Fiscal Approfondimento

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Fiscal Approfondimento
Fiscal Approfondimento
Il Focus di qualità
N. 13
07.04.2015
L’utilizzo delle percentuali di
ricarico negli accertamenti tributari
A cura di Alberto Nastasia
Categoria: Accertamento e riscossione
Sottocategoria: Accertamento e controlli
Nelle recenti Sentenze nn. 673 del 16 gennaio 2015 e 4312 del 4 marzo 2015, la Corte di Cassazione è
tornata a occuparsi dei limiti entro cui l’Amministrazione Finanziaria può - attraverso la determinazione
delle percentuali di ricarico - ricostruire gli effettivi margini di guadagno applicati dai contribuenti sulle
merci vendute.
Secondo i giudici di legittimità, la scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve
rispondere a canoni di coerenza logica e congruità, essendo consentito il ricorso al criterio della “media
aritmetica semplice”, in luogo della “media ponderata”, soltanto quando risulti l’omogeneità della merce
e non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore e quelle più vendute
presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio.
Dopo aver ripercorso le regole tecniche che gli operatori dell’Amministrazione Finanziaria sono chiamati
a seguire nella determinazione di tali percentuali, distinguendo la percentuale “media semplice” da
quella “ponderata”, sposterò l’attenzione sui limiti che la più recente giurisprudenza di legittimità ha
individuato con riguardo alla possibilità di utilizzare le stesse, per poi proporre, in via di conclusione,
alcune personali considerazioni.
Le modalità di
determinazione
della
cosiddetta
“percentuale di
ricarico”
Fra le attività istruttorie cui i verificatori più frequentemente ricorrono,
nell’ambito di attività ispettive tributarie, per integrare la quantificazione delle
giacenze di magazzino, vi è certamente la rilevazione dei prezzi di acquisto e di
vendita delle diverse tipologie di beni che formano oggetto dell’attività.
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Tale prassi consente, infatti, di acquisire elementi assai utili per il calcolo degli
incrementi percentuali medi applicati al prezzo di acquisto delle merci.
In effetti, le imprese commerciali fondano il proprio impianto contabile sugli
acquisti di merce maggiorati della percentuale di ricarico che è applicata al
cosiddetto “costo del venduto”.
Costo del Venduto = Giacenze Iniziali + Acquisti – Rimanenze Finali
Poiché il costo del venduto è pari alla somma algebrica delle giacenze iniziali
maggiorate degli acquisti e diminuite delle rimanenze finali, la percentuale di
ricarico, è data dalla formula matematica:
Ricavi
Percentuale di Ricarico = ___________________ x 100
Costo del Venduto
Costo del Venduto = Giacenze Iniziali + Acquisti – Rimanenze Finali
È di tutta evidenza che una percentuale di ricarico bassa rispetto a quella
media delle aziende del settore è sintomatica di sottofatturazione in vendita (e
quindi può costituire elemento per un recupero a tassazione di elementi
positivi di reddito), mentre una percentuale elevata rispetto a quella
“verosimile” può essere ritenuta espressiva di sopravvalutazioni delle
rimanenze ovvero di sottofatturazione degli acquisti.
In relazione ad accertamenti su soggetti che emettono esclusivamente fatture
e ricevute fiscali, i verificatori sono soliti rilevare analiticamente i beni ovvero
suddividerli in gruppi merceologici omogenei, per poi procedere applicando la
formula del Ricarico Medio Ponderato.
Qualora, invece, il soggetto sottoposto a verifica o controllo eserciti l’attività di
commercio al dettaglio e quindi emetta, in via prevalente ovvero esclusiva,
scontrini fiscali, gli operatori del Fisco saranno obbligati, in assenza di fatture
che chiariscano la tipologia dei beni venduti, a operare una ricostruzione che
utilizzi il Ricarico Medio Ponderato, non essendo possibile giungere alla
determinazione analitica del ricarico in ragione della mancanza negli scontrini
di sufficienti indicazioni circa i prodotti venduti.
