“La storia quando serve alla propaganda può benignamente venir

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“La storia quando serve alla propaganda può benignamente venir
“La storia quando serve alla propaganda
può benignamente venir falsata.”
Luigi Papo (alias Paolo de Franceschi) autore di molti testi sulla questione foibe pubblicati dalla casa
editrice fascista Settimo Sigillo, ex ufficiale della milizia fascista, responsabile di rastrellamenti, esecuzioni
sommarie e rappresaglie in Istria.
Foibe: io non scordo. Anche quest'anno ci viene riproposta la solita
retorica fascista sui cosiddetti “martiri delle foibe”, “vittime”, secondo
i neofascistelli fiorentini (e non) “di un odio cieco, massacrati perché
'colpevoli' di essere italiani e di non voler rinnegare la propria
italianità.” Ebbene, siamo davanti alla consueta opera di revisionismo
storico, propagandata dalla più becera destra nazionalistica, nonché da
una certa sinistra “moderata” e dalle alte cariche istituzionali, il cui
malcelato intento è quello di screditare la resistenza partigiana al
nazifascismo, incitare all'odio razziale contro gli slavi, riabilitare
personaggi responsabili delle più agghiaccianti atrocità perpetrate
durante il ventennio e negli anni seguenti. Tentare di ristabilire la
verità storica dei fatti demistificando la propaganda
neoirredentista riguardo alla vicenda delle foibe, è necessario per
porre le basi di una lotta consapevole ad ogni fascismo e ad ogni
nazionalismo, per fare sì che l'orrore di cui sono stati artefici non si
ripeta mai più. Per fare ciò bisogna contestualizzare l'episodio delle
foibe, partendo fin dalla costituzione dell'artificioso Stato italiano,
passando per l'italianizzazione forzata della popolazione slava
presente in Istria e Dalmazia, gli eccidi del ventennio e dell'immediato
dopoguerra. I fascisti del terzo millennio non dimenticano le foibe, ma
si scordano volentieri di citare la quantità di morti che costò la
“pacificazione” operata dai nazisti nei territori che “liberarono” dai
partigiani, le esecuzioni sommarie - tra gli altri - di oppositori politici
e slavi (loro sì per il solo fatto di essere slavi e non volere ad esempio
“italianizzare” il proprio nome), la deportazione nei campi nazisti e
nel campo di sterminio nazista della Risiera di San Sabba, situata non
a caso proprio a Trieste.
Il “problema” dei territori slavi presenti entro il confine italiano si
manifestò sin dopo il 1866: lo Stato italiano, incurante di tradizioni,
costumi, lingua e culture locali cominciò a imporre l'italianizzazione
forzata attraverso il sistema scolastico e burocratico del nuovo organo
statale. Nel corso della prima guerra mondiale e del dopoguerra si
posero le basi delle politiche poi messe in atto dal regime fascista: la
persecuzione, la discriminazione razziale e la criminalizzazione
degli slavi. I primi a teorizzare e mettere in pratica l'uso della “foiba”
per l'eliminazione dei nemici furono i nazionalisti italiani della zona
di Pisino: Fojba, infatti, è il nome del torrente che scorre sotto il
castello di Pisino in una voragine profonda vari metri. Il nome,
successivamente, è stato traslato per indicare tutte le cavità naturali
carsiche usate come fosse comuni.
Dopo la prima guerra mondiale l'Italia ottenne l'annessione del
Trentino Alto Adige, di Trieste, della Venezia Giulia e dell'Istria, ma
perse le sovranità sulla Dalmazia e su Fiume (Rijeka), poiché secondo
il censimento austriaco queste zone non erano a maggioranza italiana.
Col crollo dell'impero austro-ungarico il malessere economico intaccò
il delicato equilibrio etnico della Venezia Giulia, a cui si aggiunsero i
contrasti politici tra partiti operai e i nazionalisti italiani. La situazione
peggiorò con la nascita dei fasci di combattimento (23 marzo 1919).
Poco dopo l'amministrazione italiana, pur senza avviare una politica
apertamente anti-slava, gestì la situazione avviando la deportazione di
intellettuali, insegnanti e funzionari statali accusati di essere
“filoaustriaci” o “filoslavi”, su base prettamente razziale.
Dopo l'Impresa di Fiume di Gabriele D'Annunzio, nacque il 12
novembre 1920 lo “Stato Libero di Fiume” che, dopo una serie di
agitazioni e incidenti, fu annesso al Regno d'Italia nel 1924.
