, sarà definitivamente raggiunto
a distanza di circa sei
mesi dall’intervento.
E’ opportuno sapere
che per ottenere 100
cc di grasso purificato,
pronto per essere iniettato, è necessario un
prelievo di circa 250 cc
di grasso che corrispondono ad una discreta lipoaspirazione e questo
consente la correzione di difetti di modesta o moderata
entità. Quantitativi decisamente più importanti sono
necessari negli altri casi e, sempre a titolo esemplificativo, è bene segnalare che per ottenere un’integrazione
volumetrica di circa una taglia, seppur considerando
variazioni legate alla base della mammella iniziale, è necessario inserire almeno 300 cc di grasso “purificato”,
cosa che implica un prelievo iniziale di 1500/2000 cc di
grasso da altre parti del corpo. Ciò significa che possono
essere candidate ad una mastoplastica integrativa con
tessuto adiposo solo pazienti che hanno, in realtà, anche un’indicazione alla liposuzione.
La necessità di trasferire questi quantitativi di grasso è da mettere in relazione al riassorbimento parziale
del tessuto trasferito nei primi mesi dopo l’intervento;
questo riassorbimento avviene in percentuale variabile
non sempre facilmente prevedibile. Corretto è di conse-
Ricostruzione mammaria
guenza avvertire la paziente che eventuali reinterventi
potranno essere necessari od opportuni.
Sulla base di queste considerazioni, è comprensibile
come siano in corso sperimentazioni cliniche di vario
tipo con lo scopo di raggiungere risultati del tutto prevedibili. Si tratta, infatti, di una tecnica in continua evoluzione, per questo negli ultimi anni si è sperimentata
l’associazione del lipofilling al PRP.
>Platelet-Rich Plasma
Concentrato di sangue omologo o autologo che contiene un elevato numero di piastrine. E’ stato dimostrato che i fattori di crescita in esso contenuti (bFGF, PDGF
e IGF, TGFalfa e beta, IGF I e II, EGF, VEGF) accelerano
la proliferazione e la
differenziazione delle
cellule staminali e favoriscono la neoangiogenesi rendendo più
efficaci e duraturi nel
tempo gli effetti ottenuti con il lipofilling.
Le proporzioni di
PRP che devono essere miscelate al tessuto
adiposo già processato sono di 0,5ml:1ml;
prima che tutto il materiale prelevato possa essere trasferito,
attraverso microcannule, nella mammella
da trattare è necessario aggiungere 1 ml di miscela di
calcio gluconato e batroxobina, aspirata in una siringa
da 2,5 ml e gentilmente agitata (1 ml di attivatore per
20 cc di PRP); così facendo il concentrato piastrinico
assumerà, nel giro di qualche minuto, consistenza gelatinosa dal momento che la batroxobina (enzima ad
alto potere coagulante, con attività di tipo trombinica,
isolato, mediante opportuni processi di purificazione,
dal veleno del serpente brasiliano Bothrops Jararaca) è
responsabile della polimerizzazione della fibrina in un
gel insolubile, e con il calcio gluconato determina la degranulazione delle piastrine con conseguente rilascio di
fattori di crescita e citochine.
Il trasferimento nella mammella dovrà pertanto essere effettuato entro e non oltre 15 minuti, poiché il gel
piastrinico formatosi dalla trasformazione del fibrinogeno in fibrina non riuscirebbe ad attraversare i fori del-
54
Chirurgia
le microcannule. L’uso del PRP è regolamentato a livello
europeo dalla “Revisione del decreto legislativo 19 Ago
2005, recante attuazione della direttiva 2002/98/CE”
con un Decreto Legislativo del 20 Dic. 2007, n 261, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.19 del 23 Gen. 2008.
Secondo questa normativa solo i medici del Centro Trasfusionale di riferimento sono autorizzati a eseguire le
procedure per la creazione, seguendo protocolli clinici
definiti e utilizzando una strumentazione approvata e
certificata CE, del PRP, pertanto i Centri che vorranno
effettuare questo tipo di trattamento non potranno
prescindere dell’ausilio di un Centro Trasfusionale.
La regolamentazione europea e il marchio CE ne garantiscono la sicurezza biologica. Diversi studi presenti
in letteratura dimostrano che gli effetti del lipofilling
soprattutto in termini di mantenimento del volume
mammario nel tempo, sono più efficaci se questo è associato al PRP.
>Reggiseno biomeccanico
Utile ausilio, al fine di ottenere migliori risultati estetici con la tecnica di ricostruzione con Lipofilling e PRP;
si tratta di un reggiseno biomeccanico, che, esercitando una pressione negativa sulle mammelle, svolge la
funzione di espansore mammario esterno. Indossare
questo speciale dispositivo prima di un intervento permette di preparare i tessuti a ricevere le cellule adipose
e indossarlo nel post-operatorio permette di migliorare l’attecchimento del grasso innestato. Grazie all’associazione del reggiseno biomeccanico al lipofilling, è
possibile innestare più grasso rispetto ad un semplice
Ricostruzione mammaria
intervento di lipofilling e quindi ottenere un maggior
aumento di volume e/o cambiamento di forma delle
mammelle per le pazienti che desiderano sottoporsi ad
una ricostruzione totale del seno post-mastectomia
Questo sistema altamente tecnologico è composto da
un reggiseno in cui è inserita una coppia di coppe semirigide che vengono appoggiate sopra le mammelle,
dotate di un bordo in morbido silicone che permette di
mantenere una pressione negativa all’interno.
Ogni guscio è collegato ad una pompa aspirante alimentata a batteria che, grazie ad uno speciale microprocessore, consente di ottenere una pressione negativa costante di 15-25 mmHg.
