Il Giornale dell`Arte
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Il Giornale dell`Arte
libri A cura di Arabella Cifani Giapponesi insaccati Su di te, papà, non un film, ma un libro Poco conosciuto in Occidente, lo Hojojutsu, o «arte della corda da cattura», è una complessa disciplina evolutasi in Giappone in ambiente militare sin dal 1400 e successivamente adottata dalla polizia del periodo Edo (1600-1868). Per mezzo di corde di canapa, lo Hojojutsu insegnava a soldati e agenti di polizia a trattenere i prigionieri per l’arresto, il trasporto, la detenzione e l’interrogatorio. In un Giappone arcaico, ove la corda era considerata un tramite fra il mondo materiale e quello spirituale, vennero sviluppate centinaia di intricate tecniche di legatura esteticamente raffinate e anche un po’ perverse. Lo Hojojutsu è scomparso con la modernizzazione del Paese e sopravvive solo in poche Scuole di arti marziali tradizionali. Il libro ne illustra in maniera dettagliata la storia, la filosofia, gli strumenti e la pratica, gli sviluppi tecnici, metodologici, gli strumenti utilizzati, i contatti con l’esoterismo, la filosofia e l’arte; numerose le immagini di grande interesse artistico. q Franco Monetti Dal padre, niente meno che il grande pittore Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), il suo secondogenito Jean ha certamente ereditato l’arte di saper tratteggiare mirabilmente personaggi e sentimenti, storie di vita. Talento che Jean Renoir ha esercitato non con il pennello bensì con la penna e la macchina da presa, strumenti con i quali si imporrà come un maestro nel cinema francese del Novecento. Tra i suoi ritratti più commossi e commoventi, insieme a quelli, meravigliosi, che restano nei suoi film, c’è sicuramente anche Renoir, mio padre, libro appassionante che racconta la vita e l’arte di uno dei più amati e celebri pittori di sempre. q Chiara Pasetti Hojojutsu. L’Arte Guerriera della Corda, di Christian Russo 240 pp., 250 ill., Yoshin Ryu, Torino, 2015, € 34,50 Biografie Una vita inimitabile Il satiro a colazione by permission Harvard College. Photo Paolo De Rocco, Centrica srl, Firenze Saggi Un mirabile volume ricorda Bernard Berenson, le sue collezioni d’arte, la leggendaria villa dei Tatti Carlo Scarpa ovvero l’arte di esporre È di prossima uscita (febbraio) un libro dedicato a Carlo Scarpa (nella foto negli anni ’70) e alla sua attività museografica. Un libro esclusivo, di grande levatura culturale, di Philippe Duboy per l’editore milalese Johan & Levi, che descrive lo stretto legame tra architettura e arte, attraverso la figura di uno dei maggiori architetti italiani del nostro secolo Carlo Scarpa, raccontando le sue esposizioni da un punto di vista mai analizzato in precedenza, un punto di vista assoluto: un’icona, un’immagine, un’opportunità. Ne risulta una retrospettiva profonda, nella quale il lettore comprende le dinamiche, i pensieri e le intuizioni, che rappresentano il fondamento del processo creativo di Scarpa negli allestimenti museali e che diventeranno in seguito punti di riferimento per molte altre esposizioni future. Un libro che appassiona pagina per pagina regalando emozioni sotto il profilo letterario e visivo, alternando descrizioni a interviste esclusive con immagini, fotografie inedite e disegni d’epoca, che l’autore ha raccolto e selezionato grazie a una attenta ricerca di archivio; ma dove ha abitato e che l’università americana ancora usa, hanno mantenuto l’esprit della loro antica vita. I quadri, i libri e le opere collezionate sprigionano ancora l’essenza di un vivere inimitabile che accomuna Berenson a tutta una serie di grandi esteti che popolarono l’Europa della fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento e che si spensero, o meglio, si infransero, con l’avvento delle tecnologie moderne. Berenson è stato uno degli ultimi rappresentanti di una stirpe di storici dell’arte che furono (o cercarono di essere) al contempo eleganti uomini