Elementi di iconologia

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Elementi di iconologia
Fondamenti e critica delle arti visive
a. acc. 2007 - 08
Docente Luisa Bazzanella
Modulo 5
“…il testo è una macchina pigra che lascia al lettore una parte del suo lavoro”
Umberto Eco, Lector in fabula, 1979
Elementi di iconologia. Erwin Panofsky
Biografia e opera di Erwin Panofsky (Hannover, 1892-Princeton, 1968)
Uno dei più grandi storici e critici dell’arte dello scorso secolo. Laureato a Friburgo,
dal 1921 fu professore di Storia dell’arte ad Amburgo. Fu in stretta collaborazione
con i ricercatori dell’Istituto Warburg di Amburgo e particolarmente con il direttore
Fritz Saxl, suo accreditato erede.
All’avvento del nazismo, nel 1933, si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò a New
York e a Princenton nel New Jersey.
Profondo studioso dell’arte nordica (La scultura tedesca dal sec.XI al XIII, 1924; La
pittura primitiva dei Paesi Bassi, 1953), fu però maggiormente interessato ai
problemi di metodologia ed estetica.
Nell’ambito della collaborazione con il circolo culturale di Warburg, attraverso gli
esiti recepiti della Scuola di Vienna, la formazione filosofica Kantiana e l’amicizia e
la condivisione con E.Cassier della sistemazione delle forme simboliche, lo
portarono verso un’elaborazione teorica dell’interpretazione dei fatti artistici.
Utilizzando lo strumento dell’iconologia, metodo di cui è padre a tutti gli effetti,
affermò, superando il formalismo e il metodo storiografico tradizionale, il carattere
necessariamente “significativo” delle forme artistiche e il loro legame con tutti i fatti
culturali e i contenuti spirituali di un’epoca.
Da ricordare, fra i suoi saggi i: Idea.Contributo alla storia dell’estetica, 1924; La
prospettive come “forma simbolica”, 1927; Studi di iconologia. I temi umanistici del
Rinascimento,1939; Il significato delle arti visive,1956; Rinascimento e rinascenze
nell’arte occidentale, 1957.Di gran rilievo anche gli studi su Dϋrer (1915,1923),
presenti nella vasta monografia del 1943 “La vita e le opere di Albrecht Dϋrer.
Ě stato per l’Italia lo studioso dei contenuti, della concretezza, della razionalità,
il distruttore dei miti romantici del genio, del capolavoro, dell’ ”arte per l’arte”.
Per la prima volta un pubblico interessato, non esclusivamente specialistico,
si
rendeva conto di quali differenti sfumature si caratterizzi un tema iconografico noto
come il “Padre Tempo” o ”Amor cieco” , o a quale quadro comune di riferimento,
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costituito da idee largamente diffuse, possano essere ricondotti anche capolavori
celeberrimi quali Amor sacro e Amor profano di Tiziano, le Tombe Medicee o La
Sepoltura di Giulio II di Michelangelo.
Ě con la lettura di Studies in Iconology che anche molti studiosi di lingua inglese
hanno imparato ad apprezzare il “rinascimento dell’antichità”, attraverso quella sua
straordinaria conoscenza delle letteratura e della mitologia classiche, dei loro modi
di trasmissione nel Medioevo, dei meccanismi descritti in maniera precisa con cui si
manifesta nel Quattrocento italiano,.
L’ ”immagine” dell’Istituto Warburg “come laboratorio specializzato per lo studio
dei più difficili enigmi iconografici e dei più intricati meandri del sapere” (G.Bing in
Fritz Saxl.A Volume of Memory Assays), in contrapposizione all’analisi formale, deve
molto a Panfosky.
L’iconologia era nata in polemica contro il formalismo di Wölfflin, dall’esigenza di
superare la contrapposizione tra storia delle forme artistiche ed iconografia.
Per Panofsky, intorno agli anni Trenta “ il compito più alto dell’interpretazione era…
quello di penetrare nello strato ultimo, essenziale del senso -Wesensinn”;
l’interpretazione di un’opera d’arte “giungerà a cogliere il suo senso vero e proprio
quando riuscirà a cogliere e a rilevare la totalità dei momenti della sua emanazione
(e quindi non solo il momento oggettuale e iconografico, ma anche i fattori
puramente formali della distribuzione delle luci e delle ombre, dell’articolazione
delle superfici, perfino il modo di usare le spatole e il bulino) quali “documenti” del
senso unitario della concezione del mondo contenuta nell’opera”. (Panofsky, La
prospettiva come forma simbolica, p. 228).
Un esempio di analisi iconologica
Panofsky così definisce l’iconografia: ”è quel ramo della storia dell’arte che si
occupa del soggetto o significato delle opere d’arte, in quanto contrapposto alla
forma di esse”. (Panofsky, Studi di iconologia, 1999, p. 3-6).
Pone la distinzione tra soggetto e significato da un lato, forma dall’altro,
proponendo un esempio ispirato alla quotidianità: quando incontriamo una persona
conosciuta che ci saluta togliendosi il cappello, ciò che vediamo dal punto di vista
formale “altro non è se non il mutamento di certi dettagli entro una configurazione
che fa parte di un generale tessuto di colori, linee e volumi, costituente il mio
universo visuale. Quando identifico-e lo faccio automaticamente-tale configurazione
in quanto oggetto(un signore), e il mutare di un dettaglio in quanto evento
(togliersi il cappello), ho già oltrepassato i limiti della percezione puramente formale
e sono penetrato in una sfera di soggetto e significato.
