Misure di Smart Working: modelli “smart” di gestione e

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Misure di Smart Working: modelli “smart” di gestione e
Misure di Smart Working: modelli “smart” di gestione e
organizzazione del personale
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Lorenzo Ceraudo e Gianluigi Delle Cave
06/10/2016
Lorenzo Ceraudo e Gianluigi Delle Cave sono rispettivamente avvocato e dottore presso lo Studio Legale Rödl &
Partner.
La ricerca di un maggiore equilibrio nel binomio “ work-life”, il costante progresso tecnologico e il susseguirsi di
formule innovative di esecuzione del lavoro rispetto agli standard “classici” aziendali, sono stati fattori determinanti
nella definizione, e nella elaborazione, di un nuovo tipo di rapporto di lavoro, che negli ultimi anni ha assunto
connotazioni sempre più specifiche e definite. Si tratta dello Smart Working, del “lavoro intelligente”, che annovera
tra i suoi principi un concetto rivisitato di “flessibilità aziendale” (riferita, principalmente, ai riassetti di spazi e tempi
propri dell’attività lavorativa), il dualismo funzionale azienda-lavoratore, l’implementazione della competitività
attraverso l’innovazione del processo di produzione.
L’approccio smart al lavoro, come sopra descritto, implica così una visione tendente non solo alla valorizzazione del
risultato, ma anche al rafforzamento del co-working con il management aziendale, all’introduzione nell’ambiente
lavorativo di tecnologie che consentano l’applicazione di misure di flessibilità estrema, alla fidelizzazione del
lavoratore, investito di maggiore autonomia e responsabilità.
Tali ordini di pensiero, tuttavia, non hanno ancora trovato una collocazione precisa ed organica all’interno
dell’ordinamento italiano in materia giuslavoristica. La conciliazione dei tempi di “vita e lavoro” (prevista, ad
esempio, all’interno della normativa dei congedi genitoriali ex D.lgs. 151/2001), la flessibilità oraria identificata
spesso con il solo part-time, restano, de facto, misure caratterizzate da una frammentarietà legislativa non
sufficientemente adeguata al recepimento del più articolato concetto di Smart Working. Tuttavia, dal punto di vista
normativo, è possibile ricavare linee guida utili all’introduzione della formula smart, all’interno dell’ordinamento
giuridico italiano, dalle disposizioni comunitarie contenute nell’Accordo Quadro del 16 luglio 2002 o “Accordo
Quadro sul Telelavoro”[1]. L’Accordo non ha previsto l’adozione di una specifica direttiva sul tema, lasciando,
dunque, ampio margine agli Stati membri sulla scelta delle disposizioni più attinenti all’introduzione della formula del
telelavoro nella contrattazione collettiva.
La coniugazione delle indicazioni comunitarie con l’introduzione delle misure di Smart Working in Italia si può
comunque riscontrare nel Disegno di Legge 2233 sul lavoro autonomo e sul lavoro remoto, recante, tra l’altro,
misure volte a favorire, nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato, l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi
di lavoro. Gli obiettivi contenuti nelle norme del suddetto testo – che, peraltro, è ad oggi rimasto nel limbo della mera
proposta legislativa, non essendo ancora concluso il suo percorso parlamentare – sono principalmente mirati ad un
miglioramento della c.d. work life balance (conciliazione tra vita privata e lavoro), passando “dal lavoro a timbratura
di cartellino al lavoro per obiettivi, dove al lavoratore viene lasciata ampia libertà di auto-organizzarsi a patto che
porti a termine gli obiettivi stabiliti nelle scadenze previste”.
I principi espressi nel testo in parola, allo scopo di dare un perimetro chiaro e netto alla definizione di Smart
Working, si pongono, dunque, come necessari ed indefettibili ed individuano nel lavoro “da remoto”, nell’essenziale
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utilizzo di strumenti informatici/telematici, nella rideterminazione degli orari lavorativi, nella volontarietà da parte del
datore di lavoro di adottare il regime smart con il lavoratore (parametrando diversamente tempi, spazi e luoghi del
rapporto lavorativo), nella parità di trattamento tra lo smart worker e il lavoratore subordinato “standard”, le colonne
portanti su cui sviluppare la tanto attesa normativa in materia.
Tuttavia è bene precisare che, nonostante i vantaggi che potrebbero derivare dall’effettiva adozione e applicazione
della menzionata normativa, persistono comunque incertezze su possibili utilizzi distorti dei mezzi del lavoro “agile
ed intelligente”.
Verosimile, infatti, è lo scenario in cui il dissolversi della virtuale linea di demarcazione tra tempo lavorativo e tempo
libero rischia di trasformare la giornata in un unico turno di lavoro senza fine. Il legislatore prima, e l’interprete poi,
avranno dunque l’arduo compito di declinare correttamente le best practices dello Smart Working con le tutele poste
a favore non solo del lavoratore, ma anche del management aziendale e delle aziende stesse, cercando di definire
un quadro normativo efficiente per liberare nuove energie e risorse da tutti gli attori coinvolti nel rapporto di lavoro.
[1] Il “Telelavoro”, ai sensi del menzionato Accordo Quadro, si sostanzia in un’efficace quanto applicabile formula di
Smart Working, prevedendo una pregevole commistione tra flessibilità lavorativa, tecnologia e rivisitazione del
rapporto di lavoro standard.
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