DESTRA STORICA

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DESTRA STORICA
DESTRA STORICA
La Destra è stato uno schieramento politico italiano sorto, formalmente, nel 1849 con i governi di Camillo
Benso conte di Cavour e proseguito dopo la sua morte sino al 1876 e detta, in seguito, storica per
distinguerla dai partiti e movimenti di massa qualificati come di destra che si sarebbero affermati nel corso
del XX secolo. I ministeri della Destra storica dal primo governo Cavour al governo di Marco Minghetti del
1876 conseguirono importanti risultati, primo fra tutti l'unità d'Italia, compiuta nel 1861 e portata a
termine nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma.
Politica interna
Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo parlamento unitario. Su quasi 22 milioni di abitanti (non
erano stati ancora annessi Lazio e Veneto), il diritto a votare fu concesso solo a 419.938 persone (circa
l'1,8% della popolazione italiana). L’affluenza alle urne fu del 57%.
La Destra storica, erede di Cavour ed espressione della borghesia liberale, vinse queste elezioni. I suoi
esponenti erano soprattutto grandi proprietari terrieri e industriali, e personalità legate all’ambito militare
(Ricasoli, Sella, Minghetti, Spaventa, Lanza, La Marmora, Visconti Venosta).
La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri ed eletta con un
suffragio di appena il 2%, diede alla neonata Italia un'economia basata sul libero scambio, che però soffocò
la nascente industria italiana, esponendola agli attacchi del più forte capitalismo d'Oltralpe. Un altro grave
problema che affliggeva il paese, la difformità legislativa lungo la penisola, fu risolto mediante
l'accentramento dei poteri (accantonando i progetti di autonomie locali proposti da Marco Minghetti),
estendendo la legislazione piemontese a tutta la penisola e dislocandovi in modo capillare le prefetture
come strumento di governo. Anche il sistema scolastico fu riformato e uniformato in tutta Italia a quello
piemontese (legge Casati) nel 1859. Fu poi istituita la coscrizione obbligatoria.
Risanamento del bilancio
La Destra impose anche un pesante fiscalismo, al fine di finanziare le opere pubbliche di cui il Paese aveva
bisogno per competere con le altre potenze europee. Nel 1875, con Marco Minghetti, venne raggiunto il
pareggio di bilancio. La ricchezza nazionale aumentò in due scaglioni tra il 1860 e il 1880. Nella prima fase
aumentò tramite le imposte dirette, che riguardavano i redditi di origine agraria, nella seconda fase invece
con le imposte indirette, colpendo maggiormente i ceti meno abbienti. Nel 1868 venne introdotta la tassa
sul macinato (per la precisione, sulla macinazione dei cereali) scatenando così proteste popolari con assalti
ai mulini, distruzione dei contatori, invasioni di municipi. Al termine di questa rivolta contadina si contarono
molti arrestati, feriti e morti.
I rapporti con la popolazione
Tutti questi provvedimenti resero più complicato l'inserimento dei nuovi territori nel Regno. A causa
principalmente di provvedimenti visti come insensati ed odiosi da parte della popolazione, vale a dire
l'imposta sul macinato e il servizio militare obbligatorio, la Destra favorì, in un certo senso, lo sviluppo del
Brigantaggio,che era storicamente endemico di vaste regioni del Regno delle Due Sicilie e dello Stato della
Chiesa, cui rispose con particolare durezza attraverso la legge Pica e il dispiegamento nell'Italia centromeridionale di oltre 120.000 soldati, imponendo, in pratica, uno stato di guerra al Sud. Stando alle
informazioni ufficiali del nuovo Regno d'Italia, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861 ci furono nell'ex
Regno delle Due Sicilie 8.964 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 13.529 arrestati, e più di 3.000 famiglie
perquisite. Questo fu uno dei motivi che incoraggiarono l’emigrazione dalle regioni meridionali d’Italia.
Politica estera
In politica estera, la Destra storica fu assorbita dai problemi del completamento dell'Unità d’Italia; il Veneto
venne annesso al Regno d'Italia in seguito alla terza guerra d'indipendenza (1866). Per quanto riguarda
Roma, la Destra cercò di risolvere la questione con la diplomazia, ma si scontrò con l'opposizione di Papa
Pio IX, di Napoleone III e della Sinistra. Alla caduta di Napoleone III dopo la guerra franco-prussiana, l’Italia
attaccò lo Stato Pontificio e conquistò Roma, che diventò Capitale nel 1871. Il Papa si proclamò prigioniero
e lanciò violenti attacchi allo Stato italiano, istigando una forte campagna anticlericale da parte della
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Sinistra. Il governo regolò i rapporti con la Santa Sede con la legge delle guarentigie, non riconosciute dal
Papa. Il Pontefice non riconobbe la legge e vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana, secondo
la formula "né eletti, né elettori" (non expedit).
