scheda cinematografica del film

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scheda cinematografica del film
COMUE DI LECCO
In collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca azionale
LECCO CITTÀ DEL MAZOI 2009
Ermanno Olmi insignito del Premio alla Carriera
“Alessandro Manzoni - Città di Lecco” 2009
Cinema Palladium giovedì 22 ottobre ore 21
IL POSTO
Regia, soggetto, sceneggiatura Ermanno Olmi fotografia Lamberto Caimi montaggio Carla
Colombo suono Giuseppe Donato musica Pier Emilio Bassi scenografia Ettore Lombardi
interpreti e personaggi Loredana Detto (Antonietta), Sandro Panzeri (Domenico), Tullio Kezich
(l’esaminatore psicotecnico), Mara Ravel (la collega di Domenico), Bice Melegari, Corrado
Aprile, Giancarlo Ravasio produzione Titanus, The 24 Horses distribuzione Titanus origine
Italia, 1961 durata 97 minuti.
Da Meda, nell’hinterland milanese, il quindicenne Domenico Cantoni, figlio di operai che l’hanno
fatto studiare, va a Milano a trovare un posto di avventizio in una grande azienda. Dopo un tenero
idillio con la coetanea milanese Antonietta masetti detta Magalì, assunta come lui nella stessa
azienda, il film affronta il suo tema centrale: la presa di contatto dell’adolescente, ancora intatto
nella sua fresca disponibilità di emozioni e intelligenza, con il grigiore squallido dell’ambiente e
dei colleghi, le umilianti prevaricazioni dei superiori, la triste ripetitività dei compiti. Qual è il
prezzo che dovrà pagare per la soddisfazione di aver trovato il lavoro? Sulla dolente immagine del
volto di Domenico, seduto a un tavolo mentre, implacabile, si sente il rumore di un ciclostile, si
chiude il film.
Secondo lungometraggio in ordine cronologico. Il posto è, in un certo senso, il suo primo vero film
e gli dà notorietà internazionale: tre premi collaterali alla 22° Mostra di Venezia 1961 dov’è
ammesso, come il precedente nel purgatorio dell’Informativa; trofeo Sutherland al Festival of
Festivals di Londra (1965); Spiga d’oro alla 5° Semana internacional de cine y de valores humanos
di Valladolid (1962); David di Donatello per la regia nella stagione 1961-1962. Quando uscì a
Milano il 13 settembre 1961 fui facile profeta a scrivere che avrebbe dovuto accontentare tutti: i
cattolici perché nobile e casto, intenso a descrivere la parte migliore dell’uomo (a Venezia gli fu
dato il premio Ocic, cioè dell’Office International Catholique du Cinéma); le sinistre perché è un
film sul mondo del lavoro, onesto e rispettoso della realtà; i moralisti perché si trovano di fronte a
un film bello, buono e pulito senza sesso né violenza; il pubblico perché chiamato a divertirsi e
commuoversi, persino a riflettere; i cinefili perché è girato in presa diretta sulla realtà, con la
cinepresa a spalla tra la gente per le strade tesa a captare la verità quotidiana dei nostri gesti e
comportamenti, in una calcolata rinuncia alle mediazioni romanzesche. [….]
Inevitabilmente tra i critici del 1961 c’è chi rimprovera a Olmi l’assenza di denuncia sociale o
l’agnosticismo ideologico verso il mondo del neocapitalismo, descritto quasi soltanto a livello di
costume con toni di sapore ottocentesco, alla De Marchi. Non hanno compreso quel che sa, sia pure
in un’intervista a Olmi nel 2002, Tatti Sanguineti che lo considera un film cattivo, meno cristiano e
molto più duro degli altri suoi film. Nei paesi anglofoni è distribuito col titolo The Job/The Sound of
Trumpets. Sulla Film Guide “Time Out” il critico Chris Peachment scrive alla fine di una scheda
esplicitamente elogiativa: “Una delizia, e assai acuta, nonostante la sua gentilezza”.
Da: Morando Morandini, Ermanno Olmi, (Il castoro cinema n.232), Il Castoro, 2009.
Vero esordio nel lungometraggio per Ermanno Olmi, dopo il “dopolavoristico” anche se stimabile Il
tempo si è fermato, Il posto assume, almeno per me, una serie di valenze assolute. Non vorrei fare
del personalismo, ma conosco il tempo, i luoghi, le situazioni e persino la donna (diciamo la
ragazzina) protagonista del film. [….]
