Voci dal “nido” infranto - Casa editrice Le Lettere

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Voci dal “nido” infranto - Casa editrice Le Lettere
GIOVANNI CAPECCHI
Voci dal “nido” infranto
Studi e documenti pascoliani
Le Lettere
SOMMARIO
Nota
p.
7
Giovanni Pascoli. Un profilo
»
9
Attraverso le prose disperse
»
47
Introduzione al Pascoli narratore
»
83
La Commedia del fanciullino. Le lezioni inedite
di Pascoli alla Scuola pedagogica di Bologna
»
100
Una provincia pascoliana
»
122
Il carteggio tra Giovanni Pascoli e Luigi Valli (1892-1908)
»
145
Il rapporto tra Giovanni Pascoli e Francesco D’Ovidio
attraverso lettere inedite
»
210
«Sul crinale della legalità»: i commenti pascoliani
di Cesare Garboli
»
218
Indice dei nomi
»
241
ATTRAVERSO LE PROSE DISPERSE
1. L’edizione dell’opera di Giovanni Pascoli progettata dalla casa editrice Mondadori nella collana dei “Classici contemporanei italiani”
prevedeva non solo la pubblicazione delle poesie italiane e latine, ma
anche quella di tre volumi di prose affidati alle cure di Augusto Vicinelli: il primo che, con il titolo di Pensieri di varia umanità, raccoglieva
le prose pascoliane più note pubblicate dallo stesso poeta in Pensieri e
discorsi e in Patria e umanità o dalla sorella Maria in Antico sempre
nuovo, vide la luce nel 1946, aperto da un’ampia Premessa in cui Vicinelli illustrava tra l’altro il piano dell’opera mondadoriana e chiuso
dalle Regole di metrica neoclassica rimaste fino ad allora inedite; il secondo, suddiviso in due tomi e pubblicato nel 1952, raccoglieva le oltre
duemila pagine di esegesi dantesca alle quali il poeta affidava la sua
immortalità (dalla Minerva oscura apparsa a puntate su «Il Convito» di
Adolfo De Bosis tra il 1895 e il 1896 e pubblicata in volume dall’editore Raffaello Giusti di Livorno nel 1898 fino alla Prolusione al Paradiso, letta a Firenze nel dicembre del 1902 e pubblicata dal messinese
Vincenzo Muglia nel 1903), ma comprendeva anche alcune pagine
tratte dalle lezioni tenute alla Scuola pedagogica di Bologna nell’anno
accademico 1909-1910 e il capitolo dantesco dell’antologia Sul limitare, unico saggio di quel Commento alla Divina Commedia progettato
ma mai compiuto da Pascoli.
Restava da pubblicare il terzo volume, «la croce e il premio»1 dell’edizione mondadoriana, che avrebbe dovuto raccogliere gli Scritti
sparsi editi e inediti. Quest’opera monumentale, portata avanti con l’apporto fondamentale di Mariù (morta nel 1953) e che, stando a ciò che
lo stesso Vicinelli scriveva nelle pagine premesse a Lungo la vita di Gio-
1
G. Pascoli, Prose. I. Pensieri di varia umanità, a cura di A. Vicinelli, Milano, Arnoldo Mondadori, 1952, p. LVII.
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vanni Pascoli, risultava, all’altezza del 1961, ormai completata nel lavoro di raccolta2, non ha mai visto la luce: nello stesso anno in cui veniva pubblicata la biografia di Pascoli scritta dalla sorella, il curatore
(e menomatore) delle Memorie di Mariù moriva e il lavoro che lo aveva
accompagnato per lunghi anni andava disperso. Resta però il lungo
brano inserito nella Premessa ai Pensieri di varia umanità in cui Vicinelli
illustrava il percorso che intendeva seguire ed elencava – commettendo
talvolta delle imprecisioni – una serie di testi che avrebbe riunito nel
terzo volume di prose:
Nel volume compariranno e ricompariranno gli esperimenti giovanili, di
cui hanno dato qualche saggio lo Schinetti e il Lesca e di cui fece raccolta
in un quadernetto il maestro, padre Geronte Cei; e certi scritti d’arte rimasti nella penombra anche perché di generi poco trattati dal Pascoli: le
novelle, dal quasi sconosciuto Ceppo a quelle riesumate in Limpido rivo
(naturalmente non ci sarà nemmeno in abbozzo il romanzo L’ultimo sacerdote di Apollo, che pur era preannunziato sulla copertina della prima
edizione dei Poemetti); e i tentativi teatrali, di cui ci mise a conoscenza
Maria nel volume che prende il titolo Nell’anno mille.
Altre pagine belle ci saranno, ondeggianti tra l’arte e l’autobiografia: come
quelle che furono riservate ai giovani nella scelta di Limpido rivo, fra cui
gli scritti Nelle nozze di Ida o i Ricordi di un vecchio scolaro..., o quelli così
pascoliani su Il pane e su Casa mia e Il tesoro sfumati fra la realtà e il
sogno...; cui potranno aggiungersi le finemente ingegnose confidenze fatte
in risposta ad un referendum della Scena illustrata, e qualche scritterello
per nozze...
Il volume conterrà anche studi e articoli minori di letteratura, di filologia
classica..., dalla tesi di laurea del 1882 a scritti su poeti greci, a considerazioni sulla «letteratura italiana o italo-europea»... Si possono avvicinare
a queste pagine molte altre di prefazioni e alcuni manifesti: cominciando
dalle premesse alle traduzioni dal De Musset (1887) per giungere – attraverso anche le prefazioni a vari libri di poesie, compresi i canti del Panzacchi, e alla stessa Miscellanea Tassoniana – a quelle per il libro garibaldino dell’Abba e per i cenni biografici di Francesco Sclavo (1910). Ma
chi sa quanto, in certe prefazioni, il poeta si abbandoni all’appassionata
lirica dei suoi ricordi e delle sue nostalgie, non si meraviglierà di commuoversi leggendo le lettere preposte al volumetto contenente La ginestra,
2
M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli. Memorie curate e integrate da Augusto Vicinelli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1961, p. X. Vicinelli precisava
anche che l’arco di tempo in cui erano state scritte le pagine raccolte era compreso tra
il 1869 e il 1912 (ibid.).
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Pace!, L’èra nuova, Il focolare, e ai Miei pensieri di varia Umanità, rivolte
la prima a Maria nel ricordo della comune malattia (1899) e la seconda a
Vincenzo Muglia l’«editore che s’arma e non parla», nella quale dall’accenno alla Sicilia si sale ad un ancora cupo lamento per il mistero su l’«antico uccisore» che distrusse una famiglia (1902).
