Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Incetta di premi, di recensioni entusiastiche e di incassi al botteghino per l'ultima fatica del regista messicano
Alejandro Gonzalez Iñarritu, virtuoso nell'affidare al piano sequenza praticamente ininterrotto la sua ricerca di
realtà e visionarietà unite e inscindibili, entrando nella vita di un personaggio che incarna – in quanto attore alle
prese con la fama e il suo declino – la schizofrenia di chi è scisso tra la cura per la propria immagine e il desidero
di tenere insieme i pezzi più intimi della propria vita.
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
distribuzione:
119 MINUTI
USA
2014
ALEJANDRO GONZÁLEZ IÑÁRRITU
ALEJANDRO G. IÑÁRRITU, NICOLÁS GIACOBONE, ALEXANDER DINELARIS,
ARMANDO BO
EMMANUEL LUBEZKI
DOUGLAS CRISE, STEPHEN MIRRIONE
ANTONIO SÁNCHEZ
KEVIN THOMPSON
20TH CENTURY FOX
interpreti:
MICHAEL KEATON (Riggan Thomson), ZACH GALIFIANAKIS (Jake), EDWARD
NORTON (Mike Shiner), EMMA STONE (Sam Thomson), ANDREA RISEBOROUGH (Laura), AMY RYAN (Sylvia
Thomson), NAOMI WATTS (Lesley), MERRITT WEVER (Annie), LINDSAY DUNCAN (Tabitha Dickinson), BILL CAMP
(uomo pazzo), MICHAEL SIBERRY (Larry), BENJAMIN KANES (Birdman), ANTONIO SÁNCHEZ (batterista del teatro).
premi e nomination:
2015 - Premio Oscar: Miglior film, Miglior regia, Miglior sceneggiatura
originale, Miglior fotografia, Nomination Miglior attore protagonista, Miglior attore non protagonista, Miglior
attrice non protagonista, Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro. Golden Globe: Miglior attore, Migliore
sceneggiatura, Nomination Miglior film, Miglior regista, Migliore attrice non protagonista, Miglior attore non
protagonista, Migliore colonna sonora originale. British Academy Film Awards, Migliore fotografia e 9
nomination. 2014 - Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, Leoncino d'Oro Agiscuola per il
Cinema, Future Film Festival Digitale Award, Premio P. Nazzareno Taddei, Nomination Leone d'oro al miglior film
.
Alejandro González Iñárritu
(Mauro Gervasini)
l talento è fuori discussione. Anche la magniloquenza cinematografica, la modernità espressiva, il gusto per le
sfide tecniche (come il piano sequenza di 119 minuti di Birdman; in verità una serie di piani comunque
difficilissimi da realizzare, come ben sa il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki). Magari persino un po' di
furbizia. Alejandro González Iñárritu, classe 1963, primo cineasta messicano a vincere al Festival di Cannes
(miglior regia per Babel, 2006) esordisce con quello che (per chi scrive) è tuttora il suo film migliore, Amores
perros (2000). Dove cinefilia e cinofilia si fondono ammantandosi di pulp, in Messico, lontano (ancora)
dall'omologazione gringa. Già sceneggiato dall'antico sodale Guillermo Arriaga, romanziere, Amores perros
racconta, intrecciandole, tre storie, denominatore comune delle quali la frequentazione tra uomini e cani.
Iñárritu porta alle estreme conseguenze la struttura a incastro così di moda nella dominante (specie negli anni
90) estetica postmoderna, tuttavia il contributo di Arriaga, che definisce personaggi di spessore o quasi mitici (in
particolare il sicario-clochard El Chivo), rende "caldo" un percorso narrativo altrimenti destinato al formalismo e
alla ridondanza.
Purtroppo l'orizzonte degli eventi coincide con la chiamata a Hollywood. Iñárritu e Arriaga realizzano nel 2003 21
grammi (sarebbe il peso dell'anima), progetto filosoficamente ambizioso con cast all star. Ancora tre piani
narrativi intrecciati ma questa volta la sceneggiatura di Arriaga, sempre a caccia di massimi sistemi (un misto tra
riflessioni esistenzialiste su morte, redenzione, silenzio di Dio, Provvidenza) aderisce a una regia bulimica e a un
disordinato incedere per flash forward e forsennati movimenti di macchina. Lo stile di Iñárritu si radicalizza ma
anche la scrittura del principale collaboratore cerca di stupire sempre di più, scegliendo incastri tra storie
"esotiche" non più così essenziali. È il caso di Babel (2006), kolossal programmatico in tre atti (al solito mescolati)
per tre continenti, dedicato a "grandi temi" quali solitudine & confini.
