una mirabile avventura

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una mirabile avventura
Fabio Bocci
UNA MIRABILE AVVENTURA
Storia dell’educazione dei disabili
da Jean Itard a Giovanni Bollea
Le Lettere
INDICE
Prefazione di Luigi d’Alonzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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La nascita della Pedagogia Speciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
L’educazione dei sordi e dei ciechi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
L’avventura educativa di Jean Marc Gaspard Itard . . . . . . . »
Edouard Séguin e l’educazione degli idioti . . . . . . . . . . . . . »
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PRIMA PARTE – LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE
E I PRIMI TENTATIVI DI EDUCAZIONE DEI DISABILI
I.
II.
III.
IV.
SECONDA PARTE – LA MIRABILE AVVENTURA
DELL’EDUCAZIONE DEI DISABILI MENTALI IN ITALIA
I.
L’educazione dei disabili mentali: una questione scientifica
e culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
II. Dalle prime esperienze educative per i frenastenici alla
“Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti” . »
III. L’Istituto Medico-Pedagogico emiliano, la formazione
degli insegnanti specializzati e altre esperienze educative . »
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TERZA PARTE – PROTAGONISTI, FIGURE DI RACCORDO
E INTERLOCUTORI: TRA PASSATO REMOTO E
PASSATO PROSSIMO
I.
In favore dei più vulnerabili: l’esperienza pedagogica
di Bourneville, Decroly e Robin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
II. I protagonisti della via italiana all’handicap . . . . . . . . . . . . »
III. Tre interlocutori: Lev S. Vygotskij, Hans Asperger e
Janusz Korczak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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INDICE
IV. Tre maestri: Adriano Milani Comparetti, Roberto Zavalloni
e Giovanni Bollea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 258
APPENDICE DOCUMENTARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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PRIMA PARTE
LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE
E I PRIMI TENTATIVI DI EDUCAZIONE DEI DISABILI
Edouard Séguin
Giulio Tarra
1.
LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE
Premessa
In questo primo capitolo, che apre la trattazione della longeva e mirabile avventura che ha riguardato, e ancora riguarda, l’educazione speciale delle persone con disabilità, cercheremo di inquadrare, collocandola in un preciso momento storico, la nascita della Pedagogia Speciale. Al contempo, proveremo a comprendere: a) perché ciò è accaduto in una data epoca; b) quali sono i motivi che
consentono di attribuire a una determinata figura, ossia Jean Itard, il merito di
aver dato vita a una certa concezione dell’azione educativa; c) per quali ragioni
la riflessione che ha costantemente accompagnato la prassi di Itard è da considerarsi il fondamento di un modo di intendere la Pedagogia in quanto scienza.
Si tratta di questioni importanti che consentono di cogliere in modo più chiaro ed esaustivo gli eventi che hanno preceduto la comparsa di questo pensatore
sulla scena scientifica internazionale e gli accadimenti che sono susseguiti alla
straordinaria vicenda educativa e umana che lo hanno visto protagonista.
1. Tre ragioni alla base di una attribuzione di merito
Convenzionalmente si fa risalire alla figura di Jean Marc Gaspard Itard (17741838) la nascita della Pedagogia Speciale. I motivi di questa attribuzione, largamente condivisa dagli studiosi, a nostro avviso possono essere ricondotti ad
almeno tre ragioni.
La prima ragione riguarda la constatazione che con Itard, per la prima
volta, si prende in considerazione la possibilità di educare un individuo – il
ragazzo selvaggio rinvenuto nell’Aveyron – ritenuto dalla società scientifica
dell’epoca come ineducabile. Questa, com’è noto, è la posizione assunta da
Philippe Pinel (1745-1826), il padre della moderna psichiatria (conosciuto
come il liberatore dei folli 1), il quale avendo osservato il giovane presso l’In1
Nel 1793 Pinel aveva liberato dalle catene i folli rinchiusi nell’internato di Bicêtre.
