L`ATTEGGIAMENTO DELL`EDUCATORE Quando si parla di gioco
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L`ATTEGGIAMENTO DELL`EDUCATORE Quando si parla di gioco
Gioco e simulazione: tecniche di animazione L’ATTEGGIAMENTO DELL’EDUCATORE Quando si parla di gioco, non si può sottovalutare la fondamentale funzione che l’adulto è chiamato a svolgere. Non è possibile non tenere conto dell’importanza del suo ruolo rispetto al dinamismo interno che l’attività ludica rappresenta. Qualunque sia il contesto in cui il bambino gioca, sia esso scolastico o familiare o ancora quello di una ludoteca, la presenza dell’adulto riveste un importantissima funzione. Egli di volta in volta, a seconda della tipologia di gioco infantile, assume le vesti di promotore, organizzatore e persino disciplinatore senza per questo interferire nello svolgimento dell’attività. Orientamento condiviso peraltro da Claparède, che sostiene la necessità dell’intervento, discreto e intelligente, dell’adulto quale organizzatore di giochi collettivi. Il gioco è un territorio infantile, un luogo di autoaffermazione, che ha però bisogno, per essere goduto con pienezza, dell’interesse, dell’attenzione, del sostegno da parte dell’adulto. Solo un’attenzione e un sostegno deliberati e coscienti da parte di quest’ultimo consente al gioco di costituirsi come un’area di esperienza di crescita e di sviluppo. DIVERSI MODELLI DI RUOLO E’ esigenza dei bambini quella di sentire che l’adulto dà valore al loro gioco, lo rispetta, ne riconosce l’importanza. Concretamente questo atteggiamento si manifesta con un attenta ma non intrusiva sorveglianza dell’area del gioco, che consente ai bambini di dedicarsi alle attività spontaneamente e autonomamente scelte con agio, sicuri di poter far conto sulla presenza di una figura di riferimento comprensiva. In questo caso si parla di adulto facilitatore. L’adulto facilitatore ha un’attenzione particolare per ogni singolo bambino che gioca, ne conosce i gusti e le preferenze, le potenzialità e le debolezze e interviene per rendere più agevole e sempre più coinvolgenti le esperienze di gioco. Egli contribuisce a creare un clima cooperativo, prima di tutto intervenendo a dirimere i conflitti: il suo intervento può rivelarsi prezioso per educare il fanciullo a porsi in atteggiamento di ascolto critico dell’altro, così, nel momento in cui la foga del gioco fa nascere discussioni o piccole liti tra i partecipanti, l’educatore, placati gli animi, può invitare gli alunni a esporre pacatamente a turno le proprie ragioni. Il modello dell’adulto quale facilitatore è quello di chi si astiene dall’atteggiamento tipicamente magistrale, il gioco infatti non si insegna ma si promuove. Quando egli si accinge a somministrare un gioco ai bambini deve assolutamente tenere presenti alcune norme se vuole che l’attività si svolga e proceda nel migliore dei modi: 1) Il numero dei partecipanti è generalmente irrilevante; l’unica considerazione nella scelta del numero riguarda la durata del gioco e la possibilità per tutti di esprimersi senza annoiare chi ascolta. 2) Una condizione fondamentale è di non obbligare nessuno a partecipare lasciando ciascuno libero di decidere il grado di coinvolgimento con cui vuole prender parte all’esperienza. Non è infatti possibile costringere qualcuno a partecipare perché i risultati sarebbero essere molto scarsi. La certezza della libertà fornisce invece un motivo più profondo e sincero. 3) Occorre creare un’atmosfera adatta alla situazione del gioco. I bambini devono sentirsi a loro agio; l’atmosfera deve essere di rispetto e di accettazione reciproca. Una persona che teme di essere messa in ridicolo, rifiuterà probabilmente di partecipare all’attività sia di dividere con gli altri i suoi pensieri e i suoi vissuti emotivi. 4) Ogni gioco deve essere presentato “un pezzo alla volta”. Non si deve cioè spiegare il gioco tutto insieme. Per evitare errori e confusioni è preferibile che la spiegazione venga data dal facilitatore sotto forma di comandi che al momento opportuno consentono di proseguire nel gioco . L’adulto è chiamato anche ad essere animatore ludico, a partecipare in prima persona al gioco. Non più solo facilitatore ma promotore dell’esperienza ludica. Un primo atteggiamento indispensabile di colui che si accosta all’animazione è l’intenzionalità. Ciò significa che, ancora prima di intervenire nel gioco dei bambini, egli ha in mente un’idea chiara delle competenze e delle abilità che vuole promuovere, insomma, ha presente un modello di come il gioco può evolvere e svilupparsi di modo che i propri bambini diventino giocatori sempre