La penetrazione finanziaria italiana nel Vicino Oriente

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La penetrazione finanziaria italiana nel Vicino Oriente
La penetrazione finanziaria italiana nel Vicino Oriente Ottomano
1881-1923
Giampaolo Conte
Dottorando in Storia XXVIII ciclo
Dipartimento di Studi Umanistici - Università degli Studi Roma Tre
Obiettivi e scopo della Ricerca
La storiografia inerente gli interessi finanziari italiani nei mercati del
Vicino Oriente Ottomano, risulta ad oggi ancora non soddisfacente,
soprattutto per quanto riguarda lo studio delle attività dei soggetti economici
e finanziari privati.
Nell’economia di questo lavoro si ritiene rilevante evidenziare il sottile e
duplice ruolo che hanno giocato le attività delle aziende private e degli istituti
finanziari italiani, tra il principio degli anni ’80 del XIX secolo e il principio
degli anni ’20 del XX: da una parte come ancelle della politica di potenza
perseguita dal Governo di Roma, dall’altra come dinamiche emergenti
sviluppatesi parallelamente a questa politica, secondo un percorso dettato da
semplici interessi di mercato. Riteniamo che, sull’onda di questo filo rosso che
collega la finanza privata alla politica, si può desumere quale ruolo essenziale
abbia giocato la presenza italiana nel Consiglio di Amministrazione nel Debito
Pubblico Ottomano: un anello di congiunzione e un trampolino di lancio per
le iniziative finanziarie sia pubbliche che private.
Il criterio di scelta degli estremi cronologici presi in esame, dal 1881 al
1923, si va a ricondurre con la fase di espansione dell’influenza del capitale
italiano nel Vicino Oriente Ottomano. Nel 1881 l’Impero Ottomano perde, di
fatto, la propria indipendenza nella gestione delle finanze, delegando l’intera
gestione del debito pubblico. L’Italia, invitata con le altre potenze europee a
fare parte del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano,
userà questo posto privilegiato per entrare a pieno diritto nelle questioni
geopolitiche legate al Vicino Oriente. In effetti, il delegato italiano al Debito
Pubblico Ottomano, nominato dal Sindacato privato dei portatori della
rendita turca per conto della Camera di Commercio di Roma, oltre a curare gli
interessi dei creditori italiani per l’espansione del capitale privato, cercava di
perseguire gli obiettivi politici promossi dal governo italiano nei territori
dell’Impero. Vivido esempio di questo duplice ruolo è rappresentato dalla
figura di Bernardino Nogara, delegato italiano al Debito Pubblico Ottomano e
allo stesso tempo membro della Società Commerciale d’Oriente a partire dal
1913. Il punto di arrivo della ricerca è ovviamente segnato dalla nascita della
Repubblica di Turchia nel 1923.
La ricerca è contestualizzata sul territorio del Vicino Oriente Ottomano.
Sebbene la definizione di Vicino Oriente rimane vaga e spesso indefinita, essa
racchiude perfettamente i territori orientali che erano rimasti sotto il dominio
dell’Impero Ottomano. Nel 1880, la Sublime Porta controllava la Grande
Siria, la Palestina e parte del moderno Iraq fino alla foce dei fiumi Tigri ed
Eufrate, nonché direttamente ancora i vilayet di Tripoli e Bengasi nel Nord
Africa e parte della Rumelia orientale. Parlare dunque del Vicino Oriente
Ottomano significa parlare dei territori ottomani dell’Impero che rimasero
sotto il controllo di Costantinopoli fino al 1922, quando la Francia e la Gran
Bretagna ratificarono i mandati della Società delle Nazioni sulla Grande Siria,
Palestina e Iraq e quando fu abolito definitivamente il Sultanato. Solo nel
1923 con il Trattato di Losanna, si assisterà alla proclamazione della fine
dell’Impero e la nascita della Repubblica di Turchia.
I grandi istituti finanziari italiani, a partire soprattutto dagli inizi del XX
secolo, svolsero la propria attività all’interno dell’Impero Ottomano
percorrendo un doppio binario: quello istituzionale, assecondando le direttive
impartite dai vari Governi italiani per rispondere a una politica di potenza, e
quello privato, procacciando affari secondo le regole di mercato. Quest’ultimo
aspetto costituisce l’oggetto principale della ricerca. Vari erano gli interessi
finanziari che gli istituti italiani avevano in Oriente: per quanto il loro volume
non possa essere equiparato a quello delle grandi potenze europee come
Francia, Inghilterra e Germania, il loro valore non può essere tralasciato né
trascurato. Ne sono un esempio gli interessi minerari della Società
Commerciale d’Oriente, gli interessi bancario-istituzionali del Banco di Roma
ed il ruolo delle compagnie assicurative: l’Istituto Nazionale delle
Assicurazioni, la Riunione Adriatica di Sicurtà e le Assicurazioni Generali 1.
Tale espansione incontrò molti ostacoli, locali ed internazionali, soprattutto
nel tentativo di ritagliare uno spazio all’interno di un mercato dove le grandi
potenze europee avevano esteso il loro potere economico ben prima
dell’arrivo dell’Italia.
Il contesto internazionale e lo stato attuale delle ricerche
L’arco di tempo preso in esame, dal 1881 al 1923, percorso attraverso la
lente dei nostri criteri di ricerca, coincide anche con l’ultima fase del lungo
tramonto dell’Impero Ottomano. Riteniamo che sia impossibile affrontare un
argomento come quello della penetrazione finanziaria italiana nel Vicino
Oriente Ottomano senza avere un consolidato bagaglio in materia di storia
economica dell’Impero Ottomano tra il XIX e l’inizio del XX secolo.
