Per molti anni ed ancora oggi , la malattia varicosa è definita
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Per molti anni ed ancora oggi , la malattia varicosa è definita
MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA ELEMENTI DI TERAPIA MEDICA NELL’INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA Per molti anni ed ancora oggi , la malattia varicosa è definita “essenziale” in quanto l’etiologia ed il divenire patogenetico non sono completamente chiari. Negli anni passati, si è data molta più enfasi di quanto non si faccia oggi alla componente eredo familiare. In quest’ottica si può comprendere quanto scarsa sia stata la fiducia sin’ora posta nella terapia farmacologica. Le recenti acquisizioni sulla patogenesi della malattia varicosa fanno invece ben sperare in una efficace prevenzione della sua evoluzione. Soddisfacenti appaiono i risultati sulla sintomatologia e sull’evoluzione della malattia, anche se ad oggi nessun rimedio farmacologico si è dimostrato efficace nel modificare le alterazioni strutturali già acquisite della parete varicosa (modificazioni quali – quantitative del collagene, dei glicani e dell’elastina). La terapia fisica (elastocompressione e drenante, vedi) e farmacologica sono in grado di attenuare i sintomi ma soprattutto di prevenire e ridurre la frequenza e gravità di molte complicanze. Come già detto, le ipotesi più recenti riguardo alla fisiopatologia dell’IVC, mettono al centro del problema l’ipertensione venosa che si collega con l’espressione flogistica valvolare e parietale. Il primo atteggiamento da assumere è quindi quello di ridurre il più possibile la frequenza e l’intensità delle situazioni in cui si produce ipertensione venosa, ridurre cioè le condizioni di rischio o precipitanti. Al pari dell’aterosclerosi, i fattori di rischio varicoso si possono suddividere in modificabili e non modificabili. Fanno parte del secondo gruppo la familiarità e l’età. Del primo gruppo fanno parte : - sovrappeso od obesità - prolungata stazione eretta o seduta - esposizione a fonti di calore - malappoggio plantare (piattismo – equinismo o impiego di calzature con tacchi alti o troppo bassi) - sedentarietà ed alterazioni della deambulazione - gravidanza, trattamento estroprogestinico - indumenti stretti, ecc. Terapia farmacologica Qui di seguito l’indirizzo prevalente nell’impiego dei vari farmaci nelle varie fasi e situazioni: • 1° stadio : flebotonici, linfodrenanti ed antiedemigeni • 2° stadio : associazione con antitrombotici e FANS • 3° stadio: associazione con eparina, fibrinolitici minori ed emoreologici Tra tutti i farmaci utilizzabili nella prima fase dell'insufficienza venosa cronica spiccano per efficacia la centella asiatica, l’ippocastano, la vitis vinifera, il calcio dobesilato ed il ginko biloba. Hanno in comune l’azione normalizzante sulla permeabilità capillare e tonica sulla parete venosa e linfatica. I farmaci che più sono stati oggetto di ricerche negli ultimi anni sono sicuramente la frazione flavonoica purificata di diosmina / esperidina, la troxerutina e la cumarina. 32 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA – 2007 Fanno tutti parte della grande famiglia dei flavoni e una recente nota del ministero della sanità ne proibisce l’impiego in gravidanza. La cumarina (Meliloto officinale) Appare particolarmente indicata quando vi è una più consistente componente linfostatica; agisce direttamente sulla cellula muscolare del vaso linfatico con meccanismo recettoriale. Esperienze di Foldi nel ’62 e di Mislin, nel ’71 mostrarono un marcato incremento di flusso linfatico nel dotto toracico di cani narcotizzati ed aumento del numero delle contrazioni miocellulari linfatiche, della loro ampiezza e del tono. La troxerutina Agisce prevalentemente sulle fibre elastiche della parete venosa ma