Ci saranno anche vari scritti sfumati fra la polemica, la commemorazione
e l’accenno personale. Recensioni, risposte svarianti dalla letteratura alla
politica, fra il 1895 e il 1910: per es. uno scritto rivolto al D’Annunzio, uno
per l’arresto del ministro Nasi, rimandato al poeta in bozze dal giornale
La Tribuna; e alcuni articoli sociali (bellissimo quello dettato per La
Prensa, sul suo Castelvecchio, «un paese donde si emigra» o forse già
una... piccola America). Qualche breve commemorazione si aggiungerà a
quelle raccolte in Limpido rivo e si accrescerà con due discorsi: il Bargeo
e una nuova esaltazione carducciana.
Vari pensieri su questioni contingenti di riflessione estetica e morale potranno essere attinti, come già fu fatto nel Marzocco e anche in Limpido
rivo, dal Tesoro di Barga: e sarà una messe di osservazioni finissime e tutte
personali. Come non scarsa raccolta di idee e di metodi originali nel pensare ed insegnare – a comprensione dell’uomo – verrà dalle inedite Lezioni, più o meno lungamente redatte per l’Università e per il Corso pedagogico. Ma alla conoscenza dell’attività pubblica e intima del Pascoli
studioso e scrittore gioverà la stampa di quei Repertori di cui diede quasi
più cenno che saggio Maria nell’Appendice al dramma Nell’anno mille.
Anche le molte, nobili, ingegnose Epigrafi o Dediche ci faranno conoscere un’amata-odiata maniera di letteratura pascoliana (le moleste
«pulci») a integrazione delle raccolte pubblicate o avviate dal Briganti e
dal Tognacci. Anche alcune traduzioni porteranno un piccolo contributo
al volume3.
Il lungo brano (che si concludeva con il proposito di ulteriori spogli tra
le carte di Castelvecchio e di una accurata schedatura dei giornali e periodici ai quali Pascoli aveva collaborato, dal «Martello» alla «Vita
Nuova», da «Il Marzocco» alla «Corsonna»)4 è servito come punto di
3
G. Pascoli, Prose, I, cit., pp. LVII-LIX. Lo stesso progetto veniva illustrato da Vicinelli sulle pagine della «Nuova Antologia» (cfr. «Nuova Antologia», Vol. CDXXXIX,
gennaio-aprile 1947, pp. 102-107, con particolare riferimento alle pp. 104-105).
4
Per quanto riguarda la collaborazione di Pascoli a giornali e riviste, è stata accuratamente vagliato il suo rapporto con «Il Marzocco» (cfr. G. Nava, La presenza di Pascoli e D’Annunzio nel «Marzocco», in AA.VV., Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie (1887-1913), Atti del seminario di studi – Firenze, 12-14 dicembre 1983 –, a cura di C. Del Vivo, Firenze, Olschki, 1985, pp. 57-95) e, per gli anni
compresi tra il 1896 e il 1912, con «Il Resto del Carlino» (cfr. M. Tartari Chersoni, Pa-
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VOCI DAL NIDO INFRANTO
partenza per il nostro lavoro (e per questo, nonostante la dimensione,
è stato riportato nella sua integrità), come una mappa per un iniziale
orientamento nell’isola – in cui non è facile orientarsi – dei pascoliani
scritti dispersi. Il progetto di Vicinelli (che doveva portare all’edizione
di un volume indicato dallo studioso con diversi possibili titoli, da
Scritti sparsi editi e inediti a Scritti inediti e a Scritti sparsi e inediti, e che
appariva, per molti aspetti, «chimerico»5), pur avendo rappresentato il
punto di partenza per l’elaborazione di questo studio, è stato da noi ridimensionato, restringendo il campo di indagine alle sole prose (con
esclusione dei testi delle lezioni tenute all’Università e alla Scuola pedagogica di Bologna – quest’ultime stenografate da fidati allievi e dattiloscritte in dispense riviste dallo stesso poeta – alle quali hanno di
volta in volta attinto gli studiosi, più per trovare conferme ad interpretazioni e letture già avanzate che per rivelare nuovi sentieri di ricerca)6 e lasciando da parte gli esperimenti poetici giovanili, le epigrafi
e le dediche, le traduzioni e gli scritti teatrali in versi che, dopo il volume Nell’Anno Mille curato da Maria, sono stati in gran parte raccolti
nel 1979 da Antonio De Lorenzi nel volume Testi teatrali inediti del
quale la novella drammatica in tre atti, Lisa siciliana, trascritta e pubblicata da Annamaria Andreoli nel 1997 rappresenta una importante
integrazione7.
Del resto è necessario tener presente che dal 1961 ad oggi molte
cose sono cambiate nell’ambito degli studi pascoliani relativi alla produzione in prosa non confluita nei Pensieri di varia umanità e negli
Scritti danteschi: di fronte alla mancata pubblicazione del terzo volume
scoli e «Il Resto del Carlino» (1896-1912), Bologna, CLUEB, 1991). Notizie importanti
riguardanti Pascoli e «La Gazzetta di Messina» si trovano in G. Resta, Pascoli a Messina, Messina, Editrice Universitaria, 1955.
5
Cfr. C. Garboli, Pascoli lesbico, in «Paragone-Letteratura», giugno-agosto 1997,
p. 3.
6
A proposito delle lezioni tenute all’Università e alla Scuola pedagogica di Bologna, cfr. tra l’altro: S. Campanini, Tra due sognate concordie. Il Virgilio di Pascoli professore alla Scuola pedagogica (le lezioni dell’anno 1908-1909), in «Rivista Pascoliana»,
4, 1992, pp. 43-50; A. Da Rin, Pascoli e la poesia epica. Un inedito corso universitario di
Giovanni Pascoli, Firenze, La Nuova Italia, 1992; G.L. Ruggio, Pascoli sulla cattedra di
Carducci: la «Prelezione», in «Rivista Pascoliana», 5, 1993, pp. 259-68; M. Castoldi, Silvia, la «tessitrice» del Leopardi. Una lezione di Giovanni Pascoli del 2 maggio 1907, in
«Rivista Pascoliana», 6, 1994, pp. 161-85; G. Capecchi, La commedia del fanciullino. Le
lezioni inedite di Pascoli alla Scuola pedagogica di Bologna, ne «La Rassegna della letteratura italiana», a. 100°, Serie VII, n. 1, gennaio-aprile 1996, pp. 125-58.
