il sogno in agostino

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il sogno in agostino
Gaetano Lettieri
IL SOGNO IN AGOSTINO
LOGOS (ILIESI) – Roma, 6-III-2013
IL SOGNO TERRENO (cf. Giobbe 20,8)
Enarratio in psalmum 75,9. [v 6.] Si sono turbati tutti gli stolti di cuore. È stata annunziata la verità, è
stata promessa la vita eterna; è stato detto che esiste un'altra vita che non appartiene a questa terra. Gli uomini
hanno disprezzato la vita presente e hanno amato la vita futura, prendendo luce dai monti illuminati. Ma gli stolti
di cuore sono rimasti turbati. Come sono rimasti turbati? Per l'annunzio del Vangelo. “C'è dunque una vita
eterna? Ma davvero uno è risorto dai morti?”. Gli ateniesi rimasero attoniti, quando l'apostolo Paolo parlò della
resurrezione dei morti e credettero che egli dicesse non so quale favola. Ma, poiché egli diceva che vi era un'altra
vita, che né occhio ha visto, né orecchio ha udito né è salita nel cuore dell'uomo, per questo gli stolti di cuore
rimasero turbati. Ma, che cosa è loro accaduto? Hanno dormito il loro sonno, e niente hanno trovato tutti gli
uomini ricchi nelle loro mani. Hanno amato il presente, e si sono addormentati in mezzo alle cose presenti
(Amaverunt praesentia, et dormierunt in ipsis praesentibus); e tali cose presenti sono apparse loro piene di
delizie, così come colui che in sogno crede di aver trovato un tesoro ed è ricco finché non si sveglia. Il sogno lo
ha fatto ricco; il risveglio lo fa povero (Somnium illum divitem fecit; evigilatio pauperem facit). S'è magari
addormentato in terra, sdraiato sul duro, essendo povero e forse anche mendico. Nel sogno ha creduto di giacere
in un letto d'avorio e d'oro, su un materasso di piume. Finché dorme, dorme bene; svegliandosi si ritrova su quel
duro ove addormentandosi si era adagiato. Così sono anche costoro. Sono venuti in questa vita e, travolti dai
desideri temporali, si sono come addormentati: del loro cuore si sono impadronite le ricchezze e gli onori vani e
caduchi. Sono passati senza capire quanto bene potevano trarre dalla ricchezza. Infatti, se avessero conosciuto
l'altra vita, vi avrebbero ammassato tanti tesori, raccolti da ciò che qui doveva perire. Come fece Zaccheo, quel
capo dei pubblicani che accolse in casa il Signore Gesù e che, vedendo quel bene, disse: Dò la metà delle mie
ricchezze ai poveri, e, se ho defraudato qualcuno, restituisco il quadruplo. Non era costui uno di quelli che
sognano allucinati, ma uno che vigila nella fede (non erat iste in vanitate somniantium, sed in fide vigilantium)...
Dunque, hanno dormito il loro sonno gli uomini ricchi, e niente hanno trovato nelle loro mani. Hanno dormito
nei loro desideri. Questo sonno dà loro piacere, ma passa: passa questa vita, e niente si ritrovano nelle loro mani,
poiché niente hanno posto nelle mani di Cristo. Vuoi trovare, dopo, qualche cosa nelle tue mani? Non
disprezzare ora la mano del povero: guarda con compassione alle mani vuote, se vuoi avere le mani piene. Ha
detto, infatti, il Signore: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; sono
stato esule e mi avete condotto in casa, con quel che segue. Ed essi: Quando ti abbiamo visto affamato, assetato
o esule? Ed egli a loro: Quando l'avete fatto a uno di questi miei piccoli, lo avete fatto a me. Ha voluto aver
fame nei poveri colui che è ricco in cielo; e tu, uomo, esiti a dare qualcosa all'uomo, mentre sai che ciò che dài lo
dài a Cristo, dal quale hai ricevuto tutto quello che dài? Ma quelli hanno dormito il loro sonno, e niente hanno
trovato tutti gli uomini ricchi nelle loro mani.