Il significato così percepito…lo denomineremo significato fattuale…lo si coglie
semplicemente identificando certe forme visibili con certi oggetti a me noti in base
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alla mia esperienza…sfumature psicologiche investiranno i gesti del mio conoscente
di un significato ulteriore, che chiameremo espressivo. Esso differisce dal fattuale
nel senso che lo si coglie non per semplice identificazione, ma per “empatia”…tanto
il
significato
fattuale
che
quello
espressivo
potranno
classificarsi
insieme:
costituiscono la classe dei significati primari o naturali.”
Trasferisce quindi l’analisi dalla vita quotidiana ad un’opera d’arte in cui distingue
nel soggetto o significato di essa tre strati:
1-Soggetto primario o naturale, articolato in fattuale ed espressivo.
Questo lo si coglie identificando le pure forme (vale a dire anche certe
configurazioni di linee, colori o masse raffigurate in bronzo o pietra), come
rappresentazioni di oggetti naturali quali esseri umani, animali, cose, ecc.
“Il mondo delle pure forme così riconosciute come portatrici di significati primari o
naturali potrà denominarsi il mondo dei motivi artistici.”
2-Soggetto secondario o convenzionale
Il critico tedesco facilita molto la comprensione di questo concetto.
Pone l’esempio di una figura maschile con un coltello che rappresenta San
Bartolomeo, di due figure che combattono in una certa maniera raffiguranti il Vizio
e la Virtù, ecc. Propone altri esempi del genere esemplificativi del concetto che
intende chiarire.
3-Significato intrinseco o contenuto
Lo si coglie accertando quei principi interni che evidenziano l’atteggiamento
fondamentale di un’epoca, di una classe, di una convinzione filosofica o religiosa.
Dal punto di vista della composizione questo mutamento significa ad esempio un
mutamento dello schema compositivo, introdurre un tema nuovo ecc.
Panofsky sostiene che ”come l’identificazione corretta dei motivi è il requisito
preliminare di una corretta analisi iconografica nel suo senso più ristretto, l’analisi
corretta delle immagini, delle storie e delle allegorie è il requisito preliminare di una
corretta interpretazione iconografica nel senso più profondo: salvo che si abbia a
che fare con opere d’arte tali, che in esse l’intera sfera del soggetto secondario o
convenzionale sia eliminata, e si punti a una transizione diretta dai motivi al
contenuto, com’è nel caso della pittura paesaggistica, della natura morta e della
pittura di genere europea; vale a dire, nel complesso, quando ci occupiamo di
fenomeni eccezionali, che segnano le fasi tarde, quanto mai sofisticate, di una
lunga evoluzione”.(Panfosky, 1999, p.9)
Panofsky nel quarto capitolo di Studi di iconologia analizza la figura di Cupido con
una ricchezza indescrivibile di fonti e citazioni puntuali seguendo nell’analisi un
percorso sia sincronico che diacronico. Introduce la figura di Cupido dagli esordi, un
fanciullo alato, un personaggio molto familiare in epoca ellenistica e romana,
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armato di arco e frecce, solo molto raramente cieco nelle letteratura classica, ma
mai nell’ arte classica.
La credenza che “l’amante è accecato su quel che ama, e perciò giudica errando del
giusto, del buono e dell’onorevole” (Platone,Leggi,V,731) è espressa con molta
frequenza nelle letteratura classica, che abbonda di locuzioni del tipo “caecus amor,
caeca libido, caeca cupido, caeca amor sui”, ma la cecità caratterizza l’amore come
emozione psicologica di natura egoistica che trova riferimenti nei Carmina di
Catullo.
Dell’Amore raffigurato come personaggio ne da una chiara descrizione, ”quale gli
artisti lo dipingono”, Properzio, che si accorda con quelle di Seneca e Apuleio, in
un’elegia famosa; appare un infante nudo e alato, con arco e frecce o una fiaccola,
o ambedue di cui offre anche una spiegazione allegorica del suo aspetto
caratteristico: le fattezze infantili simboleggiano il comportamento illogico degli
amanti, le ali indicano l’instabilità volubile delle emozioni amorose, le frecce le ferite
incurabili che l’amore infligge all’anima umana, che conferma una elaborazione
moraleggiante dell’immagine di Cupido, nettamente pessimistica da parte della
poesia e della retorica romana.
Non compare il motivo dell’accecamento neppure presso i bizantini o nelle miniature
carolinge, appare invece come la grande forza che governa gli istinti degli dei, degli
uomini e degli animali, spesso con il fratello Iocus (Gioco) coinvolti nella ignominosa
caduta della Lussuria.
Le rappresentazioni medievali di Cupido non derivano da modelli classici,ma sono
ricostruite su fonti letterarie e si conformano, quindi, alle indicazioni fornite dai
testi.
