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Inno nazionale. Rob si alzò e andò dietro al bancone. Si mise vicino
a Stacey, spillò un altro giro e posò i soldi accanto alla cassa. Qualcuno cantava. Alzò lo sguardo e incrociò quello di suo padre seduto al tavolo. Non riusciva a dare un volto alle voci che cantavano
forte in fondo alla stanza. Del fumo azzurro aleggiava davanti al
primo piano di Beckham sul grande schermo. Suo zio Jim si mise a
cantare a squarciagola, imitato da Glenn. God save the Queen. Send
her victorious, happy and glorious.
Andre comincia a leggere, sai, Stace.
Rob lasciò perdere chi cantava e si rigirò verso di lei, nel tentativo di sbirciarle il seno mentre si chinava a prendere un pacchetto
di patatine sotto al bancone, poi lanciò un’occhiata a Glenn per
accertarsi che non lo avesse beccato a guardare la sorella.
Me l’hai già detto mille volte, rispose lei. Ma sai quanto gli serve.
Perché?
Mica gli ricuce la faccia, no?
No, ma imparare a leggere è importante.
È tardi ormai. Vuoi aspettare che compie tredici anni per imparargli a leggere?
Stava per chiederle di provarci lei, ma si morse la lingua e disse
con aria mite: Però ci sta riuscendo, giuro.
Anthony Cartwright Heartland
Vabbè.
Comunque ci vediamo, dopo?, chiese piano.
Lei annuì senza guardarlo. Ma Rob vide che sorrideva.
Controllò ancora che Glenn non li stesse guardando. Meglio
evitare problemi, anche se lui e Stacey non si parlavano da anni.
Non c’era da preoccuparsi, però. Glenn e Jim incitavano gli altri a
cantare sempre più forte. E certo. Campagna elettorale pure qui.
Magari stavolta formavano una coalizione. Rob pensò di fare uno
squillo a uno dei giornalisti venuti a cercare i talebani di Tipton.
Vecchio consigliere comunale laburista beve una birra con gli amiconi di estrema destra del British National Party. Sai gli articoli.
Specie da quando i giovani Woodhouse avevano aggredito i cronisti nel parcheggio del pub Wetherspoon’s e gli avevano fregato uno
di quei nuovi cellulari con fotocamera.
Quella sera suo zio stava aggrappato al bancone come un timoniere in mezzo alla tempesta. Aveva chiamato un paio di giornalisti e strizzato l’occhio a Rob.
Uno di Tipton va in vacanza a New York e decide di passare a
Ground Zero, avete presente, in segno di omaggio. Sta lì davanti
alle macerie quando arriva quest’altro col tipico cappellaccio americano a tese larghe, un vero texano stile Bush, capito?
Ehi, gli fa.
Dimmi, risponde quello di Tipton.
Da dove cazzo arrivi?
Io? Da Tipton.
Tipton? Tipton? E in che cazzo di stato è Tipton?
Il tizio di Tipton si guarda intorno e risponde: Più o meno nella
merda come qua.
A quel punto suo zio si era piegato in due dalle risate, dando una
manata al bancone. I giornalisti sembravano perplessi. Al che Jim
si era fatto all’improvviso serio e con sguardo truce aveva detto:
Scrivete questo nei vostri giornali del cazzo.
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L’inno finì tra urrà e manate sui tavoli. Forza Inghilterra. Rob
sentì un brivido dietro la nuca.
Sede del Cinderheath Football Club, Dudley, Inghilterra. 7 giugno 2002. Inghilterra-Argentina, Sapporo, Giappone.
Altro primo piano di Beckham; altri applausi e manate sui tavoli. Forza Inghilterra. Rob mise giù forte i bicchieri per lo zio e i suoi
amici, la birra traboccò sulla tovaglia di carta orlata di bandiere,
eredità abbandonata in dispensa di qualche matrimonio o anniversario reale. Posò da bere per sé e suo padre dall’altra parte del tavolo, si sedette accanto al vecchio e gli diede un bu∂etto sul braccio.
Avevano il tavolo migliore, certo, era tutto organizzato da zio
Jim. Giocatori importanti, dirigenti, invitati: il fior fiore.
La faccia di Beckham riempiva lo schermo e la stanza. Poche settimane prima Rob aveva visto la gigantografia sull’autostrada. Era in
macchina e macinava chilometri, preoccupato per le elezioni, la partita contro i musulmani e pure per suo padre, in giro a fare propaganda per Jim. Da quando si era messo i bypass non avrebbe dovuto
camminare troppo né agitarsi. Se era per quello non doveva nemmeno bere, ma vaglielo a dire. Poteva o∂rirsi di accompagnarlo, ma Rob
sentiva di doversene andare, via, aria, togliersi quel cerchio alla testa.