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mondadoriano di prose, numerose pagine che sarebbero entrate a far
parte del poderoso tomo e che, nella maggior parte dei casi, sono rammentate in Lungo la vita con l’immancabile rinvio, per una loro lettura, alla silloge degli Scritti sparsi editi e inediti, sono state pubblicate
(integralmente o in modo parziale) su riviste note o meno note, su quotidiani e periodici, in appendice a volumi di critica pascoliana o all’interno di saggi dedicati al poeta di Castelvecchio, in rassegne e atti di
convegni. Di fronte alla certezza del naufragio nel quale si era imbattuto il lavoro di Vicinelli, si è cominciato con maggiore frequenza a recuperare e pubblicare testi pascoliani pressoché ignoti, riprendendo
la strada iniziata, all’indomani della morte del poeta, da Pio Schinetti8
o da Giuseppe Picciola9, e attingendo anche a quel tesoro conservato
a Castelvecchio che veniva messo a disposizione dei ricercatori proprio alla metà degli anni Sessanta. In particolare sono state seguite due
strade: quella di ricercare e ripubblicare pagine già edite dal poeta o
dalla fedele Mariù ma completamente sconosciute o pressoché ignote
(è questa la linea del Pascoli «edito e ignoto» che in parte, soprattutto
per ciò che riguarda la produzione degli anni universitari, continua a
sfuggire agli studiosi e che merita approfondite ricerche e pazienti
schedature) e quella di riportare alla luce testi pascoliani mai pubblicati, conservati manoscritti a Castelvecchio o dispersi in altri archivi
pubblici e privati10. Quest’ultima strada ha portato (nell’ambito della
7
Per quanto riguarda i testi teatrali cfr. G. Pascoli, Nell’anno Mille. Sue notizie e
schemi di altri drammi, Bologna, Zanichelli, 1924; Id., Testi teatrali inediti, a cura di A.
De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979; A. Andreoli, Pascoli-Dioneo fra carte e libri di Castelvecchio, in «Studi sul Boccaccio», vol. XXV (1997), pp. 331-83 (l’Andreoli pubblica
per la prima volta il frammento di novella drammatica Lisa siciliana appartenente alle
«carte Schinetti»).
8
P. Schinetti, Pagine inedite di Giovanni Pascoli, ne «Il Secolo», a. XI, n. 5, 5 maggio 1912, pp. 377-92.
9
G. Picciola, Giovanni Pascoli biografo di Giosue Carducci, in «Rivista di Roma»,
a. XVI, Nuova Serie, Vol. I, n. 7, 10 aprile 1912, pp. 225-28.
10
Talvolta questi testi, conservati soprattutto negli archivi delle redazioni di giornali e riviste alle quali Pascoli collaborava, sono stati ritrovati: è il caso, per esempio, dell’intervento a sostegno del ministro Nasi destinato al «Corriere della Sera», rinvenuto
nel Fondo pascoliano della Biblioteca di Milano da Claudio Scarpati (cfr. C. Scarpati,
Due recuperi pascoliani, in «Lettere italiane», a. XXX, n. 4, ottobre-dicembre 1978, pp.
540-45) e raccolto in questo volume (il testo, del resto, è presente anche nell’Archivio
di Castelvecchio, Cassetta LXXVI, plico 9). In altri casi alcuni testi pascoliani appaiono
perduti per sempre: in una lettera indirizzata a Luigi Valli il 19 febbraio 1900, per esempio, il poeta parla di articoli danteschi inviati alla rivista di Napoli «Flegrea» e mai pub-
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produzione in prosa della quale ci occupiamo) alla pubblicazione di
testi di grande rilievo. Basterebbe citare, a questo proposito, i giovanili scritti polemici indirizzati contro il poeta-scultore Leopoldo Bersani11 e la pagina intitolata Foglie gialle (pubblicata già dallo Schinetti)12, la tesi di laurea dedicata al poeta greco Alceo13, gli Elementi
di letteratura (fondamentali, benché frammentari, per una compiuta
indagine della poetica pascoliana)14, il lungo incompiuto racconto «per
ragazzi e per grandi» intitolato La Befana15, il testo della prolusione
letta all’Università di Bologna il 21 gennaio 1896 e intitolata Il Ritorno16, le pagine di polemica dantesca indirizzate a Francesco Flamini (prima considerato come fedele amico e poi trattato come critico
ostile al quale replicare) e ad Ernesto Giacomo Parodi che non aveva
esitato a stroncare la Minerva oscura17. A questo gruppo di scritti «inediti e noti» appartiene anche l’esercizio liceale su Nebulone scrittor di
Romanzi, conservato nell’Archivio di Castelvecchio e pubblicato per
la prima volta nel 200218.
blicati anche se, ad eccezione di quello intitolato La lupa, rifusi nei volumi di esegesi
dantesca (cfr., in questo stesso volume, Il carteggio Pascoli-Valli).
11
Le due prose polemiche, intitolate A proposito di un articolo della «Patria» e
Leopoldo Bersani pittore-scultore sono state pubblicate rispettivamente da Pio Schinetti
e da Guido Capovilla (P. Schinetti, Pagine inedite di Giovanni Pascoli, cit., pp. 382-83
e G. Capovilla, La formazione letteraria del Pascoli a Bologna. I. Documenti e testi, Bologna, CLUEB, 1988, pp. 130-31) e da Cesare Garboli (C. Garboli, Pascoli lesbico, cit.,
pp. 3-8).
12
P. Schinetti, Pagine inedite di Giovanni Pascoli, cit., pp. 388-89.
13
G. Pascoli, Alceo. Tesi per la laurea, a cura di G. Caputo, Presentazione di F. Roversi-Monaco, Bologna, CLUEB, 1988 (ripubblicata anche in G. Capovilla, La formazione del Pascoli a Bologna, cit., pp. 172-87 e nel già citato volume di pascoliane Prose
disperse).
14
M. Perugi, Elementi di letteratura di Giovanni Pascoli, in «Filologia e critica», a.
XVI, fasc. III, settembre-dicembre 1991, pp. 401-18. Cfr. anche: R. Carbone, Elementi
di letteratura su alcuni inediti pascoliani, in «Rivista Pascoliana», 1, 1989, pp. 121-39.
15
G. Pascoli, La Befana. Racconto inedito «per ragazzi e per grandi», a cura di N.
Ebani, Verona, Fiorini, 1989 (poi in G. Pascoli, La Befana e altri racconti, a cura di G.
Capecchi, Roma, Salerno, 1998, prima che nel complessivo volume di Prose disperse).
16
M. Tartari Chersoni, Il ritorno: prolusione di G. Pascoli al corso bolognese di
grammatica latina e greca (1896), in «Filologia e critica», a. XI, fasc. II, maggio-agosto
1986, pp. 245-62.
17
I tre scritti danteschi (due dei quali indirizzati al Flamini e uno rivolto al Parodi) sono stati pubblicati in G. Capecchi, Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli (con
appendice di inediti), Introduzione di M. Biondi, Ravenna, Longo editore, 1997, pp.