anche sulla cml. Antiedemigeno per azione sull’endotelio venoso. Protettivo dell’azione ossidante dei radicali liberi, inibisce adesione ed attivazione linfocitaria all’endotelio venoso. Ha azione emoreologica; favorisce cioè la capacità plastica di deformabilità del globulo rosso nel passaggio microcircolatorio. La perdita della fisiologica deformabilità dell’eritrocita sembra essere responsabile delle parestesie presenti in questi pazienti. Ha uno spiccato tropismo per l’endotelio della parete venosa (Ekestrom S. et Al. Phlebology 5(1):4148,1990). La diosmina È forse il flebotonico più studiato degli ultimi anni. Le acquisizioni sui suoi meccanismi di azione rendono restrittivo ed insufficiente il termine di flebotonico. Ha infatti mostrato di possedere diversi punti di azione nell’IVC, in tutti gli stadi evolutivi. E’ nota da tempo note la capacità di prolungare l’azione della nor adrenalina sulla cellula muscolare liscia della parete venosa, con meccanismo recettoriale. Inoltre incrementa la capacità contrattile da stimolo adrenalinico, da stiramento e da freddo; producendo incremento del tono muscolare della parete venosa. Possiede una spiccata azione antiedemigena che si esprime tramite una riduzione della aumentata permeabilità capillare. Ha azione linfagoga per incremento della motilità del linfangione. L’aspetto oggi ritenuto più interessante è però la capacità di inibire l’adesione ed attivazione del linfocita a livello dell’endotelio della valvola e parete venosa. L’azione protettiva e di profilassi sul deterioramento della parete venosa si esplica con questo meccanismo e con la capacità di proteggere le cellule endoteliali dalla stasi e quindi dall’ipossia. (Michiels C. et Al. Int Angiol 2002. 21: 1-8). La sua azione antinfiammatoria si esprime anche a livello microcircolatorio, svolgendo così una azione antiedemigena (Lyseng-Williamson K.A. et Al. Drugs 2003; 63:75-100). Nel secondo stadio Widmer (CEAP 2-4) è auspicabile l’impiego di farmaci ad azione antitrombotica e fibrinolitica minore. Sulodexide e mesoglicani • Azione antitrombotica (inibizione dose dipendente del fattore X° attivato) • Modesta azione fibrinolitica • Modesta azione antiaggregante piastrinica Defibrotide • azione profibrinolitica, per un aumento della produzione del plasminogeno endoteliale (tPA). • azione antitrombotica: risiede nella capacità di ridurre la produzione degli inibitori del plasminogeno (α2 antiplasmina ed α1 antitripsina). 33 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA • • Azione antiaggregante: aumento della disponibilità di PGI2 mediante azione sul metabolismo dell’ac. Arachidonico endoteliale Eparine • Effetto anti trombotico ed anticoagulante dose dipendente • Inibizione della reattività piastrinica MECCANISMO D’AZIONE DELLE EPARINE • • • Inibizione della protrombina (da parte del fattore Xa in assenza di antitrombina) Accelera l’inibizione dell’antitrombina su fattori attivati (XIIa, XXIa, IXa e IIa) Inibizione selettiva della trombina (interazione col cofattore eparinico II, a dosi elevate) Emoreologici e FANS Il perché degli emoreologici e dei FANS nel 3^ stadio è facilmente comprensibile visto il ruolo dell’attivazione leucocitaria, del loro intrappolamento e la loro importanza nel determinismo dell’incremento dell’aggregabilità. Il flusso capillare diviene frammentato (sludges) o addirittura si verificano vere e proprie microtrombosi. Questo aspetto è ben visualizzabile alla capillaroscopia. Appare quindi indicato l’impiego della pentossifillina o del buflomedile negli stadi avanzati e con lesione trofica in atto. Frammentazione del flusso capillare al letto ungueale del piede in soggetto con IVC 3^ stadio 34 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA Terapia dell’ulcera flebostatica La parte più importante della terapia