Il cinema del Nostro pare destinato alla maniera. Ma complice (forse anche) il divorzio da Arriaga, Iñárritu trova
in Birdman un soggetto, perfetto e adatto alle sue corde. Non tanto la crisi di un uomo in cerca d'autore mentre il
suo personaggio (il supereroe Birdman) mantiene una debordante personalità; e neppure (solo) l'ennesima
riflessione sui rapporti tra arte e vita. Ma una sorta di non integrata (quindi apocalittica) presa di coscienza
dell'impossibilità di raccontare il nostro mondo, che non chiede più una narrazione complessa ma solo pulsioni,
letture emotive, superficiali aforismi al posto del "romanzo". A questo cinema uno come Arriaga - in effetti - non
serve più. Lungi dal poter fare a meno della scrittura (infatti Birdman conta ben quattro sceneggiatori) Iñárritu
mette in scena il fallimento di ogni rappresentazione, a partire da quella letteraria (Carver) o teatrale, e facendo
questo, finalmente, rende funzionale a se stessa, e non più a un testo, la regia. Al netto di un finale confuso e
troppo prolungato, Birdman è straordinario nel rendere epico il proprio linguaggio facendolo aderire all'energia
creativa dei suoi attori, tutti eccezionali a partire da Michael Keaton e Edward Norton fino alla mai abbastanza
elogiata Andrea Riseborough. Che vinca l'Oscar o meno, resta uno dei più significativi titoli dell'anno.
La parola ai protagonisti
Intervista al regista
Perché il piano sequenza?
Ho avuto l’idea del piano sequenza non appena mi sono reso conto che il film parlava di ego - ha detto Iñárritu -.
Per capire e osservare davvero, ma soprattutto per sentire, dovevamo essere dentro la sua mente e il piano
sequenza era l’unica soluzione. Con con questa tecnica viviamo un’esperienza simile alla nostra vita.
Il cinema è ormai solo intrattenimento, abbiamo smesso di esplorare nuove possibilità», ha detto Iñárritu. «Il
finale del film non richiede una spiegazione razionale. Credo che il cinema sia l'ennesima vittima di un mondo
governato dal denaro. La sua tragedia è che per esistere ha bisogno di finanziamenti: succede lo stesso in altri
settori, la sanità per esempio. Dunque anche il cinema è costretto a stravolgere le sue priorità per soddisfare le
esigenze di mercato.
Con Birdman lei si è avventurato in un nuovo territorio narrativo: lunghissimi piani sequenza, montaggio quasi
assente, recitazione ininterrotta degli attori. Come è nata questa scelta?
Mi stavo annoiando delle tecniche che avevo usato fino ad ora, così come mi ero stufato delle trame
melodrammatiche e troppo piene di "spezia messicana". Volevo esplorare un tema che mi riguarda da vicino:
l'ego dell'artista, e ho deciso di farlo attraverso il punto di vista soggettivo del protagonista, un attore che, in
quanto tale, è l'incarnazione perfetta del problema.
Un bel rischio, però.
Sì, ho proprio voluto uscire dal mio ambiente sicuro e comportarmi come il funambolo in equilibrio sul filo. Nel
mio studio ho una foto di Pascal Petit, che ha teso un cavo fra le Torri Gemelle e ha camminato dall'una all'altra:
ne ho fatto una copia e l'ho consegnata a tutta la troupe, per avvisarli di ciò che li aspettava.
Come ha orchestrato il gioco delle riprese che sembrano continuamente entrare e uscire dagli ambienti interni ed
esterni del film?
Entravano e uscivano davvero! Ho usato tanto la camera a mano quanto la steadicam, ho letteralmente rimosso
alcune pareti all'interno del teatro dove si svolge la storia per fare posto ai cameramen. Ma soprattutto ho
lavorato per anni alla pianificazione di ogni singola ripresa: niente è stato improvvisato, o lasciato al caso. Ma una
cosa è il progetto, un'altra la realtà. Quando abbiamo cominciato a girare abbiamo dovuto risolvere innumerevoli
imprevisti tecnici.
È stato difficile girare intere sequenze senza interruzioni?
