omaggio alla scala: i disegni di scenografia di riccardo

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omaggio alla scala: i disegni di scenografia di riccardo
OMAGGIO ALLA SCALA: I DISEGNI
DI SCENOGRAFIA DI RICCARDO LAMPUGNANI
DI ANNALISA ZANNI
Il Museo Poldi Pezzoli partecipa ai festeggiamenti per la riapertura del Teatro alla Scala
presentando al pubblico una piccola mostra
legata alla produzione teatrale: una scelta di
venti scenografie databili tra la fine del XVII
e la fine del XIX secolo. La mostra è aperta
al pubblico fino al 30 gennaio 2005 ed è stata
realizzata dal Museo grazie alla disponibilità
di studiosi, colleghi ed amici e a chi sostiene
con generosità l’attività culturale che quotidianamente il Museo svolge: tra essi la Banca
Regionale Europea. Le opere fanno parte di
una ben più vasta donazione che il collezionista milanese Riccardo Lampugnani aveva
lasciato alla sua morte, avvenuta nel 1996,
alla Fondazione Artistica. L’ingegner
Lampugnani, già direttore delle Acciaierie
Falck, fin dagli anni Sessanta aveva mostrato
particolare affezione al Museo Poldi Pezzoli.
Aveva infatti donato otto vetratine realizzate
nella famosa manifattura di vetri di Giovan
Battista Bertini nel 1840, e raffiguranti alcuni
costumi creati per un celebre ballo in maschera
organizzato il 30 gennaio 1828 nel palazzo
del conte ungherese Giuseppe Batthiany.
Inoltre una preziosa raccolta di pizzi appartenuti alla madre, Rita Gargantini Piatti; successivamente l’Autoritratto con tigre e leone
di Francesco Hayez insieme ad un gruppo
di maioliche di Milano della fabbrica di Felice
Clerici databili agli anni Ottanta del Settecento.
Il lascito testamentario di questo generosissimo collezionista consegnava infine al Museo
uno splendido Autoritratto con amici di
Francesco Hayez con i compagni Migliara,
Molteni, Palagi e Grossi, uno dei dipintimanifesto della Milano romantica; ben 483
disegni dal XV al XIX secolo e 1193 stampe
depositate dal Museo presso la prestigiosa
Raccolta milanese “Achille Bertarelli” del
Castello Sforzesco di Milano.
Le scenografie del lascito del 1996 erano
quasi duecento, raccolte soprattutto dagli anni
Cinquanta da Lampugnani con uno spirito
da raccoglitore-conoscitore: spesso infatti
era solito annotare lui stesso le attribuzioni
individuate o che gli fornivano gli esperti.
La piccola mostra al Poldi Pezzoli, curata
da Anna Ranzi, in collaborazione con
l’Associazione Amici per la Scala, il Teatro
alla Scala e il Comune di Milano, ha scelto
di privilegiare un momento cruciale nella
storia della scenografia teatrale: il Settecento.
Bernardino
e Fabrizio Galliari,
“Tempio dedicato
ad Ercole”(3)
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LA SCENOGRAFIA NEL XVIII SECOLO
Nel primo decennio del Settecento, infatti,
la storia della scenografia subisce una vera
e propria svolta grazie al genio di Ferdinando
Galli da Bibiena (1657 - 1743), guida riconosciuta, con il fratello Francesco, di una bottega
familiare attiva in Italia e in Europa dal 1680
alla metà avanzata del Settecento con ben tre
generazioni di scenografi.
Ferdinando formula le nuove regole nel trattato
"L’architettura civile preparata su la geometria
e ridotta alla prospettiva", pubblicato a Parma
nel 1711. Alla tradizionale prospettiva ad asse
centrale e fuoco unico sostituisce il principio
dei “fuochi multipli”: viene eliminata la fuga
centrale per essere sostituita con uno o più
corpi architettonici da cui si dipartono varie
fughe divergenti. Si tratta della cosiddetta
“veduta per angolo”, cioè la disposizione
obliqua degli assi visivi delle scene rispetto
al proscenio. Tra queste due concezioni si
inserisce l’esperienza rococò, che risente delle
contemporanee esperienze pittoriche e che
pone una distinzione tra l’ambientazione
esterna e quella di interni: mentre per questi
ultimi vale la regola prospettica dei fuochi
multipli, la prima ricorre alla prospettiva
aerea e si risolve sul fondale in un ampio
sfondato paesaggistico.
In Italia, dopo le esperienze anticipatrici
del grande architetto Filippo Juvarra, che
interpreta la scenografia sempre da un punto
di vista architettonico, e del collega Luigi
Vanvitelli, i maggiori rappresentanti di questa
nuova scena-quadro sono i Galliari, famiglia
piemontese che lavora soprattutto per il Teatro
Regio di Torino, per il Teatro Ducale di
Milano, quindi per il nuovo Teatro alla Scala.
Essi saranno per vari decenni i veri protagonisti del mondo teatrale milanese e i loro
discendenti porteranno in tutta Europa
le loro conoscenze e la loro professionalità.