Compaiono due tipi di rappresentazioni.”Nel primo caso,abbiamo una descrizione
interpretativa di Cupido, elaborata e trasmessa nelle litografie moralizzanti; nel
secondo abbiamo invece una glorificazione metafisica dell’Amore, evolutasi nella
poesia idealistica; comunque, gran parte dei dettagli descrittivi sono stati
tratti
dalla letteratura classica o dall’erudizione tardoantica e medievale ”(ibid., p.140141)
La concezione di “amor sensuale”, espresso in diverse forme - raccolte sotto il
nome di cupiditas (appetitus mali, amor mundi, amor carnalis) in contrasto con la
caritas (appetitus boni, amor Dei, amor spiritualis) si spiritualizzò nel corso del XII
secolo, ”si impregnò di uno spirito di culto per la donna estraneo nella stessa
misura all’Occidente pagano e all’Oriente cristiano”.(ibid., p.141)
Su questa base il XIII secolo riconciliò i due termini cupiditas e caritas,
confrontabile con la riconciliazione tra i principi classici e medievali nella scultura
tardomedievale e nella teologia tomistica. Guido Guinizzelli e gli altri rappresenti del
“Dolce Stil Novo” trasformarono la donna in un angelo, Dante la personifica in
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Beatrice e secondo i commentatori può essere interpretata come la Rivelazione, la
Fede, la Grazia divina, la Teologia scolastica e la Filosofia platonica.
Petrarca riumanizzò e risessualizzò l’oggetto della sua passione, Laura non cessa
mai di essere una donna reale.
Nelle altre fonti gli autori di poesia epica allegorica del tipo Roman de la Rose,
descrivono Cupido non più come un bambino, ma come un bell’adolescente di
aspetto principesco spesso accompagnato da un servo, conserva le ali, ora è
splendidamente vestito con il capo cinto da una corona. Spesso è in trono,
presentato come un signore di un castello, armato di una fiaccola, di arco e frecce
d’oro per suscitare amore e nere o piombo per estinguerlo. Questi motivi per
Panofsky si possono fare risalire fino ad Apuelio.
La bellezza di Amore è sempre comparata a quella degli angeli.
Il passaggio da Cupido vedente a cieco avviene intorno al XIV secolo.
Mentre nell’originale delle opere derivanti dal Roman de la Rose si dà per scontata
la chiara vista di Amore, nei poeti successivi si cambia opinione, si sviluppa una
“mitografia moraleggiante”.
In
Thomasin
von
Zerklaere,
autore
del
poema
didattico
intitolato
Der
Wälsche(intorno al 1215), Amore dice ”Io sono cieco e acceco”.
Le interpretazioni allegoriche di questo nuovo difetto di Amore non sono
lusinghiere. Cupido è nudo e cieco perché priva gli uomini del buon senso, della
saggezza, degli abiti e degli averi.
È definito cieco perché la gente è da lui accecata, discende sul povero, sul ricco, sul
brutto, sul bello…I pittori gli coprono gli occhi con una benda per sottolineare che le
persone innamorate non sanno dove vanno, essendo private del giudizio a causa
della passione.
La cecità di Cupido è associata a qualcosa di negativo, è da notare che non è
sempre così, ad esempio la cecità della Giustizia intende imparzialità. Anche se la
figura della Giustizia bendata è recente, di origine umanistica. Cieche erano la
figura allegorica della Sinagoga (intorno al 1100), e della Notte.
Anche la morte cieca è bendata e compare nelle sculture dei cicli sull’Apocalisse,
sulla facciata ovest di Notre Dame de Paris.
Panofsky nota, appunto, come Cupido Cieco si associa alla Notte, alla Sinagoga,
all’Infedeltà, alla Morte, alla Fortuna e alla Giustizia.
Cupido, la Fortuna e la Morte erano tutti e tre ciechi “non solo come personificazioni
di uno stato mentale ottenebrato, ma anche di una forza attiva che si comportava
come una persona priva di vista: colpivano e fallivano a caso, senza il pur minimo
riguardo per l’età, la posizione sociale e il merito individuale.”(ibid., p.156)
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Nel Trecento e nel Quattrocento italiano che il processo di pseudomorfosi si
completa, Cupido ritorna ad assomigliare a un bambino nudo, simile al puer alatus
classico.
Non fu un processo semplice, dovette districarsi da un’altre versione di Cupido:
alcuni affreschi medievali lo ritraggono come una figura demoniaca, bendata e con
artigli come ad esempio nell’allegoria giottesca della Castità (1320-1325), in San
Francesco ad Assisi.
Nel quattordicesimo secolo Cupido poteva evocare due diversi concetti: la
personificazione dell’Amor Divino o della forma d’amore più elevata, spirituale,
sacra e matrimoniale, sia platonica sia cristiana, in cui non è bendato, o la
personificazione dell’illecita Sensualità, in cui è accecato dalla benda.
Nel quadro di Lucas Cranach il Vecchio, Cupido che si toglie la benda, conservato al
Pennsylvania Museum of Art, ci troviamo davanti ad un’allegoria molto ingegnosa:
un piccolo Cupido si toglie la benda dagli occhi, trasformandosi così nella
personificazione dell’amore veggente. Ai suoi piedi si nota un poderoso volume con
la scritta Platonis opera dal quale sembra elevarsi.
Amor Carnalis, part. di una xilografia tedesca, c.1475
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Cupido a caccia di animali, secolo XV
Cupido presenta i suoi figli al poeta Guillaume de Machaut, secolo XIV
Cupido e l’amante, da Le Roman de la Rose, secolo XIV
Cupido sull’albero, secolo XIV
La Sinagoga e la Chiesa, secolo XII
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Tra psicologia dell’arte e iconologia. Erns H.Gombrich
Biografia e opere. Ernst Hans Gombrich, storico e psicologo dell’arte, figlio di un
valente avvocato e di una pianista che godeva di fama internazionale come
insegnante, è nato a Vienna nel 1909 e morto a Londra nel 2001.