Un consigliere di legazione prussiano in Italia, Theodor von Bernardi, colse, nel corso della Terza Guerra
d'Indipendenza, una frattura sui temi di politica estera fra una frazione "francofila" (formata da membri
della Permanente, la corrente piemontese della Destra) e una frazione definita "nazionale". La prima
corrente si sarebbe rifatta al generale La Marmora (Presidente del Consiglio prima della guerra e
Comandante di fatto del Regio Esercito nel corso della guerra) e sarebbe dipesa eccessivamente dalle linee
direttive di Napoleone III. La seconda invece,guidata dal barone Ricasoli,avrebbe avuto una visione più
ampia del ruolo internazionale dell'Italia e sarebbe stata molto meno filo-francese e più filo-prussiana.
Fine della Destra Storica
L'era della Destra finì nel 1876: il governo Minghetti fu messo in minoranza dallo stesso Parlamento, che
rifiutava la nazionalizzazione delle neonate ferrovie, cosicché il primo ministro dovette dare le dimissioni.
Era stata attuata la rivoluzione parlamentare: per la prima volta un capo del governo veniva esautorato non
per autorità regia, bensì dal Parlamento. Il re Vittorio Emanuele II, preso atto delle dimissioni, diede
l'incarico di formare un nuovo governo al principale esponente dell'opposizione, Agostino Depretis. Iniziava
l'era della Sinistra storica. Gli esponenti della Destra storica che continuarono in un ruolo di opposizione
parlamentare, e che in prevalenza provenivano dalla Toscana, furono chiamati dai loro avversari
"consorteria".
Divisioni e dissidi interni
Subito dopo le prime elezioni nel neonato Regno d'Italia, la Destra storica si divise in due "correnti"
differenziate in base alla zona d'elezione:
- i piemontesi, eredi della Destra storica che aveva caratterizzato il Regno di Sardegna, formarono una
"Associazione Liberale Permanente"
- i tosco-emiliani, sostenuti da lombardi e dai politici meridionali, formarono un gruppo, chiamato
dispregiativamente "Consorteria" dai piemontesi.
Con il tempo questa divisione lasciò il posto ad una divisione di tipo personale: i due principali leader delle
varie anime della Destra, Sella e Minghetti, infatti, erano impegnati in una battaglia personale. Le Destre
concordavano solo sulla necessità di raggiungere il pareggio di bilancio e sulla sconvenienza delle riforme
democratiche volute dalla Sinistra, soprattutto l'estensione del suffragio elettorale. Non va inoltre
dimenticato che al gruppo "originale" della Destra storica, formato da settentrionali di tendenze liberali, si
erano aggiunti dei "nuovi arrivati" cioè i borghesi meridionali, di tendenze conservatrici. Le divergenze fra
queste due anime saranno di non poco conto.
IL POLITICO DI RILIEVO...
MARCO MINGHETTI
(Bologna, 8 novembre 1818 – Roma, 10 dicembre 1886) è stato un politico
italiano. Tra il 24 marzo 1863 e il 28 settembre 1864 succedette a Carlo Farini nella carica di presidente del
Consiglio. Facendosi forte della decisa azione italiana contro la spedizione di Garibaldi all'Aspromonte,
Minghetti fu in grado di negoziare un favorevole accordo con la potenza protettrice del Papa, la Francia.
All'interno della Convenzione con la Francia, il governo Minghetti incluse la clausola dello spostamento
della capitale da Torino a Firenze, suscitando sdegno e costernazione nella popolazione torinese. A seguito
della brutale repressione delle pacifiche manifestazioni popolari di protesta, che provocò oltre 50 morti e
centinaia di feriti tra Piazza Castello e Piazza San Carlo, il Re costrinse Minghetti a dimettersi dal governo.
Tra le sue più interessanti proposte ci fu quella di una riforma in senso autonomistico dello stato.
Fu nuovamente presidente del Consiglio tra il 10 luglio 1873 ed il 25 marzo 1876. Durante questa legislatura
si trovò in disaccordo con la Destra, alla quale nonostante tutto apparteneva. Motivo del contendere era la
rigorosa politica di bilancio che perseguì e che nel 1876 portò al pareggio di bilancio. Fu il propugnatore
dell'invio di una legazione commerciale in Cina e in Giappone e la creazione di contatti diplomatici con
questi stati.
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SINISTRA STORICA
Dopo il 1870 si assistette a notevoli cambiamenti della politica italiana, La politica della destra aveva
scontentato i ceti meno abbienti, tartassati dalle tasse, i quali erano stati loro malgrado gli unici attori del
risanamento delle casse dello stato. Anche la borghesia, però, era scontenta: essa mancava di potere
politico pur avendo in mano le sorti economiche del paese. Una volta raggiunto l'obiettivo del pareggio di
bilancio molti deputati si convinsero che occorresse cambiare rotta dando maggiori poteri al ceto medio.