dell’insufficienza venosa cronica è di tipo meccanico idraulico. L’obiettivo principale dev’essere quello di ridurre l’entità del reflusso, riducendo in tal modo l’ipertensione venulare distrettuale. Premesso che allo stato attuale delle conoscenze non esistono presidi farmacologici in grado di ripristinare la Ulcera profonda – infetta – con fondo fibrinico status quo ante di una vena varicosa, la soppressione del reflusso si può ottenere solo mediante l'esclusione anatomica e/o emodinamica della vena varicosa. Tale obiettivo si può perseguire in tre modi differenti ma spesso contemporanei nello stesso paziente : • l'ablazione chirurgica • la sclerosi • la compressione elastica La terapia chirurgia deve prevedere sia la soppressione del reflusso lungo (generalmente safenico) sia la soppressione del reflusso corto proveniente dalle perforanti incontinenti. Non esiste ulcera flebostatica senza perforante incontinente (vena/e nutrice/i). La terapia deve tenere conto oltre che dello stato generale del paziente anche della situazione locale della eventuale lesione della cute circostante. A Ulcera flebostatica superficiale – necrotica - asciutta parte le procedure classiche di stripping safenico, lungo e breve, oramai applicati e riconosciuti idonei da molti anni, bisogna 35 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA considerare la possibilità di legatura delle perforanti eseguita in regime praticamente ambulatoriale mediante tecnica endoscopica per fibre ottiche . In casi selezionati si possono ottenere ottimi risultati anche con la flebectomia semplice (tecnica di Muller modificata ed adattata da Ricci e Georgiev). Della scleroterapia e della compressione elastica delle vene nutrici accenneremo in altro capitolo. In questa sede ci occuperemo solo delle basilari informazioni che bisogna avere per avvicinarsi, con la necessaria competenza alla medicazione dell’ulcera flebostatica. Generalmente la prima procedura da seguire è di eliminare l’infezione batterica eventualmente presente. La riduzione drastica della carica batterica ottiene lo stesso risultato. Il batterio generalmente più frequente è lo S. Epidermitis, seguito dall’enterococco, dal cereus e dallo S. Viridans. E’ buona norma eseguire un tampone colturale con antibiogramma prima di usare antibiotici locali. Lo sviluppo di infezione è normalmente accompagnato dalla presenza di flogosi e quindi di essudato. L’essudato è ricco di enzimi proteolitici, come le metalloproteinasi che inibiscono la crescita tessutale, degradano il collagene e la matrice extracellulare. Ulcera flebostatica umida - profonda Se presente tessuto necrotico, questo va rimosso o mediante debridment chirurgico, meglio se con metodo autolitico o enzimatico. Quindi detersione della ferita con antisettici locali . Un principio fondamentale da seguire nella medicazione dell’ulcera flebostatica e di tutte le ulcere in generale è quello di mantenere l’ambiente umido. Solo in ambiente umido di attua la migrazione dei gettoni di neovascolarizzazione e quindi di proliferazione del tessuto di granulazione. Ovviamente l’essudato va tamponato e la lesione secca idratata. Diversi sono gli atteggiamenti da seguire a seconda delle caratteristiche dell’ulcera. - superficiale / profonda - umida / asciutta / essudante - necrotica / in fase di granulazione / in fase di epitelizzazione - infetta Ulcera granuleggiante 36 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA Questi aspetti naturalmente si intricano tra loro. In fase di infezione trattare la sepsi, la cellulite o l’osteomielite con terapia antibiotica generale. Prediligere l’utilizzo di medicazioni come Idrogel, Alginati, a base di Argento o Iodio. Risolta l’infezione, prediligere l’utilizzo di medicazioni in schiuma di Poliuretano, Idrocolloidi, Film Trasparenti ecc.. Nelle ferite