In tali ipotesi, i verificatori, dopo aver rilevato i prezzi di acquisto e i
corrispondenti prezzi di vendita di ogni articolo e suddiviso gli stessi in gruppi
omogenei, generalmente supportano la ricostruzione del ricarico applicato
assumendo in atti le dichiarazioni del contribuente circa gli articoli
percentualmente più venduti nei diversi periodi d’imposta.
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La fondatezza di tale ricostruzione - che dovrà essere necessariamente
supportata dal riscontro di violazioni contabili - varierà in ragione della più o
meno puntuale suddivisione degli articoli per gruppi omogenei, tale da
includere almeno quelli più venduti e/o rappresentativi.
La percentuale di ricarico medio ponderato per gruppi omogenei deve, inoltre,
tenere conto sia dell’incidenza percentuale del prodotto sul totale delle
vendite di ciascun gruppo, sia dell’incidenza percentuale dei prezzi rilevati per
ciascun gruppo.
La prassi
dell’Amministrazione
Finanziaria in
ordine alla
determinazione
della
percentuale di
ricarico
Puntuali indicazioni in ordine alle modalità tecniche di determinazione della
percentuale di ricarico sono state fornite dal Comando Generale della Guardia
di Finanza nella Parte IV, Capitolo 2, della Circolare n. 1/2008.
In particolare, il documento di prassi prevede che “quando le quantità dei beni
commercializzati sono molto elevate e differenziate, ovvero le stesse sono
soggette a unione o miscelazione, può risultare difficoltoso procedere sia alla
rilevazione fisica delle giacenze, sia ai controlli contabili per quantità; in tale
circostanza, peraltro molto diffusa nella pratica, può risultare utile procedere,
appunto, alla ricostruzione indiretta della movimentazione delle merci,
attraverso il controllo contabile per valore”.
E ancora, “Tale metodo si fonda sulle seguenti fasi:

individuazione del “costo del venduto” (CV) attraverso la seguente
formula: (Valore delle giacenze iniziali risultanti dall’inventario o dalle
scritture contabili + costo degli acquisti come da fatture) – valore delle
giacenze finali come da inventario o da altre scritture contabili = CV;

determinazione della “percentuale di ricarico” (R%) di una unità di
prodotto per ogni tipologia (in caso di diverse e numerose tipologie di
prodotto, saranno scelte a campione quelle più rappresentative) sulla
base dei prezzi di acquisto e vendita di una singola unità di prodotto di
ciascun tipo (rilevabili dai listini dell’impresa, dai documenti contabili e
da ogni altro utile elemento) attraverso la seguente formula:
(Prezzo di vendita di ogni tipologia –
prezzo di acquisto di ogni tipologia) x 100 = R%
Prezzo di acquisto di ogni tipologia di prodotto

determinazione della percentuale dell’incidenza (I%) del costo totale di
ciascuna tipologia di prodotto rispetto al costo complessivo di tutti i
prodotti, attraverso la seguente formula:
Costo totale di ciascuna tipologia di prodotto x 100 = I%
Costo complessivo di tutti i prodotti
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sulla base delle percentuali di ricarico delle diverse tipologie di
prodotti A, B, C, ecc. (RA%, RB%, RC%, ecc.) e delle percentuali di
incidenza relative alle medesime tipologie A, B, C, ecc. (IA%, IB%, IC%,
ecc,), ponderazione delle percentuali di ricarico delle diverse tipologie
di prodotti al fine di ottenere la percentuale di ricarico medio
ponderata (RM%), attraverso la seguente procedura:
(RA% x IA%) + (RB% x IB%) + (RC% x IC%) = RM %
(IA% + IB% + IC%)

applicazione del valore così ottenuto (RM%) al costo del venduto in
precedenza determinato (CV), al fine di ottenere il “valore presunto di
ricavi” (VPR) secondo la seguente formula:
CV x (1+RM%) = VPR

confronto di tale valore con l’ammontare delle operazioni annotate nel
registro dei corrispettivi, al netto dell’IVA, oppure nel registro delle
fatture emesse, relativamente al solo imponibile; se da tale confronto:
o
il VPR è maggiore del dato complessivo fatturato e contabilizzato
(F), si determinerà per la differenza il valore delle vendite non
fatturate e non registrate;
o
il VPR è inferiore a quello fatturato e contabilizzato (F), il risultato
della procedura è da ritenersi espressivo di acquisti non fatturati e
non registrati”.