La nostra sceneggiatura era come un articolo senza punti o virgole, gli attori dovevano recitare 15 pagine di
dialogo alla volta, dunque la cosa più difficile è stato dare alle scene un ritmo interno: al cinema, il ritmo è Dio.
Abbiamo cominciato letteralmente dallo spazio vuoto, segnando i punti sulla scena proprio come si fa in teatro e
misurando i passi che ogni attore avrebbe dovuto compiere per raggiungere il suo posto al momento giusto. Ogni
luce è stata posizionata, ogni oggetto di scena. La palla poi è passata agli attori, che sono stati eccezionali nel
recitare senza mai fermarsi e nello stesso tempo attenendosi rigorosamente al copione: non c'era proprio spazio
per l'improvvisazione.
È un modo di reinventarsi il linguaggio cinematografico?
Nelle intenzioni, sì. La rappresentazione cinematografica si basa sulla frammentazione del tempo e dello spazio,
che è data dal montaggio e io, che nasco montatore, ho provato la frustrazione di dover intervenire il meno
possibile. Questo ha significato dovermi concentrare molto di più durante le riprese: se sbagli, non hai modo di
porre riparo.
Che cosa ha imparato da questa esperienza?
Mi sono accorto di quanto sono stato pigro nel girare i film precedenti, facendo leva su tecniche e meccanismi
collaudati e "sicuri". Spero solo che gli spettatori non pensino che mi sto mettendo in mostra: mi piacerebbe che
non avvertissero la presenza del regista, ma solo quella di un linguaggio cinematografico non convenzionale.
Il tema del film è l'ego dell'artista. Lei con il suo ci combatte?
Assolutamente! Conosco bene la sensazione di essere un momento una cometa luminosa, e quello dopo una
medusa spiaggiata (due immagini che compaiono nel film, ndr). Sotto questo aspetto girare Birdman è stato
liberatorio e direi quasi terapeutico: bisogna saper ridere delle proprio mediocrità e dei propri limiti. E questo è il
primo set su cui sono scoppiato a ridere più volte, riconoscendomi perfettamente nelle fragilità del protagonista.
Anche perché Michael Keaton è stato straordinario nella sua capacità di mettersi completamente a nudo, senza
pudore.
Letteralmente a nudo: nel film c'è una scena in cui Keaton corre in mutande in mezzo alla folla...
Michael è stato straordinario in quella scena, girata in mezzo alla gente che ovviamente ha subito tirato fuori i
telefonini per filmarlo, proprio come si vede nel film. È stata una dimostrazione di totale vulnerabilità fisica ed
emotiva. Ma credo che ognuno di noi prima o poi si sia sentito come lui: allo scoperto, in mezzo ad una folla di
estranei.
Quanto ha contato il fatto che Keaton abbia impersonato Batman nell'affidare proprio a lui il ruolo di una star
diventata famosa nei panni di un supereroe alato e mascherato?
Diciamo che il fatto che abbia davvero vestito il mantello del supereroe mi ha fatto gioco. Ma l'ho voluto
soprattutto per la sua capacità di interpretare contemporaneamente il lato comico e tragico del personaggio. E
Michael riesce ad essere amabile persino quando interpreta un bastardo.
Il suo film fa pensare a I protagonisti di Robert Altman e, come America Oggi, fa riferimento a Raymond Carver.
Le piacerebbe che definissero Birdman "altmaniano"?
Se Birdman fosse "altmaniano" anche solo all'un percento, ne sarei onorato.
Fra poco inizieranno le riprese del suo prossimo film, The Revenant, con Leonardo DiCaprio e Tom Hardy. Questa
volta non ha aspettato quattro anni...
Sì, cominceremo a girare fra un mese, e sono terrorizzato! Ma ho imparato con Birdman che la paura genera
l'adrenalina necessaria a sentirmi vivo.
Recensioni
Paola Casella. Mymovies.it
Riggan Thompson è una star che ha raggiunto il successo planetario nel ruolo di Birdman, supereroe alato e
mascherato. Ma la celebrità non gli basta, Riggan vuole dimostrare di essere anche un bravo attore. Decide allora
di lanciarsi in una folle impresa: scrivere l'adattamento del racconto di Raymond Carver Di cosa parliamo quando
parliamo d'amore, e dirigerlo e interpretarlo in uno storico teatro di Broadway. Nell'impresa vengono coinvolti la
figlia ribelle Sam, appena uscita dal centro di disintossicazione, l'amante Laura, l'amico produttore Jake,
un'attrice il cui sogno di bambina era calcare il palcoscenico a Broadway, un attore di grande talento ma di
pessimo carattere. Riuscirà Riggan a portare a termine la sua donchisciottesca avventura?
