Il sogno di Bin Laden

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Il sogno di Bin Laden
Il sogno di Bin Laden
Noi cittadini siamo stretti in una morsa micidiale tra la propaganda della paura e
l'alta finanza
Gli economisti si accaniscono a studiare razionalmente la crisi che dilaga, ma la chiave di
volta della recessione è legata all'11 settembre. E questo filo invisibile, che lega
l'economia del villaggio globale alla politica di guerra, accomuna anche il destino delle due
celebri metropoli del deserto: Dubai e Las Vegas.
In mezzo ci siamo noi, elettori e contribuenti, stretti in una morsa micidiale tra due follie: la
propaganda della paura, che ci ha portato a credere che Al Qaeda potesse distruggere il
nostro mondo, e l'alta finanza, che l'ha fatto a pezzi davvero, vendendoci mutui che non
potevamo permetterci.
Una parte dei soldi che hanno finanziato l'attacco alle Torri gemelle veniva da Dubai, un
paradiso fiscale islamico, ma nessuno è mai riuscito a rintracciarne l'origine. I dirottatori ne
hanno spesi un po' proprio a Las Vegas, che hanno visitato più volte.
Quella "gita al Luna Park degli adulti" faceva parte del loro demenziale indottrinamento.
Las Vegas rappresenta la visione plastica degli anni ruggenti della globalizzazione. È
anche la capitale del gioco d'azzardo legalizzato, come Dubai – ormai un importante
centro della finanza d'assalto globalizzata – è la capitale del mercato ballerino dell'Oriente.
Le due metropoli sono i simboli della decadenza e della contaminazione dell'occidente.
Nell'immaginario collettivo di Al Qaeda l'11 settembre era un atto di purificazione per
distruggere questo mondo di celluloide e di passioni incontrollabili. E invece è successo
esattamente il contrario.
Tra la fine del 2001 e la crisi del credito nel 2008, le due città crescono e prosperano a
ritmi eccezionali. Grazie alla vicinanza con Arabia Saudita, Pakistan e Russia, Dubai
diventa un canale attraverso cui transitano non solo i soldi di Al Qaeda ma un fiume in
piena di denaro sporco, che viene riciclato nell'emirato.
Dall'altra parte del mondo anche Las Vegas si espande a vista d'occhio sulle sabbie del
deserto del Nevada. Fino all'inizio del 2008 la crescita demografica è la più consistente
d'America, al punto che ogni mese il comune deve aprire una nuova scuola.
A sostenere l'economia è una folla rumorosa di cinquanta milioni di visitatori, che ogni
anno si riversa lungo le strips, le strisce d'asfalto illuminate a giorno dai neon, dove
affacciano i casinò e i giganteschi alberghi alla moda.
Dal punto di vista del mercato immobiliare, Las Vegas come Dubai sono città di vacanze,
dove la gente di solito compra la seconda o la terza casa e acquista immobili per fare
investimenti. Oppure dove chi non ha un impiego si trasferisce per lavorare nell'industria
del turismo.
Fino al 2007 dalle sei alle settemila persone al mese cercano fortuna a Las Vegas. Molti,
dopo pochi mesi, acquistano una casa e si stabiliscono definitivamente in città. Trovare
lavoro è così facile che il tasso di disoccupazione è tra i più bassi degli Stati Uniti.
Con un meccanismo simile, anche Dubai cresce a vista d'occhio e, tra il 2002 e il 2008,
assume le sembianze di una megalopoli internazionale. Migliaia di professionisti della
finanza ci si trasferiscono per gestire portafogli principalmente orientali. Lavorano e vivono
nei grattacieli costruiti sulla sabbia, che presto diventano le icone del nuovo mondo.
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Ma nell'emirato arriva anche la manodopera dai paesi poveri, incaricata di costruire i
simboli della città in cambio di stipendi da fame. È proprio in queste due città che la corsa
sfrenata alla compravendita delle case, acquistabili praticamente in giornata, tocca i livelli
più paradossali. Di conseguenza qui si colloca una grossa percentuale dei cosiddetti mutui
subprime, quelli con un alto rischio d'insolvenza.
Grazie alla politica dei tassi d'interesse bassi perseguita dagli statunitensi – negli anni
novanta per facilitare il processo di globalizzazione e dopo l'11 settembre per finanziare la
guerra contro il terrorismo – per quindici anni acquistare immobili a Las Vegas e a Dubai è
alla portata di tutti.
Negli anni d'oro, dal 2002 al 2006, gli agenti immobiliari americani offrono addirittura mutui
che superano il valore delle case. Basta avere un lavoro, uno qualsiasi. E tra le banche si
scatena una competizione feroce per accaparrarsi i nuovi clienti.
Anche a Dubai le società immobiliari lavorano in tandem con le banche, proponendo ai
clienti un servizio completo a prezzi stracciati. E la gente disposta a comprare non manca
di certo.
Il sogno di Osama Bin Laden comincia a prendere forma nel settembre del 2008, quando
scoppia la bolla finanziaria. Le prime vittime sono proprio Las Vegas e Dubai, che si
contendono nuovi record: tasso di disoccupazione più alto del villaggio globale, il numero
più alto di case invendute e di senzatetto, ma anche il tasso di suicidi più elevato.
Le finestre buie dei grattacieli invenduti costruiti sulla sabbia, che come loculi ci guardano,
sono le tristi icone di un'economia gonfiata dalla politica dei bassi tassi d'interesse. Una
politica che non produce nulla e spende denaro che non possiede. E dalla sua grotta in
Waziristan, forse Osama Bin Laden ora sta pronunciando la storica frase: missione
compiuta.
Internazionale 791, 16 aprile 2009
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