La piccola storia C`era una volta un piccolo bosco, tanto piccolo da

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La piccola storia C`era una volta un piccolo bosco, tanto piccolo da
La piccola storia
C’era una volta un piccolo bosco, tanto piccolo da stare in una mano. Al suo interno c’era tutto
quello che i suoi piccoli abitanti avrebbero potuto desiderare: cibo illimitato (gentilmente offerto
dalla prosperosa natura) e non una ma ben due locande. Una si chiamava Profondo blu e l’altra
Rosso passione.
Profondo blu, la piccola attività nella parte occidentale, la più fitta di quel rigoglioso quanto
incantevole boschetto, era gestita fin dai tempi più antichi dalla dinastia Blu. I Blu erano dei
simpatici gnomi barbuti che padroneggiavano l’arte di miscelare diversi ingredienti per realizzare
l’unico prodotto commercializzato nella loro piccola bottega, il Blu dragone.
Il Blu dragone, come preannuncia il nome, era un cocktail che conferiva a chi lo beveva forza e
vigore (e anche una tendenza al colore blu in viso).
All’interno dell’attività lavoravano Blusco (lo gnomo di casa) e il suo giovane figlio Blu Curacao.
Blu Curacao non si sa quanti anni avesse ma di sicuro era giovane, di quella gioventù che solo i
giovani hanno nel cuore e che brilla loro negli occhi. Le sue idee erano innovative, e ciò in
completa contrapposizione con quelle di Blusco. La situazione familiare non gli permetteva di
realizzare ciò che veramente desiderava e quindi Blu (come lo chiamavano tutti nella piccola
comunità), una volta chiuso il locale, passava intere serate su un grande albero, troppo in alto per
permettere alle domande degli altri piccoli gnomi di raggiungerlo. La cosa strana era che
quell’albero affondava le sue radici nel suolo proprio al centro del boschetto, così al centro che alla
bottega blu si narrava che fosse stato un tempo la prima fonte della stessa vita e che allora avesse
tante e diverse tonalità di colore, sfumature meravigliose ma che purtroppo nessuno ricordava più.
Blu, arrampicato sui rami del grande albero che davano sulla parte blu del piccolo bosco, provava
sempre nuove ricette per nuovi cocktail, che poi era costretto a trangugiare in segretezza. Anche se
a volte Blu inventava ricette strabilianti, Blusco non avrebbe mai autorizzato la vendita di uno di
quei favolosi drink. I motivi erano diversi, ma uno valeva in particolare: l’effetto che provocavano.
Quelle bevande donavano al volto di chi le beveva tonalità di colore diverse da quelle che i piccoli
gnomi erano abituati a vedere quando bevevano il Blu dragone. Blusco era molto orgoglioso della
sua folta e lunga barba blu e non avrebbe mai accettato che si tingesse di un colore diverso, anche se
la parte sinistra del bosco avrebbe potuto offrire tutte le qualità di blu possibili.
La metà di sinistra era, come logico, adiacente a quella di destra ma divisa da questa da un alto
muro viola. Cosa ci fosse dall’altra parte nessuno lo sapeva, né i Blu, né le Rosse (le abitanti della
metà oltre il muro). Quella muraglia rappresentava il confine fra le due piccole comunità, che non
sapevano dell’esistenza reciproca. Nessuno si chiedeva perché il muro fosse lì né da quando. Era lì
e basta.
La piccola dinastia delle Rosse era composta da creature prettamente femminili, esseri stupendi,
senza né barba né copricapo a punta, caratterizzate da un’eleganza e una dolcezza che i Blu non
potevano neanche figurarsi.
Il cuore della piccola vita sociale rossa era rappresentato da un piccolo locale, tutto rosso. L’attività
era gestita dalla signora Rossella e all’interno lavorava anche sua figlia Rosa. Rosa non era come le
altre, aveva qualcosa di spontaneo, fresco, vivace, qualcosa che è difficile esprimere a parole. Si
distingueva dalle altre piccole fatine per i suoi gesti e perché non andava ghiotta del succo Rosso
passione, l’unico venduto nel suo piccolo locale; preferiva una variante da lei sperimentata. Anche
se Rosa non aveva mai chiesto il permesso di preparare quella variante, per timore del rifiuto,
sapeva che alla madre veniva difficile digerire le novità e quindi non l’avrebbe neanche mai esposta
in vetrina; eppure era di un colore molto intenso, una tra le più belle sfumature di rosso che la parte
orientale del piccolo bosco avesse mai visto.
Rosa amava, una volta chiuso il piccolo locale, passeggiare lungo il muro, assaporando la sua
bevanda preferita. Quel muro aveva attorno a sé un alone di mistero ma nessuno (a parte lei e Blu)
si era mai chiesto cosa ci fosse al di là. Era incredibile quanto i due avessero in comune pur non
sapendo della reciproca esistenza.
Eppure ci speravano.