Contadini, operai, analfabeti rimanevano ancora fuori dalla visuale dei politici del tempo.
Nel 1876 Agostino Depretis riuscì a formare un governo di sinistra. In seguito anche i risultati delle elezioni
confermarono questa tendenza: la sinistra aveva sostituito la destra nella guida del paese.
Ma chi formava questa sinistra?
Nella sinistra militavano politici liberali, politici di tendenza democratica, ex garibaldini ed ex mazziniani. I
ceti sociali che si riconoscevano nella sinistra erano piccoli proprietari, piccoli industriali, commercianti,
imprenditori, professionisti e intellettuali: quelli che noi definiamo ceto medio. Gente che vive agiatamente
del proprio lavoro e non di rendita e possiede un certo grado di ricchezza e cultura.
Le riforme sociali della sinistra:
- la legge Coppino del 1876, che introdusse l'insegnamento elementare obbligatorio;
- abolizione della tassa sul macinato del 1883;
- abbassamento del livello di ricchezza e di età richiesti per avere diritto al voto (1882).
Gli elettori passarono da 450.000 a 2.000.000. La nuova legge elettorale permise per la prima volta a media
e piccola borghesia e addirittura a una modesta quota di operai istruiti di partecipare alla vita politica.
Le conseguenze della nuova legge elettorale furono immediate: nelle elezioni politiche del 1882 la sinistra
ottenne la maggioranza e in parlamento entrò addirittura un piccolo gruppo di socialisti. Dal punto di vista
amministrativo ebbe luogo una maggiore autonomia dei comuni attraverso un maggiore decentramento
amministrativo.
Il protezionismo.
La politica economica distinse maggiormente la destra dalla sinistra. La destra era stata liberista, cioè non
aveva operato alcun tipo di protezione delle merci italiane. Questa politica avvantaggiava i settori nei quali
l'Italia era più forte: agroalimentare e semilavorati, ma svantaggiava la grande industria e quindi l'alta
borghesia. La sinistra, invece, impose forti dazi doganali ai prodotti industriali provenienti dall'estero a
prezzi più convenienti e dotati di una migliore qualità. La giovane industria italiana fu molto aiutata, ma
l'esportazione dei prodotti agricoli fu fortemente penalizzata.
Il colonialismo
Aiutare l'industria significava rendere l'Italia più forte anche sul piano militare, allo scopo di far partecipare
il nostro paese alla spartizione coloniale del mondo. Tale scelta di politica estera fu sciagurata per due
motivi: primo, l'Italia non poteva competere con le altre potenze coloniali, ben altrimenti armate e
industrializzate; secondo, era ormai tardi e i giochi erano ormai stati fatti.
L'Italia in Africa
L'approdo più logico e naturale per le mire colonialistiche italiane appariva essere la Tunisia, poco distante
dalla Sicilia. Ma la Francia nel 1881 occupò Tunisi con la mira di occupare l'intera Tunisia. Questa impresa
compromise i buoni rapporti tradizionali Italo-Francesi e Depretis rinnegò la tradizionale politica di amicizia
con Francia e Gran Bretagna e strinse un patto con Austria e Germania: la Triplice Alleanza. Tale alleanza
apparve come una mostruosità a molti Italiani: l'Austria era stata il nemico più feroce dell'unità italiana e
inoltre occupava ancora parte del territorio italiano. Oltre tutto la Francia rivoluzionaria e l'Inghilterra
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borghese e liberale apparivano l'antitesi di due paesi autoritari e conservatori. Eppure Depretis era
convinto che non si potesse fare altrimenti.
Dopo la firma della Triplice Alleanza l'Italia si sentiva abbastanza forte da intraprendere l'avventura
coloniale. Nel 1882 il governo acquistò dalla società privata Rubattino il porto di Assab, in Eritrea, allo scopo
di espandersi in tutta la zona costiera. La Gran Bretagna, che controllava il Mar Rosso, lasciò fare perché
preferiva la presenza italiana a quella Francese.Le truppe italiane, entrate in contatto con quelle del
sovrano d'Abissinia (negus), furono duramente sconfitte. A Dogali un corpo di spedizione italiano di 500
uomini fu completamente massacrato.
L’Italia di Crispi
Nel 1887 Depretis morì e gli successe Francesco Crispi alla guida del governo. Crispi era un ex garibaldino
che col tempo era diventato fervente monarchico e ammiratore dello statalismo Bismarkiano. Riteneva,
quindi, lo stato come unica fonte del diritto ed era favorevole all'intervento statale in campo economico e
sociale. Crispi aveva una posizione fortemente critica nei confronti del trasformismo di Depretis, ma questo
lo portava ad emarginare il parlamento cercando di tagliarlo fuori dal potere decisionale. Egli si vantava di
non guidare un governo di partito o di favori, ma un governo che aveva l'unico obiettivo di rafforzare il
prestigio statale.