Dopo il tuffo negli abissi della disperazione di Biutiful, capolavoro poco apprezzato dal grande pubblico, il regista
messicano Alejandro Gonzalez Inarritu si cimenta con la commedia, benché agrodolce e in alcuni tratti quasi
nera. Temi principali sono l'ego, in particolare quello maschile, e l'incapacità di distinguere l'amore degli altri
dalla loro approvazione. (…) Inarritu scandaglia l'animo di Riggan usando la cinepresa come mai aveva fatto
prima, ovvero cimentandosi in una serie praticamente infinita di piani sequenza all'interno dei quali gli attori
recitano senza inerruzioni come su un palcoscenico teatrale, entrando e uscendo continuamente dal teatro in cui
si svolge prevalentemente l'azione alla strada, e dentro e fuori i camerrini, i corridoi, il backstage del teatro
stesso. In un gioco continuo di immagini rifratte attraverso specchi e spiragli.
Il paragone con Robert Altman è inevitabile: i piani sequenza (...), l'adattamento da Carver (...), la messa in
ridicolo corale del mondo dello spettacolo (...). Come è altmaniana la visione da insider della Hollywood
contemporanea, in particolare quella dei franchise dedicati ai supereroi, "pornografia apocalittica" responsabile
dell'infantilizzazione irreversibile del pubblico.
Birdman è anche un capolavoro di metacinema: il protagonista è quel Michael Keaton che deve la sua celebrità
all'interpretazione di Batman (...); è più volte citato The Avengers, il film cui Edward Norton, che in Birdman ha il
ruolo del prim'attore, ha rifiutato di partecipare nei panni di Hulk, dopo aver litigato con la produzione del film
sul gigante verde. E c'è una scena in cui Inarritu fa ciò che Hollywood vorrebbe da ogni regista, dopo aver fatto
per tutto il resto del film ciò che Hollywood detesta (tranne la notte degli Oscar): infiniti virtuosismi registici,
dialoghi interminabili, mancanza di un eroe immediatamente identificabile.
Birdman è apparentemente privo di montaggio (...) il cui ritmo è dato da una pianificazione meticolosa, una
inarrestabile agilità nei movimenti di macchina, una recitazione rocambolesca, un incalzante rullo di batteria che
accompagna tutte le azioni che coinvolgono Riggan. Ed è un esperimento in linguaggio cinematografico
coraggioso e spaccone, reboante e ridondante, eccessivo ma funzionale alla storia che narra. Inarritu racconta
l'uomo (e in particolare il maschio) nella sua fragilità e contraddizione, nei suoi sogni di gloria e le sue delusioni di
vita. Racconta la presunzione, ma anche la vulnerabilità, di ogni artista, o anche di chi crede di esserlo ed è
costretto a confrontarsi con l'evidenza contraria. Attraverso lo sguardo di Riggan, il regista commenta su tutta la
società contemporanea, sul "genocidio culturale" in corso e sulla prevalenza fagocitante dei social media, creatori
di una nuova forma di ambizione, quella di diventare virale, e una nuova forma di delusione, quella di credere
che milioni di contatti equivalgano ad un singolo attestato di stima.
Il risultato è un film magmatico (e in questo senso perfettamente "altmaniano") che è un piacere per gli
spettatori, gioiosamente ridondante e tracimante vita ed ambizione. Nella sua bulimia creativa Inarritu inanella
troppi finali, ma è difficile biasmiarlo per la volontà di dire troppo invece che tutto, ricordando che chi rischia
cammina sempre sull'orlo dell'abisso.