145-83.
18
Cfr. G. Capecchi, Pascoli inedito e noto: “Scartabelli di Nebulone scrittor di Ro-
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2. Un ideale itinerario attraverso le prose disperse di Pascoli prende
necessariamente le mosse da questo esercizio scolastico, scritto in bella
e ordinata grafia e contenuto in un fascicoletto liceale del 1872. Pascoli si trovava a Rimini per frequentare l’ultimo anno di liceo. In quegli stessi mesi la cittadina romagnola accoglieva i primi incontri repubblicani e internazionalisti: sotto la guida di Cafiero, nasceva proprio
a Rimini, nell’agosto del 1872, il movimento anarchico organizzato. Si
faceva un gran parlare, in Romagna, di anarchia, di internazionalismo,
di comunismo, e il giovane Pascoli, nella compilazione dell’esercizio
scolastico, non restava immune da questi dibattiti che giungevano
anche alle sue attente orecchie. Nebulone è un personaggio inventato
che rappresenta comunque una ben precisa tipologia di intellettuale:
scrittore attaccato al denaro più che alla letteratura, adulatore dei potenti ma anche del popolo che gli garantisce il successo, abile a scrivere
e a parlare anche senza riflettere (è anzi «il primo che mentre tenevasi
non potersi parlare e scrivere senza pensare, abbia dimostrato che si
può e si deve»)19, romanziere prolisso e soporifero (le sue pagine riescono a far dormire più dell’oppio e del papavero), assume, in politica, atteggiamenti oscillanti, nonostante tenda a proclamarsi comunista e internazionalista: «Dai suoi scritti difficilmente sapresti argomentare quali opinioni abbia in quanto alla politica però che tutte le
forme di governo, e tutti i fatti che appartengano a ciò, vi sono biasimati, o pure lodati. Ma generalmente si professa comunista e internazionalista e afferma gli averi dovere essere uguali di tutti, e non esservi
titoli né distinzioni di sorte. Osservasi però che essendosi ora strabocchevolmente arricchito, non vorrebbe far parte de’ suoi averi a nessuno: che in tempo di carestia serra i granai e che intanto briga per un
titolo di nobiltà». Le pagine dedicate a Nebulone, rammentate in varie
biografie e in saggi pascoliani20 e brevemente citate dallo Schienetti che
manzi”, in «Filologia e critica», a. XXVII, fasc. III, settembre-dicembre 2002, pp. 430435.
19
Tutte le citazioni che non sono accompagnate da una nota con il rinvio bibliografico sono tratte dal volume G. Pascoli, Prose disperse, a cura di G. Capecchi, Lanciano, Carabba, 2004.
20
Le pagine su Nebulone sono state ricordate, tra gli altri, da Guido Capovilla
(G. Capovilla, La formazione del Pascoli a Bologna, cit., pp. 33-34), da Cesare Garboli
(C. Garboli, Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli, Torino, Einaudi, 19902, p. 14)
e da Nadia Ebani (N. Ebani, Nota bio-bibliografica, in G. Pascoli, Primi poemetti, a
cura di N. Ebani, Milano, Fondazione Pietro Bembo/Ugo Guanda Editore, 1997, p.
XXXV).
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le faceva erroneamente risalire agli anni 1877-1879, devono naturalmente essere prese per quello che sono: un esercizio scolastico del Pascoli diciassettenne. Eppure sembrano rappresentare una utile premessa per avvicinarsi ad altre prose di carattere satirico e polemico
composte da Pascoli negli anni universitari, anni che, attraverso gli articoli contro il pittore-scultore Leopoldo Bersani o attraverso il racconto Un grillo… di gioventù, rivelano un Pascoli difficilmente riconducibile alla diffusa iconografia del poeta delle piccole cose, degli affetti familiari, del “nido” distrutto e invano ricostruito.
Certamente il novennio universitario appare il più complesso per
una ricostruzione completa e puntuale del Pascoli prosatore (oltre che
del Pascoli poeta). Nonostante le ricerche effettuate in anni più o meno
recenti e le indagini tutt’ora in corso, sembra certo che qualcosa continui a mancare all’appello, non solo nel campo dell’inedito ma anche
e soprattutto in quello dell’edito. Troppo poco ancora sappiamo delle
collaborazioni pascoliane a giornali e giornaletti pressoché sconosciuti,
a fogli satirici e di propaganda politica sui quali, come attesta la stessa
Mariù citando tra l’altro «Il Martello» di Andrea Costa, lo studente
scriveva firmandosi con pseudonimi. Troppo poco, nonostante i significativi risultati che ha dato lo spoglio del giornaletto satirico e polemico intitolato «Colore del tempo» (apparso in sei numeri tra il 6 maggio 1876 – data di edizione del fascicolo sul quale Dioneo-Pascoli pubblica Fantasmagoria con il sottotitolo Ai lettori – e il 10 giugno dello
stesso anno)21 e del periodico pratese «I Ciompi» sul quale, sempre
con lo pseudonimo di Dioneo, apparivano, nel 1882, i raccontini Un
grillo... di gioventù e Giudicchio22.
Agli anni compresi tra il 1877 e il 1879 risale la maggior parte delle
così dette «carte Schinetti», autografi dai quali Pascoli si era separato
a Bologna depositandoli, insieme a tre fascicoli del periodo liceale,
presso la sorella di Severino Ferrari, Ottavia. Tornate in possesso di
Maria tra il 1891 e il 1912, descritte e in parte pubblicate da Pio Schinetti all’indomani della morte del poeta, studiate e schedate da Guido
Capovilla in anni più recenti23, queste «carte» ci consentono di pren21
Cfr. E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: «Colore del tempo», in «Rivista Pascoliana», 5, 1993, pp. 93-119.
22
Cfr. E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: «Un grillo... di gioventù», in «Rivista Pascoliana», 7, 1995, pp.269-75; Id., Pascoli edito e ignoto: «Giudicchio», in «Rivista Pascoliana», 10, 1998, pp. 175-80.
23
Cfr. G. Capovilla, La formazione del Pascoli a Bologna, cit.; Id., Documenti della
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dere contatto non solo con gli albori della poesia pascoliana ma anche
con le prime forme di scrittura in prosa che sembra, in questi anni, seguire alcuni filoni non sempre facilmente conciliabili: quello della satira e dei motti arguti, già annunciato dallo scritto liceale del 1872 dedicato a Nebulone scrittor di romanzi e ripreso, subito dopo la laurea,
con i raccontini pubblicati su «I Ciompi» e, in modo particolare, con
Un grillo... di gioventù; quello, più serio e scolastico, del giovane allievo – e precoce biografo – di Carducci che, terminati gli anni delle
scorribande e della goliardia, torna agli studi componendo impegnativi
esercizi scolastici, tra i quali la prosa incompiuta Dell’invenzione nell’Or. Fur. Dubbi di Giovanni Pascoli che rivela tra l’altro l’ammirazione
del giovane Pascoli nei confronti della poesia ariostesca, «un poco
sgualcita» dalle indagini certosine di Pio Rajna; quello, infine, più intimo e riflessivo, del giovane che inizia a interrogarsi sull’essenza della
poesia, a progettare componimenti e raccolte, a scrivere pagine teoriche come quella intitolata Foglie gialle che preludono a ben più approfondite riflessioni di poetica.