Il 13 luglio 1920, in risposta ad incidenti accaduti a Spalato (una serie
di agitazioni popolari contro gli italiani culminate con l'uccisione del
maresciallo Gulli), gruppi di nazionalisti e di fascisti diedero inizio ad
una “caccia allo slavo” che culminò con l'incendio della casa del
popolo degli sloveni (hotel Balkan) e la devastazione di svariati
simboli slavi. Subito dopo fu incendiata la casa del popolo di Pola,
quindi il comando militare della zona arrestò e sostituì i funzionari
slavi con quelli italiani, fece chiudere le scuole croate e soppresse il
giornale locale Hrvatski List. In questo clima di terrore, le vittime
delle violenze squadristiche (ebrei, zingari, slavi, oppositori al
regime) furono fatti sparire nelle foibe, orribile usanza
inaugurata, come ricordavamo prima, dai protofascisti italiani
qualche decennio prima.
La marcia su Roma (28 ottobre 1922) diede nuovo slancio al
colonialismo italiano: col Regio Decreto del 29 marzo 1923 i nomi dei
paesi, delle città e delle località geografiche vennero italianizzati
arbitrariamente. Stessa sorte toccò ai nomi e ai cognomi delle persone;
furono proibite le scritte slave persino sulle pietre tombali.
Negli anni successivi si susseguirono una serie di politiche razziste
volte ad italianizzare i territori a forte presenza slava: tra queste, nel
1931, i pignoramenti ai danni degli slavi della Venezia Giulia , con
l'acquisizione delle terre confiscate da parte dell'Ente per la rinascita
agraria delle “Tre Venezie”, creato ad hoc. Dal 1935 quest'Ente
distribuì le terre ai coloni italiani importati da zone agricole vicine.
Nel corso degli anni '30 si moltiplicarono le violenze contro quegli
sloveni che si ostinavano a voler rimanere legati alla propria lingua e
alle proprie tradizioni, assassinati a suon di olio di ricino e olio
motore.
Durante la seconda guerra mondiale (6 aprile 1941) i nazifascisti
iniziarono l'aggressione alla Jugoslavia, incontrando la strenua
resistenza popolare slava, che trovò in Tito un leader indiscusso. I
fascisti, intanto, aprirono campi di concentramento per slavi e diedero
vita ad una specifica struttura, l'Ispettorato Sociale di Pubblica
Sicurezza per la Venezia Giulia, volta a reprimere slavi e antifascisti.
Di questo corpo di polizia faceva parte la famigerata “banda Collotti”,
che si occupava di rastrellamenti, violenze carnali, torture e omicidi
mirati, e che gettava poi i cadaveri nelle foibe. Le testimonianze
dell'allora capo dell'Ispettorato instillano il dubbio che la pratica di
“infoibare” la persone sia stata propria piuttosto dell'Ispettorato
che non del movimento partigiano: in effetti, costui in seguito guidò
i ritrovamenti dei corpi nelle cavità “a colpo sicuro”, e molti di questi
riportavano i segni dei tipici strumenti di tortura adoperati dagli
aguzzini della P.S.
Questo per quanto riguarda la parte della storia faziosamente
“dimenticata” dalla storiografia fascistoide. Ma veniamo al dunque. In
genere, seppur impropriamente, parlando di foibe ci si riferisce a due
periodi storici ben distinti: il primo riguarda l'Istria e va dal 9
settembre al 13 ottobre 1943; il secondo va dal primo maggio alla
metà di giugno 1945 e riguarda le città di Trieste, Gorizia e
Fiume, quando questi territori furono conquistati e amministrati
per 45 giorni dalle truppe jugoslave.
Subito dopo l'8 settembre 1943 e l'armistizio firmato da Badoglio le
truppe partigiane dell' Esercito di Liberazione Jugoslavo presero
possesso di una parte del territorio istriano; negli insorti istriani si
ingenerò un profondo desiderio di vendetta fra tutti coloro che
avevano subito la violenza nazifascista, ed ebbero luogo i primi
episodi di infoibamento in Istria e Dalmazia. Dopo venti giorni i
nazifascisti ripresero il controllo su tutta l'Istria, e secondo i giornali
dell'epoca, l'”ordine” ricostituito costò la vita a 13.000 istriani,
nonché la distruzione di interi villaggi. Nel contempo i servizi segreti
nazisti, in collaborazione con quelli della R.S.I., iniziarono a creare
la mistificazione delle “foibe”, ossia i presunti massacri che
sarebbero stati perpetrati dai partigiani. In realtà dalle foibe istriane
furono riesumati circa 300 corpi, la cui morte potrebbe essere
attribuita a giustizia sommaria fatta dai partigiani nei confronti di
esponenti del regime fascista (ma si sospetta che tra questi molti
fossero vittime dei bombardamenti nazisti). La propaganda nazista
pubblicò un libello dal titolo “Ecco il conto!” in cui l'entità delle
uccisioni era stata palesemente esagerata con lo scopo di suscitare
orrore e terrore nella popolazione in modo da renderla ostile al
movimento partigiano. Da allora, per più di cinquant'anni la retorica
neofascista ci ha parlato di “migliaia di infoibati solo perché italiani,
vecchi, donne, bambini e perfino sacerdoti”, “infoibati ancora vivi” e
dopo “atroci torture”; non di rado s'è poi visto che le sedicenti
“vittime scampate alle sevizie titine” erano in realtà criminali di
guerra che descrivevano le cose che essi stessi avevano fatto ad
altri. Oltretutto, bisogna precisare che la maggior parte dei particolari
raccapriccianti che vengono riportati dalla “letteratura” sulle foibe
non trovano alcun riscontro nei verbali redatti dagli stessi fascisti
all'epoca dei fatti, così come vi sono molte testimonianze
contraddittorie che non approfondiremo in questa sede (vedi
bibliografia). La falsificazione diventa comprensibile se si pensa che
la documentazione fotografica dei recuperi dei corpi infoibati in Istria,
per la cui raccolta e diffusione furono incaricati degli esponenti della
X Mas, ebbe lo scopo esclusivo di utilizzare l'argomento foibe come
strumento di eliminazione etnico-politica dei partigiani.
