LE STREGHE IN SARDEGNA

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LE STREGHE IN SARDEGNA
LE STREGHE NEL MEDIOEVO.
La caccia alle streghe è la ricerca e la
persecuzione di donne sospettate di
compiere atti di magia quali sortilegi,
malefici, fatture, legamenti, o di
intrattenere rapporti con forze oscure e
infernali dalle quali ricevere i poteri per
danneggiare persone o nello sciogliere o
stringere legami amorosi. Erano anche in
grado di portare la siccità e distruggere i
raccolti, di far scoppiare tempeste e
temporali, di far vivere o far morire le
persone. Il loro potere nasceva dall’aver
sottoscritto un patto con il diavolo.
Il fenomeno della caccia alle streghe
nacque all'incirca alla fine del XV secolo e
perdurò fino all'inizio del XVIII secolo all'interno dell'occidente cristiano. Benché le prime tesi sulla
stregoneria vengano fatte risalire alla letteratura cattolica del 1400 circa, fu in particolare nelle regioni
protestanti che durante l'Umanesimo e il Rinascimento il fenomeno ebbe maggiore rilevanza e
recrudescenza. In quell'epoca, le streghe, ritenute sospette e pericolose dalle autorità civili e religiose,
furono oggetto di persecuzioni che sovente terminavano con condanne a morte a seguito delle quali le
stesse venivano arse vive sul rogo.
LE STREGHE IN SARDEGNA.
La strega sull’isola è una costante, ma non ha troppo a che
vedere con la stregoneria tutta Europea, per lo meno se
parliamo di quella figura un po’ fantastica un po’ reale che
vive le leggende nostrane. La strega della tradizione sarda
vive piuttosto una vita semplice e disgraziata.
Tutti i nomi, o quasi
Quando si parla di streghe nel Campidano e nella zona
centro meridionale dell’isola le si chiama kogas, termine
che alcuni hanno fatto corrispondere all’attitudine tutta
stregonesca del “coquere” erbe medicamentose; un
legame quello fra streghe e mondo naturale fondamentale.
Nel Logudoro e nel Nuorese pensi alla strega e dici sùrbile,
sùrvile, ma anche sùlbile, con riferimento forse alla sua
attitudine di “sorbere” il sangue dei neonati.
Nell’estremo nord isolano la strega si contenta di farsi
chiamare istria, stria, strea, ma anche threa, nomi per altro
propri del barbagianni, nel quale i bene informati giurano si
trasformi la strega a notte fonda.
Più di recente la strega è diventata bruxia: il tono
spagnoleggiante del termine è chiaro anche ai non addetti ai lavori. Quel che merita
d’essere ricordato è che quando si parla di bruxia non ci muoviamo più nel campo della
leggenda e del fantastico.
Strega: l’identikit Le leggende che parlano di lei, e ce ne sono
davvero in ogni angolo di Sardegna, dicono che è
una donna comune, forse più brutta rispetto alle sue
coetanee, magari un poco più pelosa del normale,
con uno sguardo che ha quel non so che di malefico
e diabolico. Non esiste però un tratto che la
caratterizzi nettamente, non immediatamente visibile
per lo meno. Eppure si può star certi che una
bambina nata a mezzanotte la notte di natale
diventerà strega e allo stesso modo diventerà strega
anche la settima figlia, se femmina.
Pare chiaro che in Sardegna strega si nasca e
curiosando nel mondo di questa creatura a mezza
strada fra il fantastico ed il reale, si capisce bene
che la sua è una condanna piuttosto che uno status
privilegiato.
D’altronde non è un caso che le streghe siano dette
anche vampiro: succhiano il sangue dei neonati e la
tradizione (quella più recente probabilmente)
specifica: “dei neonati sì, a patto che non abbiano ancora ricevuto il battesimo”. Uno stimolo,
questo è chiaro, alla conversione di un popolo che lungamente ha trattenuto una religione
antica e pagana.
Notte di strega
Ad ascoltare con attenzione le leggende e gli anziani che ancora ricordano della strega
vampiro, una notte tipo della strega la si potrebbe raccontare più o meno così: la donna
chiamata da un istinto irrefrenabile si alza dal suo letto poco prima della mezzanotte attenta
che nessuno, che si tratti del marito, dei figli o dei genitori, si accorga del suo spostamento.