Il documento di prassi aggiunge poi che “per determinare in concreto il valore
degli acquisti non fatturati è necessario rapportare la differenza fra il fatturato
contabilizzato (F) e il valore presunto di ricavi (VPR), al costo del venduto (CV),
dopo averla depurata del ricarico implicito (RM%), al fine di ottenere valori
omogenei confrontabili, secondo la seguente formula:
F – VPR= valore acquisti non fatturati
1 + RM%
La circolare della Guardia di Finanza evidenzia, infine, che “la percentuale di
ricarico
media
calcolata
sui
dati
contabili
del
contribuente
non
necessariamente deve essere determinata prendendo in considerazione tutte le
categorie di merci trattate, a condizione che la procedura di calcolo sia fondata
su un campione di merci particolarmente significativo e sintomatico rispetto
alle caratteristiche dell’attività svolta”.
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La principale
giurisprudenza
in tema di
utilizzo della
“percentuale di
ricarico”
Sentenza della Corte di Cassazione n. 3357 del 12 febbraio 2013
Assai interessante è il passaggio di questa sentenza della Cassazione in cui i
giudici - dopo aver osservato che “la censura così, come formulata, pur
potendosi considerare pertinente al «decisum» in quanto rivolta a contestare
uno degli elementi di calcolo utilizzati dall’Ente impositore, per la
rideterminazione della nuova percentuale di ricarico”, hanno affermato, che “la
generica affermazione dell’illegittimità dell’utilizzo di dati contenuta nel
ricorso, si risolve in una mera asserzione apodittica priva di riferimenti al caso
concreto (non essendo apprezzabile, in mancanza di trascrizione del contenuto
dell’avviso o della parte rilevante del verbale di constatazione, quali dati
abbiano effettivamente utilizzato i verbalizzanti per la determinazione della
percentuale di ricarico, applicata all’anno 1998, soprattutto a fronte della
contestazione mossa dall’Ufficio, in ordine alla determinazione delle
contestate percentuali di ricarico in contraddittorio con la contribuente). La
contribuente si è limitata a lamentare la inadeguatezza dei dati utilizzati,
relativi a momento storico distinto, omettendo tuttavia di dare supporto a tale
doglianza, mediante trascrizione del verbale di constatazione almeno nella
parte che interessava”.
Sentenza della Corte di Cassazione n. 19074 del 10 settembre 20141
Questa sentenza riguarda un atto di accertamento con cui l’Agenzia delle
Entrate aveva recuperato a tassazione ricavi non dichiarati da parte di una
società operante nel settore florovivaistico sulla scorta di una percentuale di
ricarico media determinata in base a dati relativi a una sola giornata lavorativa.
Il ricorso proposto dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria
provinciale di Milano veniva accolto in primo grado mentre, in appello, i giudici
tributari confermavano la legittimità dell’avviso di accertamento prodotto
dall’Amministrazione Finanziaria.
Avverso quest’ultima decisione proponeva ricorso dinanzi alla Corte di
Cassazione
il
contribuente
sostenendo,
tra
l’altro,
l’illegittimo
dell’accertamento induttivo svolto.
I giudici di legittimità hanno accolto tale ricorso sostenendo che “è di tutta
evidenza che calcolare la media dei ricavi sulla base delle vendite effettuate in
una sola giornata e per di più non relativa all’anno oggetto di accertamento
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Per un commento a tale decisione, cfr. M. Denaro, “Illegittimo l’accertamento induttivo che tiene conto dei ricavi di un solo giorno” in banca dati “fisconline”. Informatsrl
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non è metodo logico e in astratto idoneo a fornire attendibile presunzione di
ricavi non contabilizzati. Infatti l’andamento delle vendite in un solo giorno può
dipendere da infinite variabili che non possono per tale motivo essere estese ad
un intero anno specie se trattasi di vendite effettuate in un giorno ricadente in
due anni prima di quello in valutazione e attinenti ad una tipologia di merci
limitata, 17 tipologie di fior rispetto alla ottocento varietà trattate dalla
ricorrente”.
