GABRIELLA GHERMANDI in REGINA DI FIORI E DI PERLE

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GABRIELLA GHERMANDI in REGINA DI FIORI E DI PERLE
GABRIELLA GHERMANDI
in
REGINA DI FIORI E DI PERLE
Racconti e musiche dall’Etiopia
Debre Zeit, cinquanta chilometri da Addis Abeba, 1980: una grande famiglia patriarcale;
un legame speciale tra la piccola Mahlet e il vecchio Yacob, che un giorno le racconta del
tempo degli italiani, venuti ad occupare l’Etiopia, e degli Arbegnà, i fieri guerrieri - e
guerriere - che li hanno combattuti. Quel giorno, Mahlet fa una promessa: da grande andrà
nella terra degli Italiani e si metterà a raccontare…
Regina di fiori e di perle (postfazione di Cristina
Lombardi-Diop - Collana Fiabe e storie, pp. 258,
21 euro) è un romanzo che rovescia il mito
dell’italiano “colonialista buono” e ricostruisce la
memoria del nostro passato coloniale, una
memoria scomoda perché gli italiani
massacrarono un popolo cristiano dichiarandolo
“razza inferiore”. Protagonisti del racconto gli
anziani e le donne, donne guerriere, donne che
ascoltano, donne che tramandano e tessono le
loro trame.
Dal romanzo, successivamente, è nata l'idea di creare un spettacolo di narrazione che
intersechi più voci, da una parte la narrazione del passaggio violento del colonialismo
italiano nella famiglia materna dell'autrice, dall'altro le varie storie del romanzo che
vengono porposte al pubblico attraverso brevi letture che si inseriscono nella narrazione.
La narrazione e le letture sono intervallate da musica e canti tradizionali etiopi cantati dalla
stessa autrice/narratrice.
La narrazione si svolge con una modalità alquanto essenziale, simile ai racconti attorno al
fuoco e prevede un solo momento “teatrale”: quando l'autrice, durante la narrazione, si
cambia d'abito indossando quello tradizionale delle sue terre d'origine, l'etiopia e l'eritrea.
Sullo spettacolo riportiamo le impressioni di una spettatrice tratte dal suo bolg:
http://leciram.splinder.com/
"...Ma quello che mi ha emozionato e creato stupore come una bambina che ascolta
come va a finire una storia è stata la presentazione del libro "Regina di fiori e di perle"
della scrittrice italo-etiope Gabriella Ghermandi. ... Un raccontare recitato, con più voci
che si sovrappongono che sono le voci che l'hanno ispirata, le voci dei personaggi del
suo libro, le voci di Debre Zeit un piccolo villaggio a cinquanta chilometri da Addis
Abeba, la città che le ha dato i natali.Durante la sua performance, ha parlato di come
sua madre "ha vissuto e subìto il colonialismo" e di come voleva che lei e i suoi fratelli
"si sentissero il più possibile italiani", dimenticando ed escludendo completamente tutta
la sua "parte nera". Lei che "per i bianchi non era bianca e per i neri non era nera" si è
trasferita in Italia, a Bologna a quattordici anni trovandosi spaesata in questa grande
città e riscoprendo man mano la sua identità. E in questo percorso di riscoperta ha
iniziato a vestirsi con gli abiti tradizionali etiopici. Gabriella lo ha fatto quella sera per il
pubblico, e i suoi lineamenti che vedevo inizialmente come "tipicamente" italiani,
occidentali, si sono trasformati una volta incorniciati da uno scialle di un colore
sgargiante. La sua "parte nera" è rimasta delineata su quel bel volto luminoso anche
dopo il suo spettacolo di narrazione e dopo essersi tolta gli abiti tradizionali. Di impatto."
Al termine della narrazione, come gesto di ospitalità, l'autrice distribuisce al pubblico un
pane speziato, etiope.
Gabriella Ghermandi. Italo-etiope, Gabriella Ghermandi è nata ad Addis Abeba nel
1965, e si è trasferita in Italia nel 1979, dove vive a Bologna, città originaria del padre.
Seguendo l’arte della metafora tipica della tradizione culturale etiope, scrive e interpreta
spettacoli di narrazione che porta in giro per il mondo. Direttrice artistica per due anni del
Festival Evocamondi, rassegna di narrazione e musiche dal mondo, organizzato dalla
rivista El Ghibli, a Bologna. La sua intensa attività teatrale e teorica sul tema della
multidentità e della scrittura è da anni oggetto d’interesse per molti studiosi anche
all’estero, e la portata di recente a compiere un tour tra alcune delle più significative
Università degli Stati Uniti.
Ha detto di sé. “Per i bianchi non ero bianca e per i neri non ero nera. Mia madre ha
vissuto e subito il colonialismo e voleva che io e i miei fratelli ci sentissimo il più possibile
italiani. Voleva cancellare la sua identità e la sua lingua: oggi io parlo benissimo l’amarico
e lo capisco meglio di lei… La nostra era una vita mista, fatta di quattro lingue diverse:
l’amarico e l’italiano erano quelle di tutti i giorni, il bolognese e l’eritreo erano le lingue
della festa. Mio padre appena incontrava un emiliano si esprimeva in stretto dialetto
bolognese, quando invece arrivava la nonna si parlava tigrino”.
Il romanzo. Debre Zeit, cinquanta chilometri da Addis Abeba, 1980: una grande famiglia
patriarcale; un legame speciale tra il vecchio Yacob e Mahlet, la più piccola di casa. Lui la
conosce meglio di chiunque altro: la guarda negli occhi, mentre lei divora le storie che lui
le narra. Così, un giorno si mette a raccontarle del tempo degli Italiani, venuti ad occupare
quella terra, e degli Arbegnà, i fieri guerrieri che li hanno combattuti, di cui lui ha fatto
parte. Quel giorno, Mahlet fa una promessa: da grande andrà nella terra degli Italiani e si
metterà a raccontare… Un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, in cui scorrono la vita e
le vicessitudini di una famiglia etiope nel periodo della dittatura di Mengistù Hailé Mairam,
e nel decennio successivo della emigrazione. Un romanzo che percorre oltre cento anni di
storia, dal tempo di Menelik ai giorni nostri. Una narrazione che, come scrive Cristina
Lombardi nella postfazione, “non riguarda solo la dimensione del passato etiopico, ma è
anche un modo di interrogarsi sull’idendità della memoria coloniale italiana”. A cavallo tra
lingue ed etnie, tra nazioni e continenti, tra occupazioni militari e guerre fratricide, si
dipanano le mille storie di questa Shahrazade dei nostri tempi, fiera delle sue origini etiopi
ed eritree, e insieme capace di usare la lingua italiana con l’intensità e la precisione di un
bisturi.