Flessibilità aziendale e normativa: esiste ancora l`orario di lavoro?
Transcript
Flessibilità aziendale e normativa: esiste ancora l`orario di lavoro?
PRATICHE Flessibilità aziendale e normativa: esiste ancora l’orario di lavoro? di Paola Caccia Dominioni e Roberta Maspes La domanda contenuta nel titolo è suggerita dalla normativa vigente, oltre che dalla consuetudine che si sta consolidando all’interno di numerose organizzazioni. Gli autori di questo articolo appartengono a una di queste aziende ‘flessibili’ dal punto di vista dell’orario e raccontano la loro esperienza con il supporto di un focus normativo approfondito. Più che l’esposizione di una teoria è il racconto di una storia vissuta con soddisfazione. Aristotele sosteneva che “Lo scopo del lavoro è guadagnarsi il tempo libero”, stabilendo in questo modo una netta separazione-anche temporale- tra le due sfere. Oggi scopriamo che questa dicotomia sta diventando più sottile per lasciare spazio a nuovi modi di organizzarsi che, grazie anche alle tecnologie, permettono l’integrazione tra il ‘tempo del lavoro’ e il ‘tempo personale’. Paola Caccia Dominioni è Responsabile delle Risorse Umane di Zeta Service dal 2008. È laureata in Scienze Politiche indirizzo Economico con una tesi sulla Responsabilità Sociale delle Imprese Roberta Maspes è Consulente del Lavoro dal 2002 , nel 2007 è entrata a far parte di Zeta Service divenendo nel 2009 Responsabile del Servizio di Consulenza del Lavoro 14 Quando si fa riferimento all’orario di lavoro, immediatamente si riflette sul concetto di tempo al quale, parlando in termini di lavoro, spesso e quasi istintivamente si collega un’idea di rigidità e di vincolo. La domanda è: esiste ancora l’orario di lavoro? In realtà questo è un retaggio del passato, perché oggi il panorama si sta trasformando e la competitività dell’azienda risiede proprio nella capacità di inserirsi con acume in questa metamorfosi, cogliendo le opportunità collegate alla ‘flessibilità’ anche riguardo un tema così delicato come l’orario di lavoro. Secondo il vecchio paradigma, il tempo dedicato al lavoro e il tempo dedicato alla vita privata sono complementari, dunque appartengono a due sfere diverse. È curioso riflettere sul fatto che già Aristotele sosteneva che “Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”. Attualmente, invece, se si osserva la moderna cultura d’azienda, è facile rendersi conto che questa dicotomia sta svanendo e viene sempre più sostituita da una fusione fra le due aree temporali, dovuta alle nuove modalità di gestione dell’orario di lavoro. Queste nuove modalità di gestione, a loro volta, non sono state introdotte nel panorama aziendale da un deus ex machina ma sono il prodotto emergente delle nuove necessità dei lavoratori, sempre più orientati a vedere nel lavoro un’espressione creativa delle proprie potenzialità da dover mettere in equilibrio, e non in opposizione, rispetto alla propria vita privata. Il metodo più efficace per permettere che questo input trovi una sua attuazione all’interno delle aziende consiste nel togliere all’orario di lavoro il velo di rigidità che lo ricopre, permettendo al collaboratore di considerare l’attività lavorativa parte integrante del proprio tempo e di eliminare la rigida linea di demarcazione che divide tempo lavorativo dal tempo privato. La volontà dell’azienda di disciplinare la flessibilità dell’orario di lavoro avvicina i collaboratori, generando maggiore senso di appartenenza e motivazione e, in generale, un miglioramento del clima aziendale. Questo è per esempio l’evidente riscontro che abbiamo dai collaboratori in Zeta Service. La nostra azienda si occupa di paghe e amministrazione del personale in outsourcing e questo vuol dire che il nostro ritmo di lavoro deve ‘naturalmente’ modellarsi sui ritmi dei clienti. Tuttavia, pur mantenendo salda questa guida, abbiamo deciso di diffondere e attuare la cultura della ‘flessibilità’. Sulla scorta di questo abbiamo lavorato affinché ci si concentrasse sul valore del tempo e non sul tempo in sé, chiedendo ai collaboratori di ottenere dalla loro professionalità non 8 ore di lavoro, appunto, ma l’equivalente di 8 ore di valore. Nota: di Roberta Maspes è il Focus Normativo nella seconda parte dell’articolo PERSONE&CONOSCENZE