di mondo e fini studiosi, uno degli ultimi di una razza di intellettuali sofisticati (o verniciati per sembrare tali) che oggi sta per disperdersi definitivamente. Per celebrare Mary e Bernard Berenson, a 150 anni dalla nascita di quest’ultimo, è uscito recentemente il suntuoso e importante volume The Bernard and Mary Berenson Collection of European Paintings at I Tatti: un’ iniziativa necessaria poiché il primo catalogo, edito nel 1962, era ormai da molto tempo introvabile e comunque superato. A cura di Carl Brandon Strehlke e Machtelt Brüggen Israëls, il volume, di ben 823 pagine magnificamente illustrate, raccoglie e studia in modo esemplare i 149 dipinti collezionati dai Berenson tra la fine del 1890 e i primi decenni del XX secolo, quando Berenson si stava avviando a divenire una autorità internazionale nel settore dell’arte rinascimentale italiana. Il catalogo permette per la prima volta di cogliere a fondo gli interessi intellettuali e il gusto collezionistico dei Berenson e appare come un’opera di grande interesse per la storia dell’arte, uno di quei libri che solo ogni tanto possono essere editi grazie ad un felice incontro fra potenti mezzi economici e qualità di studio. Scritto da un team internazionale che comprende alcuni fra i più importanti storici dell’arte del mondo, è stato favorito nella sua realizzazione dal vasto epistolario di Berenson, dai diari della coppia, dalle loro notazioni presenti nella vastissima fototeca, da inedite fotografie di anche un libro che, nel raccontare l’esperienza di Scarpa, ci regala una fotografia della storia del nostro Paese, un’Italia nella quale dal dopoguerra a oggi architettura e arte hanno sempre avuto un rapporto biunivoco. Duboy è riuscito magistralmente a comporre, attraverso il lavoro del museografo Scarpa, un ritratto che va al di là della figura professionale, toccando la sfera più intima dell’uomo di fronte all’Arte e dimostrando come «l’arte di esporre sia l’avamposto dell’arte». q Fabrizio Fragomeli Carlo Scarpa. L’arte di esporre, di Philippe Duboÿ, 172 pp., Johan & Levi, Milano 2016, € 25,00 L’antisentimentale Nella Marchesini Col rigore di metodo a lei consueto, Giorgina Bertolino ha curato il Catalogo generale dei dipinti di Nella Marchesini (1901-53), nata in Toscana ma torinese di adozione. Nel ponderoso volume la vicenda dell’artista viene indagata attraverso accurate ricerche d’archivio anche nel saggio di Emanuela Genesio, scritto, come da magistero di Maria Corti, da archivista con piglio di narratore. Amica di Carlo Levi, Ada Prospero Gobetti, Natalino Sapegno, Paola Levi-Montalcini, sedotta dall’ars nova fiamminga e dal gusto dei primitivi italiani (Venturi, con Gualino, è figura di riferimento del milieu cui fa capo la pittrice), scolara di Casorati dal 1921, col tempo la Marchesini Pietro Annigoni, «Bernard Berenson a letto», 1956, Firenze, Villa I Tatti famiglia. Tutte le schede dei dipinti sono illustrate e corredate da approfonditi studi scientifici e tecnici. Il catalogo comprende saggi sull’evoluzione collezionistica di Berenson, sul suo specifico interesse per la pittura senese, sull’inquietante rapporto con il geniale falsario senese Icilio Federico Joni, sui rapporti di Berenson con il critico Roger Fry, sui murales di René Piot per I Tatti. Completa il volume una serie di 94 schede di dipinti che anticamente erano a I Tatti e che comprende anche le donazioni fatte a musei europei e americani. Fra le molte interessanti e spesso inedite foto che il volume pubblica ne segnaliamo due in particolare: una, del 1956, ritrae Roberto Longhi in visita ai Tatti, in piedi, in atto di deferente inchino verso BB seduto: «due potestà, due canizie, due esperienze consumate», per dirla con Alessandro Manzoni, si fronteggiano, ma Berenson appare distaccato, altero e con un filo d’ironia nello sguardo. La seconda immagine, sempre del 1956, è un disegno squisito di Pietro Annigoni, che rappresenta Berenson a letto. Del disegno, poco