Ha studiato storia dell’arte e archeologia classica all’Università di Vienna. Scelse,
in quest’ateneo, di seguire l’insegnamento di storia dell’arte di Julius von Schlosser,
che si considerava l’erede degli ideali della Scuola degli storici dell’arte di Vienna.
I primi membri di questa scuola si erano interessati alla spiegazione del problema
dell’evoluzione all’interno della storia dell’arte e dei motivi per cui l’arte del passato
avesse assunto proprio quelle forme. Nella loro ricerca questi studiosi erano aperti
alla psicologia. L’insegnante più ammirato da Gombrich era Emanuel Loewy.
Fu introdotto da E. Kris, conservatore presso un museo e psicoanalista praticante,
allo studio della psicanalisi, scienza che contribuì alla teoria estetica, dichiarando
comunicabili solo le idee inconsce che risultano adeguate a strutture formali
preesistenti.
Dopo un periodo difficile a causa della diffusione dell’antisemitismo in Germania,
Gombrich fu assunto al Warburg Istituite di Londra nel 1936. Il Warburg Istitute si
era spostato da Amburgo a Londra poco tempo prima, fornendo rifugio a studiosi
tedeschi interessati alla ricerca sulla sopravvivenza (Nachleben) dell’antichità
classica.
Oltre alle ricerche presso il Warburg Institute, Gombrich teneva delle lezioni al
Courtlauld dove venne invitato, insieme al suo collega Otto Kruz, a preparare per gli
studenti una introduzione alla iconologia, ovvero sul significato da attribuire alle
immagini. L’interesse del Warburg Istituite era la storia della cultura, a differenza
del Courtauld Istituite che si occupava invece della storia dell’arte.
Durante la guerra fu assunto alla BBC come addetto alle intercettazioni radio,
lavoro che fece nascere in lui l’interesse per la percezione. La pubblicazione de La
Storia dell’arte nel 1950 gli valse la nomina di “Slade Professor” di storia dell’arte
all'Oxford University. Consolidata la sua fama come studioso, insegnante e
conferenziere fu eletto, nel 1959, direttore del Warburg Institute e professore di
Storia della tradizione classica all’ University of London, ricoprì questa carica fino al
1976, anno in cui si ritirò dalla professione.
Il critico austriaco si impose come autore stimato della Storia dell’arte, come
studioso poco noto del Rinascimento italiano e come celebre interprete di psicologia
della rappresentazione pittorica.
Avvalendosi di metodi interdisciplinari nello studio della storia dell’arte, Gombrich
ha chiarito soprattutto il reciproco adattamento delle forme espressive alle strutture
percettive, ridefinendo la rappresentazione visiva coma attività culturale radicata
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nei repertori simbolici tramandati e comunque in sistemi di conoscenza irriducibili
alla mimesi naturalistica. Applicava allo studio dell’immagine naturalistica le nuove
scoperte
della
psicologia
della
percezione,
della
linguistica
e
delle
teoria
dell’informazione.
La sua opera è il risultato dell’intreccio di un'intricata serie di problemi. Una sua
osservazione, apparsa in una breve nota biografica chiarisce il pensiero del critico:
”Volevo descrivere ciò che era successo veramente nell’evoluzione dell’arte. A volte
dico che al centro c’è la rappresentazione ,con il simbolismo da una parte e la
decorazione dall’altra.Tutte cose su cui si può riflettere e cercare di scrivere in
termini più generali (Uno schizzo autobiografico,in Argomenti del nostro tempo,
1994, p.16)
L’arte non nasce dalla natura, ma dall’arte stessa e dalla sua conoscenza.
Continuità e mutamento degli stili sono visti da Gombrich, nell’ambito del carattere
istituzionale del linguaggio artistico (da cui l’indagine sugli schermi, stereotipi,
simboli),come aggiustamenti dei linguaggi della tradizione rispondenti alle esigenze
e alle richieste del pubblico e della committenza, come risposta ad attese e
preferenze radicate in determinati comportamenti psicologici e sociali.
In un certo senso, è possibile affermare che La storia dell’arte e Arte e illusione, le
due opere più famose di Gombrich, abbiano stabilito la “griglia interpretativa”di tutti
i lavori successivi.
Il senso di una “catena vivente di tradizioni” e lo sforzo inesauribile di comprendere
i processi della mente umana, sono le costanti della multiforme indagine sull’arte e
sulla cultura operata da Gombrich.
I suoi interessi per l’immagine visiva dai fumetti alla pubblicità, dalle illustrazioni
medievali alle opere d’arte rinascimentali, lo caratterizzano come uno storico
dell’arte unico nel suo genere. In una vecchia recensione, egli faceva notare che ”La
distinzione tra poesia e linguaggio è sempre stata accettata come naturale; quella
tra arte e immagine sta diventando familiare solo gradualmente” ( Reflections on
the History of Ar, 1987).
Gombrich utilizza anche una vasta gamma di materiale psicologico, tuttavia non
può essere incasellato in un teoria specifica. Inoltre, fa riferimento alla teoria della
percezione che Popper chiamò “teoria del faro”(serchlight teory). L’aspettativa, sia
nella vita che nella pittura, è un elemento chiave della nostra esperienza e un
sapere a priori può essere corretto da
esperienze successiva (teoria del “fare e
associare”). Di conseguenza la psicologia della percezione può essere collegata alla
”linguistica” dell’immagine:vi sono infatti forti somiglianze tra i modi in cui parole e
immagini suddividono l’esperienza. L’artificio contenuto nelle rappresentazioni
apparentemente naturali di azioni ed espressioni smentiscono l’idea che l’immagine
fornisca una “fetta di vita”.