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stitut pour les sourds et muets di Parigi formula una diagnosi chiara e definitiva: il selvaggio è affetto da disturbi psichici derivanti da un danno cerebrale irreversibile. Si tratta, come rileva Goussot2, di una vera e propria sentenza, la cui inesorabilità è piuttosto evidente nelle parole adottate dallo stesso
Pinel per redigere la relazione sul giovane:
[...] Incapace di attenzione, ad eccezione per gli oggetti dei suoi bisogni, e conseguentemente incapace di tutte quelle operazioni della mente che essa comporta, sprovvisto di memoria, di giudizio, di attitudine all’imitazione, e talmente limitato anche nelle idee relative ai suoi bisogni, che non era affatto giunto ad aprire una porta o a montare sopra una sedia per raggiungere gli alimenti che, spostati, non erano più a portata di mano; infine, sprovvisto di qualsiasi mezzo di comunicazione, non attribuendo nessuna espressione e nessuna intenzione ai gesti
e ai movimenti del suo corpo, passando con rapidità e senza motivo presumibile da una tristezza apatica agli scoppi di risa più smodati; insensibile a qualsiasi
specie di sentimento morale; il suo discernimento era soltanto un calcolo dettato dall’ingordigia, il suo piacere una gradevole sensazione degli organi del gusto, la sua intelligenza una suscettibilità di produrre alcune idee incoerenti, relative ai suoi bisogni; tutta la sua esistenza, in una sola parola, una vita puramente animale3.
E ancora:
... tutto annuncia che questo ragazzo è assai poco suscettibile di affezionarsi anche alle persone che gli rendono dei buoni servigi [...]. Noi abbiamo dunque i più
alti gradi di probabilità per pensare che il ragazzo dell’Aveyron deve essere assimilato ai ragazzi o agli adulti ridotti a uno stato di demenza o di idiotismo4.
Per Pinel, che rappresenta l’autorità assoluta nel campo medico-psichiatrico
del suo tempo, il giovane selvaggio è ineducabile per cause naturali e non sociali o culturali. Dunque «non la società, non l’ambiente avevano posto Victor nelle condizioni di svantaggio nelle quali si trovava, ma la natura; un’insufficienza o un deficit organico era all’origine del suo handicap sia sul piano affettivo che cognitivo. Pinel considerava impossibile migliorare le condizioni di Victor, visto come tipico caso di “idiotismo”, attraverso l’azione
educativa»5.
È proprio contro questa visione che Itard formula le proprie obiezioni.
2
A. Goussot, Storia e handicap: fonti, concetti, problematiche, in A. Canevaro, A. Goussot, La
difficile storia degli handicappati, Carocci, Roma 2000.
3
Citato in J. Gaudreau, Itard e il “sauvage” dell’Aveyron: la ricerca convergente di un’ identità, in A. Canevaro, J. Gaudreau, L’educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Carocci, Roma 1988, p. 52.
4
P. Pinel, Trattato medico-filosofico sull’alienazione mentale, vol.1, ETS, Pisa 1985, p. 10.
5
A. Goussot, Storia e handicap cit., p. 49.
LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE
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Itard, infatti, non ritiene il selvaggio un ritardato per cause di natura ma lo
considera un soggetto fortemente deprivato in conseguenza del lungo stato di
abbandono che ha subito. Abbiamo una chiara testimonianza di questa prospettiva leggendo alcune pagine del suo rapporto-diario (o memoria):
Se si desse da risolvere questo problema di metafisica: determinare il grado di intelligenza e la natura delle idee di un adolescente il quale, privato dall’infanzia
di qualsiasi educazione, sia vissuto interamente separato dagli individui della sua
specie, o io mi sbagli di grosso, o la soluzione del problema si ridurrebbe a non
attribuire a questo individuo che un’intelligenza relativa al piccolo numero dei
suoi bisogni spogliata per astrazione da tutte le idee semplici e complesse che riceviamo attraverso l’educazione e che si combinano nel nostro spirito in tante
maniere attraverso il solo mezzo della conoscenza dei segni. Ebbene! Il quadro
modale di questo adolescente sarebbe il quadro del “selvaggio dell’Aveyron” e
la soluzione del problema darebbe la misura e la causa dello stato intellettuale di
questi6.