La guerra di Crimea 1853-1856 segna un punto di non ritorno per
l’Impero Ottomano. Le ingenti spese belliche costringono la Sublime Porta ad
aprirsi alla finanza internazionale per contrattare quei prestiti necessari per
l’ammodernamento del paese. Tale spinta riformatrice inizia ben prima del
1Le Assicurazioni Generali e la RAS operavano in Oriente antecedentemente la prima Guerra Mondiale, ma come
società austro-ungariche, pertanto, sebbene fosse presente al loro interno un indiscutbile elemento italiano, non
possono essere prese in esame come imprese italiane fno al 1919. Si veda anche A. Millo, Trieste, le assicurazioni,
l’Europa, 2004
1853.
Suddette riforme, dette Tanzimat2, iniziano con l’atto ufficiale
dell’Hatti-Sheriff del 3 novembre 1839 sotto il Sultano Abdul Megid (18391860) con lo scopo principale di: centralizzare l’amministrazione,
modernizzare l’apparato dello Stato, occidentalizzare la società e secolarizzare
l’insegnamento ed il diritto3. I fondi necessari per queste riforme furono in un
primo momento trovati grazie alla razionalizzazione delle risorse ed ad una
serie di riforme amministrative come l’estensione del controllo statale sulla
riscossione delle tasse affidata in precedenza ai Timar4. Queste riforme
furono sufficienti per trasformare l’Impero Ottomano in uno Stato moderno. I
riformatori ottomani presero coscienza che solamente attraverso grandi
investimenti l’impero poteva dotarsi di quelle strutture moderne necessarie
per la trasformazione del paese. Data la mancanza di risparmio da destinare
ad investimenti interni, l’Impero iniziò a finanziarsi attraverso i Banchieri di
Galata, o comunemente detti “Vampiri” di Galata per via degli altissimi tassi
di interesse che applicavano ai loro prestiti - dal 10 al 20% - a breve termine 5.
Sebbene la finanza europea offrisse tassi di interesse più bassi e prestiti a
lungo termine. La paura del Sultano di cadere nelle mani degli europei e
problemi inerenti all’etica religiosa bloccarono qualsiasi prestito fino al 1854,
quando fu contratto il primo prestito internazionale sulla piazza di Londra 6.
Dal 1855 al 1875 l’Impero Ottomano si finanziò sul mercato internazionale dei
2Moreau O. L'empire otoman à l'âge des réformes, 2007. Costanza M. La Mezzaluna sul flo: la riforma otomana di
Mahmud II 1808-1839. 2010. Abou-El-Haj R.A. Formaton of the Modern State: The Otoman Empire, Sixteenth to
Eighteenth centuries. 2005.
3İnalcık H. Quataert D. An Economic and Social History of the Otoman Empire, 1300-1914, 1994. İslamoğlu-İnan H.
The Otoman Empire and the World-Economy, 1987. Issawi C. An Economic History of the Middle East and North
Africa, 2013. Owen R. Pamuk S. A History of Middle East Economies in the Twenteth Century, 1998. Owen R. The
Middle East in the World Economy, 1800-1914, 1993. Panzac D. Histoire économique et sociale de l'Empire otoman et
de la Turquie 1326-1960, 1995. Kasaba R. The Otoman Empire and the World Economy the Nineteenth Century, 1988.
4Gocek F.M. Rise of the Bourgeoisie, Demise of Empire, 1995.
5Pamuk S. A Monetary history of the Otoman Empire, 2000.
6Anderson O. Great Britain and the Beginnings of the Otoman Public Debt, 1854-55 in “The Historical Journal” 1964.
Geyikdagi V.N. Foreign Investment in the Otoman Empire: Internatonal Trade and Relatons, 2011. Rodkey F.S.
Otoman Concern about Western Economic Penetraton in the Levant, 1849-1856 in "The Journal of Modern History"
1958
capitali. La scoperta di questo strumento per ottenere facilmente denaro a
buon prezzo contagiò un’amministrazione impreparata ad affrontare e gestire
con razionalità i fondi contratti a prestito. Man mano che il debito aumentava,
gli stessi investitori europei iniziarono a farsi alcune domande sulla capacità
di solvibilità dell’Impero. Tali paure risultarono fondate. Data la poca
affidabilità dell’Impero, ogni prestito doveva essere garantito da fonti sicure
di entrata. Quindi più aumentava il numero dei prestiti, più allo Stato
venivano a mancare quelle risorse messe in garanzia per i prestiti
precedentemente contratti. L’Impero entrò in un pericoloso circolo vizioso,
dove molti debiti venivano contratti per garantire il pagamento degli interessi
in scadenza su quelli precedenti. Un primo default fu evitato nel 1863 grazie
alla costituzione della Banca Imperiale Ottomana controllata da francesi e
inglesi. Tale Banca iniziò ad avere le funzioni di una vera e propria Banca
Centrale con diritto esclusivo di emissione 7. In realtà la costituzione di tale
banca fu interpretata dalla corte ottomana come un nuovo strumento per
garantirsi la fiducia degli investitori europei e continuare a contrarre prestiti.
Questa politica scellerata perpetrata soprattutto dal Sultano Abdul Aziz (18611876) portò ad un vero e proprio default nel 1875-76 8, in conseguenza anche
del crollo della borsa di Vienna nel 1873 che aveva reso molto più difficile per
l’Impero finanziarsi sul mercato internazionale. Con il default i lunghi
tentacoli dell’imperialismo europeo si strinsero intorno a Costantinopoli.
L’Egitto, per gli stessi motivi di insolvibilità, cadde sotto il gioco britannico
dal 1882. Un conto era però annettere una provincia, o vilayet, come era
l’Egitto, un altro era controllare tutti i territori dell’Impero Ottomano che si
estendevano ancora su tutta la Rumelia orientale ed i Balcani, nonché tutto il
Vicino Oriente e le province della Tripolitania e Cirenaica.
