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L'omaggio dell'ospedale
L'EREDITÀ
DI PARENZAN
di Giuseppe Remuzzi
C
ome è arrivato a Bergamo Parenzan?
È stato pervia di un presidente
illuminato, Giuseppe Pezzotta,
avvocato e soldato. Erano gli anni 60
e Pezzotta, per il suo Ospedale e
ancora di più per gli ammalati del suo
Ospedale, voleva i medici migliori. E li andava
a prendere dove erano, un po' dappertutto (e
in questo aveva un grande alleato, nel
Consiglio di amministrazione, un certo
Garattini). Così vennero a Bergamo Agazzi,
Radici, Valentino, Cassinari, Vaccari, Rossi,
Robba, Clauser e altri ancora che nel giro di
pochi anni fanno dell'Ospedale di Bergamo
uno dei migliori d'Italia. In quegli anni e con
quello spirito arrivano a Bergamo Lucio
Parenzan, da Trieste, e Gaetano Azzolina, un
chirurgo fantastico, dagli Stati Uniti. Insieme
inventano la cardiochirurgia pediatrica e, nel
giro di qualche anno, tanti bambini che se no
sarebbero morti tornano a una vita normale.
Sarebbe già tantissimo, ma Parenzan non si
ferma. Mentre a Bergamo si fanno i primi
interventi a cuore aperto su bambini anche
piccolissimi, un giovane chirurgo
sudafricano, Chris Barnard, è negli Stati Uniti
per la seconda volta. Vuole imparare le
tecniche di chirurgia del trapianto, i
meccanismi che portano al rigetto e le cure, se
ce ne sono. «Pensavamo — racconta chi gli ha
insegnato tutto questo — che una volta
tornato a Città del Capo Barnard volesse
avviare un programma di trapianto di rene».
Ma Chris spiazza tutti, il primo trapianto di
cuore lo fa proprio lui in Sudafrica, anche
perché lì non c'era nessuna legge che lo
impediva. Fu notizia di quelle che fanno
epoca (e chi gli aveva insegnato tutto è
rimasto un po' male, a dirla tutta).
All'entusiasmo e al fascino di Barnard era
difficile sottrarsi e Parenzan, che per certi
versi un po' gli assomigliava, fu tra i primi a
raccogliere la sfida. Cosa è successo dopo col
primo trapianto di cuore ve lo raccontiamo
con le parole dei protagonisti di allora. Certo,
il trapianto di cuore fu l'occasione per
l'Ospedale di confrontarsi con i migliori
ospedali d'Italia e d'Europa. Non ci si poteva
fermare al cuore, però. L'Ospedale di Bergamo
dopo qualche anno è pronto per il trapianto di
rene, ma bisognava trovare il chirurgo giusto.
Ne parlo col dottor Mecca, fu anche lui uno
dei protagonisti della medicina del trapianto
del nostro Ospedale (con Mario Maritano che
con Giancarlo Borra scrisse la legge che dava
all'Italia la possibilità di prelevare organi da
chi moriva di morte del cervello). Ma
torniamo al chirurgo del rene. «Perché non
sentiamo un parere di Parenzan?». Ci vado il
giorno stesso, mi riceve subito. Nessun
preambolo «Cosa vuoi?».
continua a pagina 9
Q L'omaggio dell'ospedale
Parenzan, una lezione
da non dimenticare
«Un consiglio, vorremmo un chirurgo che
possa prendersi la responsabilità di un programma di trapianto di rene». Non ci pensa un
secondo: «Vai da Giuseppe Locatelli, se ti dice
di sì sei a posto, lui fa bene tutto. Ciao». Con
Locatelli andò bene, benissimo. Quella volta e
anche quando abbiamo pensato che si
potessero usare reni di donatori anziani o anch<
molto anziani e che se ne potevano trapiantare
due invece di uno nello stesso ricevente,
insomma due reni non perfetti per fare il lavorc
di un rene normale. Ne sono ve-nuti altri di
chirurghi del trapianto a Berga-mo, Gridelli e
Colledan per esempio. È stato il dottor Provera
che li ha voluti e così è parti-to il programma
del trapianto di fegato più importante d'Italia e
forse d'Europa. Siamo arrivati a quasi 1500
trapianti nell'adulto e 600 nei bambini; il nostre
Ospedale da solo oggi fa più della metà dei
trapianti pediatrici del nostro Paese. Nessun
bambino va più all'estero per guarire non solo,
GARATTINI
ma dall'estero molti bambini vengono da noi.
Nulla di tutto questo si sarebbe fatto senza il
professor Parenzan, la sua grinta, la sua
decisione, il suo carisma. Lui col primo
trapianto di cuore ha aperto una porta almeno
un po', e quando succede dopo è più facile
infilarci dentro qualcosa così che si apra del
tutto. Parenzan aveva deciso che se fosse morto
di morte del cervello avrebbe lasciato i suoi
organi. Quel desiderio non si è potuto esaudire,
non del tutto almeno, ma averlo annunciato ha
avuto un grande valore simbolico. Così
Parenzan ci ha aiutato fino all'ultimo. Sì,
vorremmo che più nessuno almeno a Bergamo
dicesse «no» quando gli si chiede che gli organi
dei suoi cari dopo la morte possano andare a
chi ne ha bisogno pervivere. Grazie, Lucio.
Giuseppe Remuzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cardiochirurgo
A Lucio Parenzan
viene dedicato
oggi il Centro
congressi del
Papa Giovanni
GARATTINI