Al primo gruppo di prose appartengono i due articoli, forse destinati alla «Gazzetta dell’Emilia», in cui lo studente appuntava i sui
strali polemici contro il pittore-scultore Leopoldo Bersani. Ammiccamento pruriginoso, sottile ironia, polemica corrosiva, stanno alla
base di queste due prose rimaste a lungo inedite. Nella prima, Pascoli
rievoca le prosperose etaire di Lesbo, immaginandole preda di «operai rubesti, nudi fino alla cintola», che lavorano in una fabbrica di
vetri: «Oh! Le fiorenti etaire di Lesbo io le ho rivedute fremebonde
negli spasimi delle loro passioni proibite: io le ho rivedute con le loro
bocche convulse, coi loro petti fluttuanti, coi loro fianchi poderosi,
sebben sorretti, aizzati da una voluttà infame». Nella seconda, demolisce l’opera del Bersani, che forse avrebbe fatto meglio a fare l’imbianchino piuttosto che il pittore: «Badi il sig. B. che io non intendo
menomare i suoi meriti. Noi sappiamo che se egli si mette di proposito a dipingere una donna, specialmente se vestita, mai o quasi mai
noi ci s’inganna sul sesso della sua figura. E se copia dal nudo, il modello ch’era nel suo album, se la cava solo con qualche azzoppatura;
poetica giovanile del Pascoli, in AA.VV., Testi ed esegesi pascoliana, Atti del Convegno
di Studi pascoliani (San Mauro Pascoli, 23-24 maggio 1987), Bologna, CLUEB, 1988,
pp. 35-56. Dello stesso Capovilla si ricordino anche i volumi Fra le carte di Castelvecchio. Studi pascoliani, Modena, Mucchi, 1989 e Pascoli, Bari, Laterza, 2000.
56
VOCI DAL NIDO INFRANTO
e all’infuori poi di un occhio losco e d’una mammella iperbolicamente
gonfia, il suo corpo, se non proprio il suo, può benissimo somigliarsi
al corpo di qualche altro. Veda il signor B. che noi siamo imparziali.
Noi non ce la pigliamo con lei: che colpa ne ha lei se non ha avuto
molta disposizione per l’arte del pittore e moltissima invece pel mestiero dell’imbianchino […]?».
Agli stessi anni dei due articoli dedicati a Leopoldo Bersani risale
anche la pagina intitolata Foglie gialle, vera e propria dichiarazione di
poetica – e per questo più volte al centro dell’attenzione della critica –
in cui possiamo ritrovare, al loro primo sorgere, alcuni spunti teorici
che verranno in seguito recuperati e approfonditi: la sovratemporalità
come qualità primaria della poesia («Tutte le poesie hanno un legame
tra loro») e la concezione del poeta come enfant du siècle che si distacca dal presente e dal contingente per attingere ad una sensitività
primigenia («È l’enfant du siècle che si è perduto nella notte dei secoli»)24. Questa pagina si ricollega strettamente non solo alle riflessioni
di poetica che Pascoli avrebbe sviluppato negli anni successivi con Il
fanciullino e in appunti sparsi25, ma anche alle pagine che nel 1887 scriveva come prefazione alle traduzioni da Alfredo de Musset fatte dall’amico Pilade Mascelli. Quel distacco dalla poesia sentimentale e romantica incarnato, nella pagina di Foglie gialle, dall’opera di Lorenzo
Stecchetti, si precisa ulteriormente a contatto con le poesie del de Musset un tempo amate, preannunciando un orientamento che si radicherà
e si preciserà nel Pascoli maturo: «Certi miei amori giovanili per certa
poesia francese, e specialmente per quella del de Musset hanno dato
giù presto, e non hanno lasciato di sé nemmeno quel sentore che il vino
lascia nel doglio e l’amata nel cuore. Nella poesia del de Musset a me
dà noia ora quello che ai più ancora e allora anche a me piaceva mag24
«Non è ancora l’immagine del fanciullo [...] bensì quella dell’enfant du siècle,
che Pascoli recupera dal noto romanzo del de Musset ribaltandone la funzione rappresentativa mediante una sorta di calembour («perduto nella notte dei secoli») allo
scopo di significare che vero poeta è chi, indifferente alle sollecitazioni tematiche contingenti (il mal du siècle, il malessere esistenziale alla moda), attinge una sensitività primigenia, ponendosi in sintonia con gli echi di un passato remotissimo e con quelli di
una antichità meno lontana» (cfr. G. Capovilla, Documenti della poetica giovanile del
Pascoli, cit., p. 39).
25
M. Perugi, Elementi di letteratura di Giovanni Pascoli, cit.; Id., Fra Dante e Sully:
elementi di estetica pascoliana, in Giovanni Pascoli poesia e poetica, Atti del convegno
di studi pascoliani (San Mauro 1-2-3 aprile 1982), Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 1984, pp. 383-410.
ATTRAVERSO LE PROSE DISPERSE
57
giormente: il sentimento». Se in Foglie gialle scriveva a proposito del
poeta: «Egli [...] si lascia trascinare fuori del presente: egli si trova tra
un sogno e una visione, tra il passato e l’avvenire» (e nel profilo biografico di Carducci, scritto tra il 1880 e il 1881, parlava del maestro
come di un poeta che racconta le visioni della fanciullezza maremmana
«con l’emozione serena degli antichi rapsodi»), nelle pagine del 1887
precisava: «Il presente, non c’è per il poeta. Da una parte egli sente
l’eco degli anni che furono, dall’altra il brulichio di quelli ancor non
nati: tutto il resto è silenzio. La poesia o racconta o indovina, o conserva o crea, o è degli Aedi o dei Vati».