Cristina Piccino. Il Manifesto
Birdman non è Hollywood contro New York, celebrities contro attori, commerciale contro autoriale in
quell'opposizione alto/basso culturale così riduttiva che oggi, in era di un neo-conservatorismo del pensiero
diffuso, sembra tornata a formattare il giudizio. Almeno quando si tratta di decidere cosa è popolare e cosa no,
cosa è giusto per il pubblico e cosa no... Anche se questo c'è, ovviamente, e anzi il regista messicano si diverte a
giocare con i «luoghi» dello spettacolo americano, il mercato attuale delle grosse produzioni o i prodotti snob
della scena teatrale - l'uno e l'altro illuminati con ironia molto divertente, tra i giovani attori come Fassbender
tutti impegnati in serie alla 'Avengers', e la critica teatrale che si limita alle etichette. E con gli specchi in cui
riflette gli attori, a cominciare da Keaton, per anni Batman, fino alla 'Mulholland Drive' lynchana di Naomi Watts,
o a Emma Stone, fidanzata di Spider Man, intorno ai quali costruisce una precisa trama di rimandi, anche se forse
dei suoi film questo è il meno barocco, nella continua oscillazione tra realtà e fantastico. E proprio i tocchi
surreali, quella voce che Thompson sente, la sua vocetta interiore, la voce di Birdman, che glielo ripete di lasciar
perdere di tornare alla «buona vecchia pornografia apocalittica di sangue e adrenalina», coi superpoteri che gli
sono rimasti, volare sulla città, tra i grattacieli, come un uccello, ci portano al cuore commuovente e profondo di
questo «ritratto d'attore», che è quello carveriano, la stessa implorazione che il personaggio del dramma grida al
mondo sul palcoscenico, volevo solo essere amato. Ecco, Birdman è Carver - che non dimentica l'Altman di
'America oggi' - dentro e fuori la scena, proprio come dentro e fuori lo schermo si muove Iñárritu, nelle sue
immagini che ci mostrano tutto senza interruzioni - grazie a un lavoro di preparazione accuratissimo - come se
stesse accadendo in quel momento, «vero» perché meticolosamente messo in scena. Su questo bordo scorrono
la malinconia e la dolcezza della vita, l'eterna domanda del nostro stare al mondo, che attraversa i film del
regista, quell'impossibile desiderio di essere qualcos'altro, e la necessità di fare finta di nulla, può essere
distrazione o spregiudicatezza. Birdman è un magnifico film sul sentimento del nostro contemporaneo, che solo
la potenza dell'immaginario può catturare.
Curzio Maltese, La Repubblica
Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore? È questo, senza interrogativo finale, il titolo di una delle più
straordinarie raccolte di racconti del Novecento. Ed è la domanda che attraversa il nuovo film di González
Iñárritu, 'Birdman', uno dei migliori dell'anno (...). Lo sappiamo al cinema dai tempi dell''Effetto notte' di Truffaut.
È un disperato bisogno d'amore che spinge a fare il mestiere dell'attore e forse anche per altri: ormai quasi tutti
sono attori, qualsiasi lavoro facciano. Ma quale sia la forma di questo amore, se la fama, il successo, l'adorazione,
il numero dei followers e come questa ricerca influisca sul bisogno d'amore quotidiano, tangibile per una donna,
un uomo, un figlio, un amico, questo è il tormento del nostro eroe. (...) La camera di Iñárritu lo insegue in un
flusso continuo, omaggio cinefilo al grande Hitchcock, sfiorando con leggerezza alcuni solidi luoghi comuni - il
rapporto fra cinema e teatro e letteratura, fra arte e mercato - senza mai cadere nella banalità e anzi virando ogni
volta verso situazioni inattese, a tratti d'irresistibile comicità. Nella forma e nella sostanza Iñárritu descrive la
parabola del folle volo di un Ulisse, di un Icaro del nostro tempo fragile e disperso fra mille inutili tentazioni e
ricorrenti crisi d'identità. La forza creativa del cinema di Iñárritu è sostenuta da una scrittura brillante e da una
prova d'attori fenomenale. Ed Norton è travolgente nella parte di Mike (...), Emma Stone, sempre più brava (...),
Naomi Watts è perfetta nel ruolo di un'attrice in fuga dal ruolo di sex symbol. Su tutti però giganteggia Michael
Keaton, già vincitore del Globen Globe e favorito per un Oscar che realizzerebbe un'altra favola hollywoodiana.
Perché si tratta proprio di lui, del Keaton protagonista dei primi due 'Batman', poi ripudiato dalla Mecca del
cinema per aver rifiutato 'Batman 3' e ora tornato alla gloria con il personaggio autobiografico di Birdman, fra gli
applausi del pubblico che si era dimenticato di lui e gli osanna d'una critica che l'aveva sempre considerato un
mediocre attore miracolato dal botteghino. Con 'Birdman' il messicano Alejandro Iñárritu si conferma uno dei
registi di maggior talento del panorama cinematografico mondiale (...).