Cosi grazie alla pressione negativa che si viene a creare
all’interno delle coppe, i tessuti mammari sono soggetti
ad una tensione prolungata e tridimensionale: in risposta agli stress meccanici aumenta lo spazio in cui iniettare il grasso, permettendo di incrementare la quantità
trapiantabile di cellule adipose. Inoltre si forma edema
locale ed aumenta la vascolarizzazione, con conseguente miglioramento dell’attecchimento degli adipociti impiantati tramite il lipofilling.
Esistono diversi protocolli di utilizzo del reggiseno biomeccanico. Il più utilizzato prevede che il dispositivo
venga indossato per 3 settimane prima dell’intervento: i primi 17 giorni deve essere indossato per 10 ore al
giorno, gli ultimi 3 giorni prima dell’intervento di lipofilling del seno per 24 ore al giorno.
Dopo l’intervento chirurgico il reggiseno biomeccanico deve essere indossato 10 ore al giorno per 45 giorni.
Numerosi trial clinici ne hanno provato la sicurezza e
l’efficacia.
E’ stato inoltre approvato dalla FDA (Food and Drug
Administration), l’autorità di vigilianza sanitaria americana, ed è stato certificato dall’ ASAPS, la società di
chirurgia plastica americana.
La maggior parte delle donne che hanno utilizzato questo dispositivo non ha lamentato particolare dolore o
disagio. Possibili effetti sono legati ad un’intolleranza
dei materiali e sono dati da eritema, edema cutaneo e
talora rash cutaneo, in quest’ultimo caso si consiglia di
sospendere il trattamento.
Per ridurre al minimo i rischi di insorgenza di irritazioni
cutanee, è consigliabile applicare un film a protezione
della cute che verrà a contatto con il bordo in silicone
delle coppe e una lozione lenitiva idratante non oleosa
al termine di ogni applicazione per mantenere ben idratata la pelle.
56
Urologia
La terapia si pone
l’obiettivo di
alleviare i sintomi e
migliorare la qualità
di vita dei pazienti
La Cistite Interstiziale:
una patologia da non sottovalutare
Anna Rita Cicalese
Specialista in Urologia
L
a Cistite Interstiziale, conosciuta anche con i
nomi di: sindrome della vescica dolorosa, sindrome del dolore vescicale, sindrome della vescica ipersensibile e dolore pelvico cronico, è
una malattia cronica debilitante, le cui cause sono tuttora sconosciute. Gli studi epidemiologici disponibili
hanno stabilito che la patologia interessa le donne dieci
volte di più che gli uomini.
La sindrome è caratterizzata da dolore, generalmen-
te avvertito come pressione vescicale, percepito come
correlato al grado di riempimento vescicale. Il dolore,
localizzato spesso in regione sovrapubica e talora irradiato alla vagina, al retto, al sacro, all’inguine, alle cosce
e solitamente è accompagnato da frequenza ed urgenza
minzionale diurne e notturne. Il dolore può insorgere
già a bassissimi volumi di riempimento vescicale e si allevia con lo svuotamento, per poi riproporsi più o meno
rapidamente. Nonostante i sintomi possano essere ri-
57
Urologia
conducibili a svariate malattie, tutti gli esami diagnostici routinari non rilevano la presenza di alcuna patologia
che possa spiegare la sintomatologia.
La diagnosi si basa sulla presenza da almeno sei mesi
del dolore pelvico correlato alla vescica, accompagnato
da urgenza e/o frequenza minzionale e sull’esclusione di
tutte le patologie che possano essere responsabili della
sintomatologia.
Un’attenta anamnesi può già escludere le cistiti attiniche o da farmaci ed un accurato esame obbiettivo
può escludere la presenza di difetti della statica pelvica,
diverticoli uretrali, patologie flogistico-distrofiche della
vulva e della vagina ed ipertono dei muscoli perineali.
E’ sufficiente eseguire comuni esami di laboratorio
per escludere infezioni urinarie e/o genitali.
Attraverso l’esecuzione di indagini strumentali (urodinamica, tecniche di imaging ed endoscopia) è possibile
escludere endometriosi, tumori ginecologici, ritenzione
urinaria, sindrome della vescica iperattiva, ostruzione
cervico-uretrale, calcolosi delle basse vie urinarie e il
carcinoma uroteliale.
Ulteriori elementi, in grado di confermare la diagnosi
di cistite interstiziale possono emergere dall’esecuzione
di ulteriori procedure diagnostiche, come la cistoscopia
con idrodistensione, la biopsia vescicale e il test di sensibilità al cloruro di potassio.
La sintomatologia ha spesso un notevole impatto
sulla qualità di vita dei pazienti, condizionando la quotidianità fino all’isolamento e alla depressione e comportando, in molti casi, una significativa riduzione delle
attività relazionali e sessuali. Spesso è anche causa di
una riduzione della produttività lavorativa e personale.
Oggi la terapia della cistite interstiziale si pone l’o-
La Cistite Interstiziale
biettivo di alleviare i sintomi e migliorare la qualità di
vita dei pazienti. Non esiste attualmente un trattamento risolutivo e nessun farmaco è efficace in tutti i casi.
Per questo motivo la terapia è altamente individuale e si
avvale di numerose molecole. Infatti molti farmaci sono
stati testati per la cistite interstiziale, ma solo pochi
hanno raggiunto un alto grado di raccomandazione, ma
non sempre efficaci per tutti i pazienti.