più esperti. Si può potenziare, ad esempio, l’aspetto creativo, quello comunicativo e agire in modo che i bambini siano sempre più in grado di usare il linguaggio; oppure si può arricchire e potenziare l’aspetto drammatico teatrale. Accanto alla spiccata intenzionalità, occorre inoltre che l’adulto partecipi in prima persona al gioco dei bambini. Giocando con loro egli si pone come partner più esperto. I suoi interventi mirano ad esempio a far decollare un gioco, in quanto egli raccoglie e rilancia le idee dei bambini facendo in modo che l’esperienza ludica si accresca e migliori. Altra qualità di notevole rilevanza che l’animatore ludico deve possedere è la comprensione empatica dei vissuti della persona. Con ciò si vuole intendere il capire gli stati d’animo del bambino e l’immedesimarsi. L’EMPATIA DELL’ADULTO Sappiamo che il bambino è padrone del suo gioco, che è lui stesso a decidere modi, tempi, contenuti, strumenti, condizione questa necessaria affinché l’esperienza ludica possa essere considerata una risorsa di crescita emotiva, e quindi un’esperienza educativa. Solo un gioco autonomamente scelto e realizzato, infatti, consente al bambino di esprimere quanto gli sta a cuore. Tutto ciò non esclude però l’importanza che viene data al ruolo dell’adulto. La sua presenza risulta fondamentale, la sua compiacenza necessaria, poiché solo se il bambino sente che la sua attività è accettata dalla figura che ama si sentirà più libero e a suo agio nell’esprimere i sentimenti e le emozioni che prova. Afferma Bettelheim che l’approvazione dell’adulto è condizione necessaria perché il bambino coltivi il gusto e la capacità di giocare. Il gioco può diventare così un’occasione privilegiata per il consolidamento del rapporto tra l’adulto e il bambino. Con atteggiamento empatico l’adulto si accosta al gioco del piccolo, cerca di comprendere i suoi bisogni, si sintonizza emotivamente con lui. Assumendo tale atteggiamento, l’adulto può partecipare al gioco in maniera rispettosa e non intrusiva. Egli dimostra accettazione, comprensione, gioia nei confronti di ciò che il bambino fa, non partecipa al gioco allo stesso modo di come un altro bambino potrebbe fare ma è emotivamente coinvolto: identificandosi emotivamente col bimbo, egli rievoca il gusto e il piacere di giocare, capisce cosa il prova il bambino e quindi si sente tanto vicino a lui. L’empatia è la capacità di sentire e di comprendere l’altro. Possiamo dire che è la comprensione emozionale, una conoscenza che avviene nel modo della percezione emotiva dell’altro; è l’immedesimazione con l’esperienza dell’altro, vissuta dal soggetto empatizzante come se fosse propria. Tale atteggiamento contribuisce a migliorare il rapporto tra il bambino e la figura adulta; è infatti, proprio da questa ultima che il piccolo più che da un compagno, desidera essere compreso emotivamente. IL CONTESTO SCOLASTICO La rivalutazione della funzione ludica nel contesto scolastico, possiamo dire che è una conquista degli ultimi anni. Via via si è andato acquisendo una sempre più consapevolezza dell’importanza del gioco nell’ambito della scuola e ci si è resi conto che il ludico è l’elemento costitutivo e imprescindibile del suo operare. Eppure, per tanto tempo, non è stato così. Per molto tempo è mancata la cosiddetta “cultura del gioco”; Il contesto scolastico ha mostrato la sua incapacità di farsi garante, nei confronti del bambino, di un’esperienza ludica ricca, vissuta in tutte le sue potenzialità. Nella migliore delle ipotesi, la scuola si è mostrata disposta ad accettare al suo interno il gioco, quale momento di rilassamento o di evasione dal lavoro scolastico, nulla a che vedere con la sfera formativa. Relegato ai margini della giornata scolastica, considerato una pausa, recupero di energie dopo prolungati impegni di studio. Tra le pareti scolastiche il gioco è stato dissotterrato come “camera di compensazione” a stati di frustrazione e sovraccarico intellettuale, disintossicazione, ripristino delle energie mentali. Emarginato e reso subalterno, costringeva i bambini ad atteggiamenti come quelli di gioco clandestino, oppure a vivere quei pochi momenti di ludicità in modo superficiale e in completo abbandono. La scuola, per tanto tempo, ha come dimenticato che esiste un perfetto parallelismo tra la formazione e il gioco infantile, una coincidenza dalla quale non possiamo prescindere. In realtà il gioco si qualifica come occasione di dialogo con le cose, ricerca ed esplorazione, momento privilegiato di socializzazione, comunicazione, sfogo di creatività e fantasia. Il gioco è il luogo in cui tutto quanto ha modo di