L`incredibile storia di Clara Shortridge Foltz, la

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L`incredibile storia di Clara Shortridge Foltz, la
Diritto e Contaminazioni
BIOGRAFIE
L’incredibile storia di Clara Shortridge Foltz,
la “Porzia del Pacifico”
venerdì 15 gennaio 2016
Ziccardi Giovanni Professore, Cattedra di Informatica Giuridica, Università degli Studi di
Milano
Clara Shortridge Foltz voleva fare l’avvocato. Lo desiderava con tutte le forze. Già figlia di un
avvocato, ambiva a diventarlo anche lei, sin da bambina, mossa da una vera e propria
passione per la giustizia. C’era, però, un problema non da poco: viveva in California nel 1870,
e le donne, allora, non potevano esercitare la professione legale. Non solo: non c’erano facoltà
di giurisprudenza dove studiare il diritto, gli studi legali non assumevano praticanti femmine e i
giudici non accettavano assistenti con la gonna. In conclusione: o se ne stava buona buona a
casa ad accudire i cinque figli o, al massimo, per i pregiudizi del tempo, avrebbe potuto fare la
maestra.
Barbara Babcock, dal canto suo, voleva fare la professoressa di diritto. E a quasi cent’anni di
distanza dalle vicende che occorsero a Clara, fu la prima donna a riuscire a entrare
come professore di ruolo nell’organico della facoltà di giurisprudenza dell’Università di
Stanford: rimase l’unica per cinque anni. Se Clara è passata alla storia come il primo avvocato
donna della California, Barbara è diventata la sua più appassionata biografa: ha dedicato gli
ultimi 25 anni di attività di ricerca a celebrare, e a tenere viva, l’avventura di quella incredibile
donna con un libro recente, Woman Lawyer, e con saggi, articoli e considerazioni sul tema.
Il filo che lega queste due donne, e la loro lotta contro le discriminazioni, aprono il campo a
riflessioni di grande attualità.
La storia (e le battaglie)
Clara Shortridge Foltz, la “Porzia del Pacifico”, è stata la prima donna ammessa ad
esercitare come avvocato in California. Ha vissuto dal 1849 al 1934 e, nonostante fosse
molto conosciuta nella sua epoca, è stata pian piano dimenticata sino a quando un’altra
giurista, Barbara Babcock, non ha deciso, sin dall’inizio degli anni Ottanta, di riproporla quale
esempio per le nuove generazioni e di celebrare le attività di una avvocatessa che è stata
protagonista di tante battaglie.
Nel 1878, in tutti gli Stati Uniti d’America, meno di cinquanta donne esercitavano la professione
di avvocato. Ma c’è di più: le donne non avevano diritto di voto e in California, dove viveva
Clara, la legge permetteva solamente ai cittadini bianchi maschi (“white male”) di fare domanda
per diventare avvocati, e di sostenere il relativo esame.
La ragazza aveva, allora, 29 anni: madre di cinque figli, era stata abbandonata dal marito.
Non si perse d’animo e iniziò, come prima cosa, un’azione di lobbying feroce e insistente
per far cambiare la legge. La legge doveva mutare. Doveva stabilire per chiunque la
possibilità di fare l’avvocato in California, e non solo per “i maschi”. Clara girò la California
gridando che quel “white male” della legge doveva diventare, subito, “person”. E, incredibile ma
vero, in meno di un anno di attivismo riuscì nell’obiettivo, anche se per un soffio di voti, e
incassò la sua prima, grande vittoria: era riuscita a scardinare le modalità discriminatorie di
accesso a una professione, quella legale, che, per tradizione, era riservata al solo genere
maschile.
La prima vittoria le aprì la strada, e le diede la forza, per la seconda: il diventare
avvocato, il guadagnarsi da vivere facendo l’avvocato e il combattere da avvocato per i diritti
dei più deboli e delle donne e per portare a una riforma del processo penale. Anche in questo
secondo viaggio, Clara non ebbe vita facile, e la ricerca di Barbara Babcock per ricostruire
quegli anni è stata molto problematica: gran parte del materiale che riguarda Clara è andato
disperso. Il motivo è semplice: in quei tempi le biblioteche raramente custodivano lettere,
appunti e fotografie di donne. Vi era spesso una sorta di “selezione” del materiale da archiviare
in base al genere. Non erano solo le biblioteche che operavano in tal modo, ma anche gli
stessi nuclei familiari che raramente custodivano ricordi o documenti di figlie o sorelle. Barbara
si è dovuta affidare alle fonti pubbliche e ai ricordi, ed è riuscita comunque a disegnare la
figura di una donna dinamica e coraggiosa, desiderosa di fare dell’avvocatura la sua
professione, sempre attenta ai diritti degli indigenti.