L’approccio terapeutico alla patologia si avvale in prima battuta di una terapia comportamentale che consiste essenzialmente nel limitare l’apporto di cibi acidi e
nel modulare l’introduzione di liquidi. In alcuni pazienti
sono indicati trattamenti fisici e riabilitativi in associazione o meno a trattamenti orali (antidepressivi, antinfiammatori, antispastici e anticolinergici, antiepilettici, antistaminici, analgesici, penstosanpolisolfato) e/o
endovescicali (ialuronato di sodio, condroitin solfato,
eparina, dimetilsulfossido, lidocaina, antibiotici). Solo
in rari casi selezionati sono indicati trattamenti di tipo
chirurgico come la neuromodulazione sacrale, l’ampliamento vescicale e la derivazione urinaria.
Nonostante oggi vi sia una maggiore consapevolezza
della cistite interstiziale e nonostante molti più pazienti ricevano una diagnosi, esistono ancora contesti in cui
la conoscenza di questa patologia e scarsissima.
Seppure la cistite interstiziale sia stata inserita tra
le malattie rare con il Decreto Ministeriale n°279 del
2001, non esistono ancora dati precisi sulla prevalenza
della patologia nel nostro Paese. La sensazione è che la
cistite interstiziale sia attualmente sottodiagnosticata
e quindi sottostimata nonostante la malattia, che inficia significativamente la qualità di vita, rappresenti un
serio problema per i pazienti e le persone a loro vicine.
Oftalmologia
Oggi è possibile
risolvere il difetto della
presbiopia, attraverso
una innovativa tecnica
chirurgica non invasiva
Come dire addio agli occhiali
dopo gli…. Anta
Claudio Savaresi
Specialista in Oftalmologia
G
raduate, multifocali, correttive, per vedere
lontano, per leggere da vicino, per lavorare al
pc: gli occhiali sono un’inseparabile accessorio
soprattutto quando scattano gli “anta”.
Malgrado la loro utilità, gli occhiali hanno alcune
limitazioni che possono condizionare la routine quotidiana. La più frequente è quella di dimenticarli e quindi
riscontrare delle difficoltà nello svolgere anche la più
semplice azione, come leggere una etichetta di un prodotto, un prezzo, il bugiardino di un farmaco. E perché
no, anche quella di far dimostrare pubblicamente di
non essere più “giovane” perché costretti a sfoderare gli
occhiali per leggere, fattore non sempre ben accettato
soprattutto nel mondo femminile. Una elevata percentuale di soggetti di età superiore ai 50 anni è presbite
o comunque presenta dei problemi di vista. Con il progressivo invecchiamento della popolazione si verificherà un ulteriore e significativo aumento del numero di
persone con delle limitazioni dell’acuità visiva.
Inoltre, negli anziani, l’alterazione della vista rappre-
59
Oftalmologia
senta una delle maggiori complicanze, come il timore
di cadere, fino ad arrivare all’isolamento e alla depressione.
Fare una visita oculistica almeno una volta l’anno è
necessario per tenere sotto controllo lo stato di salute degli occhi, anche se il processo di invecchiamento
è possibile ritardarlo ma non eliminarlo: è il caso della
presbiopia.
>Che cosa è la presbiopia
E’ il processo naturale di “invecchiamento” della vista
che insorge dopo i 50 anni. Si manifesta con la difficoltà
o l’incapacità di mettere a fuoco un’immagine nella visione da vicino. Diventa difficile leggere il giornale, il menu
del ristorante, malgrado si allontani il foglio nella speranza
di riuscire a leggere.
Il cristallino dell’occhio è
una lente naturale, elastica
posta dietro la pupilla, che
consente la messa a fuoco da
vicino degli oggetti. Con gli
anni, il cristallino perde fisiologicamente la sua elasticità, e
quindi la sua capacità accomodativa diminuisce, provocando la diminuzione della messa
a fuoco da vicino. Le immagini
percepite non saranno più nitide e quindi diventa necessario il supporto di occhiali correttivi.
Oggi è possibile risolvere il difetto della presbiopia
attraverso una innovativa tecnica chirurgica non invasiva che migliora la profondità della messa a fuoco e
consente di eliminare definitivamente gli occhiali.
Consiste nell’impiantare nello strato intermedio della cornea dell’occhio non dominante, un piccolissimo
dispositivo, definito “inlay” che, per la sua forma cilindrica, ricorda un anello, il quale permette di garantire
una buona capacità di lettura per distanze ravvicinate
senza disturbare o alterare la vista da lontano.
Inlay ha un diametro di 3,8 mm (minore di una lente
a contatto), e uno spessore di 5 micron (un decimo dello
spessore di un foglio di carta) con al centro un foro di
1,6 mm di diametro. Il suo bordo è composto da 8400
piccoli fori che servono a garantire il corretto funzionamento del metabolismo corneale.
Funziona come un piccolo diaframma di una macchina fotografica catturando le immagini e i raggi lumino-
La presbiopia
si, i quali focalizzati in modo corretto, consentono di
vedere bene da vicino senza alterare il visus da lontano
o da distanze intermedie.
>L’intervento
Dopo aver eseguito tutte le indagini diagnostiche necessarie per valutare approfonditamente il quadro clinico oculare (topografia della cornea, tomografia della
retina e del nervo ottico. etc) si verifica l’idoneità all’intervento.
Si procede dapprima con il laser per creare, nello strato intermedio della cornea, lo spazio necessario all’inserimento dell’inlay e nel contempo correggere eventuali
difetti refrattivi. Successivamente si prosegue all’intervento chirurgico che prevede
il posizionamento dello stesso
all’interno della cornea dell’occhio non dominante. Questa
tecnica pur essendo chirurgica
è eseguita in anestesia topica, instillando gocce di collirio anestetico nell’occhio da
operare. E’ sicura e di massima precisione nell’esecuzione
grazie all’ausilio di un laser di
recente generazione studiato
specificamente per interventi
in ambito oftalmologico.