L’Impero era
troppo vasto perché solo una potenza potesse ambire al suo completo
7Eldem E. A History of the Otoman Bank, 1999. Clay C. The Origins of Modern Banking in the Levant: The Branch
Network of the Imperial Otoman Bank, 1890-1914 in “Internatonal Journal of Middle East Studies” 1994. Autheman
A. The Imperial Otoman Bank, 2002.
8Jubenville C.J. Imperialism and Bankruptcy in the Otoman Empire and Egypt, 1999.
controllo. Con il Congresso di Berlino del 1878 si decise di creare una
commissione internazionale per il controllo delle finanze turche, di cui fu il
promotore il Conte Corti9. Con il decreto Mouharrem del 1881 venne creato il
Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano 10. Il Debito
venne rinegoziato e consolidato. Da Lt. (Lire turche) 197,417,160 a Lt.
118,911,248 con una differenza di Lt. 78,505,912 11. Il Debito fu dimezzato e
diviso in quattro serie A,B,C,D con diversi ordini di priorità di pagamento.
Con il default e la rinegoziazione del debito si apre l’ultima fase della
centenaria storia dell’Impero Ottomano. In questi ultimi quarant’anni
l’Impero non smette di indebitarsi con creditori esteri, anzi la quota dei
prestiti aumenta fino al 1914. Questo era però possibile grazie ad alcuni
fattori. Primo fra tutti la creazione di organi internazionali preposti al
controllo delle finanze ottomane, come erano la Banca Imperiale Ottomana e
il Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano. La presenza
di queste due istituzioni permisero al Governo Ottomano sia di finanziarsi a
bassi tassi di interesse sia di nascondersi dietro le garanzie internazionali che
questi istituti potevano dare in sede di negoziazione del prestito. Spesso però,
proprio questi istituti che avevano un compito di vigilanza, chiudevano un
occhio sui rischi che i prestiti potevano comportare a lungo termine sul
bilancio dell’Impero. Più gli ottomani si indebitavano, più le potenze
estendevano il controllo sull’agonizzante impero:
9Bonghi R. La Crisi d'Oriente e il Congresso di Berlino, 1885. Di Nola C. Contrast politci in Europa dopo il 1870 e
azione diplomatca dell'Italia nella crisi d'Oriente e nel Congresso di Berlino del 1878, 1956. Verneau F. La questone
d'Oriente: dal tratato di Berlino (1878) ai giorni nostri, 1959.
10Birdal M. The Politcal Economy of Otoman Public Debt, 2010. Blaisdell D. European fnancial control in the
Otoman Empire, 1914. Behar Y. Le fnanze turche: le contribuzioni direte nell 'impero Otomano, 1914.
11Clay C. G. A. Gold for the sultan: Western bankers and Otoman fnance, 2000. Nel 1844 la lira turca valeva il 10% in
meno rispeto alla sterlina britannica (LS): pertanto 1 LT = LS 1.1; LS 1 = LT 0.909. In rapporto con il franco francese era
LT 1 = Frs 22.727. Quindi tra il franco e la sterlina LS 1 = Frs 25.
I Turchi saranno completamente in nostro potere quando tutte le loro risorse utilizzabili
saranno state ipotecate; spero di poterli costringere a contrarre imprestiti colla garanzia della lista
civile; ed alla fine faremo della Turchia un altro Egitto 12
La maggior parte dei prestiti contratti dopo il 1881 serviranno per
finanziare la costruzione di infrastrutture da parte delle potenze occidentali 13.
Questo sistema di appalti e prestiti serviva anche per la costruzione di opere
da utilizzare come strumento di espansione di una potenza su di un territorio
di propria influenza, attendendo la deflagrazione dell’Impero per
impossessarsene. Ne sono un esempio la costruzione di ferrovie nella Grande
Siria ad opera della Francia14; di interessi nei trasporti, nel petrolio e nelle
bonifiche della Gran Bretagna in Mesopotamia 15; la costruzione della BerlinoBaghdad ad opera della Germania16, e il tentativo di espansione politica ed
economica nel distretto di Adalia ad opera dell’Italia negli ultimi anni
antecedenti lo scoppio della Prima Guerra Mondiale 17. Questa spartizione
territoriale non era stata scevra da scontri tra le potenze, ne si era riusciti a
delineare i confini di queste zone in maniera chiara e netta. Il dominio di una
zona si acquistava sul capo, a suon di influenza politica e potenza finanziaria.
12ASMAE, Gabineto Crispi. Da R.Amasciata Costantnopoli a Crispi. Aprile 1890.
13L’unico caso in cui una linea ferroviaria non fu data in appalto ad europei fu il caso della ferrovia dell’Hedjaz
fnanziata completamente con capitali arabi. Sebbene dal punto di vista fnanziario la ferrovia era indipendente dal
punto di vista tecnico i lavori furono diret da una dita tedesca ma vi lavoravano anche un migliaio di operai italiani e
piccole imprese, anch’essi italiane o levantne. E.M. Bolasco, Damasco-Medina, ferrovia avveniristca 1901-1908, mille
operai italiani nel deserto dell’Hedjaz, 1999
14Andrew C.M, Kanya-Forstner A.S. The Climax of French Imperial Expansion: 1914-1924, 1981. Thobie J. Intérets et
imperialism français dans l’Empire Otoman 1895-1914, 1977. Raccagni M. The French Economic Interests in the
Otoman Empire in "Internatonal Journal of Middle East Studies" 1980. Shorrock W The origin of the French mandate
in Syria and Lebanon the railroad queston book in “Internatonal Journal of Middle East Studies” 1970.
15Plat D.C.M. Finance, Trade and Politcs in Britsh Foreign Policy 1815-1914, 1968. Khalidi R. Britsh Policy towards
Syria and Palestne 1906-1914, 1980.
16Barth B. Whitehouse J. C. The fnancial history of the Anatolian and Baghdad railways, 1889-1914 in “Financial
History Review” 1998. McMeekin S. The Berlin-Baghdad express the Otoman Empire and Germany's bid for world
power, 2012. Trumpener U. Germany and the Otoman Empire, 1914-1918, 1968.
