Schiavi Lez. 4 - Liceo Pacinotti
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Schiavi Lez. 4 - Liceo Pacinotti
Erano previsti anche premi in denaro per chi denunciava uno schiavo fuggitivo. Nei casi più gravi lo schiavo era condannato a morte. Per evitare pericolose solidarietà tra schiavi, la legislazione prevedeva inoltre che, in caso di uccisione del padrone da parte di uno di essi, venissero giustiziati anche gli innocenti (lo storico latino Tacito riferisce che, all’epoca di Nerone, l’uccisione di un padrone fu punita con una strage di quattrocento schiavi). Il supplizio più comune era la crocefissione, ma anche il rogo (la vittima, rivestita di una tunica imbevuta di pece, veniva bruciata viva) e la condanna alle fiere nel circo erano molto praticata. Nel corso dell’età imperiale, la legislazione si fece gradualmente più mite, grazie anche all’influenza del Cristianesimo (tutti gli uomini hanno uguale dignità agli occhi di Dio) e ad alcune correnti di pensiero – lo Stoicismo soprattutto – che sostenevano l’uguaglianza sostanziale di tutti gli uomini. Seneca (4 a.C.- 65 d.C., filosofo che educò Nerone), il principale rappresentante dello stoicismo nel mondo romano, attribuiva a tutti gli uomini, indipendentemente dalle condizioni sociali, pari dignità; in nessuno degli scrittori antichi si trova una condanna della schiavitù così chiara come in questo filosofo, la cui posizione rimane quasi isolata nel suo tempo. Ma nemmeno Seneca arriva a proporre l'abolizione della schiavitù, ciò che lo muove è un sentimento di pietà verso gli schiavi e di indignazione per il comportamento arrogante che hanno nei loro confronti tanti padroni. Nella celebre epistola 47 indirizzata Seneca affronta questo tema; fin dalle prime battute si capisce la sostanziale diversità di posizione rispetto a Catone e a Varrone: Ho saputo con gioia da persone che sono state da te , che tu vivi familiariter cum servis tuis; questo è degno della tua saggezza e dell'educazione che hai ricevuto. Ma qualcuno potrebbe obbiettare “Servi sunt”. Immo homines.”Servi sunt”. Immo contubernales. “Servi sunt”. Immo humiles amici. “Servi sunt”: Immo conservi, se rifletti sul fatto che la sorte ha uguale potere su di loro e su di noi.Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quale motivo, se non una consuetudine di grande superbia,ha disposto intorno al padrone che mangia uno stuolo di schiavi ritti in piedi?...Con la frusta viene punito ogni mormorio e neppure i rumori accidentali sfuggono alle vergate: un colpo di tosse, uno sternuto...Ma proprio questi schiavi erano pronti a farsi ammazzare per il padrone...Anche se parlavano durante i banchetti, tacevano sotto la tortura. Devi pensare, o Lucilio, che quello che tu chiami schiavo ha la tua stessa origine, fruisce dello stesso cielo, respira come te, come te vive, come te muore. Può capitare che lui diventi libero e tu schiavo...Quindi la sintesi del mio insegnamento è : comportati con chi ti è inferiore come vorresti si comportasse con te chi ti è superiore. Gli schiavi continuarono, però, a non godere dei diritti di una persona libera , ma il padrone non esercitava più su di loro un diritto assoluto di vita e di morte. Gaio nelle Institutiones descrive i nuovi principi che regolano il rapporto schiavi – padroni, grazie alle più eque disposizioni introdotte da Antonino Pio (Imperatore fra il 138 e il 161 d.C) Gli schiavi sono in potere dei loro padroni. Ma in questa epoca né ai cittadini romani, né ad alcun altro uomo che si trova sotto il dominio del popolo romano è consentito infierire sui propri schiavi oltre misura e senza causa contemplata dalle leggi; infatti, secondo l'editto dell'imperatore Antonino, chi senza motivo abbia ucciso un suo schiavo deve essere soggetto alla stessa pena di chi abbia ucciso uno