Con l'avvicinarsi della sconfitta dei nazifascisti, la IV armata di Tito
entrò a Trieste e Gorizia, anticipando gli anglo-americani, il primo
maggio 1945. Questa situazione terminò il 9 giugno 1945, quando
Tito e il generale Alexander tratteggiarono una linea di demarcazione
(linea Morgan) che prevedeva due zone di occupazione per Trieste e
Gorizia, ovvero il Territorio Libero (sic) di Trieste: la zona A (l'
attuale provincia di Trieste) e la zona B (oggi in parte slovena e in
parte croata) sotto il controllo titino. Nell'immediato dopoguerra,
scomparvero da Trieste poco più di 500 persone, comprendendo in
questo numero i prigionieri di guerra (militari e guardia di finanza)
che morirono nei campi di lavoro, i collaborazionisti arrestati dai
partigiani che furono successivamente processati e condannati a morte
per crimini di guerra, le vittime di vendette personali e anche alcuni
esponenti antifascisti che si opponevano al nascente regime di Tito.
Tra questi, le donne furono poche, e nessun bambino. In proposito,
per dimostrare che anche i bambini furono gettati nelle foibe, viene
spesso citata una certa “relazione Chelleri”, che però non solo non si
trova da nessuna parte, ma lo stesso capitano Chelleri (facente parte
del CLN di Isola d'Istria) ha negato di avere scritto.
Tra gli infoibati oltre un quarto sono militari caduti in combattimento,
vi sono anche alcuni partigiani uccisi dai fascisti e 18 salme trovate
nell'abisso di Plutone, nei pressi di Basovizza. Questi ultimi avrebbero
dovuto essere condotti a Lubiana (infatti agli insorti triestini non fu
permesso di procedere all' “esecuzione sommaria” dei fascisti
responsabili di persecuzioni e violenze, come accadeva invece in tutto
il nord Italia dopo la Liberazione, bensì la procedura prevedeva un
processo popolare ed un ulteriore processo “regolare” per i condannati
a Lubiana) ma furono uccisi dai sedicenti partigiani della banda
Steffé, ovvero una banda di assassini capitanati da un ex membro
della X Mas infiltratisi tra i partigiani per screditarli agli occhi
della popolazione.
La cosiddetta “foiba di Basovizza”, monumento nazionale sul quale
vengono a rendere omaggio esponenti di quasi tutte le formazioni
politiche e delle autorità ufficiali, in realtà non ha mai contenuto
infoibati, o almeno, non sono mai stati trovati. Per calcolare il
numero degli “infoibati” infatti fu semplicemente rilevata la
profondità del pozzo minerario prima e dopo la strage, che differiva di
una trentina di metri. Lo spazio volumetrico, dunque, doveva
contenere circa duemila vittime. Questa fantasiosa ipotesi è rimasta
valida fino al 1954, quando venne svuotato il pozzo, arrivando ad una
profondità di 225 metri, senza che fosse rinvenuta traccia di resti
umani.
Nel dopoguerra i servizi segreti che avevano fatto riferimento alla
Decima collaborarono anche coi servizi segreti degli Alleati in
funzione anticomunista e una delle loro attività fu appunto continuare
a propagare la mitologia dei “migliaia di infoibati dai titini”,
propaganda che era funzionale anche per continuare a negare la tutela
della comunità slovena minoritaria del Friuli-Venezia Giulia.
Nonostante il numero delle vittime accertate delle foibe, stimato per
eccesso per includere possibili corpi mai riesumati, non arrivi a mille,
e nonostante la stragrande maggioranza fosse composta da militari
tedeschi o da criminali di guerra fascisti, da più di settant'anni la
destra ci bombarda con la sua propaganda sul presunto “genocidio
delle foibe”. Propaganda che ciclicamente riprende vigore, come in
occasione del dibattito sull'ammissione nell'UE di Slovenia e Croazia
e come in questo periodo di difficoltà della politica istituzionale e di
crisi economica, che i fascisti di tutte le risme cercano di utilizzare per
risvegliare sentimenti nazionalistici e razzisti, strumentali al
colonialismo economico italiano.