Se analizziamo attentamente questo passo, possiamo rilevare come Itard
obietti ma non neghi la posizione dichiarata da Pinel. In altri termini, come
rileva acutamente ancora Goussot, siamo in presenza «di un paradosso nella
posizione assunta da Itard ed è proprio da questo che doveva nascere l’esperienza educativa innovativa con Victor; Itard non metteva in discussione la tesi di Pinel secondo la quale un “idiota” non poteva essere educato ma negava lo stato di idiotismo del giovane “selvaggio”»7.
Se, da un lato, questa rivelazione sembrerebbe rendere meno speciale la
riflessione-azione di Itard, dall’altro è proprio su questa constatazione che
noi condividiamo l’idea che il medico-pedagogista francese segni la nascita
della Pedagogia Speciale. Quest’ultima, infatti, è da intendersi a tutti gli effetti come parte della Scienza dell’Educazione e non come azione filantropica. Non a caso Itard concepisce l’intervento sul selvaggio alla stregua di un
quesito scientifico che ha per oggetto l’educazione. Non è solo la disabilità di
Victor a segnare l’impegno dello studioso ma anche (soprattutto) la sfida –
teoretica quanto applicativa – intorno alla sua educabilità a suscitarne l’interessamento e il pieno coinvolgimento.
E tale convincimento ci conduce direttamente alla seconda ragione dichiarata in avvio di questo paragrafo. Con Itard nasce sì la Pedagogia Speciale
ma nella misura in cui nasce un modo di intendere la Pedagogia in quanto
scienza. È ciò che suggerisce Giovanni Genovesi: «Itard imposta un processo che è educativo non tanto per gli effetti – peraltro non soddisfacenti – che
sortisce, ma per il quadro teorico che lo sorregge, che è un quadro pedagogi6
7
J-M.G. Itard, Il ragazzo selvaggio, SE, Milano, 2003, p. 21.
A. Goussot, Storia e handicap cit., pp. 49-50.
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co, di teoria dell’educazione. Itard “crea” il rapporto educativo, l’oggetto educazione, immaginandolo come un costrutto teorico costituito dall’intreccio
sensi-idee-linguaggio (significati). E per stimolare tale intreccio e produrre significati, Itard escogita mezzi e strategie d’intervento a livello sperimentale:
giochi, marchingegni i più disparati, controllandone costantemente la funzionalità per i fini da raggiungere. Si pongono così le basi della pedagogia e
dello sperimentalismo in pedagogia. Itard, che Moravia indica come l’iniziatore della psicologia sperimentale, è soprattutto colui che rimette in moto il
cammino della pedagogia come scienza»8.
Sono tre gli aspetti inerenti (derivanti da) questa riflessione che qui ci interessa sottolineare, in quanto hanno la funzione di ridondanza rispetto ad
elementi centrali del nostro discorso:
a) l’indissolubile intreccio epistemologico tra Pedagogia Speciale e Pedagogia: entrambe sono espressioni della Scienza dell’Educazione, entrambe ne condividono l’oggetto. L’educazione, infatti, è un oggetto di
studio prismatico che la Scienza dell’Educazione indaga con i molteplici sguardi che gli sono propri;
b) la Pedagogia, quindi la Pedagogia Speciale, è scienza a tutti gli effetti, in
quanto è in grado di costruire, definire, ricercare il proprio oggetto, formulare ipotesi, sperimentare soluzioni applicative, verificare le une e le
altre sia nella loro ricaduta sociale sia in quella più squisitamente scientifica. È una caratteristica propria della dimensione scientifica la consapevolezza che le ipotesi formulate e le soluzioni sperimentate non siano
mai definitive; le une, come le altre, infatti, devono essere funzionali alla sempre più profonda e raffinata comprensione dell’oggetto di studio.
