Magnini: La mia lotta al doping si fa più dura Corriere dello Sport (ed

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Magnini: La mia lotta al doping si fa più dura Corriere dello Sport (ed
18 dicembre 2015
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Corriere dello Sport (ed.
Campania)
C. C. NAPOLI
Magnini: La mia lotta al doping si fa più dura
«Con me un pool di specialisti. Qualcuno imbroglia ancora...»
Se c' è una cosa che ti insegna l' esperienza è
apprezzare quello che hai nel momento in cui
lo hai. Filippo Magnini sembra aver raggiunto
questa piccolagrande dimensione e galleggia ­
nel vero senso della parola nel nuovo mondo
delle piscine, governando la popolarità
crescente di tutto il movimento e, cosa più
importante soprattutto per lui, ancora parecchi
avversari. Ci sguazza così bene che a 33 anni
abbondanti non è neanche detto che questa
sia la sua ultima stagione. Tra un impegno
istituzionale e quello con gli sponsor (come la
Head & Shoulders solo due giorni fa), il nuoto
resta il punto di riferimento di un atleta dalla
carriera lunghissima (due titoli mondiali
consecutivi dei 100 sl) e non ancora finita.
Correnti di pensiero dicono che se annunci il
ritiro per l' anno successivo, nella testa in
realtà hai già smesso e l' ultima stagione
diventa un calvario. La prospettiva di Magni ni
è diversa.
«Fisicamente mi sento bene, allenarmi mi
piace e i risultati mi danno ancora ragione.
Deciderò con calma».
Mai come ora il tema del doping è di attualità.
Oggi parte dall' atletica ma nessuno è al riparo
dalle truffe.
«Io ho la certezza di aver gareggiato contro
atleti dopati. A volte li ho battuti altre hanno
vinto loro e qualcosa mi hanno tolto, a me come a tutti gli altri atleti puliti: perché la realtà è che ai
controlli beccano sempre quelli che vincono... Non ci vuole molto per rendersi conto che qualcuno sta
imbrogliando: gente che sparisce e poi ricompare all' improvviso facendo grandi risultati, oppure li vedi
alle Olimpiadi nei 1.500 e al Mondiale successivo nei 100 e 200 stile libero. Io nella mia vita non andrò
mai forte nei 1.500 così come Paltrinieri non andrà mai forte nei 100».
La lotta al doping è una di quelle cose che potrebbe impegnare Magnini anche a carriera finita.
«I' m doping free è uno dei miei progetti: all' inizio era solo un messaggio, fatto con una maglietta, un
tatuaggio durante le gare o un braccialetto. Ora sta diventando una cosa molto più evoluta, un format
dove porterò la mia esperienza di atleta assieme a professionisti del settore: un dottore ­ l' oncologo
Porcellini ­ che segue la mia integrazione e spiegherà cosa si può e non si può prendere e le
conseguenze, poi Marco Bianchi per l' alimentazione e Matteo (Giunta, ndr) per la preparazione in
acqua e fuori. L' idea è far capire ai più giovani come si lavora per ottenere una grande prestazione
seguendo le regole».
Il presente è fatto ancora di gare.
«L' importante è fissare bene gli obiettivi. A 33 anni non posso dire di voler andare a vin cere le
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Olimpiadi ma se fino a qualche mese fa potevo ragionare solo sulla staffetta, dopo il mondiale di Kazan
l' idea di fare bene anche la gara individuale c' è. Se poi parliamo di speranza di medaglia, è normale
che l' idea sia quella della 4x100 stile libero ma attenzione: a Kazan si sono allineati i pianeti con Usa e
Australia fuori dalla finale. A Rio difficilmente succederà di nuovo, ci sarà da lottare».
Staffetta e gara individuale.
Secondo alle selezioni dell' aprile scorso nei 100 stile libero, a Kazan le è stato preferito Dotto. Per
Magnini solo la 4x100, poi finita sul podio proprio grazie a lei.
«Ero arrabbiato. Molto, molto arrabbiato».
sono confrontato molto anche con la mia famiglia e ho fatto, credo, la cosa migliore. Da atleta vorrei
sempre gareggiare, nella mia testa mi ero guadagnato il diritto di fare quei 100 stile libero ai Mondiali e
anche se ho vissuto quel momento come un' ingiustizia ho messo l' interesse della Nazionale davanti al
mio. Ho detto quello che pensavo a chi di dovere, mi sono tenuto il mio dispiacere senza fare
polemiche».
Da Londra a Rio è proprio un' altra Nazionale.
«E' diverso l' ambiente, non ci sono più allenatori che pensano solo al loro atleta. Ora siamo un gruppo
vero, unito e anche i risultati si vedono.
Sono orgoglioso di aver portato il mio contributo con una carriera lunghissima, onesta, fatta di vittorie e
anche di delusioni, come il periodo dei costumoni che mi ha oggettivamente penalizzato proprio alle
Olimpiadi».
Passa Federica, borsa in spalla e cappello in testa («Hai tu le chiavi di casa? Ok, ci vediamo in piscina
quando finisci, ciao ciao, io vado»). La loro quotidianità è fatta anche di cose che vanno oltre l'
immagine di una coppia bella e vincente. La separazione delle carriere è uno dei loro segreti. Al
Mondiale, questa estate, gli stati d' animo coincidevano: felici e medagliati. Ai recenti Europei di vasca
corta proprio no: lei medaglia d' oro, lui a 5 centesimi dal bronzo.
Come si fa a gestire quei momenti?
«Ormai abbiamo imparato.
Era successo, anche se al contrario, a Doha un anno fa: io ero andato benissimo, Federica non era in
condizione. Non potevo certo andare lì da lei a festeggiare. Abbiamo i nostri tempi, poi una volta sbollita
la rabbia e la delusione basta un gesto, uno sguardo e torna tutto come prima. In quei momenti conta
molto il ruolo dell' allenatore e l' appoggio delle rispettive famiglie: la telefonata con il papà, la mamma,
aiutano molto. Il grande vantaggio è che sappiamo perfettamente cosa ci passa per la testa in certe
situazioni senza neanche bisogno di dircelo».
Rimane senza risposta l' ultima grande domanda?
«Cosa dico a Federica alla fine dello spot che si vede in tv?
Poco fa me lo ha chiesto anche Fiorello alla radio! In realtà sembra che dico un banalissimo "Ue". Ma io
"Ue" non l' ho mai detto!».
Paolo de Laurentiis
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