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Gombrich si è naturalmente occupato degli argomenti cari a Warburg, ma i suoi
risultati sono differenti soprattutto a causa del suo profondo interesse per la
modalità che regola il funzionamento delle immagini, oggi come in passato.
Questo lo porta ad indagare il modo in cui le opere d’arte possano e siano
effettivamente comprese al momento della loro creazione e le convenzioni che
l’artista ha rispettato.
Mentre Warburg s'interessava di cultura popolare e Freud dei meccanismi del
pensiero diurno, Gombrich, lavorando con lo psicanalista Ernst Kriss sulle caricature
e i disegni satirici, si interessava all’immaginario vernacolare.
L’aspetto più rilevante del suo pensiero è, comunque, la devozione mostrata alla
verità e all’integrità morale e intellettuale dei contenuti teorici. Gli avvenimenti del
XX secolo hanno dimostrato che le idee possono tradursi in azioni: un pensiero
superficiale è irresponsabile e uno ipocrita non è accettabile. Le ideologie d’origine
totalitaria, marxismo e nazismo,hanno avuto dei risultati disastrosi nei confronti
dell’umanità.
Tra le opere pubblicate in Italia ricordiamo: Arte e illusione(1965),Freud e la
psicologia dell’arte(1967), Norme e forma(1973), A cavallo di un manico di
scopa(1976), Immagini simboliche(1978), Arte, percezione e realtà(1978), Il senso
dell’ordine(1984), L’immagine e l’occhio (1985), L’eredità di Apelle(1986), Ideali e
idoli(1986), Riflessioni sulla storia dell’arte(1991), Ombre(1996).
Esempi di analisi
Il ruolo dela critica. Nel testo The Heritage of Apelles, 1976 tr. L’eredità di
Apelle.Studi dell’arte del Rinascimento, 1986 il paragrafo intitolato “Il lievito della
critica nell’arte del Rinascimento:tesi e annedoti”, tratta in maniera congiunta gli
interessi rinascimentali verso l’arte e la scienza e studia il ruolo della critica nello
sviluppo dell’arte.
Egli è severo verso un certo tipo di critica che intende ”la valutazione scrupolosa dei
pregi e dei difetti di una determinata opera d’arte…” come c'è stato tramandato
dalle letteratura in materia del Rinascimento.
La cultura degli umanisti fu soprattutto letteraria e retorica, amavano felicitarsi con
se stessi per la fioritura delle arti della loro epoca, e si ispiravano a formule tratte
dagli autori classici. Della tradizione retorica utilizzano termini come decorum, la
questione della convenienza o paragone, riguardante l’emulazione delle arti.
Durante il Rinascimento ferveva il dibattito tra le varie scuole artistiche relativo
all’importanza del disegno e del colore; un antagonismo che prendeva di mira
Michelangelo o Tiziano.
Gli artisti del Rinascimento operavano avvertendo la pressione della critica e
l’evoluzione di alcuni metodi e soluzioni si produceva seguendo certi criteri con cui
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le opere erano giudicate. L’esistenza di tali criteri e la consapevolezza degli
insuccessi e dei successi poteva spiegare lo spirito di sperimentazione ed
un’emulazione che caratterizzava la “rinascita delle arti”.
Gombrich dichiara: “Senza una critica severa non può esistere un simile desiderio di
perfezionare determinate qualità. Scopo di questo studio è riunire alcuni testi al fine
di illustrare e verificare quest'interpretazione. Nessuno di essi è nuovo agli storici
dell’arte, ma esiste pur sempre la possibilità che essi si chiariscano a vicenda e
confermino il ruolo di quello spirito critico che ha ispirato la nuova concezione
dell’arte ….”.
Lo studioso nota che le espressioni di elogio appartengono al Rinascimento, ma
sono presenti anche in altre epoche e utilizzate anche dai poeti, Boccaccio, ad
esempio fa il panegirico di Giotto.
Gombirch
scrive
che
per
“aver
piena
consapevolezza
degli
obiettivi
del
Rinascimento è spesso consigliabile accostarsi a esso dall’esterno “.
Considerazioni su Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528). Pittore e grafico
tedesco, figlio di un orafo compì un breve apprendistato nella bottega paterna, dove
imparò a maneggiare il bulino. Acquistò una solida preparazione come pittore e
grafico lavorando, fra il 1486 e il 1490, nelle bottega dl Michael Wolgemut e
Wilhelm Pleydenwurff, specializzata anche in xilografia.
Un viaggio nell’Alto Reno,in particolare a Basilea (1490-1494), gli permise di
approfondire le proprie cognizione nel campo dell’illustrazione dei libri e un primo
soggiorno a Venezia e nel Nord Italia lo avvicinò all’arte classica e rinascimentale
italiana, soprattutto ad Andrea Mantenga e a Giovanni Bellini.
Dürer cominciò ad acquistare fama con la monumentale serie di 14 xilografie
dell’Apocalisse (1498). La fama delle sue incisioni gli procurò il prestigioso incarico
di dipingere la gran pala con la Madonna del Rosario, per la chiesa di San
Bartolomeo a Praga.
L’incontro con Lucas Van Leyden influì notevolmente con l’opera grafica dell’artista,
mentre i contatti con i pittori fiamminghi stimolarono in lui l’interesse per il ritratto.