schiavo altrui. Ma deve essere repressa anche l' eccessiva crudeltà dei padroni; l'imperatore infatti, consultato da alcuni governatori di province sul caso di quegli schiavi che si rifugiano nei templi sacri o presso le statue degli imperatori,ha ordinato che, qualora la crudeltà dei padroni sembri intollerabile,i padroni siano obbligati a vendere i loro schiavi. Ambedue questi provvedimenti rispondono a giustizia. Non dobbiamo, infatti, valerci del nostro diritto per fini deprecabili. Queste aperture di carattere umanitario non scalfivano, però, le fondamenta sulle quali si basava il sistema schiavistico. Lo stesso Antonino Pio, introducendo un'altra disposizione in cui invitava alla clemenza verso gli schiavi, affermava: Il potere del padrone sugli schiavi deve restare intatto e nessuno deve vedere diminuiti i propri diritti. ( Digesto, I, 6, 2) In età imperiale, inoltre, durante le inchieste giudiziarie era normale impiegare la tortura per estorcere la confessione a uno schiavo, prassi che era rigorosamente vietata nei confronti degli uomini liberi. In seguito l'imperatore Costantino(306-337) considertò omicidio l'uccisione di un servo. Digesto: importantissima raccolta di brani di giureconsulti romani che fa parte del Corpus Iuris Civilis ( Codice di diritto civile) fatto compilare dall'imperatore d'Oriente Giustiniano nella prima metà del Vi sec. d. C. CLASSIFICAZIONE E COMPITI DEGLI SCHIAVI Gli schiavi nella società romana venivano classificati in servi publici, cioè quelli appartenenti allo stato, e servi privati, cioè di proprietà di una famiglia. Se erano servi publici erano costretti a lavorare duramente nelle miniere , nelle cave e alla costruzione delle strade e delle opere pubbliche. Ma alcune categorie (privilegiate) potevano essere i banditori ( praecones), i messi statali (viatores), gli scrivani dei magistrati (scribae), i custodi dei templi (aeditui da aedes o aedis, is = tempio) I servi privati se lavoravano in campagna presso la fattoria (villa) del padrone costituivano la familia rustica. Nei primi secoli di vita della città, quando il loro numero era limitato, il lavoro nei campi era svolto anche dal pater e dai suoi figli . Se lavoravano in città e prestavano servizio nell’abitazione del padrone costituivano la familia urbana. Gli schiavi che vivevano in città godevano di maggiori privilegi, dal momento che i loro compiti erano meno gravosi, e non per nulla era assai temuta la minaccia di un trasferimento dalla familia urbana a quella rustica. Essi dipendevano direttamente dal padrone o, in sua assenza, da un liberto posto a capo di tutta l’amministrazione. A seconda delle attitudini essi svolgevano compiti diversi: Chi era tesoriere, chi contabile, chi amanuense, chi portalettere, chi si occupava della pulizia della casa, chi di quella della scuderia e dei cavalli. C’era chi di dedicava alla persona del padrone e della padrona e chi dei bambini; c’era, poi, il personale di cucina con cuochi e sotto cuochi, e ancora medici,chirurghi, barbieri, pasticcieri, camerieri, precettori, bibliotecari. La diversità dell’ufficio creava una distinzione fra schiavo e schiavo; è naturale che lo schiavo pagato più caro fosse trattato con maggior riguardo. I grandi capitalisti, oltre agli schiavi della famiglia rustica e urbana, tenevano degli schiavi per solo scopo di speculazione, prestandoli a pagamento a chi ne facesse richiesta. Uno di questi speculatori fu T.Pomponio Attico, come si rileva da varie lettere dell’epistolario di Cicerone. Ecco alcuni esempi di mansioni degli schiavi privati: • Grammaticus : insegnante della lingua madre e spesso del greco • Paedagogus : si occupava dell'istruzione dei figli del padrone stesso • Librarius : segretario • Amanuensis: copiava lettere o documenti • Bibliothecarius:curava la biblioteca