necrotiche, siano esse superficiali o profonde, umide o asciutte, bisogna impiegare idrogel a base di polimeri idrofili ad alto contenuto acquoso. Indicazione allo “sbrigliamento” dei tessuti in necrosi, per idratazione. Quando si riesce ad indurre la presenza di granulazione è il momento delle schiume di poliuretano Nelle ferite in fase di riepitelizzazione (che devono essere superficiali ed umide) prediligere l’impiego di film semipermeabili; se asciutte idrogeli su supporto. ULCERE MISTE (ISCHEMICO FLEBOSTATICHE) Quando all’ ipossia da stasi si aggiunge l’ischemia, cioè il deficit di afflusso arterioso (aterosclerosi, arteriti, ecc.) la terapia emodinamica diviene più complessa. Il primo passo, il più importante, è stabilire qual è il grado di partecipazione dell’una e dell’altra componente nella genesi della lesione. Nel caso di lesioni a prevalente ischemia e scarsa flebostasi, nessuno dei correttivi di cui abbiamo parlato sino ad ora è giustificato (a parte l’antisepsi), in quanto la compressione compromette ulteriormente l’equilibrio già precario dell’omeostasi microcircolatoria cutanea. La compressione elastica riduce ulteriormente la pressione di perfusione cutanea, facendo precipitare il quadro clinico. Se invece il deficit perfusivo non è di grado elevato, può essere indicata sia la scleroterapia sia la compressione con particolari accorgimenti e con le dovute precauzioni,. Naturalmente bisognerà adattare la terapia farmacologica alla condizione di ischemia esistente (vedi). Dopo di ciò il problema è trasformare l’irritazione della vena in una solida sclerosi, trasformare il complesso vena-trombo in cordone fibroso. In condizioni di normale perfusione arteriosa con un bendaggio fisso mantenuto per 5 – 7 giorni, a compressione tale da far collabire le pareti venose, si ottiene la sclerosi definitiva. Nell’arteriopatico, in cui come già detto la compressione elastica può comportare un’accentuazione dell’ischemia cutanea, si possono proporre queste soluzioni: costruire un bendaggio molto eccentrico, non molto compressivo ed ipo - anelastico, assicurandosi subito (mediante doppler c.w. o eco color doppler) che la velocità di flusso arterioso a valle non sia rallentata dal bendaggio stesso. 37 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA ULCERE CON IMPORTANTE COMPONENTE LINFOSTATICA •papillomatosi da stasi Ulcera linfostatica Sono poco frequenti in forma pura. Un ingorgo esasperato del sistema linfatico con linfedema al 4^ stadio è in grado di produrre una lesione trofica. In genere la lesione prende origine da un’area di papillomatosi da stasi (in tutto simile ad una vescicola a contenuto chiaro) o da un’area di verrucosi linfostatica. Le ulcere sono caratteristicamente superficiali, granuleggianti, molto essudanti con linforrea visibile ad occhio nudo che si accentua con la posizione ortostatica. Spesso si estendono in superficie. Terapia compressiva: linfodrenaggio manuale seguito da linfodrenaggio meccanico sequenziale ad alta pressione. Alcuni AA preferiscono far precedere il linfodrenaggio manuale per poter prima operare un massaggio mirato delle stazioni linfonodali ingorgate. Il mantenimento è in genere affidato a tutori elastocompressivi ad elevata tensione (30 mmHg). deplezione idrica passiva riposo antideclive per 3-4 giorni a dieta semiliquida e frutta; contemporaneamente: deplezione farmacologica con furosemide (??) e benzopironi . Quindi linfodrenaggio manuale seguito da Linfodrenaggio meccanico sequenziale. Ottenuta la deplezione e senza soluzione di continuità temporale si applica elastocompressione 38 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA SCLEROTERAPIA DELLE PERFORANTI NUTRICI DI ULCERA Nella terapia dell’ulcera flebostatica la sclerosi dei punti di fuga della varice nutrice ricopre un ruolo di primaria