Valerio Caprara, Il Mattino
(...) «Birdman» rappresenti uno dei titoli più rilevanti delle ultime stagioni (...) la commedia nera architettata sui
tormenti di Riggan (...) ,ha tutto per convincere anche la cinefilia più accigliata. Nella miriade di spunti centrali e
collaterali che scandiscono l'allestimento, le prove e i contrattempi nei tre giorni precedenti la prima, il regista
messicano trapiantato negli Usa muove le pedine di un gioco al massacro che non risparmia nessuno: attori
vanitosi e spregiudicati, colleghe frustrate, ex mogli fameliche, figli disastrati, giornalisti idioti, pubblico bue, tutti
braccati dalla cinepresa con sinuosi piani sequenza mentre anche Riggan, in piena crisi autodistruttiva, non può
liberarsi dal flusso di coscienza della voce interiore né dalla proiezione dell'altro se stesso ovvero il gigantesco
supereroe mascherato da uccello rapace. Una struttura acrobatica fomentatrice di cortocircuiti a catena tra
delirio, sarcasmo e ferocia a cui è particolarmente versato il regista di «21 grammi» e «Babel» (come sottolinea il
sottotitolo alla De Sade «... o l'insospettabile virtù dell'ignoranza»), qui supportato dalle ideali performance di
Keaton, Norton, Stone e Watts che sarebbe ancora meglio, peraltro, apprezzare in versione originale
sottotitolata. Se un difetto può imputarsi a «Birdman» è solo quello della sovrabbondanza: non tanto delle
tematiche che oscillano sapientemente tra quelle più ovvie (la satira dei media e dei social network, la crisi
d'identità tra privato e pubblico dei divi) e quelle più sofisticate (le diverse tecniche di recitazione, i classici
letterari cari al pubblico del teatro), quanto delle visioni apocalittiche e delle catarsi poetiche assegnate al
protagonista e dilaganti in un ultimo quarto d'ora in cui allo spettatore vengono proposti un numero
imbarazzante di falsi finali.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa
(...) soprattutto 'Birdman' è la surreale tragicommedia di un uomo atterrito dallo spettro incombente di un
fallimento personale e professionale; e - anche se una sua debolezza è proprio quella drammaturgica di tirare in
ballo un deuteragonista del peso di Edward Norton per poi mollarlo a metà strada - è un film sul teatro nel
teatro, su quello scontro di egocentrismi che durante le prove possono creare situazioni di conflitto
eventualmente funzionali alla riuscita dello spettacolo. Pur incarnati da eccellenti attori (dalla figlia Emma Stone
al produttore Zach Galifianakis) gli altri personaggi in realtà contano relativamente, stanno li solo per dare il la a
Riggan. (...) Svariando su una gamma di emozioni che va dall'isterismo alla frustrazione, Keaton impersona Riggen
mettendosi sfrontatamente a nudo con coraggiosa autoironia. E intanto Iñárritu e il suo fantastico direttore di
fotografia Emmanuel Lubezki gli stanno addosso in lunghe scene dal ritmo incalzante che non conosce pause,
dando l'impressione di un racconto svolto in un unico, acrobatico piano sequenza. Fino a un finale metaforico che
non ci ha molto convinto, ma che nulla toglie alla travolgente, disperata energia di un film non a caso candidato a
nove premi Oscar.
Alessandra De Luca, Avvenire
Birdman segna un cambio di rotta nella filmografia del premiatissimo regista messicano Alejandro González
Iñárritu, cha abbandona drammi e giochi di destini incrociati per cimentarsi nella black comedy. E ci racconta una
Hollywood in crisi culturale ed esistenziale, popolata da attori schiacciati dal proprio io, affannata a sfornare
prodotti costruiti su misura per un pubblico di adolescenti. (...) Vicino a Wilder e Altman che hanno smitizzato il
dorato mondo del cinema americano, non lontano da 'Essere John Malkovich' per la feroce 'decostruzione' della
figura dell'attore, 'Birdman' si concede altri giochi metacinematografici (nel cast anche Edward Norton, ex Hulk e
Emma Stone, ex fidanzata di Spiderman, tanto per rimanere in tema di fumetti) con stile assai personale, e
sceglie di raccontare le vicende a cui assistiamo attraverso lunghi e complessi piani sequenza, senza stacchi di
montaggio. Una scelta sperimentale per restituire la verità di ciò che accadeva in ogni singolo momento, senza
alcuna manipolazione successiva. Al cinema come al teatro dunque, con attori che entrano ed escono
dall'inquadratura come fossero su un palcoscenico. Con la macchina da presa freneticamente all'inseguimento
dei personaggi, dentro e fuori dai camerini, nel backstage, lungo i corridoi, sul palco, per strada. Energico, vitale,
traboccante di idee, il film che ci regala non poche scene destinate a rimanere scolpite nella memoria, sarebbe
un vero capolavoro se la sua ridondanza con lo facesse slittare negli ultimi venti minuti, scanditi da troppi finali
che disinnescano la forza di una conclusione degna delle premesse. Ma il cuore del film batte forte intorno alla
lotta tra un uomo e il suo ego, che lo inganna sui suoi veri bisogni e lo spinge a confondere l'ammirazione con
l'affetto e la stima. Un rischio fortemente alimentato negli ultimi anni dai social network - aveva ammonito lo
stesso regista - capaci di distorcere la realtà senza lasciare spazio alla riflessione e all'approfondimento.