Sentenza della Corte di Cassazione n. 21791 del 15 ottobre 2014
Altrettanto interessante è questa sentenza pronunciata dalla Corte di
Cassazione con riferimento a un ricorso presentato dal contribuente avverso la
decisione della Commissione tributaria Regionale Lombardia che aveva
confermato il giudizio di primo grado con cui era stata sostenuta la piena
legittimità di un accertamento.
Nell’ambito dei motivi proposti, il contribuente lamentava l’illegittimo ricorso
da parte dell’Ufficio al metodo di accertamento analitico-induttivo.
A tale proposito la Suprema Corte ha, innanzitutto, posto in luce che, secondo
un consolidato orientamento giurisprudenziale, nell’ambito di accertamenti
analitico-induttivi, non è sufficiente per procedere a rettifiche il solo rilievo
dell’applicazione da parte del contribuente di percentuali di ricarico diverse da
quella mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, ma “occorre invece
che risulti qualche elemento ulteriore, incidente sull’attendibilità complessiva
della dichiarazione, ovverossia la concreta ricorrenza di circostanze gravi,
precise e concordanti”.
In relazione al caso di specie, gli stessi giudici hanno poi osservato che “la
Commissione Tributaria Regionale ha individuato quale «elemento ulteriore»,
incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione il fatto che la
società contribuente aveva dichiarato per sette anni consecutivi (dal 1997 al
2003) una perdita e ha ritenuto che tale elemento fosse idoneo a conferire alla
presunzione semplice, costituita dallo scostamento dei ricavi dalle media di
settore, quei caratteri di gravità e precisione richiesti dall’art. 2729 C.c.,
affermando altresì che la contribuente non aveva fornito spiegazioni valide e
convincenti sui motivi delle perdite, continuate e ripetute, contrastanti con ogni
logica imprenditoriale”.
Sulla scorta di tali premesse, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato
dal contribuente atteso che “a fronte delle specifiche giustificazioni della
contribuente, astrattamente rilevanti e supportate da idonea documentazione,
in ordine alle ragioni delle perdite di esercizio, imputate, in particolare, ai
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notevoli investimenti effettuati ai fini di accrescere l’avviamento aziendale, la
CTR ha omesso di verificare, dandone conto in motivazione, la fondatezza,
rilevanza, e incidenza causale di dette giustificazioni, e di fornire sostegno
argomentativo alla generica affermazione di inidoneità delle giustificazioni
fomite dalla contribuente”.
Secondo i giudici, quindi, “la motivazione della sentenza impugnata appare
dunque carente e inidonea a giustificare la decisione, in quanto omette di
valutare e dare conto di un punto decisivo della controversia, costituito dalla
concreta
rilevanza
giustificazioni
ed
fornite
adeguatezza
dalla
nonché
contribuente
in
della
fondatezza
relazione
della
all’andamento
antieconomico dell’impresa, posto a fondamento dell'applicazione da parte
dell’Ufficio del metodo analitico per la determinazione dei ricavi realizzati
dalla contribuente, calcolati mediante il cosiddetto “ricarico medio ponderato”.
Sentenza della Corte di Cassazione n. 25100 del 26 novembre 2014
Rilevanti considerazioni sono state svolte dai giudici di legittimità anche in tale
sentenza, originata dall’impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate della
decisione della Commissione tributaria Lombardia – Sezione staccata di Brescia
10 marzo 2009 con la quale era stata dichiarata l’illegittimità di un avviso di
accertamento rettificativo di ricavi.