noto, si conoscono tutte le circostanze della realizzazione. Il critico vi appare anziano e fragile, ma vigile e vivo di pensiero, illuminato da una luce quasi ultraterrena: prossimo ormai alla morte e pronto per essere consegnato al mito. q Arabella Cifani The Bernard and Mary Berenson Collection of European Paintings at I Tatti a cura di Carl Brandon Strehlke con Machtelt Brüggen Israëls, 804 pp., 180 ill. a colori 40 b/n, Officina Libraria, Milano 2015, $ 145,00. Un ritratto pettegolo di Lucian Freud Il tasso di gossip, nelle biografie degli artisti, è proporzionale al loro successo in libreria. Ecco perché resterà deluso chi si aspetta da quella dedicata da Geordie Greig a Lucian Freud (Berlino, 1922-Londra, 2011) qualcosa di davvero inedito su un pittore che in pubblico parlava pochissimo del suo lavoro. Dal fatto che a scriverla sia stato un giornalista e non un critico o uno storico dell’arte, scaturisce quindi non tanto una narrazione di Freud pittore, ma una pettegola ricostruzione di vicende arcinote anche a chi non faceva parte della sua ristretta cerchia di amicizie. Poco importa, insomma, che Greig, a forza di insistere, fosse riuscito a essere ammesso nella sua corte, al punto da poter partecipare alla prima colazione, che Freud consumava da Clarke’s, un piccolo ristorante in Kensington Church Street a Londra. Qui l’artista, prima di immergersi nel lavoro in studio, svolgeva, affiancato dal fedelissimo assistente e modello David Dawson, varie attività, ricevendo bookmaker corniciai, galleristi, banditori d’asta e altre variopinte figure del suo entourage. Il ritratto che emerge dopo dieci anni (gli ultimi di vita dell’artista) di frequentazione tra pittore e biografo è quello di un erotomane dotato, oltre che di testosterone sempre ai livelli di guardia (verso l’alto), di un indice di fertilità da far gola a una banca del seme, visto che, tra mogli (due) e un numero imprecisato di amanti, mise al mondo 14 figli o forse più. La fisionomia di questo satiro che a ottant’anni suonati perseverava in una delle sue attività preferite, ossia il sesso praticato in atelier con modelle di ogni estrazione sociale, anche se escluderemmo dal novero, quanto meno per evidenti limiti di età, la regina Elisabetta che pure posò per lui, è completata da una spiccata predilezione per il gioco d’azzardo e ingenti debiti connessi, pagati spesso con quadri, e per una ossessiva attrazione per il sangue blu, precocemente manifestata. Siccome Freud dedicò buona parte della sua vita fuori dall’atelier al safari sessuale abbinato all’ascesa sociale tra i membri dell’aristocrazia, una cospicua parte del libro è costituita da una puntigliosa, molto british e altrettanto noiosa elencazione di complicati intrecci genealogici con i quali questo artista-cortigiano ebbe a che fare, nonostante certe sue frequentazioni, non si sa se vere o millantate, con la malavita. Nipote di Sigmund Freud, rese onore alle teorie del nonno intrattenendo con la madre un rapporto conflittuale; con i modelli, nudi o vestiti che fossero, figlie comprese, ebbe una relazione vampiresca e dispotica, imponendo loro sfibranti sedute di posa, spesso in posture tutt’altro che comode. Cinico nella vita privata quanto nell’arte, seducente e arrogante, il suo ego era arginato e forse frustrato soltanto da alcuni colleghi. A parte Picasso, uno dei pochi a tramutare questo indefesso cornificatore in cornificato, seducendone la seconda moglie Caroline Blackwood, si tratta di due pittori attivi sulla scena londinese. Uno era Frank Auerbach, al cui giudizio si sottometteva prima di licenziare un quadro; l’altro era Francis Bacon, che un po’, a dire la verità, lo snobbava e in pubblico lo sfotteva: un altro pittore passato alla storia per la drammatica indagine nella figura umana ma che, a differenza di Freud, fece della trasgressione non una sorta di irrisolto complesso ma un piacere e, probabilmente, un’arte. q Franco Fanelli Colazione con Lucian