Quanto tutto [….] sia vero lo dimostra un’esperienza personale. Anch’io come Cantoni Domenico
nel film e Sandro Panzeri nella vita ho conosciuto a diciott’anni la ricerca di un posto come
impiegato, le prove, gli esami psicotecnici, i test attitudinali; l’ho ottenuto inferiore alle aspettative;
ho sopportato per un anno il grigiore dell’ambiente e dei colleghi, le umiliazioni e le prevaricazioni
dei superiori, l’inutile ripetitività dei compiti, l’angustia degli uffici che anticipavano poveramente
gli “open spaces”. Per cui posso affermare la verità sostanziale di tutto ciò che il film racconta, anzi
descrive, anzi mostra.
Il posto a mio avviso resta un documento, oltretutto con rigorosa assenza della colonna musicale.
Verrebbe persino voglia di dire che è un tardo esempio di neorealismo (i due protagonisti presi dalla
strada; alcuni figuranti colti tra le amicizie, tipo Tullio Kezich; altri individuati tra gli stessi
impiegati dello stesso palazzo per uffici in cui si svolge parte delle riprese), per non aggiungere che
l’aria della ‘nouvelle vague’ non è estranea a certe sequenze (la gag del cucchiaino al bar,
l’intervallo dei due ragazzi trascorso in città) e si potrebbe continuare. Altro che film naif!
I luoghi erano quelli, senza ricorso ad alcuna finzione. Li introduce l’incipit didascalico (“per la
gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa
soprattutto il posto di lavoro”). Lo testimoniano i palazzi del potere industriale e burocratico in un
misto di vecchie architetture dai selciati intatti e di moderne costruzioni in alluminio e
vetrocemento, ma anche le modeste latterie o gli squallidi Cral (o prima ancora la cascina di
partenza, le stazioncine dell’hinterland, i tram affollati, altrettante tappe di una vita da pendolare).
Li esaltano le trasformazioni in corso durante un boom in fase avanzata (gli scavi per la prima linea
della metropolitana, il traffico già convulso, l’illusione del verde in un parco cittadino, le vetrine
sempre più lussuose). Chi ha vissuto con occhio vergine, ingenuo e trepido (come Cantoni
Domenico) la Milano di allora se la ritrova tutta.
Le situazioni – in parte se ne è già accennato – erano quelle. Un mondo per forza di cose laborioso,
un quotidiano spezzettato in singole azioni ben predisposte, una parvenza di socialità accompagnata
da altrettanta solitudine, un’educazione di fondo che non impediva indifferenze e cinismi, il senso
di partecipare a un’epoca di cui era incerto il godimento dei frutti. Di suo Olmi vi aggiunge, specie
verso il finale, un – per lui insolito – coté ironico o addirittura comico, paragogogliano. Due soli
esempi, entrambi con uno straordinario quanto artigianale casting: la descrizione della fauna dei
travet (tra chi si pettina anche le basette e chi invoca il prestito di una sigaretta e chi segnala le
lampadine bruciate vi sono persino un pensionato che resta al lavoro e un ragioniere gay) e la
descrizione della festa dopolavoristica con balli e cotillon, compresa la trovata della fantozziana
“nuvoletta” che consente al suo apparire più intimi approcci tra i convenuti. Ma incombe un
messaggio più inquietante: metafora dell’esistente, chiude il film un implacabile e rumoroso
ciclostile, ovvero una bella parabola di ciò che macina tutto e tutti.
Resta il rimpianto che nel 1984, quando la malattia bloccò il progetto già in prelavorazione, Olmi
non abbia potuto realizzare Ragazzo della Bovisa, un film tv in otto capitoli per la Rete Uno,
ambientato tra la buia Milano del 1940 e la luminosa Milano del 1945, di moderato tono
autobiografico, e che ce ne rimanga soltanto il breve romanzo o bel ricordo-racconto pubblicato dal
Raffaele Crovi di Camunia nel 1986. Forse ci avremmo ritrovato Il posto.
Da: Lorenzo Pellizzari “Il posto” in AAVV (a cura di Adriano Aprà), Ermanno Olmi. Il
cinema, i film, la televisione, la scuola, Marsilio, 2003.
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