Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione Il 30 giugno 2012
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Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione Il 30 giugno 2012
Italogramma, Vol. 5 (2012) http://italogramma.elte.hu Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione Il 30 giugno 2012, all’indirizzo http://hdl.handle.net/1807/32401, presso l’Archivio digitale della Biblioteca dell’Università di Toronto (University of Toronto Libraries, Research Repository, T-Space), un’équipe di studiosi guidata e coordinata da Olga Zorzi Pugliese, e formata da Lorenzo Bartoli, Filomena Calabrese, Adriana Grimaldi, Ian Martin, Laura Prelipcean e Antonio Ricci, al termine di un lavoro iniziato nel 1995, ha pubblicato la trascrizione integrale dei cinque manoscritti del Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, che contengono le diverse redazioni del testo precedenti quella definitiva, consegnata all’edizione a stampa apparsa a Venezia nel 1528. Si tratta di materiali di straordinaria importanza, che consentono al lettore di osservare, passo dopo passo, la parabola evolutiva del capolavoro di Castiglione, dai primi abbozzi alla stesura ne varietur. I manoscritti sono da tempo noti agli studiosi e agli specialisti, poiché varie indagini sono state sviluppate al proposito, a partire dalle ricognizioni fondamentali compiute da Ghino Ghinassi: L’ultimo revisore del «Cortegiano», «Studi di Filologia Italiana», 21 (1963), pp. 217-264; Fasi dell’elaborazione del «Cortegiano», «Studi di Filologia Italiana», 25 (1967), pp. 155196; Postille sull’elaborazione del «Cortegiano», «Studi e problemi di critica testuale», 3 (1971), pp. 171-178 (poi raccolti nel suo volume Dal Belcalzer a Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul «Cortegiano», a cura di P. Bongrani, Firenze, Olschki, 2006). Più recentemente, in particolare, la genesi del Cortegiano, dal punto di vista della critica delle varianti e della filologia d’autore, è stata oggetto di tre monografie, che costituiscono la premessa (nel merito) e la legittimazione (nel metodo) di questa edizione: A. Quondam, «Questo povero Cortegiano». Castiglione, il Libro, la Storia, Roma, Bulzoni, 2000; U. Motta, Castiglione e il mito di Urbino. Studi sulla elaborazione del «Cortegiano», Milano, Vita e Pensiero, 2003; O. Zorzi Pugliese, Castiglione’s «The Book of the Courtier» (‘Il Libro del Cortegiano’): A Classic in the Making, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008. Da tali indagini sono emerse le potenzialità di rivelazione insite nei manoscritti del Cortegiano, i quali rispecchiano, dentro un processo correttorio durato oltre quindici anni, l’elaborazione complessa e tortuosa dell’opera, e il faticoso emergere della volontà autoriale, sicché la loro collazione consente di interrogare le varie e mutevoli logiche governanti, nel tempo e nello spazio, la scrittura di Castiglione. In simile chiave, la presente pubblicazione restituisce l’opera come emerge dal remoto stadio dei più antichi appunti, e, di testimone in testimone, ne verifica lo sviluppo diacronico fino alle ultime postille e integrazioni, apportate poco prima della stampa. Simili materiali non potranno che innescare una sensibile svolta nella riflessione critica sul dialogo di Castiglione, meglio (e più facilmente) consentendo di rinvenire gli ideali stilistici e morali progressivamente perseguiti, e di osservare – al rallentatore – l’intricata vicenda della progettazione e della scrittura del testo. Il primo ms. qui riprodotto (pp. 12-111), nella trascrizione firmata da Olga Zorzi Pugliese, è il cosiddetto cod. A, conservato a Mantova nell’Archivio Privato della famiglia Castiglioni (segnatura II.3.b), fino ad ora, pressoché sconosciuto