Una lettera, recuperata dalla studiosa, è significativa: a un certo punto Clara inviò una missiva
a uno studio legale di San Jose per fare pratica. La classica lettera che un giovane invia a uno
studio domandando di poter iniziare a collaborare. L’avvocato Francis Spencer, il destinatario,
le rispose facendole notare come la sua richiesta fosse non solo “ridicola”, ma come il posto
giusto per una donna fosse a casa a meno che non volesse diventare un insegnante. E, in tal
caso, si diceva disponibile a “raccomandarla” per trovare una buona scuola, viste le sue
indubbie capacità.
I numerosi “no” da parte di studi legali importanti non la scoraggiarono, e decise
comunque di frequentare il ben più modesto studio del padre (e del suo socio) per cercare di
apprendere il più possibile. Nel frattempo, la sua mamma si impegnava per aiutarla
economicamente mentre lei inseguiva il suo sogno.
L’ambiente legale attorno a lei non facilitò di certo i suoi successi, anzi. Nelle simulazioni di casi,
e nei dibattiti pubblici, che gli aspiranti avvocati organizzavano, le donne non erano invitate o,
se presenti, erano malviste. Quando Clara, nel settembre del 1878, si presentò davanti
alla commissione d’esame per diventare avvocato , fu interrogata per tre ore e riuscì a
farsi promuovere approfittando anche della sicurezza oratoria che aveva acquisito e sviluppato
negli anni di attivismo precedenti.
Era diventata avvocato. Aveva aperto una porta che, sino a quel momento, era stata chiusa
per le donne californiane.
Ma le battaglie di Clara non erano finite. Nel 1879 era stato inaugurato a San Francisco
l’Hastings College of Law, la prima scuola di diritto in California e dell’Ovest, e anche in quel
caso la domanda di Clara causò disagi e discriminazioni. Esclusa dal college perché donna,
dovette ricorrere alla Corte Suprema della California per far disporre l’ammissione femminile
alla struttura. Fu, però, una vittoria di Pirro: a causa delle sue condizioni economiche e
famigliari, e della durata della vertenza, non si potè permettere la frequenza e dovette
continuare a lavorare.
Il lavoro: come prevedibile, Clara non ebbe vita facile neppure nei suoi numerosi
processi. Era spesso derisa e discriminata in aula, in un ambiente legale che era
esclusivamente maschile negli atteggiamenti, nei discorsi, nei toni, negli argomenti, nelle
battute.
La donna non poteva essere una protagonista del sistema processuale, ma solo una cliente o
una spettatrice, e Barbara Babcock nota come le due grandi battaglie di Clara, quella per il
diritto delle donna a votare e quella per il diritto delle donne a essere avvocati, si
basarono sull’opposizione a due pregiudizi del tempo molto simili. La donna non doveva votare
perchè avrebbe sicuramente “abusato” del sistema elettorale votando il politico più
affascinante. La donna non doveva essere ascoltata nei tribunali come avvocato perché
avrebbe sicuramente sedotto le giurie maschili portandole ad assolvere il colpevole o a dare
ragione a chi non se lo meritava. E se le donne fossero state nominate giurate (ma non era
possibile, allora, in quanto la figura del giurato presupponeva il diritto di voto, che le donne
ancora non avevano) sarebbe stato anche quello un guaio, dal momento che le donne
avrebbero sicuramente dato ragione all’avvocato più carino.
Clara ebbe la fortuna di vivere abbastanza per vedere pian piano realizzate le sue
battaglie contro questi ottusi e volgari pregiudizi, e osservarli cadere. Nel 1878 diventò
avvocato, nel 1879 le donne furono ammesse come avvocati davanti alla Corte Suprema, nel
1912 potè votare in California e, infine, nel 1920 vide l’approvazione del suffragio universale.