Il tempo di guarigione e il recupero della vista è molto soggettivo. In alcuni pazienti c’è un miglioramento
visivo già entro le 24 ore, altri possono richiedere più
tempo. E’ importante post-intervento seguire scrupolosamente la terapia topica consigliata, non fare sforzi
fisici e soprattutto proteggere gli occhi dai raggi solari
con lenti da sole polarizzate. L’inserimento di inlay è un
intervento chirurgico sicuro, non ha effetti collaterali,
non crea rigetto, arriva direttamente dall’America con
tanto di autorizzazione FDA. E’ necessario evidenziare
che questa metodica chirurgica è una soluzione definitiva legata esclusivamente alla presbiopia. Tuttavia può
succedere, con il passare degli anni, che gli occhi subiscano dei cambiamenti come sviluppare la cataratta oppure altri difetti legati alla vista.
All’occorrenza potrebbe verificarsi l’opportunità di
rimuovere “l’anello”, che non prevede alcuna complicanza, e concordare con il medico specialista di fiducia
trattamenti o eventuali interventi chirurgici consigliati
più idonei.
60
Chirurgia
Nei paesi occidentali
la causa più comune di
stitichezza è la ridotta
attività fisica e
l’insufficiente assunzione
di fibra alimentare
La stipsi: sintomo e causa
di molte patologie
Carmine Prota
Specialista in Chirurgia Generale
L
a stipsi si può definire come una ridotta frequenza delle evacuazioni, inferiori a tre per settimana; come sforzo durante l’evacuazione; senso di incompleto svuotamento; emissioni di feci
caprine in almeno il 25% delle evacuazioni.
La stitichezza non è una malattia nel senso stretto
della parola con caratteri definiti come, per esempio,
un’epatite virale o un infarto del miocardio, ma è piuttosto un sintomo, un disturbo indefinito come l’inson-
nia, che può nascondere molteplici cause, anche molto
importanti.
La prevalenza della stipsi è legata all’età in quanto
sono affetti i pazienti molto giovani e/o gli anziani, le
donne più comunemente degli uomini. La stipsi è spesso associata ad uno stile di vita sedentario, una ridotta
assunzione di acqua, una riduzione dell’attività fisica,
malattie croniche invalidanti, alimentazione povera di
scorie e ricca di prodotti raffinati, assunzioni di alcuni
62
Chirurgia
tipi di farmaci ed in particolare antidepressivi, ansiolitici e lassativi per diversi anni.
Nei paesi occidentali la causa più comune di stitichezza è la ridotta attività fisica e l’insufficiente assunzione
di fibra alimentare. Quest’ultima, presente in alcuni alimenti come legumi, pane, cereali, frutta e verdura, fornisce la massa necessaria per stimolare la muscolatura
del colon a spingere avanti la materia fecale.
Un’altra causa è l’assenza di abitudini intestinali regolari, a volte conseguente a un’educazione inadeguata
all’evacuazione intestinale durante l’infanzia, oppure
all’abitudine ripetuta di reprimere e rimandare a tempi e luoghi “migliori” l’evacuazione per motivi sociali o
“igienici”.
La stipsi può essere primitiva (idiopatica), secondaria ad altre patologie (endocrinologiche, neurologiche,
psichiatriche, patologie gastrointestinali, trattamenti farmacologici), oppure dovuta ad alterazioni psicocomportamentali molto difficili da individuare (cicatrici
psichiche). Il più delle volte sono presenti alterazioni a
tutti e tre i livelli, con reciproche influenze in un intreccio di rapporti causa effetto spesso inestricabile. E’ importante escludere prima di tutto patologie organiche
causa di stipsi.
Un particolare tipo di stipsi è quella da defecazione
ostruita (o stipsi terminale da espulsione) molto frequente nel sesso femminile.
>I sintomi
I pazienti che non riescono ad andare di corpo normalmente hanno spesso e volentieri i seguenti sintomi:
1) Riescono ad andare di corpo solo dopo aver preso
lassativi o clisteri;
2) Per andare di corpo devono aiutarsi usando le dita;
3) Per andare di corpo devono spingere molto e stare
La stipsi
parecchio sulla tazza del bagno (oltre 15 minuti);
4) Hanno come la sensazione di non riuscire a farla
tutta;
5) Avvertono un dolore tra gli organi genitali e l’ano;
6) Qualche volta gli capita di perdere involontariamente delle feci.
>Le cause della stipsi da ostruita defecazione
(SDO)
Si forma una sorta di tappo nel retto. In altre parole
nell’ultima parte dell’intestino, c’è un qualcosa che impedisce la normale espulsione delle feci. Con il passare
degli anni la muscolatura del retto si indebolisce e si
sfianca dilatando la parte dell’intestino dove passano
le feci prima di essere evacuate dall’ampolla rettale. Al
tempo stesso la mucosa del retto perde il sostegno che
la tiene fissa alla parete muscolare e tende a scendere
verso il basso, si crea un “prolasso” che ostruisce il canale anale.
Durante l’evacuazione delle feci si verifica un cedimento del retto su sé stesso è come se si chiudesse un
cannocchiale. Inoltre è possibile assistere ad un insaccamento delle feci, come se fossero intrappolate in una
sacca.
>La diagnosi
- visita proctologica
- esame rettoscopico
- colonscopia
- tempi di transito intestinale
- defecografia
>La terapia
La terapia è essenzialmente chirurgica e consiste nel
correggere l’abbassamento del retto (intussuscessione)
e lo sfiancamento della parete retto-vaginale (rettocele).
La terapia chirurgica può essere eseguita o in anestesia generale per via laparoscopica (rettopessi ventrale) o
in anestesia spinale utilizzando delle suturatrici meccaniche appositamente costruite (TRANSTARR).