alla maggior parte degli studiosi (con pochissime eccezioni nell’arco di un secolo: V. Cian, G. Ghinassi, G. La Rocca, A. Quondam). Si tratta di una primissima stesura autografa, databile tra il 1508 e il 1513, che contiene – a grandi linee e in modo frammentario – motivi poi distribuiti e sviluppati nei quattro libri dell’opera. Sono qui già tracciati (forse in occasioni e momenti diversi), in particolare, i temi del I e II libro relativi alla formazione del «corteggiano», attraverso il fittizio racconto di «alcuni ragionamenti». Ai ff. 76r-79v (pp. 76-81), inoltre, A presenta disomogenee considerazioni su «quanto splendor diano le donne al mondo» e sul loro contributo al «vivere morale», che costituiscono lo spunto di partenza del futuro III libro, mentre nel tratto finale il cod. abbozza la riflessione sulla funzione operativa della cortigiania (f. 90v, a p. 91: «Voglio adonche che ’l nostro corteggiano indrizi tutti li suoi pensieri a formare et istituire el suo principe») e sulle finalità precipue dell’azione politica (nonché sulla necessità di difendere «el principe da quella mortal peste che regna ne le corti, che è l’adulatione», f. 96r, a p. 102), tre argomenti che a lungo avrebbero appassionato Castiglione negli anni seguenti. Segue (pp. 112-247) la trascrizione – a cura di O. Zorzi Pugliese, A. Ricci e I. Martin – del ms. Vat. Lat. 8204 (il cosiddetto cod. B): testimone parziale della prima redazione dell’opera, esso fu allestito in bella copia da un amanuense (B’), intorno al 1514-15, sotto la vigilia dell’autore, dal quale fu poi riveduto e corretto nei margini e nell’interlinea (B’’). Nell’edizione a B vengono restituiti 47 ff. ad esso in origine appartenenti, ma poi, accidentalmente, finiti in A. A quest’altezza cronologica l’opera principiava evocando, nel proemio, temi tipici della letteratura classica e umanistica (le simmetriche articolazioni di micro e macrocosmo, i mirabilia della geologia, le mutazioni della storia), così che l’introduzione del motivo effettivo del dialogo (i saperi e i precetti della «corteggiania») era preceduta da pagine magniloquenti sulla «varietà» della «natura» e sulla mirabile «machina del mundo». Tuttavia il cuore dell’impresa era già messo a fuoco con grande lucidità, in questi termini: «La idea dunque di questo perfetto corteggiano formeremo al meglio che si potrà, accioché chi in questa mirerà, come buono arciero si sforzi di accostarsi al segno quanto l’occhio et il braccio suo gli comporterà, il che molto meglio potrà fare proponendosi un obietto che se non havesse la fantasia indrizzata ad alcuno terminato fine» (f. 11v, a p. 115); «Havendo io già più volte pensato meco onde nasca questa gratia, lasciando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regula universalissima quale mi pare valere circa questa in tutte le cose humane che si facciano o dicano più che niun’altra, et cioè fuggire quanto si può et come uno asperrimo et pericoloso scoglio, la affettatione, et – per dire una nuova parola, già però tra noi accettata in questo significato – usare in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte et dimostri ciò che si fa et dice venir fatto senza minima fatica et quasi senza pensargli» (ff. 55r-v, a p. 144). In B il testo si interrompe bruscamente al principio del IV libro (forse per casuale scomparsa o intenzionale rimozione delle cc. seguenti), poco oltre le battute introduttive riservate all’elogio della corte di Urbino e della coppia ducale, nel momento in cui gli interlocutori si accingono a riprendere le discussioni, per ragionare e disputare «delle donne». Alle pp. 248-508 compare la trascrizione del ms. C, Vat. Lat. 8205, approntata da O. Zorzi Pugliese e L. Bartoli: si tratta del testimone completo della prima