LA CIVITAS TERRENA COME SOGNO VANO (cf. Giobbe 20,8)
De civitate Dei X,25. Era del loro numero [dei profeti] quegli di cui poco fa ho ricordato la grande e
divina concezione sul fine ultimo dell'uomo: Il mio bene è unirmi a Dio (Salmo 72,28). In questo salmo è
sufficientemente determinata la distinzione dei due Testamenti chiamati l'Antico e il Nuovo. In relazione alle
promesse carnali e terrene, poiché osservava che esse erano abbondantemente elargite agli empi, dice che i suoi
piedi si stavano quasi mettendo in moto e i suoi passi si avviavano ormai alla caduta. Gli sembrava quasi che
invano rendesse servizio a Dio, poiché osservava che i miscredenti godevano di quella prosperità che egli
attendeva da lui. Aggiunge che egli si affannò nell'esame di questo problema, dato che voleva scoprire perché le
cose stessero così, fino a che entrò nel santuario e comprese il destino ultimo di quegli uomini che a lui, poiché
era in errore, sembravano felici. Allora comprese, come dice, che furono atterrati perché si erano innalzati e che
erano declinati e andati in rovina a causa delle loro iniquità e che l'apogeo della prosperità terrena divenne per
loro come il sogno di chi si sta svegliando; egli si trova privo all'improvviso delle fallaci gioie che sognava
(totumque illud culmen temporalis felicitatis ita eis factum tamquam somnium evigilantis, qui se repente invenit
suis quae somniabat fallacibus gaudiis destitutum). E poiché si ritenevano grandi in questa terra, ossia nella città
terrena, soggiunse: Signore, tu nella tua città ridurrai al nulla la loro figura (Ps 72,20). E come fosse stato per
lui vantaggioso chiedere all'unico vero Dio anche i beni terreni, poiché in suo potere sono tutte le cose, lo ha
dimostrato chiaramente con le parole: Davanti a te sono diventato come una bestia (pecus), ma io sono sempre
con te (Ps 72,23). Ha detto Come una bestia per far comprendere che non capiva. Avrei dovuto desiderare da te
i beni che non possono essermi comuni con i miscredenti; ma io vedendo che essi ne abbondavano, ho pensato di
averti reso servizio inutilmente, perché li avevano anche coloro che non avevano voluto renderti servizio.
Tuttavia io sono sempre con te, perché pur nel desiderio di quei beni terreni non ho cercato altri dèi. E perciò
continua: Hai afferrato con la mano la mia destra, mi hai condotto secondo il tuo volere e mi hai ricevuto con
onore (Ps 72,24). Sembrerebbe che alla sinistra appartengono quei beni, a causa dei quali, poiché li aveva visti
elargiti in abbondanza ai miscredenti, era quasi caduto nella colpa. Poi soggiunge: Che cosa v'è per me nel cielo
e da te che cosa ho voluto sopra la terra? Si è rimproverato e giustamente non era contento di se stesso, poiché
pur avendo un gran bene in cielo (lo ha capito dopo) ha richiesto in terra dal suo Dio un bene passeggero, una
prosperità fragile e in certo senso fangosa (rem transitoriam, fragilem et quodam modo luteam felicitatem a suo
Deo quaesivit in terra).
IL SOGNO PREMONITORE DELLA CONVERSIONE (cf. Giobbe 33,15-18)
Confessiones III,11,19. Ma tu stendesti la tua mano dall'alto e traesti la mia anima da un tale abisso di
tenebre, mentre per amor mio piangeva innanzi a te mia madre, tua fedele, versando più lacrime di quante ne
versino mai le madri alla morte fisica dei figli. Grazie alla fede e allo Spirito ricevuto da te essa vedeva la mia
morte; e tu l'esaudisti, Signore. L'esaudisti, non spregiasti le sue lacrime, che rigavano a fiotti la terra sotto i suoi
occhi dovunque pregava. Tu l'esaudisti: perché, da chi le venne il sogno consolatore (Nam unde illud somnium,
quo eam consolatus es), per il quale accettò di vivere con me e avere con me in casa la medesima mensa, che da
principio aveva rifiutata per avversione e disgusto del mio traviamento blasfemo? Le sembrò, dunque, di essere
ritta sopra un regolo di legno, ove un giovane radioso e ilare le andava incontro sorridendole, mentre era afflitta,
accasciata dall'afflizione. Il giovane le chiedeva i motivi della sua mestizia e delle lacrime che versava ogni
giorno, più con l'intento di ammaestrarla, come suole accadere, che d'imparare; ed ella rispondeva di piangere
sulla mia perdizione. Allora l'altro la invitava, per tranquillizzarla, e la esortava a guardarsi attorno: non
vedeva che là dov'era lei ero anch'io? Ella guardò e mi vide ritto al suo fianco sul medesimo regolo. Quale
l'origine del sogno, se non il tuo orecchiare al suo cuore , o bontà onnipotente, che ti prendi cura di ciascuno di
noi come se avessi solo lui da curare, e di tutti come di ciascuno (Unde hoc, nisi quia erant aures tuae ad cor
eius, o tu bone omnipotens, qui sic curas unumquemque nostrum, tamquam solum cures, et sic omnes, tamquam
singulos?)? III,11,20. E quale l'origine di quest'altro fatto: che dopo avermi narrato il suo sogno, appunto, e
mentre io m'ingegnavo a trarlo a questo significato (cum mihi narrasset ipsum visum et ego ad id trahere
conarer), che era lei piuttosto a non dover disperare di essere un giorno come me; ebbene, subito, senza un
attimo di esitazione, esclamò: “No, non mi fu detto: là dov'è lui sarai anche tu; ma: là dove sei tu sarà anche lui”.