Questi artisti, che hanno creato una fondamentale svolta nella storia della scenografia,
sono gli autori dei disegni esposti al Poldi
Pezzoli: il geniale Filippo Juvarra (1)
(Messina 1678 – Madrid 1736), rappresentato
nella mostra da una piacevole scena con
statue, di ispirazione classica; ma anche, naturalmente, il bolognese Giuseppe Galli
Bibiena (2) (Parma 1695 – Berlino 1757),
attivo per la maggior parte dei teatri europei,
di cui viene esposto
un arioso giardino,
ravvivato da statue
e architetture.
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A sinistra dall'alto:
Angelo Boucheron,
“Interno di gusto
rococò”(4)
Giuseppe Galli
Bibiena, “Scena
raffigurante
un magnifico
giardino con statue
e scalinate”(2)
Luigi Vanvitelli,
“Piazza Plebiscito
a Napoli”(7)
Dall'alto:
Filippo Juvarra,
“Interno con
statue
di ispirazione
classica”(1)
Antonio Basoli,
“Gabinetto
elegantemente
decorato”(5)
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Dei piemontesi Bernardino (Andorno,
Biella 1707 – 1794) e Fabrizio Galliari (3)
(Andorno, Biella 1709 – Treviglio, Bergamo
1790), ormai a tutti noti per essere gli autori
delle scenografie dell’Europa riconosciuta di
Salieri, con cui si inaugurò la Scala nel 1778,
dei quali il museo conserva vari disegni
e schizzi, sono esposti degli esterni architettonici, che lasciano forse pensare all’ambientazione per un’opera teatrale di soggetto storico.
Seguono le bellissime scene acquerellate
di Angelo Boucheron (4) (Torino 1776 circa 1859), di Antonio Basoli (5) (Castelguelfo,
Bologna 1774-1848), autore quest’ultimo
presente nella raccolta con vari altri esempi,
e di Pelagio Pelagi (6) (Bologna 1775 –
Torino 1860). Altra curiosità è costituita dalla
veduta di Piazza del Plebiscito a Napoli,
attribuita negli inventari a Luigi Vanvitelli
(7) (Napoli 1700 - Caserta 1773), insolita
nelle dimensioni, ma suggestiva nella resa
attenta dei particolari.
Completa infine questo
percorso un cospicuo numero
di scene tratte dal consueto
repertorio di Carlo Vigna (8)
(1750 circa – dopo il 1819)
e di Luigi Vacca (9)
(Torino 1778 – 1854), di
cui la raccolta, soprattutto
nel caso del primo, detiene
una significativa serie.
Di Gaetano Mogolari (10)
viene presentato il disegno
di un cortile per il primo
atto de Il birraio di Preston,
opera lirica di Luigi Ricci
da cui ha recentemente
tratto il titolo e spunto
per la trama un romanzo
di Andrea Camilleri.
IL RESTAURO
I disegni esposti sono stati restaurati presso
il laboratorio di Disegni e Stampe dell’Opificio
delle Pietre Dure di Firenze. Con la restauratrice Maria Luisa Nussio ha collaborato un
gruppo di giovani allievi, studenti del secondo
anno della Scuola di Alta Formazione.
Il restauro è stato così anche un’occasione
di studio e riflessione sui problemi della
salvaguardia delle opere su carta.
Dal punto di vista della conservazione
i disegni non hanno avuto bisogno di grandi
interventi. I danni riscontrati erano pochi e
limitati: i fogli presentavano depositi di polvere,
piccoli strappi e tracce delle vecchie colle,
alternate a nastro adesivo, che li fissavano
a passepartout consunti. C’era anche qualche
“macchia d’artista”, provocata da quei
prodotti che si trovavano negli atelier
dei pittori-scenografi (colori, olii, resine).
Pelagio Palagi,
“Architettura
monumentale
in stile grecoromano con
figure e sfondo
montuoso”(6)
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A destra
dall'alto:
Gaetano Vigna,
“Scena ornata
di statue
e pitture”(8)
Gaetano Mogolari,
“Ingresso
della fabbrica”(10)
Luigi Vacca,
“Olimpo”(9)
Dal punto di vista del supporto, troviamo
esposti esempi dell’antica carta ancora fatta
a mano e della carta fatta a macchina.
La prima era un prodotto semplice e allo
stesso tempo sofisticato; si otteneva macerando
stracci di lino, cotone e canapa, ossia vecchie
tovaglie, camicie e biancheria riciclate con
un procedimento meccanico e chimico molto
semplice. La seconda, ottenuta dalla cellulosa
di legno, si diffuse a partire dalla fine del
XVIII secolo: era una carta più economica,
ma si è rivelata più sensibile alla luce e alle
variazioni di temperatura e di umidità, quindi
più fragile e deperibile. L’acquerello di Luigi
Vanvitelli, su “carta a mano”, mostra alla
luce naturale le pieghe dovute all’essiccazione
del foglio sulla corda. Altri disegni su “carte
moderne” non manifestano per fortuna segni
di degrado; solo il disegno di Luigi Vacca,
Schizzo con nicchia a cui si accede da
scalinata, presentava una leggera acidità che
è stata risolta dall’intervento di restauro.
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