redazione del Cortegiano, realizzato da due amanuensi tra la fine del 1515 e il principio dell’anno seguente (C’), e quindi sottoposto a fittissimi e radicali interventi (1518-’20) da parte dell’autore e di altre mani (tra cui in un caso, forse, quella di Pietro Bembo), che, mutando nell’intimo la sostanza dell’opera, desunsero dalla prima la seconda redazione del testo. Come Ghinassi e altri hanno sostenuto, C rappresenta e riflette il momento di passaggio fondamentale nella storia del Cortegiano, quando – a partire dal giugno del 1516, in un periodo di laboriosa tranquillità, trascorso a Mantova, di rado interrotto dagli incarichi dei Gonzaga – correzione dopo correzione Castiglione giunse a mutare radicalmente la fisionomia del testo: la prima redazione (C’), con un’adesione ingenua ed entusiastica alla vita di corte, identificava un tirocinio politico-morale idoneo a chi avesse voluto vivere nei palazzi dei principi senza avvilirsi al ruolo di mero esecutore o piaggiatore professionale; con C’’ subentrava una diversa e più profonda coscienza della situazione storica, di respiro finalmente europeo, per cui il compito dell’uomo di corte era profilato con un impegno etico nuovo. Il ms. consiste di 326 ff., ma tra 296 e 297, mentre è in corso l’analisi della natura specifica del fascino femminile e, quindi, dei rapporti tra «bontà intrinsecha» e «bellezza estrinsecha» (cfr. p. 487), occorre una lacuna (già rilevata da Ghinassi): ipoteticamente relativa a una porzione di testo estratta dall’autore, ai fini di procedere a una monografica revisione. Il ms. D, Vat. Lat. 8206, è trascritto da O. Zorzi Pugliese, L. Prelipcean, F. Calabrese e A. Grimaldi, alle pp. 509-756. Opera di quattro copisti (D’), costituisce il punto d’arrivo della seconda redazione del Cortegiano, completata a Roma mediante un’ulteriore revisione d’autore (D’’), tra il 1520 e il 1521. Di questa, sulla base di C’’ e D, già Ghino Ghinassi aveva fornito una fondamentale edizione critica, apparsa nel 1968 (Firenze, Sansoni). In essa viene finalmente affrontata – nel I libro – la questione della lingua, se pure in termini assai diversi da quelli della versione definitiva; mentre il terzo e ultimo libro (qui alle pp. 648 e ss.) risulta sproporzionato e ancipite, diviso, dopo il proemio, in due tronconi, il primo sui rapporti tra il cortegiano e il principe («El fine adunque del perfetto corteggiano iudico io che debba essere lo instituire e far buono e virtuoso quel principe a chi serve e quasi polirlo et ornarlo de tutte quelle qualitati che a degno signore se convengono», f. 221r, a p. 654), il secondo sulla natura femminile e sulla fenomenologia amorosa («Per sapere se è ragionevole che el cortigiano habbia questa qualità in sé di portar tanta reverentia alle donne, bisogna chiarir se esse sono tali che lo meritino o no, et così questo ragionamento pur sarà al proposito delle conditioni del cortigiano», f. 267v, a p. 685). Il ms. Laur. Ashb. 409 (noto come L), quinto e ultimo testimone della storia interna del dialogo, fu terminato di copiare a Roma, nel 1524, da un amanuense (L’), e venne poi corretto dall’autore, in Spagna, tra il 1525 e il 1527 (L’’). Fu quindi spedito a Venezia per la stampa, tramite Bartolomeo Navagero (fratello del più noto Andrea, ambasciatore veneto a Madrid), nelle settimane precedenti il Sacco di Roma, perpetrato dai Lanzichenecchi e dalle truppe imperiali. Ma, prima che la pubblicazione fosse intrapresa, il ms. fu sottoposto a un’organica revisione di tipo linguistico, al fine di adeguare l’opera, secondo gli auspici dello scrivente, alle convenzioni fonomorfologiche invalse dopo la pubblicazione delle Prose di Bembo. L’attribuzione di tale rassettatura a Giovan Francesco Valier, argomentata da G. Ghinassi, trova