I dolori del giovane hacker

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GUARDA IL VIDEO DELL'INTERVISTA A RAOUL CHIESA
Nel '95, a vent'anni, Raoul Chiesa è stato condannato per
essersi introdotto nel sistema informatico della banca d'Italia.
Oggi lavora nel campo della sicurezza informatica e fra i
clienti ha molte sue ex vittime. L'intervista di GQ
Alla voce "Raoul Chiesa", su Wikipedia, le note biografiche sono
sbrigative: «35 anni. Torinese. Dal 1986 al 1995 è stato uno dei
primi hacker italiani. Processato per essersi introdotto nel
sistema informatico della Banca d'Italia, primo caso nazionale di
computer crime. Attualmente opera nel campo della sicurezza
informatica». Tutto qui? No, Chiesa è molto altro: scrittore,
icona italiana del mondo IT (Information Technology) e
personaggio dalla visione definitiva dell'universo tecnologico.
Qual è la tua definizione di hacker?
Una persona più curiosa della media, che ama smontare le cose
senza accontentarsi di quanto gli altri gli raccontano. Si può
esserlo non solo nell'IT ma anche nella meccanica, nella
scienza, nella ricerca. Il denominatore è sempre lo stesso: think
out of the box, ossia pensa al di fuori degli schemi.
C'è uno "stile hacker"?
Esistono più modi e forme. Se parliamo di fashion, è un geek
all'ennesima potenza. Esce l'ultima tecnologia e la compri
quando è all'apice: ti costa un sacco di soldi, è una cosa
stupidissima e lo sai ma non ne puoi fare a meno. Quello
dell'hacking è un community lifestyle che arriva sino alla
persona: uno dei cliché da sfatare è che ogni hacker se ne stia
nella sua cameretta. Nell'ambiente ci sono occasioni di
incontrarsi e socializzare in tutto il mondo, anche se in
circostanze un po' diverse dalle conventions di medici o di
venditori di aspirapolvere. Magari ti ritrovi insieme ad altre 200
persone, però preferisci chattare on line con quello che ti sta a
fianco, piuttosto che parlargli di persona.
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Qual è il luogo comune che ti fa più incazzare, anche sul
tuo conto?
Quello che descrive ogni hacker tra i 13 e i 15 anni al computer,
chiuso di notte nella sua stanzetta a divorare pizze consegnate a
domicilio. Di tipi così ce ne saranno, ma io non l'ho mai fatto. La
cosa che mi fa più arrabbiare quando parlano di me è una
battuta scontata: "Ti do il mio numero di conto corrente e tu lo
riempi". Mi viene da rispondere: se si potesse fare una cosa
simile, sarei ancora qui? Forse sì, dato che ho preso altre
strade, ma non è come nei romanzi o nei film.
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Un hacker finisce regolarmente a lavorare per il suo
"nemico"?
Innanzitutto bisogna definire il concetto di nemico. Nel senso che
agli inizi, avevo 15 anni, era la compagnia telefonica. Vent'anni
dopo alcune sono tra i miei clienti: una crescita personale, anche
perché se in loro vedessi ancora il nemico, dubiterei della mia
intelligenza. Mi occupo di ethical hacking, credo di avere
importato in Italia una professione: sono pagato per fare quello
che facevo prima, ma in maniera legale e autorizzata.
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Quindi cos'è un hacker etico?
Il termine identifica una persona che ha conoscenze ad alto
livello dell'hacking, che però ha deciso di usare in modo etico,
senza violare le leggi e per aiutare la comunità o il mercato con
il suo know-how.
Sei riuscito a fare quello che volevi?
Sì, anche se c'è una cosa che non mi va giù. Quando sono stato
arrestato, nel 1995, il reato di hacking esisteva da meno di due
anni. I legali mi consigliarono caldamente di patteggiare la pena:
avevo vent'anni, ero spaventatissimo e alla fine l'ho fatto. Mi
hanno dato due anni con la sospensione condizionale della pena,
la galera non l'ho mai vista e oggi è tutto concluso. Ma se
potessi tornare indietro non accetterei il patteggiamento. Il reato
per cui sono stato giudicato recita più o meno così: "Punito per
avere violato sistemi informatici protetti". Ma quei sistemi
protetti non lo erano, e in fase di dibattimento avrei potuto
dimostrare di aver ragione. O almeno in parte. Questo non per
dire che è bello farla franca, ma per sottolineare che all'epoca in
materia c'era un'ignoranza enorme: era il primo processo in
Italia per computer crime e si è voluto dare un esempio forte
con una condanna esemplare. La mia indagine era seguita
direttamente dalla Procura di Roma, uno dei p.m. si era
occupato per anni di terrorismo. Fu un processo emblematico e,
dopo i primi scoop, volutamente ignorato dai media. Il
messaggio era chiaro: sta nascendo qualcosa che dobbiamo
fermare subito.
Cos'hai da dire a un hacker del 2008?
Che capisco chi ama hacking e security: oggi c'è un mare di
tecnologia come open source e hardware a costo praticamente
zero, accessibili a tutti. Capisco anche la scarica di adrenalina
che si prova quando si sfonda un sistema. Ma quando ho iniziato
io non c'erano alternative: o rischiavi o niente. Adesso hai altre
possibilità, puoi installarti una Lan a casa in maniera del tutto
legale, puoi fare ricerca. Cioè creare, imparare, piuttosto che
lanciarti in azioni dirette che potrebbero creare problemi non da
poco.
C'è un libro che vorresti scrivere?
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Premesso che scrivo per hobby, ne vorrei pubblicare tre. Il
primo è la continuazione di Profilo Hacker, in cui iniziavo a
verificare la possibilità di applicare il profiling, come lo vediamo
in telefilm tipo Criminal Minds, al mondo dell'hacking e dei reati
digitali. È stato pubblicato lo scorso anno da Apogeo e appena
tradotto negli Usa, un caso raro per il settore IT. Il secondo è un
racconto di genere "faction" - mix tra realtà e fiction - senza tutti
gli strafalcioni tecnici che di solito inondano i romanzi
sull'hacking. Il terzo è la mia autobiografia, in cui vorrei
raccontare e chiarire azioni che ho commesso in età molto
giovane e quanto faccio adesso per il Paese Italia. Ma credo
che lo scriverò passati i 60: farlo adesso mi sembra un po'
troppo snob. Meglio pubblicarlo tra una ventina d'anni. Quando
di Raoul Chiesa si parlerà un po' meno.
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