Si unge alcune parti del corpo, normalmente ascelle e pianta dei piedi, con un unguento la
cui natura non è ancora chiara. Appare ovvio comunque che si dovesse trattare di sostanze
allucinogene, capaci di privare di conoscenza la donna o di alterarne la percezione e in
Sardegna non mancano certo erbe in grado di provocare tali sensazioni. Di ipotesi ce ne
sono a bizzeffe: che l’unguento fosse a base di orrosa ‘e cogas, da tradursi con rosa delle
streghe, la favolosa peonia sarda, di giusquiamo, di bacche di ginepro o addirittura a base di
amanita muscaria quel che conta è che le leggende sono chiare, grazie a questo balsamo e
alcune parole magiche la strega poteva trasportarsi in pochissimo tempo nei pressi della
casa di una donna che aveva di recente partorito, anche se distantissima.
Is brebus stregati
Se qualche dubbio in merito all’unguento resta, nessun segreto viene fatto in relazione alle
parole magiche ripetute dalla donna-strega per completare la metamorfosi.
“A pili in esse, a pili in fache, in domo de comare, mi che agatte”
La strega si poteva trasformare praticamente in tutto quello che le consentiva di viaggiare
più rapidamente: mosca, uccello, gatto, filo di cotone addirittura fumo. Era indispensabile
che fosse rapida nei suoi movimenti visto che per agire aveva solo tre ore: una per andare,
una per agire e una per rientrare. Alle prime ore dell’alba si sarebbe dovuta far trovare nel
proprio letto.
In quella lunga ora a casa della puerpera che dormiva, il compito della strega era, secondo
le leggende, quello di succhiare il sangue del piccolo nascituro uccidendolo.
Mamma v/s Koga
Naturalmente alla mamma era consentito di difendersi con l’uso di tante piccole e grandi
strategie consigliate dal buon senso comune: tanto per cominciare il neonato non doveva
essere mai lasciato da solo e in tal senso la leggenda aiuta a condividere il principio
socialmente condiviso della mutua assistenza. La donna che aveva di recente partorito era
sostenuta e aiutata da uno stretto circolo di donne, parenti e amiche che l’assistevano in
periodo di difficoltà, prassi propria di molte altre società agro pastorali.
Per impedire l’ingresso della strega vampiro nella propria dimora poteva utilizzare la cera
vergine con la quale avrebbe tappato la serratura, o poteva ricorrere a tutta la filosofia del
capovolto; scope con la chioma all’insù, vestitini del neonato posti al contrario, treppiede
rovesciato facevano capo ad un’unica convinzione: il mondo dei morti era specularmente
opposto a quello dei vivi, dunque la strega osservando tanti dettagli capovolti avrebbe
ritenuto di trovarsi fra morti e non fra vivi, e ai morti la strega non poteva nuocere.
Molto affascinante risulta anche la convinzione che la strega non sapesse contare oltre il
numero sette, magico e dal forte valore simbolico. Porre una falce dentata nella stanza del
bambino con più di sette denti avrebbe trattenuto la strega che attratta dal desiderio di
contare i denti avrebbe ripreso la conta ogni qual volta si arrivava al sette non sapendo
andare oltre. Medesima efficacia doveva avere l’abitudine di porre del grano o dell’orzo
sull’uscio della porta: il numero dei chicchi, manco a dirlo, doveva essere superiore a sette.
Non meno importante era l’uso delle erbe aromatiche: issopo, fiori d’arancio e ruta erano
ritenuti micidiali contro la strega che infastidita dalla loro fragranza non avrebbe disturbato il
bambino.
Strega come donna
Se si giustificano le azioni di quella che la leggende descrivono come assassina di bambini,
è probabile che sotto sotto ci sia qualche mistero.
A leggere i racconti con occhio imparziale la strega risulta donna capace di mescere erbe
(che usa per creare il proprio unguento), che conosce la differenza fra il mondo dei vivi ed il
mondo dei morti, per il quale ha un profondo rispetto (non ha alcun potere sui morti), ha un
grande rispetto per il numero sette, magico e simbolico (tanto che ci si sofferma un’intera
notte), viaggia rapidamente nel tempo e nello spazio (quasi fosse capace di vivere trance
sciamanici), conosce le parole magiche che le consentono la metamorfosi, quelle che in
Sardegna sono note come brebus la cui conoscenza non è cosa da tutti, le puerpere le
offrono addirittura del grano che lasciano sull’uscio della propria porta.