La rappresentazione della persona umana e la concezione prospettica dello spazio
erano diventati i due problemi centrali nell’opera di Dürer dopo il suo secondo
soggiorno veneziano. A essi egli dedicò anche rilevanti studi teorici: un trattato di
prospettive e geometria nel 1525, quattro libri sulle proporzioni del corpo umano
nel 1529. Fu sommo maestro del rinascimento tedesco, giunse a una felice fusione
dell’elemento nordico, fatto di penosa serietà, sensibilità finissima, trasognata
fantasia e meticolosa accuratezza, con il grandioso mondo formale, la magnificenza
cromatica e il pathos dei suoi modelli italiani.
“Albrecht Dürer si considerò discepole del Rinascimento italiano e suo missionario.
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Negli abbozzi e nelle formulazioni finali dei suoi libri teorici egli si sforzò
incessantemente di spiegare ai suoi lettori tedeschi in che modo la nuova
concezione dell’arte differisse da quella che essi imparavano nel loro paese…egli
insistette…sull’esistenza di fondamenti razionali in base ai quali era possibile
criticare i metodi tradizionali delle pittura gotica tedesca”. (L’eredità di Apelle.Studi
dell’arte del Rinascimento, “La testimonianza di Dürer”, 1986)
Gombrich cita un passo degli scritti del maestro tedesco: ”Finora, molti ragazzi
dotati venivano messi a bottega da un pittore per imparere l’arte; essi vi erano
tuttavia istruiti senza alcun principio razionale e solo conformemente all’uso
corrente. E così crescevano nell’ ignoranza, come un albero selvatico non potato. Ě
vero che alcuni di loro acquisirono abilità manuale con l’esercizio continuo…ma
senza alcuna meditazione e semplicemente secondo il loro gusto. I pittori
intelligenti e i veri maestri risero della cecità di questo genere ogni volta che videro
opere tanto noncuranti ;e non certo ingiustamente…ma che tali pittori fossero
insoddisfatti dei loro stessi errori si deve soltanto al fatto che essi non hanno mai
imparato l’arte della misura, senza la quale nessuno può diventare un buon
artigiano”.(Gombrich,p156-157).
La testimonianza di Dürer è preziosa per due motivi: conferma che i pittori della
vecchia maniera erano “ciechi” di fronte ai propri ”errori”, e insiste che quelli
educati secondo i nuovi criteri hanno ragione di criticare gli errori dei primi. Il
pittore tedesco parla per esperienza personale; educato alla bottega di Wolgemut,
egli,nota Gombrich, si rese conto che i dipinti di questa scuola erano pieni di difetti.
Una volta che le incisioni del Mantenga gli chiarirono come si configurasse un nudo
correttamente modellato, le incisioni degli xilografi tedeschi gli apparirono antiquate
ed errate. Fu proprio in questi due settori, prospettiva e nudo, che l’artista tedesco
riconobbe la superiorità del Rinascimento.
Un giorno chiese ad un amico umanista di scrivere una prefazione per il suo
Underweisung der Messung(Trattato sulle misure) e gli raccomandò di scrivere “che
io stimo altamente gli Italiani per i loro nudi e soprattutto per la prospettiva”.
Dürer non dubitava che la “misura”, ovvero, matematica potesse servire ad
eliminare gli errori prospettici, ma il problema della rappresentazione del nudo era
più elusivo, la precisione infatti non bastava. Gli italiani sembrava possedettero un
altro segreto la bellezza.
Credeva che il segreto che cercava fosse stato effettivamente conosciuto nel
passato e conservato nei testi antichi. Il declino dell’arte derivava per lui dalle
perdita di questi testi. Scrive: ”Molte centinaia d’anni fa vissero numerosi grandi
maestri menzionati negli scritti di Plinio, come Apelle, Protegene, Fidia…e altri.
Alcuni di essi scrissero libri dotti sulla pittura, ma ahimè sono andati perduti: ci
sono infatti sottratti e siamo privati del loro alto sapere…”.
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Gombrich nota come la critica di Dürer riguardi i fondamentali razionali dell’arte, e
dei mezzi piuttosto che dei fini dell’arte. Fu la perdita di tali fondamenti che portò
l’arte a “estinguersi finché non fu riportata alla vita mezzo secolo fa”. Chi distrusse
quei testi aveva confuso i mezzi con i fini. L’arte è un mezzo che può essere usata
per una buona o un cattiva causa. La bellezza come la prospettiva è un mezzo
dell’arte e avrebbe supplicato i padri della Chiesa in questo modo: ”Oh mie amati
Signori e Padri! Non distruggete miseramente, per timore del male che possono
arrecare ,le nobili invenzioni dell’arte …perché le stesse proporzioni che i pagani
attribuirono ad Apollo, noi potremo usarle per Cristo nostro Signore…come essi
ritennero Venere la più bella fra le donne, così noi potremo castamente usare la
stessa figura per la più pura….la Madre di Dio…”
La bellezza come la prospettiva erano un mezzo per cui esistevano delle regole e
Dürer era consapevole di ignorarne il segreto. Il perfezionamento si poteva ottenere
ascoltando le critiche, i pittori non si dovevano fidare ciecamente del proprio
giudizio in questo campo.
Continua l’artista tedesco:”…Perché io non stimo granché la mia arte; perché
conosco i miei difetti. Chiunque può quindi cercare di correggere i miei difetti
meglio che può… Volesse Dio ch’io potessi contemplare ora le opere e la maestria di
quei grandi artisti futuri che devono ancora nascere, perché credo che questo mi
aiuterebbe a migliorare”.