In quanto alle onoranze richieste per i “caduti delle foibe”
(commemorazioni, erezioni di monumenti e lapidi, intitolazioni di
vie), visti i ruoli impersonati dalla maggior parte degli “infoibati”, ci
rifiutiamo decisamente di onorare chi in vita ha tradito, ha spiato, ha
torturato e ha ucciso in nome del fascismo.
Bisogna rifiutare decisamente l'accostamento, che i vari “foibologi”
(molti dei quali fascisti della prima ora ma anche di oggi – senza
contare quelli che negano l'esistenza stessa dello sterminio nazista) ci
vorrebbero propinare: cioè che, se i nazisti hanno utilizzato la Risiera
di San Sabba come campo di sterminio, allo stesso modo i “titini”
hanno “infoibato italiani”, quindi i criminali stanno da entrambi le
parti e chiusa la questione. Come “loro” non scordano le foibe,
farebbero bene a non scordare che i nazisti avevano programmato lo
sterminio dei popoli da loro considerati “inferiori”, così come
l'eliminazione degli handicappati, degli omosessuali, dei vecchi
invalidi e dei partigiani; che quest'opera di genocidio veniva condotta
anche mediante eccidi di massa, stragi, rappresaglie contro ostaggi
innocenti e via di seguito. Nessun paragone può essere fatto con il
comportamento delle forze armate partigiane (italiane e jugoslave)
che non avevano tra le loro finalità né la pulizia etnica, né la purezza
della razza, né gli apparteneva la pratica della rappresaglia.
Se vi furono epurazioni di esponenti politici non fascisti (tra cui quelli
del CLN triestino, uccisi o deportati dai titini), vendette personali,
torture ed eccidi, questi sono da collocare nel contesto di una guerra in
cui l'annessionismo di Tito si scontrava con l'imperialismo italiano e
fascista, provocando tutti quegli orrori che sempre si accompagnano
alla costruzione e al consolidamento di uno Stato, qualsiasi esso sia.
Da questo punto di vista, il “maresciallo Tito” non ci ha insegnato
proprio niente, e non vediamo nulla di buono nel socialismo
autoritario titino. Ma questo non può diventare il pretesto per
infangare l'intero movimento di liberazione, la resistenza antifascista
italiana e slava, né per rilanciare il revanscismo tricolore nei confronti
degli slavi.
Attraverso il mito delle foibe e della “pulizia etnica” titina, destra e
sinistra di governo stanno cercando di equiparare chi ha combattuto
dalla parte dei campi di sterminio con chi è insorto, armi in pugno,
contro una dittatura brutale e un'occupazione militare feroce. Far
passare l'idea che fascisti e nazisti non erano poi peggiori di chi li
combatteva, abolire ogni differenza tra oppressi e oppressori,
smussare i contrasti, annegare antagonismi inconciliabili nella
poltiglia della riconciliazione nazionale, ecco il senso dell'operazione
foibe. Con lo screditamento della resistenza di ieri si vuole
affossare ogni tentativo di lottare oggi, contro vecchi e nuovi
padroni e, allo stesso tempo, rilanciare il dominio economico italiano
nei Balcani.
Da questo punto di vista, si tratta di un'operazione decisamente
democratica.
Bibliografia minima
Claudia Cernigoi, Operazione foibe fra storia e mito Edizioni Kappa Vu,2005, Udine
Fascismo e foibe. Ideologia e pratica della violenza nei Balcani , La Città del Sole , 2008
Alberto Buvoli Foibe e deportazioni - Per ristabilire la verità storica, (Quaderni della
resistenza, n. 10, Comitato Regionale dell'ANPI del Friuli - Venezia Giulia )
Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943 2003,
Udine, Kappa Vu, 2003
Siti internet
Pagina sulle foibe di Anarchopedia: http://ita.anarchopedia.org/index.php?
title=foibe&redirect=no
Operazione foibe di Claudia Cernigoi: http://www.cnj.it/foibeatrieste/
Foibe tra verità e mito: http://www.nuovaalabarda.org/dossier/foibe_mito.pdf
Foibe falso storico: http://digilander.libero.it/Trieste.Storia/FOIBE.index.html
Quando si cominciò a parlare di foibe: http://www.anpi.it/patria_2004/08-04/1718_VINCENTI.pdf
Intervista ad Alessandra Kersevan: http://senzasoste.it/anniversari/le-foibe-fra-mito-e-realtaintervista-ad-alessandra-kersevan