PROSTATA Che cos`è Il tumore alla prostata è una formazione di

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PROSTATA Che cos`è Il tumore alla prostata è una formazione di
 PROSTATA
Che cos’è
Il tumore alla prostata è una formazione di tessuto costituito da cellule che crescono in modo
incontrollato e anomalo all’interno della ghiandola prostatica ed è diventato il cancro più frequente
nella popolazione maschile dei Paesi occidentali.
Fattori di rischio
Le cause reali del carcinoma prostatico rimangono ancora sconosciute. È possibile però individuare
alcuni potenziali fattori di rischio che aumentano la probabilità di ammalarsi, anche se non sono
direttamente responsabili dell’insorgenza della patologia.
L’emergere di forme clinicamente silenti e non aggressive ha complicato l’interpretazione della
diversa distribuzione dei fattori di rischio della neoplasia. È provato però come alcuni fattori
dietetici e comportamentali, oltre all’età, possano essere associati alla malattia:
- alimentazione, una dieta ricca di grassi, soprattutto saturi come fritti e insaccati e l’eccessivo
consumo di carne rossa e latticini (quindi anche di calcio), aumenterebbero l’incidenza. La dieta
vegetariana sembra invece svolgere un’azione protettiva. Andrebbero privilegiati in particolare gli
ortaggi gialli e verdi, l’olio d’oliva e la frutta. Consigliabile il consumo di vitamine A, D, E e del
selenio.
- sedentarietà;
- sostanze chimiche, come cadmio, alcuni fertilizzanti e coloranti;
- alti livelli di androgeni nel sangue;
- fattori ereditari, anche se in una minoranza dei casi (<15%). Gli uomini con un parente stretto
(padre, zio o fratello) con questo tumore presentano infatti un maggiore rischio di ammalarsi
(soprattutto se la neoplasia è stata diagnosticata a più di un familiare, anche prima di 65 anni). È
bene quindi che effettuino controlli a partire dai 40-45 anni;
- etnia afro-americana, la malattia è infatti più diffusa tra i maschi di razza nera rispetto a quelli di
razza caucasica.
Sono inoltre in costante aumento gli studi che stabiliscono una correlazione tra la malattia e
l’infiammazione, cronica o ricorrente, della prostata. La causa scatenante di questa reazione
infiammatoria, da cui potrebbe derivare il danno che favorisce lo sviluppo di cellule tumorali, non è
ancora chiara: si pensa però che virus, batteri e sostanze tossiche introdotte dall’esterno possano
svolgere un ruolo determinante.
In linea generale, quindi, vanno considerate le stesse regole di prevenzione primaria valide per altri
tipi di patologie, sia tumorali che non, che includono:
- pratica di attività fisica;
- corretta alimentazione;
- niente fumo;
- consumo moderato di alcol.
In caso si pensi di rientrare nelle categorie indicate come a rischio e in presenza di anomalie, è bene
sottoporsi ad un controllo urologico.
Numeri
Il tumore della prostata rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a
partire dai 50 anni di età. L’incidenza del carcinoma ha mostrato negli ultimi anni una costante
tendenza all’aumento, in particolar modo intorno al 2000, con la maggiore diffusione del test del
PSA. Si attende quindi un moderato e costante incremento anche per i prossimi decenni: se per il
2012 si sono stimati circa 36.000 nuovi casi, nel 2020 saranno 44.000 e circa 52.000 nel 2030.
La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma alla prostata, non considerando la mortalità per altre
cause, è attualmente dell’88% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita. Per i pazienti
in vita dopo 1, 3 e 5 anni, l’aspettativa migliora ulteriormente. Il principale fattore correlato a questa
tendenza temporale è dato dall’anticipazione diagnostica e dalla progressiva diffusione dello
screening “spontaneo”, che comporta evidentemente una quota di sovradiagnosi.
Prevenzione
Se gli studi clinici dimostrano senza ombra di dubbio l’importanza di esami “preventivi” contro
alcuni tumori, come quello della mammella o del colon, per le neoplasie della prostata prevalgono
dati discordanti. In particolare esistono due scuole di pensiero basate sui risultati dei due studi di
screening con PSA: la prima (americana) incentiva la prescrizione di esami diagnostici preventivi a
tutti gli uomini con più di 50 anni (come l’antigene prostatico specifico, PSA). La seconda
(europea) sottolinea come la letteratura non abbia ancora confermato la reale utilità di una diagnosi
precoce, in assenza di sintomi, nel migliorare la sopravvivenza e le probabilità di guarigione.