esistere e di realizzarsi. Negli ultimi anni questa consapevolezza ha preso sempre più il largo nelle menti di insegnanti e formatori, i quali hanno cominciato a esperire i momenti di gioco come mezzi alternativi ad altre pratiche educative e hanno riscontrato notevoli e positivi risultati. La netta frattura tra il momento dello studio, le occupazioni serie, e il momento dell’evasione, del relax, si sta man mano ricomponendo, si può dunque attingere al gioco per favorire la messa in atto di atteggiamenti costruttivi e positivi. Valenza formativa di un setting per il gioco Il gioco, ha preso campo nel mondo della scuola e nella sfera educativa in maniera talmente determinante, da innescare l’esigenza e la necessità di uniformare spazi e tempi per le varie attività. Creare la giusta atmosfera, un ambiente rilassato, disinvolto, di libertà, è condizione necessaria affinché il bambino possa dominare la sua creazione ludica. Impostare specifici setting di gioco costituisce una strategia utile a delineare confini, a individuare regole di comportamento, a sostenere e garantire un gruppo nel suo percorso di gioco. Il setting è la cornice organizzativa: esplicita per quanto tempo il gioco continuerà , in che spazi, con quali modalità, regole e soprattutto a che scopo. I suoi vincoli funzionano quale allenamento a entrare e a uscire dalle situazioni, a riconoscere l’inizio e la fine di qualcosa. L’organizzazione degli spazi e la distribuzione delle strutture dovrebbero essere tali da consentire attività di movimento, per giochi simbolici, per costruzioni e manipolazioni. Sarebbe difficile concepire un adeguato sviluppo del bambino attraverso il gioco senza un adeguato materiale ludico. Spazio e tempo sono i principali elementi di cui si tiene conto quando si parla di setting. Per quanto concerne lo spazio, è importante che il luogo sia ampio, per consentire al gruppo il piacere di muoversi. Non si tratta di allestire uno spazio di scarica e sfogo senza regole, ma anzi di crearne uno in cui la presenza adulta sia garanzia di protezione, di contenimento,di possibilità di espressione e di ascolto reciproco. Più il contesto è “adeguato”, motivante e ricco più le stimolazioni rivolte al bambino saranno numerose e qualitativamente superiori. Un ambiente opportunamente organizzato costituisce una soglia ottimale che innesca nel bambino il desiderio di nuove acquisizioni e nuove esperienze. L’importanza dello spazio è stata sottolineata ampiamente: esso, nelle concezioni psico - pedagogiche è concepita come contesto formativo, come ambiente appositamente predisposto per il bambino e attorno a cui ruota tutta l’azione educativa; persino le recenti raccomandazioni ribadiscono la necessità di “organizzare adeguatamente gli spazi creando ambienti adatti alle loro (dei bambini) esigenze. Un’adeguata strutturazione degli ambienti deve offrire molteplici occasioni per esperienze sensoriali e motorie”. E’ importante che il luogo abbia delle caratteristiche di tranquillità e di riservatezza, che sia una stanza che non offra grandi occasioni di distrazione, sufficientemente grande ma non dispersiva, accogliente. Al fine di una efficace comprensione del gioco è opportuno che i bambini siano comodamente seduti nelle sedie, disposte a cerchio. L’animatore deve lasciare liberi i partecipanti di sedersi dove desiderano facendo attenzione ai loro eventuali spostamenti di sedia dei successivi incontri. Per quanto riguarda l’elemento tempo, la prima domanda che ci poniamo è sicuramente: “quanto deve durare un gioco”? Si tratta di una componente del setting fondamentale, eppure è allo stesso tempo quella più trascurata: sembra che tutti la considerino una variabile indifferente. In generale i bambini presentano un andamento naturale dei tempi di gioco: passano da un tempo cosiddetto debole di inizio attività, in cui esplorano lo spazio e i materiali, a un tempo medio, in cui sorgono le prime aggregazioni e si creano prime dinamiche, infine arrivano spontaneamente a un tempo forte. Poi gradualmente il gioco perde di interesse e lo capiamo facilmente perché i bambini abbandonano spontaneamente gli oggetti. Quando l’insegnante vuole coinvolgere i bambini in una situazione di gioco, deve decidere a priori la durata dell’attività. Essa è una variabile che può essere calcolata tenendo conto ad esempio del numero dei partecipanti o del tipo di gioco. In ogni caso è una componente che va tenuta assolutamente in considerazione, in quanto l’assenza di qualsiasi limite temporale comporterebbe problemi nella gestione dei giochi prevalentemente connessi con la demotivazione e la noia.