N.69 Come misurare il raggiungimento dell’obiettivo? Il risultato più evidente della nostra attività lavorativa è la soddisfazione dei nostri clienti, che, oltre a essere monitorata tutto l’anno, periodicamente viene formalizzata attraverso un’indagine numerica. L’ultima di queste indagini si è appena conclusa e i dati sono in fase di analisi. Dai risultati parziali è tuttavia già emerso chiaramente che i clienti sono molto soddisfatti e che l’elemento determinante di questa soddisfazione è l’atteggiamento dei nostri collaboratori e il modo in cui curano la gestione del cliente. Cortesia, disponibilità e reale attenzione alle esigenze non sono che il risultato di un lavoro di comunicazione interna a formazione portato avanti con costanza fin dalla nascita di Zeta Service. Il fatto che l’elemento di maggiore spicco sia proprio il valore delle risorse, ci conferma che la richiesta di ‘valore del tempo’ sia la strada giusta. Il nostro impegno, in termini di orario di lavoro, nasce dal voler tutelare non solo la famiglia, ma anche altre esigenze legate alla vita privata dei collaboratori. Ed è un impegno che va al di là di quanto previsto dalla legge, soprattutto perché questa modalità di gestione è un investimento che permette di dare energia all’espressività dei collaboratori. Vogliamo essere un’azienda in grado di produrre, almeno al suo interno, un cambio di mentalità affidando la gestione del tempo al senso di responsabilità di ognuno di noi nell’autodisciplinarsi. Questo, beninteso, non significa anarchia: nessuna organizzazione potrebbe permetterselo, tanto meno un’azienda che, come la nostra, lavora in un settore in cui scadenze e adempimenti che non ammettono distrazioni. Si tratta, piuttosto, di essere flessibili a fronte di un preventivo ‘allineamento’ di ciascun collaboratore alle necessità del lavoro, dei clienti e dei colleghi. Gestire il tempo guardando ai risultati La gestione del tempo in Zeta Service è affidata al singolo gruppo e misurata non sui minuti, o sulle ore, ma sui risultati. È questa una precisa scelta che l’azienda ha fatto all’inizio del suo percorso e che, nonostante le nuove esigenze organizzative legate alla crescita di questi anni, è stata riconfermata. Come mai? Perché in Zeta Service crediamo fortemente nei valori di fiducia e coesione aziendale che trasmettiamo e siamo certi che la nostra azienda stia crescendo mantenendo bel saldi questi valori. Sulla scorta di questa fiducia, lasciamo che sia il coordinatore di ogni gruppo ad assicurarsi che l’autodisciplina ci sia e proceda secondo i valori stabiliti. Anche gli orari di entrata e di uscita sono flessibili, principalmente per permettere ai genitori di accompagnare i figli a scuola: la pausa pranzo è flessibile e può essere prolungata di un’ora da recuperare in giornata; ed è possibile, a fronte di particolari esigenze, lavorare da casa. Penso che sia vantaggioso per un’azienda fornire ai collaboratori la possibilità e la tecnologia per poter avere anche a casa buona parte degli strumenti presenti in ufficio. Le soluzioni per una gestione ottimale emergono dal dialogo con i collaboratori e proprio di recente è emersa l’esigenza di cominciare a valutare un progetto di banca ore, il che costituisce il nostro impegno attuale. Sicuramente non esistono metodi di flessibilità estendibili a tutte le aziende e a tutte le professioni indistintamente, ma, proprio per agevolare il cambiamento ormai in atto, ritengo sia un bene che tutte le realtà lavorative abbiano come obiettivo la lotta alla rigidità -per quanto è possibile e nel rispetto della propria natura aziendale- in vista di migliori risultati, obiettivi raggiunti più velocemente e un migliore clima aziendale di idee innovative. Focus Normativo La regolamentazione dell’orario di lavoro è contenuta nel D. Lgs. n. 66/2003 (entrato in vigore il 29/4/2003). In particolare per l’Art. 1, c. 2, lett. a) l’orario di lavoro comprende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Di seguito analizziamo alcuni articoli del decreto. Durata della prestazione lavorativa L’Art.1 del D.Lgs. N. 66/2003 definisce orario di lavoro il tempo durante il quale il lavoratore “è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue attività o funzioni”. Tale definizione, nella