Le riflessioni
Mi sono imbattuto nella storia di Clara quasi per caso, il mese scorso. Ero al Max Planck di
Friburgo per un periodo di ricerca sui temi a me cari, soprattutto la criminalità informatica, e
sfogliando l’annata 2013 della Stanford Law Review alla ricerca di studi interessanti sui miei
argomenti, ho notato questa breve recensione del libro di Barbara Babcock a opera del giudice
della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, la seconda donna nella storia a rivestire questo
ruolo dopo Sandra Day O’Connor.
Non ho letto il libro, che è in arrivo dagli Stati Uniti, e la ricostruzione dei fatti che ho riportato
poco sopra riprende la rigorosa recensione di Ruth Bader Ginsburg, ma i precisi cenni
biografici “di seconda mano” contenuti nell’articolo e i brevi stralci riportati su quelle pagine mi
hanno suggerito alcuni spunti di riflessione che condivido volentieri.
In primis, mi ha affascinato la forza di questa “vocazione” per il diritto, questo voler fare
l’avvocato nonostante la legge stessa lo impedisse e, quindi, cercare di cambiare la legge per
raggiungere un obiettivo nobile. Non è una novità, lo so, che un giovane abbia il sogno di fare
l’avvocato. Lo sento ribadire quotidianamente nelle frasi di molti miei studenti. Che sia per
difendere i deboli e per sanare le ingiustizie, per avere “il titolo” o perché essere avvocato
“serve sempre”, per diventare ricchi e famosi o per emulare gli avvocati dei VIP che si vedono
in televisione, le motivazioni possono essere le più varie. Quando io frequentai la facoltà di
giurisprudenza, alla fine degli anni Ottanta, ci fu il boom di iscrizioni e molti miei compagni di
studi volevano diventare magistrati semplicemente per emulare i giudici di Mani Pulite. Questa
di Clara, però, era una vocazione diversa, “pura” e ricca di ostacoli apparentemente
insormontabili. Soprattutto, si batteva contro il fattore più grave, la discriminazione per legge.
Voleva fare l’avvocato, ma la passione non bastava. Non era sufficiente studiare, imparare,
sudare, lavorare ventisette ore al giorno. Era la legge stessa che non lo permetteva. E allora
non restava che scardinare il sistema combattendo prima la legge che discriminava e, una
volta che il campo fosse stato aperto, facendo vedere il proprio valore. Per Clara diventare
avvocato significava cambiare la legge, sostenere l’esame, cercare qualcuno che le
insegnasse il mestiere e operare sempre e comunque in salita. Ma fare l’avvocato le avrebbe
permesso di far valere quei diritti per i quali combatteva sin da ragazzina.
Molto interessante, poi, è l’idea che Clara portava avanti del Public Defender, ossia del
fatto che a tutti, anche alle persone più indigenti, debba sempre essere garantita una
difesa che sia allo stesso livello dell’accusa e dei mezzi dell’accusa. Un diritto anche
per i più deboli e i più poveri a essere sempre rappresentati da bravi professionisti. Clara,
scrive la sua biografa, “recuperava” molti clienti che non si potevano permettere di pagare le
“tariffe maschili”, e forniva loro il miglior servizio possibile con tutte le sue energie. Nel 1913 la
città di Los Angeles fu la prima a istituire il Public Defender Office, istituto basato sulle idee di
Clara.
Infine: Clara voleva fare l’avvocato anche per garantire un reddito e un tenore di vita
decoroso alla sua famiglia. Voleva, insomma, poter vivere soltanto con i proventi della
professione: la dignità di una libera professione correlata alla dignità della vita. E anche questo
aspetto non può non far pensare alla situazione attuale di molti giovani avvocati, soprattutto
nella fascia d’età dai 30 ai 40 anni, che stanno vivendo, o hanno vissuto, la crisi economica e
l’ombra del fallimento e si sono visti costretti a chiudere l’attività o a cambiare completamente
lavoro rinunciando forse, in alcuni casi, a quella “vocazione” e a quell’amore incondizionato per
il diritto e per la giustizia che, anche se non forti come quelli di Clara e, soprattutto, sempre più
rari, sono uno degli aspetti più nobili dell’avvocatura.
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