Nell’ambito della sentenza di legittimità, i giudici hanno, innanzitutto, rilevato
che “la C.T.R. ha del tutto trascurato di esprimere un apprezzamento, ancorché
critico, sul metodo seguito dall’Ufficio, che appare ispirato … a un ricalcolo dei
ricavi in virtù di una puntuale individuazione di una percentuale media
ponderale di ricarico propria di ciascuna categoria di prodotto e secondo la
medesima leva aziendale, ancora per media generale, in mancanza e dunque
per categorie di merci residuali, alla stregua di quanto dichiarato per l’anno
d’imposta dal contribuente stesso. In pari tempo, la sentenza censurata omette
di dar conto di quali fossero i parametri, offerti in raffronto dall’appellante, e la
cui invocazione di per sé avrebbe condotto a determinare la congruità dei
ricavi dichiarati rispetto a quelli oggetto di accertamento analitico-induttivo”.
In base a tali considerazioni i giudici hanno, quindi, accolto il ricorso proposto
dall’Agenzia delle Entrate, avendo la Commissione Tributaria Regionale del
tutto trascurato che “la media ponderale applicata dall’Ufficio era ancora più
prudente di quella che, alle citate condizioni, consentirebbe le predette
rettifiche, facendo essa riferimento, ben più di quella del settore economicoproduttivo di appartenenza dell'imprenditore, proprio agli standards di
ricalcolo (desunti dal sistema della formazione dei prezzi) interni all’azienda
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stessa, così determinandosi un indice di inaffidabilità del relativo scostamento,
una concomitante irragionevolezza del mero richiamo di contrasto alla sola
formale regolarità contabile e perciò, in ultima analisi, un’insufficiente
sviluppo, ad opera del contribuente, dell’onere della prova cedente a suo
carico, secondo il condiviso sistema presuntivo, fondato com’era dall’Ufficio su
circostanze concrete ed adattate alla situazione economica accertata”.
Sentenza della Corte di Cassazione n. 673 del 16 gennaio 2015
Merita un cenno anche la richiamata Sentenza della Corte di Cassazione n. 673
del 16 gennaio 2015 la quale trae origine dall’impugnazione da parte
dell’Agenzia delle Entrate della decisione della Commissione tributaria
Regionale della Campania n. 136/05 del 12 maggio 2008 con cui i giudici di
merito avevano confermato la pronuncia di primo grado della Commissione
Tributaria Provinciale di Avellino che aveva annullato un accertamento
rettificativo dei ricavi del 2002, condotto dall’Amministrazione Finanziaria nei
confronti di una S.n.c. esercente l’attività di commercio di arredi.
In particolare la Suprema Corte ha affermato che “il riscontro di incongrue
percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce - sia in tema di imposte
dirette, sia in tema di IVA - legittimo presupposto dell’accertamento induttivo,
purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la
natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in
sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di
ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione
in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di
congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei benimerce nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al
criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto”.
Nel caso di specie, l’ufficio dell’Agenzia aveva determinato una percentuale di
ricarico del 48% (a fronte di quella dichiarata dal contribuente del 45%),
calcolata come media aritmetica su un campione di merce pari al 9% del
totale.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno confermato le decisioni di merito,
avendo ritenuto insufficiente detto campione di merci e inadeguata la
percentuale di ricarico calcolata come media aritmetica.
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Sentenza della Corte di Cassazione n. 4312 del 4 marzo 2015
Quest’ultima decisione riguarda la legittimità di un avviso di accertamento,
operato con metodologia analitico-induttiva, con cui l’Amministrazione
Finanziaria aveva recuperato a tassazione, ai fini IRPEF, ricavi non dichiarati e,
ai fini IVA, costi indebitamente detratti.
Tale accertamento era stato avallato dai giudici di merito i quali avevano
ritenuto congrua la percentuale di ricarico determinata nella misura del
46,69%.
La Corte di Cassazione ha, invece, osservato che, nel caso di specie,
l’Amministrazione Finanziaria avrebbe determinato la percentuale di ricarico
senza tenere in alcun conto la diversa natura dei beni venduti.
In particolare, i beni disomogenei non avrebbero dovuto essere accumunati in
macro-categorie omnicomprensive ma essere, invece, isolatamente considerati
ai fini della determinazione della media ponderata.