Ti confesso, Signore, questo mio ricordo, in quanto mi rammento, né mai ne feci mistero, che ancor più del
sogno in sé mi scosse questa tua risposta per bocca di mia madre sveglia. Essa non si smarrì di fronte a una così
sottile, ma falsa interpretazione e vide così presto ciò che si doveva vedere e io certo non avevo veduto prima
delle sue parole. Così proprio in quel sogno e molto tempo prima del vero fu predetto alla pia il gaudio che
avrebbe provato in un futuro lontano, per consolarla dell'ansia che la struggeva al presente. Passarono in seguito
nove anni, durante i quali io mi avvoltolai in quel fango d'abisso e tenebre d'errore ove ad ognuno dei molti
tentativi che feci per risollevarmi, più pesantemente mi abbattevo; eppure quella vedova casta, pia e
sobria , quali tu le ami, dalla speranza, certo, resa ormai più alacre, ma al pianto e ai gemiti non meno pronta,
persisteva a far lamento per me davanti a te in tutte le ore delle sue orazioni. Le sue preghiere penetravano sino
al tuo sguardo, e nondimeno tu mi lasciavi ancora aggirare e raggirare nella caligine.
IL SOGNO “INCONTINENTE”:
DIVISIONE DELL’IO, ANARCHIA DEL SOGGETTO, MEMORIA/STORICITÀ DELLA CONVERSIONE (cf. Rom
7,14-25)
Confessiones X,29,40. Ogni mia speranza è posta nell'immensa grandezza della tua misericordia. Da’
ciò che comandi e comanda ciò che vuoi (Et tota spes mea non nisi in magna valde misericordia tua. Da quod
iubes et iube quod vis). Ci comandi la continenza e qualcuno disse: “Conscio che nessuno può essere continente
se Dio non lo concede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono” (Sap
8,21). La continenza in verità ci raccoglie e riconduce a quell'unità che abbiamo lasciato disperdendoci nel
molteplice (Per continentiam quippe colligimur et redigimur in unum, a quo in multa defluximus). Ti ama meno
chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua (Minus enim te amat qui tecum aliquid amat, quod non
propter te amat). O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami. Comandi la
continenza. Ebbene, dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi (O amor, qui semper ardes et numquam
exstingueris, caritas, Deus meus, accende me! Continentiam iubes: da quod iubes et iube quod vis). X,30,41. Mi
comandi certamente di astenermi dai desideri della carne, dai desideri degli occhi e dall’ambizione del
secolo (Iubes certe, ut contineam a concupiscentia carnis et concupiscentia oculorum et ambitione saeculi: 1Gv
2,16).Comandasti l'astensione dal concubinato, ma anche a proposito del matrimonio indicasti una condizione
migliore di quella lecita; e poiché me ne desti la grazia, fu la mia condizione ancora prima che diventassi
dispensatore del tuo sacramento. Sopravvivono però nella mia memoria, di cui ho parlato a lungo, le immagini di
questi diletti, che vi ha impresso la consuetudine (Sed adhuc vivunt in memoria mea, de qua multa locutus sum,
talium rerum imagines, quas ibi consuetudo mea fixit). Vi scorrazzano fievoli mentre sono desto; però durante il
sonno non solo suscitano piaceri, ma addirittura consenso e qualcosa di molto simile all'atto stesso (Et
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occursantur mihi vigilanti quidem carentes viribus, in somnis autem non solum usque ad delectationem sed
etiam usque ad consensionem factumque simillimum). L'illusione di questa immagine nella mia anima è cosi
potente sulla mia carne, che false visioni m'inducono nel sonno ad atti, cui non m'induce la realtà nella veglia (Et
tantum valet imaginis illusio in anima mea in carne mea, ut dormienti falsa visa persuadeant quod vigilanti vera
non possunt). In quei momenti, Signore Dio mio, non sono forse più io? (Numquid tunc ego non sum, Domine
Deus meus?) Eppure sono molto diverso da me stesso nel tempo in cui passo dalla veglia al sonno e finché torno
dal sonno alla veglia (Et tamen tantum interest inter me ipsum et me ipsum intra momentum, quo hinc ad
soporem transeo vel huc inde retranseo!). Dov'è allora la ragione, che durante la veglia mi fa resistere a quelle