sua semplicità, è tutt’altro che scontata considerando che essa ha sostituito la vecchia nozione di ‘lavoro effettivo’ derivante dal R.D.L. n.692/1923. Quanto detto apre un nutrito contenzioso su tutte quelle situazioni non espressamente disciplinate, quali il tempo di vestizione (c.d. ‘tempo tuta’), il tempo per raggiungere il luogo della prestazione (c.d. ‘tempo viaggio’), il tempo di marcatura del cartellino presenza, vale a dire tutte quelle ipotesi nelle quali i requisiti di cui alla definizione sono più o meno sfumati. Fuor di dubbio è che rientrano nell’orario di lavoro le cosiddette ‘pause fisiologiche’; inoltre, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003 è escluso dal computo dell’orario di lavoro il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il posto di lavoro, a meno che tale tempo non sia funzionale rispetto alla prestazione. Sussiste il carattere di funzionalità nel caso in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia di volta in volta inviato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa. Pertanto, laddove sia richiesto al dipendente di recarsi ad un ‘punto di raccolta’ per utilizzare un particolare mezzo di trasporto o per reperire la strumentazione necessaria oppure, comunque, per porsi a disposizione del datore di lavoro presso detto punto di raccolta entro un determinato momento, è a partire da quest’ultimo che deve computarsi l’orario di lavoro (ML interpello n. 13/2010). In caso di trasferta, il tempo impiegato dal lavoratore PERSONE&CONOSCENZE N.69 15 per raggiungere la sede di lavoro (“ore viaggio, in caso di trasferta, per raggiungere il luogo di lavoro indicato dal datore di lavoro senza transitare dalla sede ordinaria di lavoro”) non può essere computato nell’orario di lavoro e, pertanto, il relativo trattamento economico non può che essere di natura indennitaria, nei limiti di quanto disposto dall’art. 51, comma 5, del DPR n. 917/1986 (TUIR) (ML interpello n. 15/2010).Pertanto, il disagio che deriva al lavoratore non deve quindi essere retribuito, in quanto è assorbito dall’indennità di trasferta. A tal proposito è auspicabile un intervento dell’Agenzia delle Entrate. Un esempio: il ‘tempo tuta’ rientra nell’orario di lavoro quando è imposto dal datore di lavoro per ragioni di sicurezza, per motivi di immagine aziendale (divisa) o per ragioni comunque imposte dal regolamento interno. Si evidenzia pertanto che la differenza è data dalla ‘funzionalità di quel tempo rispetto all’organizzazione aziendale’. L’Art.3 del D.Lgs. N. 66/2003 definisce l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali (senza introdurre un limite giornaliero, quest’ultimo potrebbe essere individuato, ai soli fini contrattuali, dalla contrattazione collettiva). La contrattazione collettiva (di qualsiasi livello) può: • fissare una durata minore; • riferire ‘l’orario normale’ alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (orario multiperiodale). Si rende quindi utile distinguere fra l’orario legale, stabilito appunto in 40 ore dall’art. 3, da quello contrattuale, che può essere settimanale (meno di 40 ore) o multiperiodale (in riferimento a una media settimanale rilevata in un periodo che non può, comunque, essere superiore all’anno). Ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 66/2003, l’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore nell’arco della settimana, da intendersi non necessariamente come settimana di calendario, ma come ogni periodo di sette giorni. Durata normale dell’orario di lavoro Il riferimento all’anno non deve intendersi come anno civile (1º gennaio-31 dicembre), ma come un periodo mobile compreso tra un giorno qualsiasi dell’anno ed il corrispondente giorno dell’anno successivo, tenendo conto delle disposizioni della contrattazione collettiva. Nel computo dell’orario normale di lavoro non rientrano i periodi in cui il lavoratore non è a disposizione del datore ovvero nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni. Quindi le ore non lavorate (es. permessi) potranno essere recuperate in regime di orario normale di lavoro (ML circ. n. 8/2005). Laddove, pertanto, uno di questi eventi venga a coincidere con giornate in cui, a seguito della programmazione multiperiodale, sia stato previsto