Roy Menarini. Mymovies
(…) Vorremmo (...) porre l'attenzione sulle opposizioni tematiche proposte da Iñarritu. Il suo protagonista, ex
supereroe eponimo, chiaramente modellato sullo stesso Michael Keaton e sui Batman di Tim Burton (con l'idea
nemmeno troppo nascosta di costruire su Keaton ciò che non riesce al personaggio del film: ripescarlo
dall'anonimato e garantirgli un Oscar "erudito"), è in cerca di riabilitazione. Ci vuole almeno un Carver per potersi
dimenticare dei supereroi tutto chiasso ed effetti speciali. Per farlo, però, bisogna vincere le resistenze
dell'intellighenzia, superare i pregiudizi dei critici - e se davvero i critici teatrali newyorkesi sono come quelli
descritti nel film, poveri lettori americani - e scrollarsi di dosso Birdman, che gli alita sul collo e gli sta attaccato
come il guscio blockbuster di una carriera prematuramente tramontata. Ma davvero bisogna recitare Carver per
farsi perdonare Hollywood? Qui sta il tema. Che atteggiamento ha Iñarritu nei confronti della materia narrata?
Certamente ironico. Il teatro newyorkese non se la passa gran che bene, almeno a guardare le pose ridicole del
grand'attore interpretato da Edward Norton. Il problema è che il regista messicano, a parte qualche accenno
satirico come questo, sembra pensare che una trasposizione carveriana sia davvero meglio di un Birdman. Il che
non è.
La cultura contemporanea è una sorta di ecosistema mediale complesso dove i prodotti artistici vivono tutti la
stessa natura. Non c'è nessuna differenza intrinseca tra una trasposizione di Ibsen e Transformers 4. Niente che
possa reggere un confronto dialettico di questo nome può dimostrare che l'una cosa sia più artisticamente degna
della seconda. E vale per qualsiasi esempio, dalla musica alla letteratura. Varrebbe anche per il cibo (è
indimostrabile che un hamburger di una grande catena sia peggio di un piatto del ristorante più stellato, ma i
teorici della gourmandise preferiscono non porsi domande di estetica).
È nel giudizio dei critici e dei gatekeeepers del gusto che si divaricano le opere, quelle buone da una parte, quelle
cattive dall'altra. Non c'è bisogno di mettere in fila citazioni colte, tirate morali sui social media, jazz dal vivo,
riflessioni sulla natura del supereroe, attacchi al sistema dei blockbuster e - peggio ancora - infiniti piani
sequenza (digitali) per intuire quello che il cinema "pop" offre già da tempo (c'erano già Unbreakable e Kick-Ass
per questo).
La sensazione, per capirci, è che Iñarritu sia tutto dalla parte della scalcagnata compagnia e del suo velleitario
protagonista. Curiosamente, dimentica che nel caso di Michael Keaton, i film interpretati per Tim Burton sono
capolavori riconosciuti del cinema contemporaneo - tanto che rimarranno nella storia della settima arte più di
Birdman. E che il cinema supereroistico di oggi offre un livello di interesse certamente superiore al comatoso
teatro americano, e all'orizzonte non particolarmente esaltante del cinema indipendente o semi-indipendente a
stelle e strisce. Piuttosto che andare a vedere, nella vita reale, Keaton che interpreta Carver off Broadway,
insomma, chi scrive preferirebbe di gran lunga godersi un nuovo film della Marvel.