17 Petricioli M. L'Italia in Asia Minore, 1983. Petricioli M. La resa dei cont: diplomazia e fnanza di fronte alle
aspirazioni italiane in Anatolia in “Storia delle Relazioni Internazionali” 1986. Webster R.A. L'imperialismo industriale
italiano tra il 1908 e il 1915, 1975.
Su questo campo storica è stata la rivalità tra la Francia e la Germania a
partire dal 1880 per la costruzione di linee ferroviarie nelle regione 18, tra
Germania, Gran Bretagna e Russia per il controllo delle risorse della
Mesopotamia e dell’Italia che modestamente cercava appalti e concessioni
nella provincia di Adalia scontrandosi a più riprese con gli interessi della
Gran Bretagna e della stessa Germania la quale, solo lontanamente, e non
senza voltafaccia, appoggiava l’alleato italiano.
La penetrazione finanziaria e politica Italiana nel Vicino Oriente
Ottomano, allo stato attuale delle ricerche, mostra tre periodi temporali ben
distinti. Dal 1881 al 1896, dal 1896 al 1914 e dal 1919 al 1923. Il primo periodo
cronologico combacia con l‘istituzione del Consiglio di Amministrazione del
Debito Pubblico Ottomano e con la fine della “Grande depressione” del XIX
secolo19. In questo periodo di crisi l’Italia, la cui mancanza di capitali era una
costante cronica, manterrà un basso profilo negli affari d’Oriente tentando
una riforma delle Camere di Commercio nell’Impero attraverso l’istituzione di
Agenzie commerciali, lavorando per l’istituzione di istituti bancari italiani a
Costantinopoli ed appoggiando iniziative di imprenditori privati
principalmente negli affari ferroviari. Invece, in merito alle questioni inerenti
il Debito Pubblico Ottomano, l’Italia, a partire dal Congresso di Berlino nel
1878, aveva giocato un ruolo da protagonista. Prima del decreto Mouharrem
del 8/20 dicembre 1881, che istituzionalizzava la presenza di una
commissione internazionale preposta al controllo delle finanze ottomane in
riferimento al debito pubblico, si era costituita una commissione preparatoria
per la creazione del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico
Ottomano (da qui in avanti CADPO). Un ruolo da protagonista venne giocato
18Karkar Y.N. Railway Development in the Otoman Empire 1856-1914, 1972.
19De Cecco M. Moneta e impero: il sistema fnanziario internazionale dal 1890 al 1914, 1979. Feis H. Finanza
Internazionale e Stato. Europa banchiere del mondo 1870-1914, 1977.
dall’avv. Francesco Mancardi20. Il Mancardi non era nuovo a questo genere di
attività, era infatti stato Direttore Generale del Debito Pubblico Italiano dal
1862 al 1871. Esperto di questioni finanziarie, il Mancardi si impose presto
dentro il CADPO, creando l’ossatura della commissione internazionale e
permettendo all’Impero Ottomano di contrarre nuovi prestiti attraverso le
garanzie concesse dalla nuova commissione internazionale. La centralità del
ruolo giocato dall’Italia e specialmente dal Mancardi è stata determinante per
le finanze ottomane. Infatti il Mancardi convinse il CADPO a contrarre i
prestiti per il Governo Ottomano di cui faceva parte. Questa azione ha
permesso all’Impero di ritornare sul mercato dei capitali e di finanziarsi a
tassi di interesse più moderati. La presenza della Banca Imperiale Ottomana e
del nuovo CADPO garantivano una maggiore tutela per i creditori. A fronte
dell’attimo lavoro svolto dall’avvocato nella commissione preparatoria, il
Mancardi nominato primo delegato italiano
al Debito Pubblico Ottomano
sotto la nomina della Camera di Commercio di Roma 21. È giusto tenere
presente che questo fattore pone l’attività del Delegato al DPO come
indipendente rispetto al Governo Centrale. Se la maggior parte dei delegati al
DPO delle altre potenze europee – Gran Bretagna, Francia, Germania ed
Austria-Ungheria- erano manovrati dai propri governi, la Camera di
Commercio di Roma concesse al proprio delegato quella libertà di manovra
che gli spettava, spesso andando anche contro gli interessi del Governo
italiano.
Infatti durante varie dispute, come quella per la conversione dei
titoli privilegiati “Prioritès” e “Lotti Turchi” la Camera di Commercio Italiana
ed il nuovo Delegato italiano, Comm. Melchiorre Simondetti, tra il 1890 e il
1893, entrarono palesemente in conflitto contro i delegati anglo-francesi i
quali avevano compiuto un’azzardata operazione speculativa mirata ad far
arricchire gli istituti finanziari con interessi nel debito anziché tutelare i
20Mancardi F. Debito turco: relazione alla Camera di commercio ed art di Roma, 1882
21La Camera di Commercio di Roma aveva ricevuto la delega di tute le altre Camere di Commercio del Regno per
delegare gli interessi dei portatori italiani di rendita turca in seno al CADPO a Costantnopoli. Ed era sempre la Camera
a nominare il delegato italiano.
portatori, come invece il loro mandato prevedeva. In questo caso, come in
molti altri, la Camera di Commercio di Roma agì indipendentemente, senza
lasciarsi condizionare dal Governo italiano il quale cercò di trarre altri tipi di
vantaggi dettati dalla politica richiamando all’ordine la Camera di
Commercio:
un intervento ufficioso dell’Italia, della Germania e dell’Inghilterra presso i portatori per
ottenere un accomodamento che sollevi il tesoro turco potrebbe essere utile e l’Italia non avendo
molti portatori da proteggere ricavarne altri vantaggi industriali e commerciali 22
Sebbene poi il Sindacato italiano, per l’opera del comm. Simondetti,
dovette accettare la conversione, è indicativo il fatto che l’Italia fu l’unica
nazione all’interno del CADPO a lasciare un reale margine di indipendenza al
rappresentante degli interessi dei portatori privati di rendita turca.