Freud. Ritratto di una vita nell’arte, di Geordie Greig, traduzione di Massimo Parizzi, 265 pp., ill. col. e b/n, Mondadori, Milano 2015, € 25,00 Piero Cattaneo MEDAGLIE 1962-2001 affianca ai soggetti di natura morta e ritratti (mai abbandonati neppure in seguito) lo studio del nudo e quindi del paesaggio: l’impronta tattile e plastica del suo stile deriva dal confronto con gli antichi, nonché dal Maestro. Sposatasi nel 1930 col pittore Ugo Malvano (1878-1952), condividerà con lui una vita ripartita tra affetti e passione pittorica. Inclusa tra gli anticrepuscolari casoratiani, tra 1928 e 1932 partecipa a tre Biennali veneziane, elogiata nel 1930 da F. De Allegri come «pittrice anti-sentimentale e razionale che sembra guardare con occhio maschile». Aldilà delle questioni di genere, quello dell’artista è un carattere che spicca per integrità e levatura d’ideali; sdegnando come miserevole la smania di taluni colleghi di «scendere in campo per accaparrarsi un posto nella notorietà», Tra utopia, etica ferrea, sensibilità atmosferica e understatement quella della Marchesini va annoverata tra le figure esemplari di una certa Torino tra le due guerre: aperta, coltivata, liberale; la città dove il venitreenne Mario Soldati, ritratto in modo penetrante dalla pittrice nel 1929, debuttò in quel medesimo anno con Salmace, una raccolta di racconti connotati da una maturità stilistica e narrativa oggi rara. q Alessandra Ruffino Nella Marchesini. Catalogo generale I dipinti (1920-1953), A cura di Giorgina Bertolino, schede scientifiche di Alessandro Botta, pp. 424, ill., SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2015, € 60,00 Lucian Freud mentre ritrae la figlia Bella © Riproduzione riservata A chi si reca a visitare villa I Tatti alta sui colli tra Fiesole e Settignano, cinta dalla grazia dei sui giardini all’italiana, perennemente verdeggianti di cipressi e bussi, operosa di studi di arte, pare di entrare in una sorta di paradiso terrestre. Un luogo ove la cultura costituisce l’essenza stessa di un vivere superiore. La casa e le collezioni di Bernard Berenson (1865-1959) che costruì la villa e fece progettare i giardini, vi abitò e vi è sepolto, costituiscono il perfetto teatro in cui il celebre conoscitore d’arte si mosse e si esibì per i suoi numerosi visitatori, clienti ed estimatori, per oltre cinquanta anni. L’edificio rustico dei Tatti fu abitato da lui e dalla moglie Mary fin dall’anno 1900 e acquistato nel 1907. Berenson chiamò a progettare la nuova villa gli architetti Geoffrey Scott e Cecil Pinsent, commissionò una grande biblioteca e un giardino all’italiana situato all’interno di una tenuta agricola. Nel tempo i Tatti divennero una casa confortevole, un centro intellettuale di vita cosmopolita, e sulle sue pareti si allinearono collezioni sempre più ricche e selezionate di dipinti italiani rinascimentali. I Berenson vissero ai Tatti fino alla loro morte: nel 1945 Mary, nel 1959 Bernard. Con un pensiero illuminato Bernard Berenson fin dal 1936 decise di donare la villa, e le sue collezioni di opere d’arte, la biblioteca e la fototeca alla Harvard University. Dopo la sua morte la villa è diventata un attivo centro di ricerca sul Rinascimento Italiano, gestito come un ambitissimo campus estero per gli studenti in visita dagli Stati Uniti. Nell’artificio dei Tatti BB (come lo chiamavano gli amici) mise tutto di sé: le sue corpose sostanze economiche, ottenute vendendo opere italiane ai musei americani, ma soprattutto il suo spirito; al punto che in quello spazio incantato rimase preso dal cerchio magico del suo stesso incantesimo, fino a confondersi e divenire nelle cronache e nei ricordi integrante parte decorativa del luogo. Le eleganti stanze Renoir, mio padre, di Jean Renoir, traduzione di Roberto Ortolani, 433 pp., ill., Adelphi, Milano 2015, € 22,00 © David Dawson Il Giornale dei il giornale dell’arte Numero 360, gennaio 2016 Grafica & Arte www.pierocattaneo.it © Riproduzione riservata 22