Le due piccole botteghe agli angoli opposti di quel piccolo bosco erano gabbie agli occhi dei due
ragazzi. Non passava giorno senza che i due, uno di qua e l’altra di là del muro, immaginassero un
bosco diverso, più colorato. Diverse tonalità, diverse personalità. Erano stufi di quei quattro
tradizionali e monotoni clienti che entrambi erano costretti a vedere e servire ogni giorno con il
sorriso.
La lucentezza di quelle due grandi anime sgargianti e con l’argento vivo addosso sembrava
destinata a soccombere sotto a una coltre di banalità e piattezza, quando, in una tiepida notte di
primavera, accadde l’imprevisto.
Il cielo sopra i loro occhi era diviso a metà dal grande muro viola e mostrava stelle blu da una parte
e rosse dall’altra.
La giornata al lavoro era stata particolarmente dura per Blu e come se non bastasse il ragazzo era
particolarmente provato dall’enorme quantità di cocktail che quella sera aveva buttato giù nella
noncuranza più totale. Fece persino fatica a salire sul grande albero: era così stanco che non riusciva
a mantenersi in equilibrio. Tuttavia uno strano entusiasmo prevalse e Blu salì fino alla cima della
maestosa pianta.
Dall’altra parte del muro Rosa era appena uscita dal locale, che quel giorno era stato
particolarmente affollato, e ora si dirigeva verso la rossa muraglia, come il suo solito, per scaricare
lo stress accumulato. Rossella si era molto raccomandata sul suo rientro a casa ma quella sera
qualcosa scosse Rosa, la toccò dentro. Era come se qualcuno o qualcosa si stesse imponendo sulla
sua volontà, ma era un ordine che sentiva giusto, sentiva che sarebbe valsa la pena seguirlo. Forse
era un istinto pericoloso, pensava, mentre le sue delicate gambe si affrettavano.
Sentimenti affini legavano le due creature, sentimenti di cui in quella piccola comunità si sentiva
solo parlare, sentimenti giovani, eppure a quei due sembrava (e forse era proprio così) di essere in
quel piccolo mondo da secoli. Sentimenti curiosi, stravaganti, in controtendenza.
Rosa ora poggiava le sue delicate mani sul grande muro come se percepisse qualcosa, come se lo
sentisse vivo, pronto a sbocciare di nuovo, mentre Blu era ormai quasi sulla cima dell’imponente
albero. Fu allora che qualcosa scattò, un brivido attraversò i due giovani che mai prima d’ora erano
stati così vicini. Qualcosa li stava pervadendo da dentro quel piccolo silenzio pieno di suoni. Un
rumore prevalse sugli altri, un suono di ramo spezzato. Ed era proprio così: Blu si era sentito cedere
l’appoggio sotto i piedi. La caduta gli sembrò durare un eternità eppure non provava paura. Sentiva
che gli avrebbe portato in un modo o nell’altro solo gioia. Non fu esattamente così. Quando toccò il
suolo un dolore pungente esplose dalla sua schiena. Si placò solo quando, dopo pochi secondi, aprì
gli occhi. Non era solo. Davanti a lui c’era, incredula, una splendida creatura. A parole non sarebbe
riuscito a descriverla, emanava un’aura positiva, come un calore, un calore mai provato, e che ora
leniva il dolore della caduta. Blu sentiva che il colore di cui era circondato (il rosso) e la presenza di
quella affascinante bellezza lo stavano coinvolgendo.
Rosa l’aveva visto piombare giù dal cielo e per questo pensò dapprima a una figura angelica, ma poi
si accorse che quell’essere non aveva le ali e mostrava in viso le prime tracce di quella che sarebbe
diventata una folta barba e che già ne andava matta. Lo trovava affascinante, misterioso e, dato il
suo colore, completamente fuori luogo.
I due si studiarono per intere manciate di secondi prima di rivolgersi la parola.
Si erano trovati.
Erano così diversi eppure così simili che parlare un’intera nottata non sarebbe nemmeno servito,
eppure lo fecero. E in una notte già avevano le idee chiare sul loro futuro.
Quello che prima era un piccolo bosco diviso in due parti dai colori opposti ora lasciava spazio a
una grande varietà di tinte accese, e ora si distinguevano il giallo, il verde, il bianco, il marrone, il
nero e altri colori di cui, purtroppo, noi esseri umani non comprendiamo le sfumature.
I giovani abbatterono il muro di ostilità che nei secoli si era eretto tra le due piccole popolazioni e
assieme aprirono un piccolo chiosco ai piedi del grande albero, servendo bevande variopinte, che
rispecchiavano in pieno la personalità di chi le consumava. Chi le beveva assumeva un colorito
sempre diverso, in sintonia con i suoi sentimenti, con le sue emozioni, con la sua diversità dagli
altri, con la sua anima.
Potrei scrivere per ore su come i due fecero valere i propri sentimenti sul volere dei genitori e del
resto della comunità ma preferisco chiudere questa piccola storia lasciando che siate voi a
immaginare il finale più bello.
Ruben Croce, 4 D Tecnico Alimentare - Servizi sala e bar, Centro di Formazione Professionale
CAPAC Politecnico del Commercio e del Turismo, Milano
Docente referente: Anastasia Vaira