L’oggetto educazione, quindi, va trattato come tensione verso l’ideale;
c) la Pedagogia Speciale, grazie alla sua capacità di volgere lo sguardo verso fatti educativi, inconsueti, inusuali, e così via (che implicano persone,
situazioni, contesti, ecc...), apporta un grande contributo alla Scienza dell’Educazione perché – come evidenzia Canevaro e come puntualizzeremo anche nel prossimo capitolo – le problematiche inerenti l’educazione
dei soggetti con disabilità «mettono alla prova e verificano la validità o
meno dell’educazione generale»9.
La terza ragione che fa di Itard l’iniziatore della Pedagogia Speciale è, in verità, un rafforzamento delle altre due. Se compariamo la figura di Itard con
quella di studiosi di grande spessore che lo hanno preceduto cronologicamen-
8
G. Genovesi, Itard pedagogista, in Id. (a cura di), Rileggendo Itard. Problemi educativi e prospettive pedagogiche dei Memories, Pitagora, Bologna 2000, p. 146.
9
A. Canevaro, La ricerca di identità in Séguin, in A. Canevaro, J. Gaudreau, L’educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Carocci, Roma 1988, p. 95.
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te e che tanto hanno influito sul pensiero pedagogico di tutti i tempi, possiamo notare il grado di innovazione che egli ha apportato alla riflessione intorno all’idea che l’educazione riguardi tutti gli esseri umani, nessuno escluso.
Il primo confronto può essere operato con il grande Giovanni Amos Comenio (Johan Amos Komensky, latinizzato Comenius, 1592-1670), il quale,
come giustamente rileva Roberta Caldin, è «il precursore dell’educazione per
tutti; egli include nell’educazione per tutti, per tutta la vita, dalla culla al sepolcro, anche gli ebeti e stupidi per natura»10. Ma chi sono costoro? Gli idioti, futuri frenastenici e odierni disabili cognitivi? Non sembrerebbe, in quanto Comenio asserisce che:
Quanto più invero uno ha natura tarda e scema e tanto ha bisogno d’essere aiutato, per liberarsi quanto è possibile dal suo ebetismo e dalla sua stupidità brutale11.
Ma ci si può liberare del/dal proprio deficit? Allora, forse, qui si sta parlando
di coloro i quali hanno una arretratezza di natura culturale, tale per cui l’aiuto calibrato e commisurato, secondo l’ottica dell’omnes omnia omnino12, può
consentire loro di liberarsi/essere liberati dalla stupidità brutale. La successiva riflessione di Comenio, qui di seguito riportata, sembra confermare questa seconda opzione:
E perché dunque nel campo degli studi vogliamo che siano tollerati ingegni d’una
sola specie, ossia soltanto quelli precoci e agili? Nessuno perciò deve essere
escluso, eccetto i disgraziati ai quali Dio ha negato o il senso o la mente13.
Eccoci al dunque: tutti sono soggetti alla forza della pansophia, eccetto i disgraziati privati della facoltà cognitiva. La seppur avanzatissima posizione di
Comenio, che prevede di far perseguire a tutti, maschi e femmine, la scolarizzazione – via privilegiata per raggiungere l’unità tra gli uomini – sembra
arretrare «di fronte alla visione di coloro che saranno esclusi dalla formazione scolastica»14: ossia i disabili.
Non si discosta molto da questa posizione anche un altro grande studioso: Jean Jacques Rousseau (1712-1778). Come evidenzia acutamente Gaudreau: «nel primo libro dell’Emile, Rousseau stabilisce i criteri rigorosi di se-
10
R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova 2001, p. 24.
G.A. Comenius, Didattica Magna, Sandron, Firenze 1969, p. 125.
12
Educare tutti, in tutto, totalmente. Tra i tanti testi che analizzano l’opera pedagogica di Comenio si vedano: B. Bellerate (a cura), Comenio sconosciuto, Pellegrini, Cosenza 1984, e la Finestra su Comenio contenuta nel numero monografico di «CADMO», A misura di allievo, IV, n.1011, Tecnodid, Napoli 1996.
13
G.A. Comenius, Didattica Magna cit., p. 125.
14
R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale cit., p. 26.