I maestri gotici erano stati ciechi di fronte ai loro errori, il Rinascimento aveva dato
nuovi strumenti all’artista.
Scrive Gombrich: ”Un’accettazione del concetto rinascimentale dell’arte implicava
un’accettazione della nozione di progresso .La critica implicava pertanto un’idea
della storia, quell’idea che Vasar,i una generazione dopo Dürer, racchiuse nella
prima edizione delle Vite” (Gombrich, p158).
La critica del Gombrich utilizza un linguaggio comprensibile e non eccessivamente
erudito, rendendola facilmente comprensibile. Riporta soventemente brani tratti
dallo stesso Dürer, rendendo così il lettore consapevole del pensiero dell’artista, poi
riporta il suo commento in cui non mancano riferimenti diacronici ad altri artisti e
filosofi, in una visione di insieme in cui si percepisce anche un approccio sociale e
psicologico, snodando così un filo conduttore che parte dall’ antichità.
“I precetti di Leonardo per comporre delle storie” (Norma e forma, 1973).
L’interesse di Gombrich per la figura di Leonardo iniziò quando, da ragazzo, gli fu
chiesto di scrivere un tema sul suo personaggio preferito, da allora Leonardo è
sempre stato per lui fonte inesauribile di interesse e fascino.
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Questo scritto è stato un contributo al congresso su Leonardo da Vinci tenuto a
Tours nel 1952, in cui Gombrich propone l’analisi critica di alcuni disegni fiorentini
di Leonardo evidenziandone la novità dello stile grafico.
L’artista opera “come uno scultore che modella la creta, e non accetta mai di
definire nessuna forma, bensì procede creando e ricreando, a rischio persino di
nascondere l’intenzione originaria”.(Gombrich, p211)
In alcuni disegni come, ad esempio, quello della Sant’Anna, Leonardo non riesce più
a ritrovare il bambino giusto a causa della gran confusione creata dai pentimenti.
Sappiamo che Leonardo era costretto, per chiarire la sua idea, a servirsi di uno stilo
e a ricalcare attraverso la carta fino a raggiungere la linea da lui definitivamente
scelta. Gombrich osserva che non vi sono precedenti di altri artisti che operavano
con un metodo simile.
Leonardo spiega la sua posizione: ”O tu compositore delle istorie non membrifficare
con terminati lineamenti…come a molti e vari pittori intervenire suole li quali
vogliano che ogni minimo segno di carbone sia valido e questi tali ponno bene
acquistare ricchezze ma non laude della sua morte, perché molte sono le volte, che
lo animale figurato non à li moti delle membra apropiate e modo mentale e
havendo lui fatta bella e grata membrifficatione ben finita li parrà cosa ingiuriosa a
trasmutare esse membra più alte o basse o più indietro che innanzi e questi tali non
sonno meritevoli d’alcune laude nella sua sientia” (Leonardo,Trattato della pittura) .
Il criterio a cui si opponeva Leonardo, si può dedurre, era quello della linea sicura e
infallibile che non necessita di ritocchi o ripensamenti. Era l’idea del perfetto artista
consacrato al disegno e un esempio di totale controllo della linea possiamo
ammirarlo in certi disegni medievali come nel Cigno di Villard de Honnecourt o in
Pisanello. Come sosteneva Cennini, il giovane allievo doveva copiare le opere dei
suoi maestri preferiti fino a quando le sapeva eseguire con estrema perfezione
tecnica rivelando, inoltre, quel medesimo interesse per la “pulitezza” che Leonardo
respingeva.
In realtà, durante il Medioevo, il disegno serviva a uno scopo diverso, in un mondo
in cui l’artista seguiva l’influsso delle tradizioni e dei modelli non era richiesta una
particolare capacità inventiva, ”l’attenzione era posto sulla facilità ch’egli dimostra
nel padroneggiare il ‘simile’, la formula, perciò sarà disapprovato il procedere per
tentativi” (Gombrich,p213) .
Gombrich sostiene che non era esatto credere che gli artisti di quel periodo non
avessero dei ripensamenti, ma semplicemente, quando aveva dei dubbi sulle sue
composizioni ricominciava da capo, disegnando l’una accanto all’altra le possibili
alternative.
Gombrich propone due esempi che hanno come tema la Vergine: un disegno della
fine del Trecento sull’Annunciazione che costituisce un buon esempio di come un
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artista si sforzava di trovare la composizione giusta senza far ricorso ad alcun
pentimento e uno Studio per la Vergine col Bambino di Leonardo del 1478
conservato al British Museum di Londra.
Nel secondo bozzetto compare il diverso approccio di Leonardo al disegno con
sovrapposizioni, ripensamenti ecc…
Nella continuazione dei Precetti, Leonardo rivela come volesse giustificare la sua
tendenza rivoluzionaria: ”Hor, non ai tu considerato li poeti de lor versi, alli quali
non dà noia il fare bella lettera né si cura di cancellare alcuni d’essi versi
riffaccendoli migliori, adonque pittore componi grossamente le membra delle tue
figure…” e insiste sulla dignità della pittura elevandola ad arte liberare pari, se non
superiore alla poesia. La pittura come la poesia è un’attività dello spirito e pone
l’accento sulla pulizia e la perfezione dell’esecuzione in un disegno è una cosa
indegna.
