Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
Il Carcere
Luca Alfaroli
Tratto dalla breve antologia
Il vento della follia
Le sbarre scattarono tutte insieme per
le celle del corridoio, come accadeva sempre alla chiusura automatica notturna. Lazăr
Vișniec si era appena disteso sulla brandina,
impassibile.
«Sei arrivato da poco, vero?» gli chiese il compagno di cella affacciatosi dalla
brandina sopra di lui.
«Sì».
«Mi chiamo Victor... Victor Dănilă».
«E allora?»
«Beh, dicevo così tanto per fare conoscenza».
Vișniec non mosse un solo muscolo
della faccia e continuò a guardare nel vuoto, ignorandolo.
Dănilă non si dette per vinto: «Io sono
uno stupratore, lo sai? E tu, invece... tu che
hai fatto?»
«Ho sbranato un uomo».
«Cazzo! È forte, ma come ci sei riuscito? A morsi?»
«Ho usato anche le unghie».
Il secondino passò sbattendo ripetutamente il manganello sulle sbarre. Era pallido come il marmo e portava il cappello con
la tesa che quasi copriva gli occhi.
«Parliamo sottovoce» sussurrò Victor
«qui le guardie le chiamiamo squali e quello è Văcărescu, lo squalo più carogna di tutti. Se ci sente verrà qui a picchiarci».
«Se non chiudi quella fogna dovrà accontentarsi di picchiare un morto».
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Si spensero le luci, nessuno parlò più.
Dănilă serbò rancore per quel nuovo arrivato che si credeva chissà chi, marimandò tutto a domani, a un altro giorno da vivere
dentro il carcere.
***
Il giorno dopo ci furono alcuni episodi cruenti. Un tizio fu trovato impiccato in
cella. I secondini, o gli squali, come li chiamava Victor, tagliarono con calma il lenzuolo che l’aveva strangolato e lo portarono
via. Più tardi, un altro recluso iniziò a protestare perché nelle razioni di cibo c’erano i
vermi e lo bastonarono in sei. Mentre lo trascinavano nel corridoio più morto che vivo,
Lazăr sospettò che, insieme all’altro, l’avrebbero riciclato per servirlo a cena. Nessuno se ne sarebbe accorto, la carne che
mangiavano era di pessima qualità. Probabilmente di cane o di gatto, se non addirittura di topo.
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Durante l’ora d’aria, i detenuti furono
condotti all’aperto sotto l’attenta custodia
degli squali. Nessuno doveva alzare la testa,
perché se l’avesse fatto avrebbe ricevuto
decine di manganellate, finché non fosse
stramazzato al suolo in un mare di sangue.
Tuttavia, Lazăr riuscì a guardarli furtivo e
notò che erano pallidissimi.
Appena la massa galeotta fu concentrata nel piazzale gli squali salirono sulla
terrazza della direzione e si schierarono nella posizione militare del riposo. Il Direttore
uscì dal suo ufficio e restò silenzioso a osservare i reclusi.
«Lo vedi quello?» disse Victor a Lazăr tirandogli la manica dell’uniforme carceraria «Quello è il nostro padrone! Ha potere di vita e di morte su ogni dannato che
vedi in questo piazzale. Perché qui noi siamo all’inferno, lo sai, vero?»
«Vai a farti fottere!» sbottò Lazăr, e
con uno spintone lo buttò più in là.
«Io ho cercato solo di avvertirti!» inveì Victor «Poi non venirmi a dire che non
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l’ho fatto. Vedrai che ti sceglieranno per il
combattimento! E allora saranno cazzi,
amico! Saranno cazzi!»
Lazăr fece finta di non sentirlo e camminò in mezzo agli altri detenuti finché non
si sedette su una panchina. Un asiatico abbastanza robusto, quasi subito, gli si parò
davanti.
«Sei sulla mia panchina» gli disse.
Lazăr lo guardò di traverso, poi si
alzò e raggiunse un’altra panchina, qualche
metro più avanti. Ma l’asiatico non mollò,
gli arrivò ancora davanti e sorridendo disse:
«Anche questa è mia. I maiali come te devono stare seduti per terra, non credi?»