11
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lezione dell’allievo (fittizio) sul quale i suoi principi educativi funzioneranno al meglio:
•
•
•
•
preferisce i ragazzi alle ragazze;
vuole come allievo un francese e non un Lappone o un “negro del Benin”;
vuole ancora che sia orfano, ma proveniente da una famiglia borghese;
infine che sia in perfetta salute sin dalla nascita»15.
Ecco come si esprime Rousseau in proposito:
Ma chiunque si assuma un dovere non impostogli dalla natura, deve in primo
luogo accertarsi dei mezzi per compierlo, altrimenti si renderà responsabile anche di ciò che non avrà potuto fare. Chi si accolla un allievo infermo e malaticcio muta l’ ufficio di educatore in quello da infermiere; perde nel curare una vita inutile il tempo che destinava ad aumentarne il valore; si espone al rischio di
vedersi un giorno rimproverare da una madre in lacrime la morte di quel figlio
che egli le aveva a lungo conservato.
Io non mi lascerei mai accollare un bambino malaticcio e cachettico, dovesse
pur campare ottant’anni. Non ne voglio sapere di un allievo sempre inutile a se
stesso e agli altri, unicamente occupato nello sforzo di sopravvivere, e il cui corpo pregiudichi l’anima. Che otterrei prodigandogli invano le mie cure se non
raddoppiare la perdita della società e sottrarle due uomini al posto di uno? Che
altri venga in vece mia a occuparsi di questo infermo: lo approvo, e lodo la sua
carità16.
Ha ragione Gaudreau quando rileva quanto sia sbalorditiva la durezza dei
propositi di Rousseau, soprattutto se si pensa che: «appartengono all’illustre
autore che la Storia della pedagogia considererà come il precursore del rispetto assoluto del bambino e dei suoi bisogni! Si misura meglio il progresso sociale realizzatosi, in così pochi anni, tra Rousseau e Itard, ma bisognerà
attendere a lungo, molto a lungo perché, prima il rigetto, poi la pietà verso gli
handicappati di qualsiasi genere, si trasformino in percezione realistica e in
accettazione degli handicappati nella loro identità originale»17.
15
J. Gaudreau, L’handicappato e la metafisica dell’Illuminismo, in A. Canevaro, J. Gaudreau,
L’educazione degli handicappati cit., p. 29.
16
J.J. Rousseau, Emilio, Armando, Roma 1981; oppure: J.J. Rousseau, Emile o dell’educazione, Editori Riuniti, Roma 1992.
17
J. Gaudreau, L’handicappato e la metafisica dell’Illuminismo cit., pp. 29-30. E dobbiamo
domandarci se, ancora oggi, queste concezioni siano poi del tutto superate. Basterebbe pensare all’idea, ancora presente in molti, che l’insegnante di sostegno sia, di fatto, quell’altro caritatevole al
quale si delega la responsabilità d’occuparsi dell’infermo. Ma anche, l’idea di ritorno (di matrice gentiliana?) sostenuta da alcuni intellettuali che si stanno occupando di scuola per conto dell’attuale
ministro dell’istruzione, che lo studio della metodologia e della didattica (che sostengono anche la
qualità dell’integrazione di chi ha bisogni speciali) siano, per l’appunto, più utili agli assistenti sociali piuttosto che ai futuri insegnanti.
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Anche Denis Diderot (1713-1784), uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo, promotore ed editore dell’Encyclopédie, uomo di teatro e fine esteta, che pure ha rivolto la propria attenzione alla cecità con la Lettre
sur le aveugles à l’usage de ceux qui voient (1749)18 e, successivamente, alla sordità con la Lettre sur les sourds et muets (1751)19, manifesta nei confronti
dell’handicappato un atteggiamento a dir poco distaccato.
Il fine studioso, che nell’Enciclopedia scrive le seguenti riflessioni sull’essere umano:
Soltanto la presenza dell’uomo rende interessante l’esistenza degli esseri [...].