un orario superiore o inferiore a quello normale, le parti del rapporto sono tenute a concordare lo spostamento in altra data di un eguale incremento o riduzione della prestazione. Le 16 PERSONE&CONOSCENZE N.69 eventuali ore di incremento prestate e non recuperate assumono la natura di lavoro straordinario e devono essere compensate secondo le modalità previste dai contratti. Cenni sulla durata massima dell’orario di lavoro L’art. 4 del D.Lgs. n. 66/2003 demanda ai contratti collettivi il compito di stabilire la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, comprensivo sia del lavoro ordinario, sia di quello straordinario. L’orario settimanale, sia in presenza sia in assenza di contrattazione applicabile, non può superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni calcolate, come media, su un periodo di riferimento non superiore a 4 mesi. Il limite legale delle 48 ore medie, nel periodo di riferimento, deve essere rispettato sia nel caso in cui il datore stabilisca un orario rigido e uniforme sia nel caso in cui l’orario di lavoro venga disciplinato in senso multi periodale mediante il rispetto del limite come media, per ogni periodo di sette giorni, in un determinato periodo. Quindi, nella settimana lavorativa si potrà superare il limite delle 48 ore settimanali purché vi siano settimane lavorative di meno di 48 ore in modo da effettuare una compensazione e non superare il limite delle 48 ore medie nel periodo di riferimento ed ancora, l’attività potrà essere concentrata in alcuni periodi e ridotta in altri in modo da realizzare una efficiente gestione dei fattori produttivi. Si ricorda che il mancato rispetto di tale obbligo è sanzionato (art.7 comma 1 lettera a) legge 183/2010) con: - sanzione amministrativa da euro 100,00 a euro 750,00 nella generalità dei casi; - sanzione amministrativa da euro 400,00 a euro 1.500,00, se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o si è verificata in almeno 3 periodi di riferimento (4,6 o 12 mesi); - sanzione amministrativa da euro 1.000,00 a euro 5.000,00, se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o si è verificata in almeno 5 periodi di riferimento (4,6 o 12 mesi), in tal caso non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta. Così ad esempio sul multiperiodale, in un periodo di 4 mesi dal 1º gennaio al 30 aprile, l’orario settimanale di lavoro del mese di gennaio potrebbe essere di 60 ore, di 40 ore il mese di febbraio, di 35 ore il mese di marzo e di 48 ore il mese di aprile (ML circ. n. 8/2005). Il Ministero del Lavoro (circ. 27 del 30/7/2003), ha identificato quale termine iniziale per la decorrenza del criterio legale di computo per la media settimanale il 30 aprile 2003 (cosiddetto ‘criterio fisso’). Criteri diversi possono essere identificati dai CCNL. In ogni caso i contratti collettivi possono: • stabilire una diversa durata massima settimanale dell’orario di lavoro (nel rispetto della media di 48 ore); • elevare fino a 6 o 12 mesi per ragioni obbiettive, tecni- che o inerenti all’organizzazione del lavoro, il periodo di riferimento per la verifica del rispetto (48 ore) della durata media dell’orario massimo di lavoro. Computo della media L’art. 6 del D.Lgs.66/2003 precisa che i periodi di ferie ed i periodi di assenza per malattia (sembrerebbero equiparati alla malattia i periodi di infortunio e maternità - Min. Lav. Circ. 8/2005) non devono essere computati nel calcolo dell’orario medio settimanale (48 ore). Il periodo di riferimento (4, 6 o 12 mesi) per il calcolo della media va considerato a ‘scorrimento’, vale a dire lo spostamento del termine di tanti giorni quanti sono quelli di assenza per ferie e malattia, per meglio gestire la flessibilità dell’orario. In pratica, l’arco temporale di riferimento può superare il quadrimestre (o il semestre o l’anno), in quanto nella sua determinazione non vengono computate dette assenze. Esempio: nel considerare il quadrimestre gennaio–aprile, un’assenza per malattia pari a 10 giorni fa slittare il termine del quadrimestre al 10 maggio. Le assenze diverse da ferie o malattia rilevano, invece, ai fini del computo della media con valore zero. Modifiche alla durata e alla distribuzione dell’orario di lavoro Il datore di lavoro non può ridurre unilateralmente