La valutazione del tipo di tecnica, ed i risultati a breve e a lungo termine, dipendono dal grado di patologia e
dall’esperienza del chirurgo colonproctologo. Da quanto
detto si deduce che la stipsi è una condizione comune
plurifattoriale, pertanto anche l’approccio terapeutico
non può prescindere da un’accurata selezione dei pazienti.
Se molti pazienti possono trovare giovamento da una
semplice correzione delle abitudini dietetico-comportamentali, alcuni devono essere sottoposti ad un intervento chirurgico.
63
Alimentazione
La gestione e
il trattamento
dell’obesità devono
avere obiettivi più ampi
rispetto alla semplice
perdita di peso
Estate e salute:
la dieta di mantenimento
Claudio Messere
Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietologia
D
opo notevoli sacrifici e privazioni alimentari
durati diversi mesi e, avendo raggiunto un
peso ragionevole, si pone il problema di come
mantenere nel lungo periodo la nuova condizione fisica. Purtroppo in un’altissima percentuale dei
casi, il recupero ponderale avviene in poco tempo, neu-
tralizzando così i benefici dell’intervento terapeutico e
addirittura rischiando un incremento maggiore rispetto al peso iniziale, con riduzione della massa magra e
aumento della componente lipidica. Pertanto la gestione e il trattamento dell’obesità devono avere obiettivi
più ampi rispetto alla semplice perdita di peso e devono
66
Alimentazione
La dieta di mantenimento
La sindrome dello yo-yo
(weight cycling syndrome) si
riferisce a chi perde e riacquista
peso con grande velocità, dopo
essersi sottoposto a regimi
alimentari molto rigidi
includere la riduzione del rischio cardiovascolare e il miglioramento globale dello stato di salute.
Ciò può essere ottenuto con una graduale perdita di
peso, con il miglioramento del contenuto nutrizionale
della dieta e con un modesto ma regolare incremento
dell’attività fisica. Raggiunto l’obiettivo programmato,
è necessario proseguire con un programma di modifica
dello stile di vita da mantenere nel lungo periodo, cioè
la terapia dell’obesità deve rientrare in un programma
più generale di educazione terapeutica.
La sindrome dello yo-yo (WCS) è caratterizzata
dall’insieme delle modificazioni cliniche indotte dal ripetersi di cali ponderali intenzionali, seguiti dal recupero del peso che può raggiungere valori superiori a
quelli di partenza. In alcuni studi si è visto che, nella
fase di recupero ponderale, la circonferenza addominale
presenta un significativo incremento rispetto ai valori
registrati prima del dimagramento. La fluttuazione del
peso corporeo comporta una redistribuzione del grasso con una predominanza della tipologia viscerale che
può essere dovuto in parte alla riattivazione adrenergica che favorisce la ridistribuzione viscerale del grasso,
l’incremento della pressione arteriosa e il conseguente
incremento del rischio cardiovascolare. Inoltre si è visto
come nel recupero ponderale ci sia stata una maggiore perdita della massa magra (muscoli) con incremento
della componente lipidica.
Durante la fase di riduzione del peso corporeo possono verificarsi modifiche dello stato fisiologico ormonale che contribuiscono al mantenimento del peso o al
suo successivo recupero. Per esempio si è visto come
la secrezione dell’ormone GH (somatotropo) sia molto
sensibile agli stati nutrizionali, infatti la sua concentrazione, che in condizioni normali è estremamente bassa,
aumenta notevolmente dopo la somministrazione di
aminoacidi e nell’ipoglicemia, mentre è soppressa nell’iperglicemia, con un ulteriore aumento negli stati di ridotto apporto calorico. In altre ricerche si è visto come
un complesso sistema molecolare possa presiedere alla
regolazione dell’equilibrio energetico e del controllo
dell’apporto di cibo. Tale sistema prevede l’intervento
dell’ipotalamo, come integratore di segnali che arrivano
dalla periferia e come effettore di nuove informazioni in
grado di modificare il controllo alimentare e il dispendio
energetico.
Tra le numerosissime molecole coinvolte in tale comunicazione, vi sono anche dei mediatori di natura lipidica quali gli endocannabinoidi. Questi agiscono sia
68
Alimentazione
a livello del sistema nervoso centrale sia a livello periferico (adipociti, fegato, intestino, pancreas, muscoli)
ripristinando i livelli di altri mediatori (ormoni e neurotrasmettitori).
Una riduzione del peso corporeo del 10% corrisponde alla riduzione del 20% nell’incidenza delle coronaropatie con relative modifiche dei lipidi ematici,
dell’insulinoresistenza, dell’ipertensione arteriosa. Si è
evidenziata, con il calo ponderale, una netta riduzione
nella biosintesi epatica del colesterolo, che a sua volta
La dieta di mantenimento
coinvolge anche altri metaboliti che giocano un ruolo
importante nella comparsa dell’aterosclerosi. Il tessuto
adiposo contiene circa 2 mg di colesterolo per grammo
e il calo ponderale lo mobilizza in parte favorendo una
maggiore concentrazione biliare. Ciò potrebbe comportare un aumento della calcolosi soprattutto nei soggetti con diete fortemente ipolipidiche. Infatti l’adeguato
svuotamento della colecisti bilancia gli effetti negativi
dell’aumentata litogenicità biliare nel corso di eccessivi
dimagrimenti.
La dieta di mantenimento
Una dieta di mantenimento del peso corporeo potrebbe quindi essere di circa 1500/1600 Kcal con
suddivisione dei pasti durante la giornata in cinque punti: la colazione delle ore 7 può consistere in
circa 200 gr. di latte parzialmente scremato con caffè o tè, 3 fette biscottate integrali con un velo di
marmellata. In alternativa al latte può essere utilizzato lo yogurt alla frutta magro.