conferma in una lettera del fattore di famiglia, Cristoforo Tirabosco, a Castiglione, del 21 novembre 1527. La scelta del correttore fu compiuta dagli amici dell’autore che, a Venezia, sovrintendevano all’edizione: tra cui Bembo, Ramusio, B. Navagero e Ludovico di Canossa, e non venne – a posteriori –sconfessata da Castiglione, da tempo in rapporti col Valier. Di questo ms., poiché costituisce, come è stato persuasivamente dimostrato, la fonte dell’edizione veneziana del 1528, non viene fornita la trascrizione, essendo parso sufficiente pubblicare una tavola con le principali cancellature introdotte dall’autore nel passaggio da L’ a L’’ (pp. 757-784). La scelta, sicuramente economica, meriterebbe forse di essere discussa, poiché la trascrizione completa di L’ avrebbe invece potuto rappresentare, in positivo, un prezioso termine di confronto, per valutare il progresso decisivo compiuto dal Libro tra il 1522 e il 1524, tramite smontaggio e rifacimento del III libro della II redazione. Ma ciò non è il caso che si faccia qui: preme, ora, piuttosto sottolineare i meriti del lavoro, difficile, gravoso e irto di ostacoli, compiuto da O. Zorzi Pugliese e dalla sua équipe, specialmente per la parte inerente la trascrizione di A, B e C, nel tentativo di decifrare, e restituire, anche le lezioni progressivamente accantonate e cancellate. Le trascrizioni sono ragionevolmente conservative, fatto salvo che per la normalizzazione delle maiuscole, dei segni diacritici e della punteggiatura (che, anzi, avrebbe forse potuto essere anche più intensiva, per guidare meglio il lettore tra i meandri della sintassi castiglionesca): l’assetto ortografico dei mss. è in genere conservato, a patto che le soluzioni dei copisti e dell’autore non compromettano drasticamente la comprensibilità del testo; gli errori evidenti degli amanuensi, invece, sono stati automaticamente corretti, mentre i passi cancellati sono stati riportati tra parentesi, in corpo minore. Che si sia optato per la restituzione dei singoli codici, e non per la predisposizione di un testo critico, con apparato genetico, di ciascuna delle tre redazioni, è un altro punto aperto alla riflessione: per la medesima ipotesi editoriale – pubblicare i mss. uno a uno – si è da tempo e in più occasioni pronunciato anche Amedeo Quondam, in antitesi alla più stringata soluzione prodotta da Ghinassi. Certo è che i cinque codd., nel complesso, presuppongono, nei passaggi intermedi da uno all’altro (e soprattutto tra C’ e C’’ e tra D’’ e L’), riassestamenti e rimaneggiamenti talmente radicali che non sarebbe stato (né mai sarà) possibile rubricare tutto quanto precede la forma definitiva in un apparato (genetico) in calce al testo ne varietur. Nella storia di Castiglione e della sua opera non esiste un solo Libro del Cortegiano: ne esistono per lo meno tre, quante sono le redazioni o ‘forme’ del dialogo, ciascuna delle quali con una propria preistoria, solo in parte documentata. Di stesura in stesura l’autore procedette dialogando con le sue fonti, vecchie e nuove, e con i contemporanei, alla ricerca di una distillazione delle proprie esperienze di vita e di cultura: a ogni passo, molti pezzi furono ridisposti sulla scacchiera, facendo confluire tasselli di vario conio ed estrazione a contorno e commento di alcuni temi centrali, spesso presenti fin dal primo abbozzo. Agli autori di questa pubblicazione va reso merito di avere messo a disposizione dei lettori, e degli studiosi, le tracce scrittorie lasciate dalla strenua e appassionata riflessione condotta da Castiglione, per mettere a fuoco, nel suo Libro, le chiavi di lettura che dessero senso e valore agli avvenimenti che più s’erano impressi nel suo cuore e nella sua fantasia. Uberto Motta Université de Fribourg