suggestioni e rimanere incrollabile all'assalto della stessa realtà? Si rinserra con gli occhi, si assopisce con i sensi
del corpo? (Ubi est tunc ratio, qua talibus suggestionibus resistit vigilans et, si res ipsae ingerantur, inconcussus
manet? Numquid clauditur cum oculis? Numquid sopitur cum sensibus corporis?) Ma allora da dove nasce la
resistenza che spesso opponiamo anche nel sonno, quando, memori del nostro proposito, vi rimaniamo
immacolatamente fedeli e non accordiamo l'assenso ad alcuna di tali seduzioni (Et unde saepe etiam in somnis
resistimus nostrique propositi memores atque in eo castissime permanentes nullum talibus illecebris adhibemus
adsensum?)? In verità sono due stati tanto diversi, che anche nel primo caso la nostra coscienza al risveglio torna
in pace, e la stessa distanza fra i due stati ci fa riconoscere che non abbiamo compiuto noi quanto in noi si è
compiuto comunque, con nostro rammarico (Et tamen tantum interest, ut, cum aliter accidit, evigilantes ad
conscientiae requiem redeamus ipsaque distantia reperiamus nos non fecisse, quod tamen in nobis quoquo modo
factum esse doleamus). X,30,42. La tua mano, Dio onnipotente, è forse impotente a guarire tutte le
debolezze della mia anima, a estinguere con un fiotto più abbondante di grazia i miei moti lascivi anche nel
sonno (sanare omnes languores animae meae atque abundantiore gratia tua lascivos motus etiam mei soporis
exstinguere)? Moltiplicherai vieppiù, Signore, i tuoi doni in me (augebis, Domine, magis magisque in me
munera tua), affinché la mia anima, sciolta dal vischio della concupiscenza, mi segua fino a te; affinché non si
ribelli a se stessa (ut non sit rebellis sibi); affinché anche nel sonno non solo non commetta turpitudini così
degradanti, ove immaginazioni bestiali scatenano gli umori della carne (atque ut in somnis etiam non solum non
perpetret istas corruptelarum turpitudines per imagines animales usque ad carnis fluxum), ma neppure vi
consenta (sed ne consentiat quidem). Far sì che non vi provi alcuna attrazione, o così lieve da poterla
comprimere col più lieve cenno della volontà, con la sola intenzione casta con cui ci si mette a letto (nam ut nihil
tale vel tantulum libeat, quantulum possit nutu cohiberi etiam in casto dormientis affectu) in questa vita e per di
più a questa età, non è gran cosa per la tua onnipotenza: tu puoi superare quanto chiediamo e comprendiamo
(Efes 3,20). Ora ho esposto al mio buon Signore, con esultanza e insieme apprensione per i tuoi doni, con
lacrime per le mie imperfezioni, il punto ove mi trovo tuttora per questo aspetto del mio male. Ma spero che tu
perfezionerai in me le tue misericordie (sperans perfecturum te in me misericordias tuas ), finché io abbia la
pace piena, che possederà con te il mio essere interiore ed esteriore (interiora et exteriora mea) quando la
morte sarà stata assorbita nella vittoria (1Cor 15,54).
Giobbe 20,8: la prosperità dell’empio «velut somnium avolans non invenietur, transiet sicut visio
nocturna».
Giobbe 33,15-18: «Dio parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si
addormentano sul loro giaciglio. Apre allora l’orecchio degli uomini e con apparizioni li spaventa, per distogliere
l’uomo dal male e tenerlo lontano dall’orgoglio, per preservarne l’anima dalla fossa e la sua vita dalla morte
violenta».
Romani 7,14-25 «Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come
schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma
quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più
io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me
il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non
voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo
dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo
alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi
rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo
corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la
mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.
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