Il secondo periodo che va dal 1896 al 1914 coincide con la fine della
“Grande depressione” del XIX secolo e con l’inizio della Prima Guerra
Mondiale. Durante questo periodo temporale l’attività finanziaria nella
regione aumenta considerevolmente. Sebbene l’attività di penetrazione
finanziaria italiana fosse principalmente concentrata nei territori odierni dei
Balcani, il Vicino Oriente rientrò in quella sfera di espansione
dell’imperialismo italiano guidato da quella nuova generazione di capitalisti
specialmente di provenienza veneta; tra essi emerge su tutti Giuseppe Volpi di
Misurata23. Le varie Società anonime create sul territorio ottomano
dimostrano questo stato dell’arte: Società per le Miniere d’Oriente di
Salonicco (1901), Compagnia di Antivari (1905), Monopolio dei tabacchi nel
Montenegro (1906) nonché interessi industriali e finanziari nella ferrovia
Danubio-Adriatica. Durante questo periodo di espansione della finanza
italiana in Oriente emerge la figura di Bernardino Nogara il quale, avendo già
22MAE, Ambasciata d’Italia in Turchia, busta 7, fasc. 1, da R. Ambasciata a Costantnopoli, 6 novembre 1891
23Romano S. Giuseppe Volpi, 1997.
lavorato con Volpi nella Società per le Miniere d’Oriente, sarà all’interno del
nuovo Consiglio di Amministrazione della costituenda Società Commerciale
d’Oriente, di cui Nogara ne sarà alla guida per la sede di Costantinopoli. Tale
Società detta Comor, braccio finanziario della Comit in Oriente, fu fondata
una prima volta a Ginevra nel 1907 e per una seconda volta nel 1912,
coltivando i suoi primi interessi nelle miniere di ferro e piombo di Mossul in
Bulgaria e di carbone nel bacino di Eraclea. Ma la sua attività non si fermò
qui. Pensata come strumento per raccogliere attorno ad essa le iniziative
finanziare italiane iniziò ad operare anche come banca commerciale
immischiandosi in ogni genere di affare. A tale testimonianza, attraverso gli
archivi della Comor, è possibile venire a capo agli affari dove la Comor era
immischiata: dal trasporto del legname e del carbone, al controllo di società di
navigazione locali
fino alle gare di appalto per la costruzione di linee
tramviarie tra Adrianopoli e Costantinopoli. Ma quale è il collegamento reale
che esiste tra questa serie di interessi e l’Amministrazione del Debito Pubblico
Ottomano? Durante questa fase di espansione delle iniziative finanziarie
italiane in Oriente, a nostro avviso, il ruolo giocato da parte del Delegato
Italiano al DPO, fu senza dubbio importante per gli affari italiani in Oriente.
La partecipazione italiana, o i suoi sforzi per aderirvi, ai prestiti contratti
dall’Impero Ottomano tra il 1907 e il 1914, denotano una diversa maturità sia
del capitale italiano, sia della politica italiana. Le maggiori potenzialità
italiane rispetto a qualche decennio addietro, e la spasmodica ricerca di
soddisfare la politica di potenza, spinsero l’Italia ad essere più spregiudicata
ed aggressiva con l’Impero. La partecipazione italiana a questi prestiti
significava poter aumentare il prestigio italiano presso il Governo Imperiale,
necessario per ottenere quelle concessioni, politiche ed economiche, che
avevano lo scopo di concretizzare sempre più la presenza italiana in loco. La
concessione di prestiti passava dal CADPO, il quale doveva garantire, insieme
alla BIO, la copertura del prestito. Pertanto quando un prestito, su richiesta
del Governo Ottomano, veniva negoziato in sede del CADPO il delegato
italiano veniva a conoscenza dei dettagli del prestito e degli scopi che esso
aveva. Infatti tra i delegati italiani al DPO e l’Ambasciata d’Italia a
Costantinopoli esiste una ricca corrispondenza in merito sia alle questioni
finanziarie del debito ma anche in merito agli affari negoziati dal Governo
Imperiale. Sebbene il Governo italiano garantisse l’indipendenza del delegato
italiano che rappresentava i portatori privati italiani della rendita turca, il
Regio Governo a più riprese face pressioni sul delegato italiano per
partecipare alle iniziative finanziarie che coinvolgevano il DPO, usando
quest’ultimo come testa di ponte e trampolino di lancio per una serie di
iniziative non solo finanziarie ma anche politiche. A conferma di questo la
corrispondenza tra il Marchese Alberto Theodoli, delegato italiano al DPO tra
il 1903 al 1911, e l’Ambasciata d’Italia a Costantinopoli ci dice chiaramente
che il Governo Italiano usava il delegato italiano per negoziare una serie di
attività finanziarie a vantaggio dell’elemento italiano. Lo stesso Alberto
Theodoli fu il fondatore della sede di Costantinopoli del Banco di Roma con
cui continuerà ad avere un rapporto previlegiato. Ma c’è dell’altro. Il delegato
italiano al DPO teneva relazioni e contatti anche con la Società Commerciale
d’Oriente ed il Banco di Roma 24, i quali detenevano nei propri portafogli titoli
del debito pubblico ottomano25. La presenza di delegati italiani al DPO legati a
doppio filo con importanti istituti finanziari italiani è confermata anche dalla
presenza di Bernardino Nogara, delegato italiano al DPO dal 1913, la cui
corrispondenza privata ed istituzionale ci conferma l’esistenza di quelle
relazioni tra il Governo italiano, la Società Commerciale d’Oriente e la sede di
Milano della Comit. Allo stato attuale delle ricerche possiamo solamente in
parte delineare definitivamente la consistenza di queste relazioni e gli
obiettivi che essi hanno raggiunto. Ma possiamo confermare che il delegato
italiano al DPO era il centro di una serie di relazioni tra il pubblico ed il
24De Rosa L. Storia del Banco di Roma, III vol. 1982
25Biagini. A. Storia della Turchia Contemporanea, 2005. Secondo Biagini i capitali che i gruppi fnanziari italiani
avevano investto nel DPO erano di dubbia provenienza.
privato, aiutando quest’ultimo settore nella sua espansione finanziaria in
Oriente.