Ripresi gli studi con maggiore attenzione, tra il 1880 e il 1881 Pascoli componeva per il maestro Carducci, che in questi anni aiutava a
copiare e tradurre antichi testi francesi26, alcuni esercizi per la scuola
di magistero: il Volgarizzamento dal principio della Batracomiomachia
preceduto da un Proemio in cui venivano tracciati, a grandi linee, i criteri seguiti dal traduttore27; «un lavoro sulla poesia e sulla prosa, e sui
poeti e prosatori italiani dal ’200 in su»28 andato in gran parte disperso
(e Maria, sottolineando il suo ruolo di gelosa e fedele vestale, insisteva
nelle sue Memorie su questa perdita: «Peccato! Quante cose disperse
in quegli anni in cui non aveva chi gli tenesse raccolte le cose sue»29);
infine, lo scritto Dell’invenzione nell’Orl. Fur. Dubbi di Giovanni Pascoli nato dal confronto con il monumentale studio dato alle stampe nel
1876 da Pio Rajna e autentica miniera di precetti e principi dai quali
occorre partire per una analisi del Pascoli poeta (teorizzatore, fin da
questa esercitazione, della necessità di «fecondarsi» attraverso il contatto con autori di tutti i luoghi e di tutti i tempi) e, soprattutto, critico.
L’attrazione manifestata per chi si paragona ad un «agente di pubblica
sicurezza»30 capace di cogliere, da pochi indizi, fonti indubitabili, non
può non far pensare al critico che, di fronte ai testi di Leopardi, Man26
Pascoli ricorda le giornate trascorse nello studio del maestro in una breve nota
scritta in occasione della morte di Giuseppe Giocosa, raccolta ora in G. Pascoli, Prose
disperse, cit., p. 327.
27
Cfr. G. Capovilla, La formazione di Pascoli a Bologna, cit., p. 155; prima che dal
Capovilla, il Volgarizzamento era stato pubblicato in facsimile in G. Pascoli, Traduzioni
e riduzioni raccolte e riordinate da Maria, Bologna, Zanichelli, 1913 e, successivamente,
veniva inserito da Vicinelli in G. Pascoli, Traduzioni e riduzioni, Milano, Mondadori,
1948, pp. 1473-75 e 1781-82.
28
M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, cit., p. 108.
29
Ibidem.
30
P. Rajna, Le fonti dell’Orlando furioso. Ricerche e studii, 1876, p. 195.
58
VOCI DAL NIDO INFRANTO
zoni e Dante, stabilisce nessi e corrispondenze finissime e individua
«fonti prime» che in precedenza erano sfuggite agli studiosi. E se il
tono polemico assunto nei confronti di Francesco D’Ovidio e delle sue
«lascivie retoriche»31 sembra anticipare i duelli ingaggiati, negli anni
successivi, dall’esegeta di Dante pronto a difendere gli studi dedicati
alla Commedia dalle accuse della critica ufficiale, il tentativo di stabilire un rapporto tra l’Orlando furioso e le poetiche del tempo (prima fra
tutte quella aristotelica) rimanda all’atteggiamento del futuro autore
della Minerva oscura che setaccia i testi dei padri della chiesa alla ricerca di pensieri che rafforzino la propria teoria. L’analisi delle corrispondenze tra le affermazioni contenute nell’esercitazione universitaria e gli atteggiamenti del futuro critico, non deve tuttavia far pensare
a un Pascoli che, partendo da una formazione positivista, rimane fedele
ai presupposti di questa scuola. Se l’indagine delle fonti portata avanti
dal Rajna era sostenuta da criteri scientifici, il soggettivismo resta l’elemento fondamentale delle letture critiche pascoliane: di fronte ai testi
letterari analizzati, il poeta è come un fanciullino che rimane stupito
per ogni più piccolo particolare, si chiede i perché di tutte le cose e
mette in relazione, con un incredibile equilibrismo critico, le varie parti
e i diversi episodi. Le circa duemila pagine di esegesi dantesca risultano
esemplari per comprendere quanto pascoliani diventino gli autori con
i quali il poeta di Castelvecchio intrattiene un lungo e approfondito
colloquio: un testo come la Divina Commedia diviene occasione per ripensare alla propria poetica e alla propria esistenza seguendo le tappe
del viaggio dantesco, tanto che alla fine coloro che superino l’ostico
impatto rappresentato dai volumi di esegesi dantesca, dalla Minerva
oscura alla Prolusione al Paradiso, si trovano di fronte alla Commedia di
Pascoli più che a quella di Dante. Pur rappresentando un debito nei
confronti della formazione positivista, l’individuazione delle «fonti
prime» (il Contra Faustum di Sant’Agostino per la Commedia dantesca32, la virgiliana ultima notte di Ilio per la notte degli imbrogli e dei
sotterfugi dei Promessi sposi 33, l’Anti-Lucretius del cardinale Melchior
31
Cfr. A. Andreoli, Pascoli-Dioneo fra carte e libri di Castelvecchio, cit., p. 370. Per
quanto riguarda i rapporti con il D’Ovidio cfr., in questo stesso volume, il capitolo Il
rapporto tra Giovanni Pascoli e Francesco D’Ovidio attraverso lettere inedite.
32
G. Pascoli, Sotto il velame, Messina, Muglia, 1900, pp. 427-46.
33
Id., Eco di una notte mitica, in Prose, I, cit., pp. 124-37. Per quanto riguarda i
rapporti di Pascoli con Manzoni cfr. anche M. Pazzaglia, Pascoli lettore dei “Promessi
sposi”, in «Rivista Pascoliana», 1, 1989, pp. 75-93.
ATTRAVERSO LE PROSE DISPERSE
59
de Polignac per l’immagine, presente in Leopardi e in Manzoni, del
malato che si rigira nel letto senza riuscire a trovare una posizione che
faccia cessare il dolore e favorisca il sonno ristoratore)34 finisce per assumere in Pascoli il carattere di uno stratagemma, più o meno consapevole, che consente di imboccare un sentiero autonomo e non battuto
dalla critica ufficiale.