Per non soffrire la fame è opportuno intorno alle 11 prendere uno spuntino prevalentemente a base
di frutta. A Pranzo, in accordo con la dieta mediterranea, si può consumare circa 80 gr. di pasta integrale o riso parboiled o gnocchi di semola oppure 120 gr. di pizza al pomodoro. Importante deve
essere la quota di verdure e ortaggi (cavoli, broccoletti, pomodori, zucchine, melanzane, carote, agretti, ecc…) e di legumi (fagioli,
ceci, fave, piselli, cicerchie...). Altri cereali possono essere usati in
alternativa, quali il farro oppure l’orzo decorticato o la quinoa. Nel
tardo pomeriggio può essere consumata una merenda a base di
frutta (Kiwi o agrumi o banane o mele o pere). In alternativa può
essere consumata una tisana (tè o Karkadè.)
La cena potrà comprendere porzioni di alimenti prevalentemente proteici o misti (a scelta: vitello, pollo, maiale, pesce o latticini
magri), limitando il consumo d’insaccati (parte magra) e uova a non più di due volte la settimana. Non dovrà
mancare comunque il consumo di un’altra porzione di verdura, ortaggi,
e frutta. Il pane possibilmente integrale non dovrebbe superare 100/120
gr. il giorno e potrebbe essere agevolmente sostituito in alternativa con
cracker di soia.
L’olio di oliva extravergine, importante componente lipidica monoinsatura, deve rappresentare il 10% del consumo degli acidi grassi quotidiani. L’apporto di acqua (minerale, medio minerale o oligominerale) deve
essere previsto in circa 2 litri il giorno. Ovviamente lo schema dietetico
non deve essere rigido e possono essere consentite piccole trasgressioni
giornaliere o settimanali, purché queste siano compensate successivamente, anche in base all’attività
fisica e al proprio stile di vita.
69
Idrologia
Dolore muscolo-scheletrico,
rigidità mattutina di breve
durata, deformità e
limitazioni funzionali
dovute al dolore
Artrosi e terapia termale:
un valido trattamento
Maria Costantino
Specialista in idrologia Medica
L’
allungamento della vita media della popolazione ha indotto un incremento delle malattie
di interesse reumatologico che attualmente
costituiscono una delle cause più frequenti di
invalidità temporanea o permanente.
Esse oltre a rappresentare un serio problema medico-sanitario costituiscono anche un rilevante onere
sociale ed economico essendo in genere molto elevati
i costi relativi all’ospedalizzazione, alla riabilitazione,
alle terapie farmacologiche e all’assistenza. Un corretto
approccio terapeutico è dunque fondamentale sia per il
paziente, sia per la società.
Tra le malattie di interesse reumatologico l’artrosi costituisce la più frequente malattia degenerativa
dell’apparato locomotore in grado di impattare in maniera fortemente negativa sulla qualità di vita e sull’au-
70
Idrologia
tosufficienza delle persone. Nell’artrosi viene ad essere
alterato il fisiologico equilibrio tra fenomeni catabolici
e fenomeni riparativi a livello della cartilagine articolare a favore di quelli catabolici. Pertanto con gli anni si
assiste ad un assottigliamento della cartilagine, ossia di
quel cuscinetto presente fra osso ed osso nelle articolazioni che di norma ha il compito di evitare gli attriti ed
il logoramento dell’articolazione stessa.
Il processo degenerativo delle articolazioni inizia in
maniera asintomatica o con leggere forme di indolenzimento a partire dai 30 anni e si manifesta nella sua
forma invalidante e dolorosa normalmente dai 60 anni
in poi. Il quadro clinico-sintomatologico è caratterizzato da dolore muscolo-scheletrico, rigidità mattutina di breve durata, deformità e limitazioni funzionali
dovute al dolore. La malattia può coinvolgere tutte le
articolazioni diartrodiali: anca (coxartrosi), ginocchio
(gonartrosi, che per l’elevata invalidità indotta e per
il frequente ricorso a costosi interventi di protesizzazione, costituisce una delle principali cause di difficoltà locomotoria nei soggetti anziani), vertebre cervicali
(artrosi cervicale), vertebre lombari (artrosi lombare),
mani (rizoartrosi), spalle ecc..
Le cause dell’artrosi sono molteplici: sesso (colpisce
con più frequenza i soggetti di sesso femminile), età (in
genere si manifesta dopo i 40 anni anche se può com-
Artrosi e terapia termale
parire molti anni prima e dopo i 65 anni tende ad interessare tutte le persone di ogni razza e sesso), fattori
genetici (studi epidemiologici hanno dimostrato un’ereditarietà che è stata stimata nell’ordine del 40% per
il ginocchio, 60% per l’anca, 65% per l’artrosi primitiva
delle mani), obesità (sia per l’aumentato carico articolare, sia per l’accelerazione del processo degenerativo
articolare con progressiva modificazione della composizione e struttura ossea che contribuiscono a diminuire ulteriormente la mobilità articolare creando così un
circolo vizioso che peggiora sia l’obesità e sia l’artrosi),
ormoni, traumi etc..
Essendo l’artrosi una patologia cronica occorre arginarla quanto più possibile per cercare di mantenere il
più a lungo una accettabile qualità di vita e pertanto è
di fondamentale importanza continuare a mobilizzare
l’articolazione artrosica per evitare che la sua funzionalità si riduca sempre più fino alla completa immobilizzazione.
Il trattamento dell’artrosi si avvale dell’utilizzo di
presidi terapeutici farmacologici (intra-articolari e
non), chirurgici e non farmacologici. Tra i presidi non
farmacologici si annovera anche la terapia termale.