Lazăr scattò come un cobra, afferrò
l’uomo al collo, strinse con la forza di una
morsa d’acciaio e il disgraziato divenne subito cianotico. Gli squali corsero giù dalla
terrazza e si precipitarono sui due che si
erano azzuffati. Lazăr ricevette molte manganellate sulla schiena ma non allentò la
presa, allora lo colpirono anche sul braccio
che stringeva e in testa. Quando ormai la
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faccia dell’asiatico era quasi nera riuscirono
a farlo crollare. Colpirono duro, si resero
conto che era svenuto e colpirono ancora.
Gli altri detenuti avevano fatto gruppo
e assistevano allo spettacolo. Victor osservò
gli squali che trascinavano via Lazăr e commentò: «L’avevo avvertito! Non ha voluto
ascoltarmi
ma
la
pagherà
cara,
quell’idiota...»
Un bulgaro grosso come un armadio
gli mise un braccio intorno alla spalla: «Dănilă, vecchio porco! Te la ricordi
Mădălina?»
«Ivanov! Certo che me la ricordo Mădălina… ah, ah, ah, me la sono fatta. Era
una delle più belle che mi sono capitate».
Ivanov tirò fuori di tasca una lunga
scheggia di vetro fasciata da uno straccio
che faceva da impugnatura. «Suo padre mi
ha mandato dei soldi per farti un regalo».
Victor sbiancò: «No... no, aspetta...»
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Il bulgaro lo pugnalò allo stomaco,
tirò fuori la scheggia e affondò ancora. E
ancora, col sangue che schizzava ovunque.
Victor lo sputò anche dalla bocca, strabuzzò
gli occhi e finì in ginocchio. Il sangue continuò a scorrergli sulle gambe e formò una
pozzanghera per terra. Alla fine cadde,
morto stecchito.
Il bulgaro sputò sul cadavere, senza
curarsi degli squali che accorrevano. Faticarono parecchio per abbatterlo, tanto che alcuni manganelli si spezzarono sulla schiena
per riuscire nell’impresa.
***
Lazăr si risvegliò con i secondini che
gli bloccavano mani e piedi.
«Il Direttore ti ha scelto» disse uno di
loro, mentre preparava la siringa «con questa non ti accorgerai di niente e sarà tutto
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più facile» gli fece l’iniezione nel braccio e
rise.
Trascorsero un paio di minuti. Allentarono la presa appena furono sicuri del pieno effetto della droga. Infatti Lazăr barcollava e teneva la testa bassa.
«È pronto. Portatelo dal Direttore» ordinò uno di loro. Văcărescu lo prese per un
braccio e lo condusse fuori dalla stanza, attraverso un lungo corridoio raggiunse l’ufficio del Direttore.
Più che un ufficio, quel luogo sembrava un mattatoio. C’erano mattonelle ovunque, forse proprio perché erano più pratiche
per lavare il sangue che ci schizzava sopra.
Al centro c’era una scrivania, in un angolo
un lavandino e un asciugamano sporco di
sangue. Davanti alla scrivania c’era il bulgaro, seduto su una sedia, con le braccia
pendenti e la testa abbassata. Sembrava svenuto, mentre in realtà era drogato. Il Direttore gli aveva affondato i canini da vampiro
nella giugulare e succhiava sangue.
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Appena Văcărescu e Lazăr entrarono
interruppe il salasso e si pulì la bocca con la
mano.
«Ti ho portato altro cibo, padrone»
disse Văcărescu.
«Lascialo qui e vattene. Direte ai detenuti che questi due uomini hanno combattuto, il bulgaro ha spezzato il collo al romeno e io l’ho premiato con la libertà».
«Come desideri, padrone» rispose servile Văcărescu e si ritirò.
Il Direttore continuò a succhiare sangue al bulgaro finché la pelle divenne funerea e le vene si raggrinzirono. Quando ebbe
finito buttò a terra la carcassa e la trascinò
fino a una seconda porta dell’ufficio. Da lì
continuò giù per le scale per gettarla chissà
dove.
Pochi minuti dopo tornò, leggermente
affaticato e ancora più affamato.
Continua sull’antologia Il vento della follia.
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