Pascoli reinterpreta gli autori letti in base alla propria sensibilità,
evidenzia le note e i caratteri più vicini al proprio gusto e non di rado
si sovrappone a questi, svuotandoli della loro sostanza e riempiendoli
di sé. Il novennio universitario durante il quale lo studente, come il
fanciullo Dante, si è perso nella selva oscura della vita, si conclude con
la redazione della tesi di laurea dedicata ad Alceo e discussa il 17 giugno 1882 con Pelliccioni, Gandino e Carducci che, nelle contemporanee Primavere elleniche, celebrava Alceo «dal plettro d’oro». Il congedo dal maestro e dall’Università non potrebbe essere più significativo: la tesi, letta non come una prova fallita di analisi filologica ed estetica35 ma come «il manufatto fragile e sperimentale e provvisorio d’un
misterioso cantiere ove comincia a fiorire segretamente un mondo fantastico d’eccezione, a delinearsi una nuova poetica»36, preannuncia per
molti aspetti il poeta futuro che guarda e descrive con stupore Lesbo,
la più musicale di tutte le isole, e si sofferma a parlare di Pittaco capace
di ascoltare la voce dei fanciulli e di sostenere – come il Pascoli della
prosa scritta nel 1904 per Nunzio Nasi – che «Il perdono è meglio della
vendetta». Tracce del futuro poeta si hanno quando ci troviamo di
fronte alla ricostruzione «poetica e quasi mitica della storia»37, quando
viene sottolineata la dolcezza dell’amore maschile per Lico ma anche
di quello femminile per Saffo, quando, a conclusione del lavoro universitario, vengono citati, dell’inno ad Apollo, i versi in cui, con note
che vorremmo definire pascoliane, Alceo descrive l’estate: «Ed è
l’estate, l’estate alla sua metà, quando egli viene; l’estate lampeggia:
vibra la lira; gorgheggiano i rosignuoli e stridono le rondini e grac-
34
G. Pascoli, Una fonte del Leopardi, ne «La Nuova Squilla», a. I, n. 3, 1° febbraio
1895, pp. 3-4 (poi in parte rifuso nel discorso Il Sabato, letto a Firenze il 7 marzo 1896,
ora in Prose, I, cit., pp. 57-85).
35
M. Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, 1965, p. 198.
36
G. Caputo, “Alceo” o le scaturigini della poetica pascoliana, in G. Pascoli, Alceo.
Tesi per la laurea, cit., p. 15.
37
A. Vicinelli, La inedita tesi di laurea di Giovanni Pascoli, in «L’osservatore politico letterario», a. VIII, n. 4, aprile 1962, pp. 11-12.
60
VOCI DAL NIDO INFRANTO
chiano le cicale, e non di ciò che loro succede tra gli uomini, ma cantano tanti canti divini».
3. Il conseguimento della laurea segna, nella biografia pascoliana, un
momento di svolta. Terminato il periodo della goliardia e della libertà
da ogni vincolo familiare, Pascoli deve tornare a pensare alle due sorelle a lungo dimenticate. Nei primi giorni di luglio del 1882, si reca a
Sogliano per rivedere Ida e Maria e questo viaggio rappresenta per lui
un ritorno alle proprie responsabilità, come testimoniano anche le poesie famigliari scritte in quei giorni. Prima di adempiere alla promessa,
fatta alle sorelle ma, soprattutto, alla madre morta, di ricomporre il disperso “nido” familiare, ha però la possibilità di tornare per alcune settimane a Bologna dove può indossare, per poco e comunque per l’ultima volta, i panni sgualciti del giovane irrequieto giocoso e burlesco:
sotto lo pseudomimo di Dioneo, scrive e pubblica su un foglio periodico stampato a Prato e intitolato «I Ciompi», due brevi racconti, Un
grillo... di gioventù e Giudicchio. Bozzetto religioso, che aprono la serie
dei testi narrativi pascoliani. Un grillo… di gioventù suona come una
beffa «in oblio dei ricordi famigliari opprimenti e cimiteriali»38: il tono
goliardico e scherzoso, gli indugi ammiccanti sul piede di Lisetta («era
alta e slanciata sicché un piede, quello, sì, piccino, e bianco e grassoccio, penzolava fuori dalle coltri»), il carattere pruriginoso di alcuni
passi («Ché Lisetta, ogni sera, voleva fare un pensare, e goderselo pian
pianino in tutte le sue particolarità; ma il grillo tirava via e la disturbava») e il finale solo apparentemente innocente («Il fatto sta, che da
quel giorno, o da quella notte, Lisetta s’era comprata un uccellino canterino, e lo tiene molto caro, tanto dolcemente egli canta nella sua gabbia») ne fanno, allo stato attuale delle ricerche intorno al prosatore, un
testo isolato, avvicinabile solamente alla sottile satira e agli ammiccamenti del primo scritto dedicato al pittore-scultore Leopoldo Bersani
e profondamente diverso anche dal racconto Giudicchio, apparso a
pochi mesi di distanza sullo stesso periodico «I Ciompi», bozzetto religioso che ha come protagonista un bambino ebreo, rimasto orfano e
convertito dai frati del convento di S. Agostino. In questo racconto,
Pascoli prende le distanze dalla religiosità dogmatica che porta i frati
a separare per l’eternità il piccolo convertito (che andrà in Paradiso)
38
E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: Un grillo... di gioventù, in «Rivista pascoliana», 7 (1995), p. 273.
ATTRAVERSO LE PROSE DISPERSE
61
dalla madre ebrea (alla quale sono riservate le fiamme dell’Inferno).
«La nostra religione comincia dall’amore», avrebbe detto Pascoli in
uno dei pensieri attinti dal tesoro di Castelvecchio e pubblicati da Maria
su «Il Marzocco» all’indomani della morte del fratello. Il mondo dell’aldilà è il luogo «dove le madri aspettano i figli»: questo è ciò che il
frate guardiano, commosso di fronte alla tristezza del bimbo morente,
assicura a Giudicchio («Sta’ tranquillo, Giudicchio; metti il cuore in
pace, figliuolo; va’ pure lassù senza piangere. La tua mamma, ce la troverai […]. Come vuoi, che il paradiso sia bello, se uno non vi trova la
sua mamma?»); ma questa è anche la speranza di Pascoli, costantemente teso alla ricomposizione del “nido” e animato dalla speranza
che questa ricomposizione possa avvenire, compiutamente, solo dopo
la morte, quando la famiglia dispersa tornerà a riunirsi intorno al focolare domestico e la madre prenderà ancora sulle ginocchia i suoi figli.
Se Un grillo… di gioventù rappresenta l’ultimo estremo tentativo di
scrollarsi di dosso le responsabilità familiari, Giudicchio è già il racconto scritto da chi ha fatto della ricostruzione del “nido” la missione
della propria vita. Compiuto un passo ulteriore su questa strada, Pascoli detta alle sorelle, nell’estate del 1884, la novellina Le due fanciulle,
vera e propria parabola (con tanto di rivisitazione del Salmo 83) del
suo vangelo familiare. Il poeta è ormai pronto ad accogliere nella sua
casa, tra il profumo degli aranci di Massa, le due colombelle spaurite
alle quali, il 21 settembre di quello stesso anno, scriveva tra l’altro: «Voi
sarete con me ben presto. Voi fate bene a dirmelo che non vedete l’ora
e il momento! Anch’io sono impaziente […] Io ho il dovere d’essere il
vostro babbo; a dir meglio, ho il diritto di essere felice in voi con voi
per voi»39.