I dati epidemiologici dimostrano che i pazienti affetti
da patologie artrosiche figurano al secondo posto tra gli
utenti termali, preceduti solo da quelli colpiti da malat-
71
Idrologia
tie dell’apparato respiratorio. I trattamenti termali di
elezione per tali pazienti sono la fangoterapia (FT) e/o
la balneoterapia (BLT). Un ciclo di fangoterapia prevede
12 fanghi eseguiti quotidianamente uno al giorno con
un giorno di riposo, in genere a metà cura.
Il fango, derivante per la maggior parte dalla maturazione di argilla ed acqua minerale, viene applicato sulle
zone da trattare per circa 15-20 minuti a Temperatura
di 39-44°C. Sequenzialmente alla fangoterapia (FT) in
genere viene effettuata la balneoterapia (BLT), sempre
con acqua minerale, a temperatura di 36-38°C per 1015 minuti per una integrazione e potenziamento degli
effetti terapeutici. In tal caso il trattamento prende il
nome di fango-balneoterapia (FBT) in cui si associano
alle proprietà fisiche della
balneoterapia, gli effetti biologici esercitati dai mineralizzatori presenti nell’acqua
e nel fango termo-minerale
usato.
I benefici della Fangoterapia e/o della balneoterapia riconoscono un comune
denominatore terapeutico
nel calore. La termoterapia
esogena, indotta dall’applicazione del mezzo curativo
termale, determina, nell’organismo trattato, azioni
miorilassanti e decontratturanti che, associate ad attivazione ipofisaria con liberazione di peptidi oppioidi ed ormoni, provocano oltre il
beneficio analgesico, la modificazione di condizioni muscolari anormali.
Infatti i risultati ottenuti dalla ricerca [Therapie
2012, 67(1):43-48; Clin Ter 2011 ,162 (2): e51- e57; La
presse Thermale et Climatique 2009, 146 : 159-161; Eur
Med Phys 2008, 44 (Suppl 1 a n. 3):1-3] dimostrano:
una significativa (p<0,01) riduzione della sintomatologia dolorosa a riposo e durante le abituali quotidiane
attività motorie; un significativo (p<0,05) incremento
della mobilità delle articolazioni studiate; il mantenimento dei benefici nel tempo a seguito di ripetizione,
almeno una volta l’anno, della terapia termale; nessun
significativo effetto avverso e nell’ambito di una patologia cronica come quella artrosica questo è un fatto molto importante.
I dati di letteratura evidenziano anche la possibilità
Artrosi e terapia termale
di integrare la terapia farmacologica con quella termale
con potenziamento dell’azione medicamentosa e conseguente diminuzione della posologia farmacologica
stessa e quindi riduzione della comparsa di eventuali reazioni avverse da uso prolungato nel tempo di farmaci
(come ad esempio gli antinfiammatori steroidei e non
steroidei) a vantaggio del benessere psicofisico degli individui.
La naturalità delle terapie termali fa sì che siano limitate le controindicazioni a tale trattamento. In ambito
reumatologico le controindicazioni alla Fangoterapia
e/o Balneoterapia sono collegate essenzialmente: alla
fase della malattia (in fase acuta in genere è controindicata la terapia termale); alla presenza di malattie
intercorrenti o coesistenti
che compromettono, temporaneamente o permanentemente, le condizioni
generali (la prescrizione del
ciclo termale fango-balneoterapico è controindicata
nella tubercolosi in atto; nelle neoplasie o loro sospetto;
nelle cardiopatie non ben
compensate e naturalmente nelle scompensate; nel
cuore polmonare cronico;
nelle miocardiopatie gravi;
nell’arteriosclerosi cerebrale
grave; nell’insufficienza respiratoria grave; nell’epilessia e nella gravidanza).
Il ruolo terapeutico della cura termale in ambito reumatologico è riconosciuto dal Ministero della Salute.
Pertanto, ciascun cittadino italiano durante l’anno, da
gennaio a dicembre, ha diritto, con onere a carico del
Servizio Sanitario Nazionale, ad un solo ciclo curativo
termale. Il ciclo termale viene prescritto dal proprio
Medico di Famiglia o da uno Specialista in possesso
dell’apposito ricettario. Il paziente quindi con l’impegnativa medica può recarsi presso la Struttura Termale
convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale ed
effettuare la cura termale con eventuale pagamento di
un ticket.
Strutture in cui è possibile effettuare il trattamento
termale a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono:
Terme di Telese-BN, Terme di Torre Canne-BR, Terme
Cappetta in Contursi-SA; Terme di Lurisia in MondovìCN, Giardini Poseidon Terme-Ischia-NA etc.
72
Filosofia
Vassily Kandinsky - Composition 7 - 1913
L’arcipelago delle emozioni:
Gioia, Tristezza, Felicità, Nostalgia, Amore …
In questo numero nella rubrica, Filosofia e Consulenza, affronteremo il tema dell’arcipelago delle emozioni:
La gioia, il dolore, la tristezza, la noia, la felicità, la nostalgia, l’amore.
Eugenio Borgna nel suo libro “Arcipelago delle emozioni” scrive: “Noi conosciamo le cose non solo con la ragione
astratta e calcolante ma anche con le ragioni del cuore. L’intuizione, l’orizzonte di conoscenze emozionali,
ci consente di cogliere il senso di ciò che un’altra persona prova e rivive: la misura della sua immaginazione e
della sua fantasia, della sua gioia e della sua malinconia, della sua sofferenza e della sua angoscia, della sua
capacità di amare e della in-differenza ai valori dell’amore e dell’amicizia.”