L’uomo è il termine unico dal quale occorre partire e al quale occorre far capo,
se si vuol piacere, interessare, commuovere, perfino nelle considerazioni più aride e nei particolari più secchi.
quando si tratta dei disabili, dei minorati, così si esprime:
A forza di studiare attraverso il tatto la disposizione che noi esigiamo tra le parti che compongono un tutto per definirlo bello, un cieco giunge a fare una giusta
applicazione di questo termine. Ma quando dice: questo è bello, egli non giudica, bensì riporta soltanto il giudizio di coloro che vedono [...]. Bellezza per un cieco, quando è separata dall’utilità, è soltanto una parola, e con un organo di meno, quante sono le cose delle quali gli sfugge l’utilità? I ciechi non sono da compiangere per dover considerare bello solo ciò che è buono? Quante cose ammirabili perse per loro!
E ancora:
La levigatezza dei corpi per lui non ha meno sfumature del suono della voce;
non ci sarebbe da temere che egli scambiasse sua moglie per un altra, a meno che
non ci guadagnasse nello scambio. Tuttavia con molta probabilità, presso un popolo di ciechi, le donne sarebbero comuni oppure le loro leggi contro l’adulterio
molto rigorose. Sarebbe molto facile alle donne ingannare i loro mariti, accordandosi con i loro amanti attraverso un segno.
Guidato dal desiderio di penetrare i processi della conoscenza, Diderot finisce – come molti altri – per perdere di vista proprio la persona, il disabile. Il
suo, come rileva acutamente ancora Gaudreau, è «un interesse esclusivamente
cognitivista verso i fatti e i gesti dei suoi soggetti di osservazione. [Probabilmente] Diderot ha intuito la relazione esistente tra la condizione umana e soTraduzione italiana: D. Diderot, Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono, a cura di M. Brini Savorelli, La Nuova Italia, Firenze 1999.
19
Traduzione Italiana: D. Diderot, Lettera sui sordi e sui muti, a cura di F. Bollino, Mucchi Editore, Modena 1984.
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ciale, in questo caso la condizione dell’handicappato della vista, e le sue conseguenze e correlati sociali. Ma, poiché si interessava innanzi tutto della conoscenza, non ha sviluppato questo primo aspetto della questione»20.
È proprio su tale aspetto che possiamo rilevare una ulteriore distanza tra
questi studiosi e Itard. Come si è detto, anche Itard è mosso da interessi scientifici e parte con l’idea (l’ipotesi) che il selvaggio non sia un idiota. Ma, a
differenza di altri, è in grado di modificare la sua azione e il suo modo di pensare l’azione stessa, mettendo sotto controllo il proprio operato sulla base di
una attenta progettazione (i cinque obiettivi) e di una altrettanto accurata e documentata valutazione della realtà che osserva e che vive. E tutto questo ha
al centro Victor, la sua educazione/educabilità.
Ecco perché, in conclusione, la relazione educativa tra Itard e il suo allievo Victor è considerata come l’archetipo della relazione educativo-speciale, dunque dell’Ortopedagogia e della odierna Pedagogia Speciale.
Ma la figura e l’azione di Itard, per quanto innovative e per certi versi rivoluzionarie (come abbiamo già accennato e come vedremo meglio più avanti), non sono il prodotto di un processo creativo autogeneratosi dal nulla.
Se a partire dall’antichità e, praticamente, fino al 1600, l’educazione dei
disabili è pressoché inesistente, i due secoli che precedono la comparsa di
Itard sono caratterizzati dalla presenza di figure che, per le ragioni più disparate (nella maggior parte dei casi dettate da atteggiamenti filantropici e caritatevoli) e con modalità spesso frutto di pura empiria, si prendono carico dei
più miserabili, degli emarginati, dei disgraziati, di coloro i quali non sono stati affatto favoriti dalla sorte e che, anzi, una natura matrigna ha voluto segnare.
L’azione di questi personaggi è indirizzata, soprattutto, alla promozione
dei primi tentativi di educazione dei sordi (1500) e dei ciechi (1700), i quali
non presentano deficit intellettivi e verso i quali, superati i più macroscopici
pregiudizi, si spalancano via via le porte dell’accoglienza e della accettazione in seno alla società.