Nella biografia pascoliana, volendo definire delle periodizzazioni
utili per scandire le opere e i giorni del poeta, è possibile raggruppare
i fatti avvenuti nell’arco di tempo che dal 1884 arriva fino al 1894: questa periodizzazione, seguita da Garboli nella sua cronologia pascoliana40, corrisponde agli anni dell’insegnamento nei licei di Massa e di
Livorno, alla ricostruzione del “nido” con le sorelle Ida e Maria, ai
primi importanti riconoscimenti internazionali per il poeta in lingua
latina (nel 1892, con il poemetto Veianus, Pascoli vince la prima delle
tredici medaglie d’oro ai “Certamina hoeufftiana” di Amsterdam), alla
39
40
M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, cit., p. 203.
C. Garboli, Trenta poesia famigliari di Giovanni Pascoli, cit., pp. 5-6.
62
VOCI DAL NIDO INFRANTO
nascita delle Myricae e alle «visite sempre più irrinunciabili e imperiose, nella poesia pascoliana, del tema funebre e del colloquio con i
propri morti»41, all’ideazione delle prime antologie latine, Lyra e Epos,
e alla prima edizione di Lyra. Ma soprattutto questa periodizzazione ha
il merito di riunire gli anni che seguono una stagione (quella universitaria e immediatamente post-universitaria) e che precedono l’anno terribile della biografia pascoliana, il 1895, quando la compattezza dell’universo familiare, faticosamente ricostruita, tornerà a infrangersi a
causa del matrimonio di Ida. Prima di quella data, Pascoli, appagato
dalla pienezza delle gioie domestiche ma anche assorbito dai molti impegni lavorativi (lezioni a scuola e ripetizioni pomeridiane), affianca
alla costruzione dell’edificio myricaeo la stesura di alcune prose significative: oltre alla già ricordata prefazione per le traduzioni da de Musset fatte dall’amico Pilade Mascelli, scrive infatti la recensione al volume Carlo Alberto. Canti di Amilcare Finali e Una fonte del Leopardi,
poi parzialmente riutilizzata nel discorso del 1896 dedicato a Il Sabato.
Il confronto con il testo letterario analizzato consente a Pascoli di precisare la propria posizione poetica e umana. L’itinerario attraverso le
prose disperse, dagli scritti giovanili come Dell’invenzione nell’Orl. Fur.
fino al testo della recensione al Poema autobiografico di Garibaldi del
1910, è segnato da numerose tappe corrispondenti ad altrettante riflessioni estetiche ed esistenziali. Se, confrontandosi con i testi di Alfred de Musset, era stato possibile ribadire il proprio distacco dalla
poesia romantica e sentimentale e, in Una fonte del Leopardi, apparso
su «La Nuova Squilla» di Livorno il 1° febbraio 1895 (siamo già nell’anno del matrimonio di Ida, ma il naufragio del “nido” è ancora lontano nei giorni di stesura di queste pagine), anticipando un approccio
critico che caratterizzerà il futuro esegeta di Dante, evidenziava il legame tra un’opera e tutta la tradizione letteraria che l’ha preceduta (il
poeta inventa nel senso etimologico della parola e si feconda a contatto
con i testi degli altri autori), recensendo nel 1892 il volume Carlo Alberto. Canti scritto dal fratello di Gaspare Finali42, si presentava a Pascoli l’occasione per tornare a riflettere sulla propria arte e sul carattere
41
Ivi, p. 62.
La recensione, raccolta nel volume di Prose disperse, è stata pubblicata solamente postuma su «Il Resto del Carlino» del 12 ottobre 1913. Per quanto riguarda i rapporti tra Pascoli e Gaspare Finali cfr. Un epistolario dell’Ottocento. Le lettere di Gaspare Finali a Giovanni Pascoli (1892-1912), a cura di A. Cencetti, saggio introduttivo
di M. Biondi, Bologna, Editrice Compositori, 2008.
42
ATTRAVERSO LE PROSE DISPERSE
63
della poesia. La poesia si trova nelle piccole cose («Io credo che vi siano
cose e fatti poetici di per sé, come vi sono gemme e fiori; per questi
basta levare un po’ di scoria, non sciuparne o sperderne il colore e la
soave essenza, sopra tutto non aggiungere; e la poesia è fatta») e – come
ripeterà nelle pagine de Il fanciullino e negli Elementi di letteratura –
deve nascere da un atteggiamento di «maraviglia» di fronte a ciò che
ci circonda: «La maraviglia: ecco il segreto. Chi non ammira, cioè non
ama fino alla stupefazione, non faccia versi, poiché non farà con essi
poesia. Ed ecco anche perché il poeta vero assomiglia ai bambini a cui
tutto par nuovo in questo vecchio mondo. Il poeta è l’uomo che ammira; gli altri ragionano solamente, qualche volta».
Al termine del 1894, intanto, Pascoli ha concluso in fretta la sua
prima antologia, Lyra, dedicata alla poesia latina. La prefazione – come
del resto le pagine premesse alle altre antologie, latine e italiane – può
essere letta come una prosa autonoma e presenta alcuni ragionamenti
che, talvolta con le stesse parole, saranno ripresi da Pascoli in discorsi
e scritti successivi. Il poeta si confronta, per la prima volta pubblicamente, con il tema delle lingue morte, delle rovine ingrigite, delle letterature appartenenti ai secoli passati e a un mondo che non c’è più. La
prima immagine che nasce nella sua mente, è quella (ripresa nella prolusione bolognese Il ritorno) dell’esistenza umana immersa nella vita
dell’universo, fatta di nascita e morte. Come le foglie nuove sui rami di
un albero prendono il posto di quelle ingiallite, cadute e marcite al
suolo, allo stesso modo, sulla terra, si succedono le generazioni degli
uomini, e la morte non è meno necessaria della nascita per garantire la
vita dell’universo: «Due foglie dello stesso grande albero, a primavera,
l’una, fogliolina gommosa e tenera che spunta dalla gemma, l’altra, vicina a lei, foglia accartocciata e scabra che si stacca dal nodo, se pensassero di essere e avessero la coscienza di appartenere all’albero, forse
potrebbero sentire e pensare l’una di nascere e l’altra di morire? L’albero nasce e muore; gli uomini spuntano e si staccano, appariscono e
spariscono: foglie, anch’essi, che sentono però di vivere della linfa di
cui vissero le altre foglie che ingiallano, che marciscono, che si dissolverono a piedi dell’albero». Di fronte a coloro che considerano inutile
l’insegnamento degli autori classici e lo studio delle lingue morte, Pascoli proclama la necessità di dialogare con il passato: ripensare, riavere, rivivere il passato, consente di «annullare la morte», di rendere
duraturo ciò che altrimenti risulterebbe vittima del tempo, di far rifiorire, sulle grigie rovine del mondo che fu, «i ciuffi rossi delle bocche
di leone e i grappoli bianchi dello smilace».