In realtà, critica il Gombrich, “L’insistenza sulla invenzione, sulla intellettualità
dell’arte può certamente portare al sovvertimento dei normali criteri di esecuzione
artistica”(Gombrich, p.214), ma non ha intenzione di soffermarsi su quest’aspetto,
evidenziando, invece, la nuove concezione di Leonardo dell’arte.
È interessato alla capacità di inventare e non di eseguire, l’artista deve essere libero
di seguire la sua immaginazione. Questa possibilità gli viene offerta dal bozzetto: ”Il
bozzar delle storie sia pronto, e’ l membrificare no’ sia troppo finito, sta contento
solamente a’siti d’esse membra, i quali poi a’bel’aggio piacendoti potrai finire”.
Ciò che importa e Leonardo è il moto mentale, negli studi per la Battaglia di
Anghiari troviamo questo nuovo metodo completamente sviluppato.
Nel brano finale dei Precetti leonardeschi, si lascia capire che per lui l’abbozzo non
era solo la testimonianza dell’ispirazione, ma potava anche divenire la fonte di
espirazioni successive:”…Io ho già veduto nelli nuvoli e’muri machie,che m’anno
deste a belle invenzioni di varie cose le quali machie anchora che integralmente
fussino in sé private di perfectione di qualonque membro non manchavano di
perfectione nelli loro movimenti o altre actioni”.
Questo brano ha sempre affascinato gli psicologi interessati alla creazione artistica,
sembra che Leonardo fosse un grado di creare in se stesso uno stato di trasognato
rapimento, ”nel quale l’immaginazione prendeva a giocare con scarabocchi e forme
irregolari, e che queste forme a loro volta aiutassero Leonardo ad abbandonarsi a
quella specie di estasi nella quale le sue visioni interiori potevano proiettarsi in
oggetti esterni” (Gombrich, p.216) .
Questo artificio si pone accanto alla sua scoperta dell’ ”indeterminato” e dell’effetto
che esso esercita sulla mente, scoperta che fece di lui l’inventore dello sfumato e
della forma semidefinita.
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Gombrich nota uno completo sovvertimento dei criteri tradizionali della bottega,
l’abbozzo non è più lo schema preparatorio di un’opera particolare, ma è invece
parte di un processo che si evolve nella mente dell’artista.
È stato notato che gli abbozzi per la Sant’Anna sviluppavano motivi della Madonna
del gatto e di altri disegni da lui eseguiti.
L’agnello della sant’Anna,simbolo della Passione di Cristo era stato in precedenza un
gatto e persino un unicorno.Proteso alla ricerca di una nuova soluzione,”Leonardo
ne adattava il nuovo significato alle forme che egli vedeva nei suoi vecchi schizzi
ormai respinti”.
La nostra distinzione tra “arte” e “scienza” sarebbe stata incomprensibile per
Leonardo, essa non poteva porsi come tale in un linguaggio nel quale la medicina o
anche la caccia con il falco erano “arti” mentre la pittura potava essere definita una
“scienza” poiché “…Nel Rinascimento a ogni aumento di quella libertà fantastica che
noi chiamiamo ‘arte’ doveva corrispondere un uguale rafforzamento di quegli studi
che noi ‘chiamiamo’scientifici” (Gombrich, p.219) .
Un volta superato il problema dei modelli e spinto il pittore a prendere visione di un
infinita varietà di gruppi e movimenti, solo la più profonda conoscenza delle forme
naturali poteva metterlo in grado di sviluppare il suo pensiero.
Ernest H.Gombirch ha sempre coltivato un profondo interesse per la metodologia
della storia dell’arte che lo ha portato a indagare le tecniche più attuali della
psicologi sperimentale, della percezione visiva e dell’informazione.
Inoltre, affronta un altro problema della psicologia di fronte ai fatti artistici:la
psicologia freudiana.
Mentre l’immagine stereotipa del pensiero di Freud vuole che l’opera d’arte si
spieghi attraverso il contenuto che il pensiero inconscio determina turbando
l’artista, Gombrich dimostra come Freud giunga a conclusioni del tutto opposte:
solo le idee inconsce che possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali
diventano comunicabili. Di qui la possibilità di dare un preciso significato espressivo
allo stile, alla forma, alla struttura.
L’inconscio determina il linguaggio, l’opera d’arte può essere esaminata a tutti i
livelli come un sistema di strutture significanti, in cui la via inconscia ci riporta ai
momenti più vivi dell’epistemologia contemporanea.
Scrive “L’influenza di Sigmud Freud ha pervaso così profondamente l’arte e la critica
d’arte nel secolo XX che di rado ci si rende conto della reticenza e della cautela da
lui adottata in proposito alle sue opere…Nella splendida scelte di lettere pubblicata
nel 1960,l’atteggiamento di Freud nei riguardi delle arti plastiche del passato e del
presente può essere inquadrata nel contesto della sua ricca e sostanziosa cultura
così profondamente radicata nelle tradizioni della Bildung(formazione/educazione)
classica tedesca.In effetti,sino alla fine della sua vita Freud guardò l’arte e la
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letteratura con gli occhi di Goethe e Schopenhauer”.(Gombrich, Freud e la
psicologia dell’arte,p.13).
Considerazioni conclusive e valutazioni personali
Quale è stato il ruolo della critica nella storia dell’arte?
Quale
funzione
svolge
all’interno
della
didattica
e
come
potrebbe
essere
somministrata?
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