Il terzo periodo che va dal 1919 al 1923 vede intensificarsi l’attività
italiana in Oriente, specialmente nella regione dell’Anatolia. Uscito sconfitto
dalla Prima Guerra Mondiale, l’Impero Ottomano era alla mercé delle potenze
vincitrici: Francia e Gran Bretagna in testa, Italia in seconda istanza. Questo
ruolo subalterno dell’Italia non demotivò le varie aziende italiane a cercare di
espandere i propri interessi in un paese in dissoluzione. La sconfitta degli
Imperi Centrali e soprattutto della Germania che aveva grandi interessi
economici e finanziari nell’Impero Ottomano, scatenò una corsa delle potenze
vincitrici a colmare quello “spazio vuoto” lasciato da Berlino. Francia e Gran
Bretagna videro bene di dividersi in zone di influenza in un primo momento,
ed in mandati per conto della Società delle Nazioni in un secondo momento,
la restante parte dei territori ottomani all’infuori dell’Asia Minore. La Grande
Siria andò alla Francia mentre la Palestina e i vilayet di Mosul, Baghdad e
Bassora alla Gran Bretagna. Abbandonata l’offerta della Gran Bretagna per il
controllo del Caucaso26, l’Italia spese tutto il suo limitato potere contrattuale
per ampliare il suo controllo nella zona di Adalia, questa volta anche
militarmente. La sconfitta dell’esercito greco, supportato dalla Francia e dalla
Gran Bretagna anche per far abbandonare all’Italia le sue pretese su Smirne,
andò a tutto vantaggio di Kemal Ataturk il quale, non riconoscendo le
umilianti clausole del Trattato di Sévres nel 1920, vinse la guerra contro gli
occupanti firmando con le potenze alleate nel 1923 il Trattato di Losanna che
poneva fine alla storia secolare dell’Impero Ottomano ed ai sogni di gloria
italiani nella regione27. Se la politica fallì nei suoi obiettivi, le attività private
26De Mateo L. Alla ricerca di materie prime e nuovi mercat nella crisi postbellica. L’Italia e la Transcaucasica, 1990.
27Marian Kent, The Great Powers and the End of the Otoman Empire, 1996. Grassi F.L’Italia e la questone turca
1919-1923. Opinione pubblica e politca estera, 1996. Porciat A.M. Dall'impero otomano alla nuova Turchia.
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italiane riscontrarono maggiori successi. La Società Commerciale d’Oriente
estese il suo controllo non solo sul Bacino di Eraclea ma anche su una serie di
infrastrutture necessarie per il trasporto di carbone come il porto e la ferrovia.
Allo stesso modo il Banco di Roma rafforzò la sua sede di Costantinopoli
contrattando con le autorità francesi e britanniche la nuova apertura delle sue
filiali a Beirut e Gerusalemme. Elemento nuovo nel panorama finanziario
italiano nella regione furono le compagnie assicurative. Con l’annessione di
Trieste a danno dell’Austria-Ungheria a termine del primo conflitto mondiale,
le Assicurazioni Generali e la Riunione Adriatica di Sicurtà iniziarono ad
operare sotto l’egida italiana. L’Italia si trovò così ad annoverare tra le sue
imprese due società che avevano, già ben prima della guerra, esteso le proprie
attività in Oriente tra Costantinopoli, Smirne, Beirut, Aleppo, Damasco,
Gerusalemme e Giaffa. Le loro attività finanziarie dimostrano un forte senso
di dinamismo all’interno di mercati poco stabili come erano quelli orientali.
L’arrivo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni a Costantinopoli nel 1919
aprì un conflitto interno tra le compagnie assicurative italiane. Le Generali e
la Riunione di Sicurtà fecero opera di damping contro l’INA al fine di
ostacolarne le attività in Oriente. Come accennato in precedenza con il 1923 le
relazioni tra Italia e Turchia si spostarono su un livello di collaborazione
bilaterale e su relazioni economiche stabili sotto l’egida della nuova sovranità
turca la quale abolì ogni commissione di controllo internazionale sulle sue
finanze come era il CADPO.
Fonti primarie e struttura del lavoro
La ricerca intende basarsi su documenti d’archivio inediti, da affiancare
a quelli già noti, per venire a capo delle relazioni esistenti tra Il Consiglio di
Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano e la finanza privata.
L’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri a Roma risulta essere una
fonte di primaria importanza. Essenziali sono i documenti raccolti all’interno
del fondo Ambasciata d’Italia in Turchia 1829-1938 che raccoglie tredici
fascicoli che riguardano principalmente la corrispondenza tra il Regio
Ministero degli Affari Esteri e la Regia Ambasciata di Costantinopoli inerenti
questioni finanziarie. Nello specifico cinque fascicoli riguardano questioni
inerenti al Debito Pubblico Ottomano come la vertenza tra la Camera di
Commercio di Roma e le potenze nel Consiglio di Amministrazione del Debito
Pubblico Ottomano per la conversione dei titoli privilegiati e dei lotti turchi,
mentre le altre riguardano appalti ferroviari, banche italiane, questioni
minerarie, appalti industriali e concessioni varie. Tre fascicoli dentro tre buste
riguardano i tentativi di penetrazione economica italiana in Mesopotamia nel
primo decennio del ‘900. Nella Serie Politica A è possibile trovare un
fascicolo che tratta del Debito Pubblico Ottomano e della vertenza contro la
Banca Imperiale Ottomana. Cambiando fondo, sempre presso l’archivio
storico del Ministero degli Affari Esteri, risultano essenziali per la ricerca Il
Gabinetto Riservato 1906-1911 con tre fascicoli, l’Archivio di Gabinetto 19101923 con otto fascicoli, l’Archivio del Consolato Generale di Beirut nonché
vari archivi privati come l’Archivio di San Giuliano, l’Archivio De Pretis,
l’Archivio Guglielmo Imperiali e le carte del Gabinetto Crispi.