Inoltre, sempre secondo i giudici di legittimità, i dati di raffronto avrebbero
dovuto essere desunti dall’esame delle singole fatture di vendita e non acquisiti
in base al riscontro dei listini generali dei prezzi e in relazione ai dati relativi al
mercato di riferimento.
Conclusioni
La proposta carrellata giurisprudenziale fornisce chiara testimonianza
dell’impossibilità di predeterminare l’ampiezza dei beni merce da prendere in
considerazione ai fini della definizione della percentuale di ricarico. Essa infatti
varia, come visto, in funzione delle caratteristiche del soggetto sottoposto ad
accertamento e, in particolare, dell’ampiezza del ventaglio di prodotti offerti e
del loro rispettivo valore2.
Cosicché, nei casi in cui i prodotti commercializzati siano assai limitati e
abbiano tutti valore omogeneo, è ammesso l’utilizzo, in luogo della
percentuale di ricarico medio-ponderata, della percentuale media semplice; la
media ponderata deve, invece, essere preferita laddove sussista una notevole
differenziazione nelle tipologie di prodotti offerti e nel loro rispettivo valore.
2
Al riguardo, A Marcheselli, “Accertamenti tributari e difesa del contribuente”, Giuffré editore, 2010, osserva che “Innanzitutto ci si può domandare quali e quanti beni venduti debbano essere considerati per calcolare il ricarico. In termini generici, la risposta è: un campione significativo e non tutti i beni”. E ancora “Non è possibile dettagliare molto di più tale indicazione, perché quasi tutto dipende dalle circostanze del caso: anche ammesso di suddividere i beni in categorie diverse e omogenee, ci sono beni (o rivenditori) per i quali la determinazione dei prezzi è tendenzialmente rigida (per i quali è già campione rappresentativo un numero ridotto di beni) e altri per i quali è più fluttuante (e rispetto al quale il campione per essere rappresentativo deve essere più ricco)”. Informatsrl
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Va poi considerato un ulteriore elemento di criticità, rappresentato dal
confronto fra la percentuale di ricarico determinata e quella relativa alle
imprese similari, attesa l’assenza di dati oggettivi sui ricarichi medi dei soggetti
operanti nei distinti settori merceologici.
Ma, a mio avviso, il punto più interessante della questione è quello relativo al
rapporto fra la determinazione della predetta percentuale e la metodologia di
accertamento.
Se infatti, da un lato, la Suprema Corte ha, in alcune sentenze3, chiarito che ogni
qualvolta l’Amministrazione Finanziaria decida, nell’ambito della metodologia
analitico-induttiva, di procedere ad accertamenti giustificati sulla scorta della
divergenza fra la percentuale di ricarico applicata e quella media di settore, la
rettifica deve necessariamente essere supportata da elementi ulteriori che
minino l’attendibilità complessiva della contabilità tenuta dal contribuente, per
altro verso essa ha, in altre pronunce4, posto l’accento sulla circostanza che
dette divergenze costituiscono legittimo presupposto per accertamenti
induttivi, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente
con la natura e le caratteristiche dei beni venduti.
Da ciò la necessità che ogni valutazione in ordine alla legittimità o meno
dell’utilizzo di percentuali di ricarico sia effettuata tenendo conto della
metodologia di accertamento in concreto utilizzata.
In buona sostanza, occorre guardare alla diversa forza richiesta alle
presunzioni: l’accertamento analitico-induttivo può, infatti, essere esperito
soltanto attraverso l’impiego di presunzioni cosiddette “qualificate”, ossia
dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; l’accertamento
induttivo “puro” può fondarsi, invece, anche su presunzioni sprovviste dei
predetti requisiti.
Ovviamente, poi, tutte le rettifiche operate sulla scorta delle percentuali di
ricarico dovranno, come ogni altra attività di accertamento, rispettare il
principio di “capacità contributiva” di cui all’art. 53 della Costituzione.
- Riproduzione riservata -
3
Tra le più recenti, cfr. richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 21791 del 15 ottobre 2014 e la n. 11165 del 21 maggio 2014. 4
Da ultimo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 673 del 16 gennaio 2015. Informatsrl
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