A ricordarci l’importanza di queste figure è già Edouard Séguin, il quale
nel suo Traitement moral, hygiène et éducation des idiots et des autres enfants arriérés, scrive in proposito:
E già l’educazione, per cattiva e insufficiente che sia, è stata messa alla portata
di creature anormali che per la loro infermità apparivano incapaci di partecipare
ai progressi della mente umana.
Péreire, l’abate de l’Epée, Haüy han fatto miracoli insuperabili, che debbono essere di esempio; grazie a questi uomini di genio i sordomuti e i ciechi possono
oggi godere il vantaggio dell’educazione; e io dico in coscienza che gli idioti
20
J. Gaudreau, L’handicappato e la metafisica dell’Illuminismo cit., p. 26.
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non tarderanno a seguirli, se pure di lontano, nella nuova vita dell’uguaglianza
dello spirito.
Per i sordomuti e i ciechi, il problema è risolto positivamente e il successo impedisce al dubbio di chiudergli l’avvenire; per gli idioti il successo esiste ugualmente, ma è meno costante, data da pochi anni, ed è stato controllato solo da pochi testimoni; infine, colui, che gli ha dedicato la vita non ha ancora pagato l’ultimo tributo alla sua opera [...].
Io affermo che il numero degli idioti incapaci di profittare del mio metodo è infinitamente piccolo, e che non ne ho trovato più del 2% con i quali i mezzi messi a mia disposizione (sempre insufficienti e incompleti) non abbiano avuto risultati più o meno soddisfacenti21.
Ecco, per l’appunto, le figure alle quali non si può non fare riferimento per ricostruire il lungo percorso che ha contrassegnato la nascita della Pedagogia
Speciale. Perché se anche molti di essi – come Péreire, de l’Epée o Haüy –
hanno agito prima della comparsa di Itard e del suo giovane selvaggio è grazie alle loro scoperte e alle loro intuizioni che si sono poste le basi affinché
fossero maturi i tempi per l’inizio di una nuova era.
Per tale ragione sembra opportuno dedicare loro, e ad altri studiosi che si
sono interessati alla cura e all’educazione dei minorati sensoriali, un apposito capitolo. L’intento è quello di porre in evidenza, pur nell’essenzialità della trattazione, il loro prezioso contributo alla realizzazione di quel processo
di civiltà che si è attuato mediante lo sviluppo dell’educazione e, in particolare, dell’educazione speciale.
Non a caso, come afferma lo storico della pedagogia Gaetano Bonetta, è
possibile affermare «senza paura di essere smentiti, che la civilizzazione della nostra società è passata principalmente attraverso la civilizzazione della
diversità. E – continua lo studioso – quest’ultima è stata, prima di ogni cosa,
una civilizzazione educativa»22.
21
E. Séguin, Cura morale, igiene, e educazione degli idioti e di altri fanciulli ritardati nello
sviluppo agitati da movimenti involontari, deboli, muti non sordi, balbuzienti, ecc…, Armando, Roma 1970, pp. 251-252.
22
G. Bonetta, Dall’integrazione all’inclusione: il modello italiano (1907-2007), in «Pedagogia
oggi», 3, 2007, pp. 6-14.
66. Luca Corchia, La democrazia nell’era di Internet. Per una politica dell’intelligenza
collettiva. Con un saggio inedito di Pierre Lévy.
67. Derive territoriali. Cronache dalla montagna del disagio. A cura di Mario Aldo Toscano.
68. Mario Aldo Toscano, Elena Gremigni, Del bello e del buono. La scuola alla prova
della cultura del patrimonio storico e artistico.
69. Franco Marucci, Storia della letteratura inglese: Dal 1922 al 2000, vol. V, tomo I:
Il modernismo.
70. Franco Marucci, Storia della letteratura inglese: Dal 1922 al 2000, vol. V, tomo
II: Dal secondo anteguerra al 2000.
71. Piero Beraldi, La filosofia del Novecento. Le idee e la storia.
72. Fabio Bocci, Una mirabile avventura. Storia dell’educazione dei disabili da Jean
Itard a Giovanni Bollea.