Prevenzione secondaria: lo screening
La diffusione del dosaggio dell’antigene prostatico specifico (PSA) nell’ultimo decennio ha
profondamente modificato l’epidemiologia di questo tumore, anche in senso qualitativo.
L’emergere di forme clinicamente silenti e biologicamente non aggressive ha infatti reso più
difficile la valutazione della diversa distribuzione dei fattori di rischio in passato correlati
all’insorgenza di questa malattia.
Come si affronta
Nel trattamento del tumore della prostata esistono diverse opzioni di trattamento: chirurgia,
ormonoterapia, radioterapia e chemioterapia. Con un’opzione in più, atipica: non eseguire nessuna
operazione (attesa vigile). Molte forme di neoplasia prostatica non sono infatti molto aggressive,
tendono a rimanere localizzate e a crescere poco. In questi casi, anche in considerazione dell’età del
paziente, può risultare preferibile mantenere il quadro sotto controllo piuttosto che intervenire
aumentando il rischio di effetti collaterali.
Chirurgia
La prostatectomia radicale rimuove in blocco la ghiandola prostatica e le vescicole seminali ed è
considerata la terapia standard per la cura del tumore prostatico localizzato, per le elevate
percentuali di guarigione. Il miglioramento della tecnica chirurgica (ad esempio con il
“nervesparing”) ha consentito una riduzione delle complicanze post-chirurgiche (es. disfunzione
erettile e incontinenza), ma la loro frequenza e l’impatto sulla qualità della vita dei malati
impongono un’accurata selezione dei pazienti. Dopo questo intervento, il PSA sierico non dovrebbe
essere più dosabile. In caso contrario, è indice di mancata radicalità dell’intervento. La ricomparsa
di livelli dosabili di PSA è espressione di ricaduta della malattia.
Radioterapia
Il trattamento radioterapico prevede solitamente l’irradiazione esterna. Il ciclo di terapia può
protrarsi per alcune settimane. La durata dipende dal tipo di tumore, dalle sue dimensioni e dalla sua
eventuale diffusione.
In alcuni casi la radioterapia della prostata può dare:
- fastidi a livello del retto e aumento della peristalsi intestinale
- irritazione della regione anale
- cistite
- problemi di erezione.
Questi effetti scompaiono di solito gradualmente nel giro di poche settimane dalla conclusione del
trattamento, anche se quelli tardivi (come la disfunzione erettile) tendono a diventare permanenti.
Ormonoterapia
Il carcinoma prostatico dipende dagli ormoni maschili, gli androgeni. Può quindi essere curato con
l’ormonoterapia (o terapia di deprivazione androgenica). I farmaci anti-androgeni sono di diversi
tipi e possono agire in linea di massima:
- impedendo la produzione degli ormoni maschili a livello del sistema nervoso centrale
- bloccandone l’azione a livello periferico
Inoltre possono essere utilizzati in associazione realizzando il cosiddetto blocco androgenico
completo.
Questo tipo di trattamento può causare:
- gonfiore delle mammelle
- vampate di calore
- sudorazione eccessiva
- incapacità di erezione
- diminuzione del desiderio sessuale
- stanchezza
- aumento di peso
- anemia
Nei pazienti con malattia metastatica la terapia l’ormonoterapia rappresenta il trattamento di scelta
in prima linea. La soppressione della produzione degli androgeni viene attuata attraverso inibizione
della sintesi o del rilascio di gonadotropine ipofisarie (utilizzando analoghi LHRH) e antiandrogeni
non-steroidei.
Chemioterapia
Nel caso in cui la terapia ormonale non risulti più efficace perché il tumore diventa ormonorefrattario, si utilizza la chemioterapia. Viene somministrata per ridurre le dimensioni del tumore,
mantenere la situazione sotto controllo, alleviare i sintomi e i dolori causati dalle metastasi alle ossa
e preservare una discreta qualità di vita. I farmaci chemioterapici possono modificare
temporaneamente alcuni valori degli esami del sangue che vanno quindi controllati con una certa
frequenza e comunque sempre prima di iniziare il ciclo di trattamento.