l’orario normale di lavoro dei propri dipendenti, mentre ha il potere di modificare anche unilateralmente la distribuzione dell’orario di lavoro nell’arco della giornata o della settimana lavorativa purché tale modifica non sia arbitraria ma dettata da effettive esigenze tecniche, organizzative e produttive. Tale potere del datore di lavoro non viene meno neppure quando la distribuzione dell’orario di lavoro in atto risulti praticata da tempo, in quanto non possono essere configurati, in materia, usi aziendali vincolanti. Tuttavia, il datore di lavoro non può modificare unilateralmente l’orario di lavoro dei singoli dipendenti quando la determinazione dell’orario di lavoro non sia stata effettuata attraverso un mero rinvio alla disciplina collettiva ma abbia costituito oggetto di una specifica pattuizione individuale. Lavoratori con orario non predeterminato Ai sensi dell’art. 17, c. 5, D.Lgs. n. 66/2003, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli 3 (orario normale settimanale), 4 (durata massima), 5 (lavoro straordinario), 7 (riposo giornaliero), 8 (pause), 12 e 13 (organizzazione e durata del lavoro notturno), non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, per le caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere predeterminata dai lavoratori stessi e in particolare quando si tratta di: • “dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo. Ai fini dell’esclusione dal campo di applicazione della disciplina limitativa dell’orario di lavoro devono ritenersi compresi nella locuzione ‘personale direttivo’ non solo i dirigenti in senso stretto, ma anche il cosiddetto personale dirigente minore”. In particolare, è considerato ‘direttivo’ il personale preposto alla direzione tecnica o amministrativa dell’azienda, o di un reparto di essa con diretta responsabilità dell’andamento dei servizi (gli institori, i gerenti, i direttori tecnici o amministrativi, nonché gli impiegati con funzioni direttive, i capi ufficio, i capi reparto che partecipano solo eccezionalmente al lavoro manuale). Non sono comunque considerati direttivi ai fini della presente disciplina i commessi di negozio o coloro che, pur essendo adibiti alla direzione tecnica di una lavorazione, concorrono con prestazione d’opera manuale alla sua esecuzione. La categoria del ‘personale direttivo’ è stata estesa fino a farvi rientrare quelle nuove figure professionali che, pur prive di potere gerarchico, conservano ampia possibilità di iniziativa, di discrezionalità decisionale e di determinazione autonoma sul proprio tempo di lavoro (ML circc. n. 10/2000; n. 8/2005): • manodopera familiare. Nella disciplina previgente si faceva riferimento al personale addetto ai lavori domestici, intendendosi per lavori domestici tutte le prestazioni d’opera inerenti al normale svolgimento della vita interna di ogni famiglia o convivenza, quali ad esempio convitti, collegi, conventi; • lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose; • prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro. In riferimento al primo punto esposto diverse sono state nel corso degli anni le sentenze di cassazione che hanno trattato l’argomento in particolare relativamente al diritto al compenso aggiuntivo spettante al personale dirigenziale. In particolate è emerso che nei confronti dei dirigenti può esserci diritto al compenso per lavoro straordinario nel caso in cui venga delimitato anche per loro un orario normale di lavoro quindi, nel caso in cui questo venga stabilito dalla contrattazione collettiva , aziendale o individuale oppure, quando non essendovi una delimitazione , la durata della prestazione lavorativa ecceda comunque i limiti così detti della ragionevolezza superati i quali vi può essere un rischio per la salute psico-fisica del lavoratore. Da ultima, la sentenza della Corte di Cassazione n. 3607 del 17/2/2011 ha chiarito che non può essere escluso il diritto dei dipendenti con qualifica di dirigente al riposo settimanale, festivo ed al compenso aggiuntivo per lavoro straordinario. Nello specifico è stato sottolineato che è necessario valutare caso per caso, utilizzando le regole relative al “principio di ragionevolezza”, fermo restando la prova dell’evento a carico del dirigente. PERSONE&CONOSCENZE N.69 17