Sempre per quanto riguarda i fondi pubblici è possibile trovare
all’interno dell’Archivio Storico della Banca d’Italia a Roma ventiquattro
fascicoli (allo stato attuale della ricerca) inerenti attività finanziarie
nell’Impero Ottomano, questioni inerenti al Debito Pubblico Ottomano,
concessioni industriali ed affari bancari, e il fondo in liquidazione della Banca
Romana che gestiva la riscossione delle cedole per l’Italia del Debito Pubblico
Ottomano, tra il 1881 e il 1923, nonché la corrispondenza privata di Bonaldo
Stringher.
L’Archivio Storico della Camera di Commercio di Roma a Roma
detiene solamente una busta riguardante i primi anni della costituzione del
Debito Pubblico Ottomano sebbene la centralità della Camera di Commercio
avrebbe giustificato la presenza di molto più materiale documentario.
Per quanto riguarda gli archivi privati in Italia, l’Archivio di Intesa San
Paolo a Milano conserva nove buste riguardanti l’attività della Società
Commerciale d’Oriente ed una busta che conserva la corrispondenza privata
d i Bernardino Nogara nonché un fascicolo riguardante gli interessi della
Banca Italiana di Sconto in liquidazione all’interno del Debito Pubblico
Ottomano.
Presso l’Archivio Storico di Unicredit Banca sempre a Milano è
possibile consultare il fondo della liquidazione della Banca Italiana di Sconto
solo per quanto riguarda i fascicoli del personale, tra cui coloro che
prestavano servizio a Costantinopoli. Oltre a questi fondi è possibile
consultare i verbali del Consiglio di Amministrazione del Banco di Roma,
essenziali per delineare le attività del Banco in Oriente. Ad ogni modo
nell’Archivio del Banco di Roma, a Roma, sono presenti dieci fascicoli che
delineano le varie attività finanziarie ed un fascicolo inerente gli interessi
all’interno del Debito Pubblico Ottomano.
Infine ci sono gli Archivi Privati delle assicurazioni. L’Archivio Storico
dell’INA, a Roma, contiene una busta ed una serie di fascicoli inerenti le
attività dell’azienda principalmente a Costantinopoli e Smirne a partire dal
primo dopoguerra. Invece l’Archivio Storico delle Assicurazioni Generali, da
poco riaperto e che è solamente indicizzato e non catalogato, contiene cinque
fascicoli inerenti l’attività aziendale tra Costantinopoli, Smirne, Beirut,
Damasco e Gerusalemme.
Per quanto riguarda gli archivi esteri di grande importanza si è rilevato
l’Archivio Storico della Banca Imperiale Ottomana ad Istanbul, il quale
contiene una busta che raccoglie la corrispondenza tra i delegati italiani al
Debito Pubblico Ottomano e l’Ambasciata d’Italia a Costantinopoli tra il 1907
ed il 1914.
L’elenco degli archivi soprariportato riguarda tutti quei fondi che sono
stati già consultati dal sottoscritto, mentre altri saranno consultati nell’anno
in corso. Questo vale per l’Archivio Centrale dello Stato dove sono presenti le
carte del Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato il quale fu
sempre consultato per operazioni bancarie ed industriali in Oriente. Questo
vale anche per Public Record Office di Londra, nella serie Foreign Office, per
quanto riguarda sia le trattative tra l’Italia e la Gran Bretagna per l’accesso
alla commissione internazionale per il Debito Pubblico sia in merito alla
vertenza sulla conversione dei titoli “Priorités” e “Lotti Turchi”, nonché per la
vertenza contro la Banca Imperiale Ottomana ad opera dell’Ambasciatore
d’Italia a Costantinopoli contro il monopolio finanziario francese tra il 1887 e
il 1890. Stessa cosa vale per l’Archivio del Quai d’Orsai a Nantes. All’appello
manca l’Archivio della Riunione Adriatica di Sicurità che non solo non è
consultabile, ma la maggior parte dei documenti è andata perduta. Per questo
motivo ci dobbiamo affidare a fondi indirette ed a fonti secondarie.
Le fonti prese in esame sono varie e la loro consultazione non è ancora
terminata. Siamo convinti che l’Archivio Storico della Banca d’Italia, allo
stato attuale delle nostre ricerche, possa darci maggiori informazioni in
merito agli interessi italiani in Oriente. A partire dal 1893 sarà infatti la Banca
d’Italia a gestire i servizi di riscossione delle cedole e degli interessi del DPO,
causa il fallimento della Banca Romana. Stessa cosa vale per gli archivi del
Ministro degli Affari Esteri soprattutto per quanto riguarda gli archivi privati
e la corrispondenza privata dei principali protagonisti che può darci la giusta
chiave per mettere in relazione i vari interessi privati di quegli anni.
Sebbene Giuseppe Volpi di Misurata non abbia coperto incarichi
all’interno del CADPO, le lettere inviate a Bernardino Nogara, alcune di esse
consultabili nell’archivio privato di quest’ultimo, mettono in luce
l’importanza di questo imprenditore nelle questioni riguardanti gli interessi
finanziari italiani in Oriente. Attualmente l’ubicazione del suo archivio privato
risulta sconosciuta pertanto, solamente per alcuni anni, possiamo ricostruire
parte della sua attività grazie alle copie delle lettere da lui spedite o ricevute
da Bernardino Nogara, dal Marchese di San Giuliano, dal Marchese Imperiali,
da Otto Joel e dal Ministero degli Affari esteri italiano a Roma.