Sotto il primo piano di Beckham c’era un cartello con scritto è
giunta l’ora. Se l’Inghilterra vinceva i mondiali, l’avrebbero lasciato lì per sempre. Se vinceva i mondiali. Oggi l’Argentina, poi la
Nigeria, poi via con la fase a eliminazione diretta.
Il mal di testa gli durava da settimane. Andava e veniva, come
l’elicottero il giorno della partita contro i musulmani, se ancora si
potevano chiamare così.
Entrò Lee con il mangiare. La cucina non funzionava, ma Charlie
aveva sistemato nel parcheggio il camioncino degli hamburger, appestando l’aria di gas di scarico e odore di cipolla fritta.
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Anthony Cartwright Heartland
Eccoci, cinque doppi Beckham-cheese, due Owen-hot dog e sei
patatine.
Coro di grazie per Lee e mani allungate verso il cibo. Lee lasciò
il resto sul tavolo.
Perché sette, se siamo sei?
Jim si allungò sul tavolo, prese un hot dog e un cheeseburger,
con un sorriso di scuse.
Tutta ’st’angoscia m’ha messo fame.
Charlie non finiva mai, avevo paura di perdermi il calcio d’inizio, disse Lee.
Dovevi chiedergli un Butt-burger, di quelli non ne smercia mica
tanti.
Quello ti snocciola tutta la formazione. C’è pure il milkshakeSeaman, se a qualcuno interessa.
Beckham e Simeone si strinsero la mano. Una volta Simeone
aveva detto di essere incerto se baciare Beckham o prenderlo a calci.
Verón e Beckham si abbracciarono. Da una settimana la televisione
rimandava l’espulsione di Beckham di quattro anni prima, poi il calcio di punizione contro la Grecia con la parabola del pallone che si
infila nel sette a dimostrazione del fatto che tutto è possibile, rivederlo era ogni volta un’iniezione di speranza. Almeno non mandavano più le solite radiografie del suo piede sinistro. Non se ne poteva più.
Rob pensò a suo padre, ce l’aveva con giornali e tv.
Troppa responsabilità per un uomo, troppa ti dico. Mica può
farcela da solo. E comunque non sta bene, non ha ritrovato la condizione, ma guardalo, come fa? È troppo per un uomo solo.
Un po’ di ketchup, Jim?, chiese Glenn.
Giusto una lacrima, ragazzo mio. Jim sorrise ancora, come se
non ci fossero problemi, come se tra loro non fosse mai volata una
parola.
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La prima volta di Rob allo stadio era stata giù al vecchio County
Ground a vedere il Dudley Town. Giocavano un’amichevole contro
i Wolverhampton Wanderers per festeggiare i nuovi riflettori. C’era
andato con suo padre. Di∑cile pensare al suo vecchio in grado di
fare tutta quella strada a piedi, adesso. Si erano comprati un hot dog
da un camioncino fuori dello stadio, chissà se era di Charlie anche
quello, e poi avevano salito i gradoni.
Ricordava lo sfavillio dei nuovi riflettori, il verde del campo, le
linee bianche con le zolle lucide e fangose a centrocampo e nelle
aree di rigore, i Lupi che facevano riscaldamento in tuta. Suo zio era
entrato in campo in giacca e cravatta insieme al presidente del consiglio comunale per qualche discorso istituzionale. Infatti, ricordava Rob, all’inizio suo padre non ce lo doveva portare. I biglietti in
tribuna li aveva presi Jim, ma poi erano saltati fuori gli impegni
politici e suo padre aveva detto: Vabbè, dài, vienici tu.
Quando la gente aveva cominciato ad applaudire, Rob non aveva capito subito che era per loro, per suo padre. Poi aveva visto le
mani protese, le sagome che incombevano su di lui e oscuravano i
riflettori, le mani aperte a stringere quella di suo papà e accarezzare
la testa a lui.
Tom Catesby, Tommy Catesby, gridavano. Suo padre lo aveva
stretto più forte, un braccio sopra il petto, le dita intorno alla spalla,
l’altro braccio teso a stringere mani, a mantenere gli altri a distanza.
Poi un coro: Tommy, Tommy Catesby. Non finiva più. Il braccio di
suo padre sempre più stretto sulle costole, Rob si divincolava, respirava male.
Poi la folla si aprì, il coro scemò. Erano finiti oltre una transenna e avevano trovato un po’ di spazio, Rob riusciva di nuovo a respirare. Suo padre si chinò per vedere come stava e se non gli si
fosse slacciato il cappotto. Erano dietro la porta, i pali appena riverniciati luccicavano. Oltre le luci, dall’altra parte del campo, si vedeva la sagoma scura della collina e un pezzo di castello, la stessa vista
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