Raffaele Aratro
Docente di Filosofia e Storia
L
e emozioni attraversano la vita come un flusso
incessante, potremmo dire che la quotidianità
può essere compresa in una sorta di fenomenologia delle emozioni. Saperle decodificare,
dandole cittadinanza, ci aiuterebbe a vivere i nostri
sentimenti con maggiore cura. Le emozioni si vivono,
si danno, si realizzano nel presente; invece, come ha
scritto Remo Bodei in “Immaginare altre vite”: “Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati
del passato e dell’avvenire. Non pensiamo quasi mai al
presente; o se ci pensiamo, è solo per prendere lume al
fine di predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il
74
Filosofia
L’arcipelago delle emozioni
nostro fine; il passato e il presente sono i nostri mezzi,
solo l’avvenire è il nostro fine. Così, non viviamo mai,
ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad essere
felici, è inevitabile che non siamo mai tali”. Gli attimi
che costituiscono il nostro presente ci raccontano storie di passioni a volte tristi e a volte gioiose, di felicità
incommensurabili e di inquiete nostalgie, di amicizie
profondissime e di amori totalizzanti. Tutto avviene in
quell’unità di tempo presente che è l’attimo, un sempre
adesso unico e irripetibile.
Qual è la dissonanza che rende l’uomo triste? Forse
l’incapacità di fissare le emozioni, a volte addirittura
di darle un nome. Quando non si è in grado di trovare
le parole viene a mancare il racconto e senza racconto
non c’è la storia delle emozioni; di contro esse stanno lì,
presenti e vive, come una sorta di “insieme di possibili
simultanei”.
L’insieme di possibili simultanei danno cittadinanza
e convivenza ad un arcipelago di emozioni differenti e
contrastanti che allo stesso tempo, però, dis-orientano.
La dialettica esistenziale delle emozioni consiste proprio in questa costante ricerca dell’orizzonte di senso,
una sorta di dialettica degli opposti, un orientamento
che costantemente disorienta.
L’individuo sperimenta continuamente su di sé questa singolare sensazione di spaesamento; quando guidato dalla lucida razionalità riesce a leggere in modo chiaro e distinto le proprie esigenze, bisogni, aspettative,
sembra che sappia cosa e che fare. Si sente orientato, ma
quando d’un tratto ciò che appare chiaro e distinto si
rivela oscuro e indistinto e si aprono nuove prospettive,
varie e diverse vie e molteplici scelte, in questa situazione si avverte il senso di angoscia. Una sorta di sentimento del contrario che rende possibile l’apertura incondizionata all’arcipelago contrastante delle emozioni.
Nella quotidianità ogni persona, in quanto essere
gettato nel mondo, frequentemente sperimenta la dimensione esistenziale di relazioni inautentiche, cristallizzate in forme rituali e stereotipate, e allora “crea”
altre vite. La singolarità dell’individuo viene parcellizzata, regolata e resa funzionale alle condizioni “oggettive”
rendendo necessario un altro sé.
Nelle convenzioni sociali e culturali, si annida il pericolo più evidente dello sdoppiamento, dell’essere inautentico, perché il valore fondamentale è un dover essere
ed è negata la libertà del voler essere.
Il divenire esistenziale della persona richiede, potremmo dire necessita, di relazioni autentiche, fonda-
Claude Monet - Impression, soleil levant - 1872
te sulla libertà del sé e sull’accettazione incondizionata
dell’altro. Tali modalità conducono le persone ad af-fidarsi.
L’arcipelago delle emozioni trova nell’amore il suo
luogo più naturale. E’ nell’amore che si sperimentano
tante emozioni e non di rado contrastanti, in questo
sentimento si vive l’incanto e la meraviglia della cura,
dell’af-fidarsi, dell’accettazione incondizionata. Ed è
in questa dimensione di vita si comprende che “nel silenzio del cuore, quando il cuore si apre all’ascolto e al
dialogo, è possibile sentire…”. E’ lì, proprio lì, che si incontrano le anime, quando gli occhi si guardano e nel
silenzio della parola si dicono, quando i sorrisi felici
sono accompagnati dalle lacrime della disperazione,
quando la felicità raggiunge il troppo pieno e dà spazio
alla nostalgia, quando il presente è un sempre adesso
unico e irripetibile, quando la poesia è declamata e vissuta, quando il gesto, la carezza, il bacio sono impressi
sul corpo e fermati, nonostante il flusso incessante del
tempo, su attimi unici e irripetibili, quando l’io trova
l’altro e incontra e vive l’incanto. E’ lì, proprio lì, quando
le parole non hanno più senso perché non ci sono parole
che possono raccontare l’incanto di un momento, che è
possibile dare voce e ascolto alle proprie e altrui emozioni. Nel silenzio del cuore trova cittadinanza il bisogno
di protezione. “E ancora proteggi la grazia del mio cuore
adesso e per quando tornerà l’incanto. Incanto di te… di
te vicino a me” (Vinicio Capossela “Ovunque proteggi”).
Nell’ac-cogliere l’arcipelago delle emozioni le parole
ri-trovano significato e possono condurre a nuovi orizzonti di senso.
75
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Prof. Steven Paul NISTICO’
Dott. Paolo CATERINO
Dott. Carmine PROTA
Specializzazione in Dermatologia e Venereologia
Coordinatore Polo Dermatologico ASL CE 2 Aversa
Specialista in Chirurgia Generale e Colonproctologia
Ospedale S. Maria della Pietà Casoria (NA)
Tel. 081 540 8254 - Cell. 338 1885156
Studio: Via Caravaggio, 22 - Agropoli (Sa)
E-mail: [email protected]
Dott.ssa Anna Rita CICALESE
Dott. Luca ROTUNNO
Dirigente medico presso la U.O. di Urodinamica
A.O.S.G. Moscati Avellino
Specialista in Chirurgia Generale
Sito web: www.linfaonline.it
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