Lo stato attuale delle nostre ricerche ci permette di definire una prima
suddivisione del lavoro. In prima istanza risulta necessaria una prefazione in
grado di tracciare le linee generali della storia economica e sociale dell’Impero
Ottomano a partire dall’inizio della questione d’Oriente con la pace di KüçükKaynarca in seguito alla guerra russo-turca del 1768-1774, fino al default sul
debito estero dell’Impero Ottomano nel 1875-76. Messe le basi per
comprendere gli avvenimenti da noi analizzati successivamente, il primo
capitolo del lavoro tratterà le questioni degli interessi italiani all’interno del
Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano suddividendo i
paragrafi tra la costituzione del consiglio del debito e le trattive tra l’Italia,
Gran Bretagna-Francia ed Impero Ottomano per ottenere un posto all’interno
del consiglio e le varie vertenze che videro protagonisti i delegati italiani e la
Camera di Commercio di Roma per la difesa degli interessi dei portatori
italiani di rendita turca. Una prima analisi verrà anche fatta sui timidi
tentativi italiani, pubblici e privati, per l’istituzione di istituti bancari nella
regione al fine di favorire le attività economiche e finanziare dell’elemento
italiano. Il secondo capitolo tratterà sia le questioni legate principalmente ai
delegati italiani al Debito Pubblico Ottomano come il Marchese Alberto
Theodoli prima e Bernardino Nogara dopo e ai loro rapporti con l’espansione
del capitale italiano, sia le relazioni esistenti tra di essi e la Società
Commerciale d’Oriente ed il Banco di Roma, dedicando anche un
approfondimento sulle attività finanziarie di questi istituti nella regione e le
loro connessioni con il Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico
Ottomano. Il terzo capitolo riguarderà invece principalmente la fase che
andrà tra la fine della Prima Guerra Mondiale e il Trattato di Losanna nel
1923 mettendo in risalto la ripresa delle attività della Comor e del Banco di
Roma ma anche quelle delle Assicurazioni Generali, della Riunione Adriatica
di Sicurtà e dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni.
Postfazione
È doveroso precisare che l’intera struttura del lavoro, a fronte degli
interessanti stimoli proposti durante il Seminario SISSCO del giungo 2014 a
Milano, avrà come linea guida gli interessi dell’Italia nell’Amministrazione del
Debito Pubblico Ottomano quale punto di convergenza di una serie di
interessi pubblici e privati italiani. La definizione di questo scopo ha l’intento
di definire la penetrazione finanziaria italiana nell’Impero Ottomano da una
nuova prospettiva di osservazione influenzata, non solo dalle dinamiche
interne della Sublime Porta, ma anche dal gioco di alleanze tra le grandi
potenze europee. A questo proposito è nostro dovere far presente che l’intento
di questo lavoro non è quello di raccontare tutto il paniere degli interessi
economici e finanziari italiani nella regione a causa della circoscrizione di
questa ricerca nel tempo naturale di un ciclo dottorale. Come se non bastasse,
alcuni aspetti, soprattutto riguardanti gli importati interessi di Stato nella
regione, sono già stati analizzati da importanti storici quali R. A. Webster nel
su o L’Imperialismo Industriale Italiano e da M. Petricioli nella sua opera
L’Italia in Asia Minore. Senza contare specifici articoli scientifici che
analizzano nel dettaglio singoli avvenimenti, come il caso del contributo di
A.F. Saba dal titolo L’Attività dell’Ansaldo nell’Impero Ottomano, nel volume
di P. Hertner Storia dell’Ansaldo. Dai Bombtini ai Perrone. Oltre a queste
opere, sotto suggerimento del Prof. Giorgio del Zanna, non possiamo non
citare la magistrale opera in lingua francese scritta da D. J. Grange L'Italie et
la Méditerranée (1896-1911): les fondements d'une politique étrangère. Tale
opera, divisa in due volumi, da una visione olistica degli interessi italiani nel
Mediterraneo con particolare riferimento all’Africa e al Vicino Oriente. Tale
opera, essenziale per lo svolgimento della mia ricerca, completa
un’importante vuoto storiografico inerente alla politica estera italiana verso i
paesi che si affacciano principalmente sulla sponda sud ed est del
Mediterraneo. A questo proposito, il progetto di ricerca da me presentato,
sulla base delle proficue discussioni intercorse durante il seminario SISSCO,
cercherà di riempire uno specifico buco storiografico dando spessore ad
alcuni aspetti trattati solo attraverso fonti governative. Questo è il caso sia
degli interessi italiani nel Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico
Ottomano che verranno analizzati grazie al supporto di fonti inedite
provenienti dall’Archivio della Banca Imperiale Ottomana ad Istanbul, sia
degli interessi bancari italiani a Costantinopoli grazie alla consultazione degli
archivi privati della Banca Commerciale Italiana e del Banco di Roma.
Attraverso una maggiore attenzione a questi soggetti, pubblici e privati, il
lavoro in questione si prefigge lo scopo di trattare non tanto gli interessi
economici generali nel loro insieme, quanto i grandi movimenti finanziari
legati a più riprese al potere politico che Roma voleva riservargli. Alla luce di
quanto emerso in sede di discussione del Seminario, non possiamo esimerci
di porre la nostra attenzione su una serie di eventi, esogeni ed endogeni, che
coinvolgono la finanza italiana durante gli anni presi a riferimento per il
nostro lavoro. Di fatto, legata a doppio filo con le grandi piazze europee, la
linea di credito estero destinata in Italia, ed essenziale per il suo sviluppo
economico, proveniva principalmente prima dalla Francia e successivamente
dalla Germania. La cronica mancanza di credito per il suo sviluppo, faceva di
Roma una piazza sempre alla ricerca di capitali esteri. Questa caratteristica
metterà sicuramente ancora più in luce i tentativi italiani di usare quelle
poche risorse finanziarie locali per tentare un’espansione di tipo imperialista
nell’Impero Ottomano.
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