importanza. Le più lunghe remissioni di ulcera flebostatica si ottengono con questa tecnica a patto che la sclerosi di tutte le nutrici sia completa. La sclerosi delle varici nutrici dell’ulcera è una pratica terapeutica che nelle giuste occasioni e soprattutto quando correttamente eseguita, dà sempre risultati sorprendenti. Come già detto il fulcro del meccanismo d’azione della scleroterapia è l'iniezione intravaricosa di sostanze irritanti l'endotelio che procurano una flebite chimica. Il nocciolo della buona riuscita o meno di questo tipo di terapia sta nella capacità di controllo di questa reazione flogistica. Nel caso di terapia dell’ulcera un eventuale esubero della reazione flogistica (entro certi limiti) non potrà preoccuparci, dato che il terreno su cui si agisce è sempre un terreno con marcate turbe trofiche (dermoipodermite pigmentata, ecc.). La sclerosi può essere praticata ad ulcera aperta od essere differita alla sua cicatrizzazione. Anche per la sclerosi la seconda soluzione è quella preferibile, sclerosi delle nutrici: risultato anche perché lo stato della cute circostante è a 30 giorni migliore. La tecnica di sclerosi più diffusa è quella di Tournay che consiste nell'iniettare lo sclerosante a paziente supino ed a vena semivuota. Quasi sempre è possibile palpare le vene nutrici dell’ulcera, o come vena turgida o come depressione del derma, a seconda che l’arto sia in orto o clinostasi. Le nutrici sono quasi sempre più d’una e possono condurre ad una o più perforanti, apprezzabili palpatoriamente come una depressione circolare del derma. La soluzione sclerosante più utilizzata è sodio tetradecil solfato allo 0.2 – 0,5 % ma la diluizione varia a seconda del calibro del vaso da sclerotizzare. In una seduta ne vanno iniettati al massimo 2 ml e se le nutrici sono numerose il bolo va frazionato al massimo per 0.5 ml. Anche qui il momento più importante è la compressione post sclerosi. Senza una buona compressione non si può ottenere una buona sclerosi. Per buona sclerosi deve intendersi una chiusura permanente e sufficientemente estesa della varice. Si applica un bendaggio anelastico od ipoelastico fisso con eccentricità soprastante la sclerosi e sopra un bendaggio elastico mobile da toglier durante le ore notturne. Il bendaggio deve permanere per almeno 3 – 5 giorni. FLEBECTOMIA AMBULATORIALE DELLE NUTRICI DELL’ULCERA 39 MANUALE DI ANGIOLOGIA PER LO STUDENTE DI MEDICINA E’ preferibile operare la deconnessione delle nutrici quando l’ulcera è chiusa. La marcatura cutanea (con permanganato di potassio) eseguita in clinostasi, può destare qualche perplessità. La preferisco per due motivi: la marcatura cutanea corrisponde fedelmente alla proiezione della vena che non si sposta da dove sono state marcate. Al contrario le varici marcate in ortostasi si spostano, scivolando nel sottocute, quando il paziente varia la posizione dall’orto al clinostatismo, da 1 a 3 cm. Si ha maggiore sensibilità tattile seguendo il solco che la varice scava nel sottocute, Flebectomia sec. Muller piuttosto che il turgore. L’anestesia locale si pratica per via intradermica con una soluzione di mepivacaina con il 2% di adrenalina, bicarbonato al 14 per 1000 e soluzione fisiologica. A seconda del calibro del vaso da estrarre o da deconnettere si usa un ago n.21 o la punta del bisturi a scalpello n.11. A volte è utile una pinza da iridectomia perché meno traumatizzante sul sottocute. La gran parte delle volte si utilizza solo un uncino di Muller 2 o 3. Non si applicano punti di sutura; solo in alcuni casi si lega un capo del vaso estratto. Alla fine un cerotto, senza tirare la cute e poi un bendaggio fisso, eccentrico con tanto cotone. Dopo aver fatto deambulare il paziente per almeno 30 minuti si congeda il paziente per rivederlo dopo 4 - 7 giorni per la rimozione del bendaggio. 40