Crispi ammirava la capacità del cancelliere Bismark di combattere contro il socialismo e il cattolicesimo,
considerati forze antinazionali, e di promuovere l'intervento statale nel lavoro, la sanità, la scuola e il tempo
libero.
Le riforme di Crispi.
- allargamento del suffragio nelle elezioni amministrative
- elettività del sindaco
abolizione della pena di morte e ammodernamento del codice penale
- controllo dello stato sugli enti ecclesiastici di beneficenza
- costituzione di un sistema sanitario nazionale.
Rafforzamento del protezionismo e politica colonialista.
Nel 1887 varò nuove misure protezionistiche in campo industriale e agricolo aggravando ulteriormente lo
stato delle relazioni con la Francia. Riprese con vigore la penetrazione italiana in Etiopia e nel Corno
d'Africa. Crispi firmò nel 1887 il trattato di Uccialli con il negus Menelik. In base al trattato l'Italia avrebbe
avuto il protettorato su alcuni sultanati della costa somala e il possesso di alcune zone dell'Eritrea. Nel
1895, però, gli Italiani ripresero l'espansione verso l'interno provocando la fiera reazione di Menelik che si
concluse con una nuova disfatta dell'esercito italiano. Nel 1896 presso Adua migliaia di soldati italiani
furono massacrati dagli Etiopi. L'avventura coloniale italiana si arrestò bruscamente in un disastro e Crispi
fu costretto ad abbandonare la vita politica.
Italia di fine ‘800
L'Italia nei primi trent'anni di unità era formata da un due per cento di abitanti che guidava il paese, aveva
diritti politici, un ottimo tenore di vita e una buona istruzione. L'altro 98 per cento era ignorato, lavorava
più di 12 ore al giorno per un salario misero, non votava.
La maggioranza degli Italiani era formata da proletari, ma i socialisti non avevano un grande peso tra di essi.
Molto forte, invece, tra contadini e operai politicizzati, era il movimento anarchico. Per gli anarchici il
problema non era di sostituire un governo di padroni con un governo di lavoratori: per gli anarchici un
mondo ideale era senza governo e senza stato, considerati entrambi strumento di oppressione e di
ingiustizia. Il potere, quindi, andava combattuto con un'azione diretta e violenta. Solo negli anni ottanta si
cominciò a pensare a un partito che rappresentasse gli interessi dei lavoratori in parlamento. Solo nel 1892,
finalmente, molte delle tante esperienze associative operaie diffuse in tutta la penisola si ritrovarono fuse e
si riconobbero nel partito socialista italiano. Fondatori Filippo urati e Leonida Bissolati. Il partito socialista
basava i propri scopi sulle direttive del marxismo. Fu un formidabile strumento di partecipazione
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democratica perché anche chi non aveva ancora diritto di voto poteva comunque militare in un partito che
difendeva in Parlamento le istanze dei lavoratori.
I cattolici.
Pio IX aveva vietato ai cattolici la partecipazione alla vita politica. Il suo successore Leone XIII, attraverso
l'enciclica Rerum Novarum riconobbe ai lavoratori il diritto di organizzarsi per difendere i propri diritti ed
esortò i cattolici a battersi per migliorare le condizioni di vita dei più umili. Non si trattava ancora
dell'autorizzazione alla fondazione di un partito cattolico, ma sicuramente un invito all'impegno nella vita
sociale. Ben presto nacquero migliaia di associazioni cattoliche, società di mutuo soccorso, istituzioni
caritative, casse rurali a sostegno di mezzadri e contadini. Inoltre i cattolici per la prima volta si
impegnarono a votare quei candidati liberali impegnati a sostenere gli ideali cattolici.
Crisi economica.
I governi di sinistra provocarono una grave crisi economica e profondi squilibri. Il protezionismo giovò allo
sviluppo dell'industria del nord, messa la riparo dalla concorrenza inglese e francese e rinforzata dalle
commesse militari. L'agricoltura del sud, invece, fu stroncata dal controprotezionismo straniero perché essa
non aveva sufficiente domanda interna. Quindi si può dire che lo sviluppo dell'industria del nord fu pagata
con la crisi dell'agricoltura meridionale.
Emigrazione.
Centinaia di migliaia di contadini soprattutto meridionali, ma anche delle zone più povere del nord,
lasciarono l'Italia diretti negli Stati Uniti d'America, in Argentina e in Brasile. Si trattò di un fenomeno
colossale e tremendo perché costrinse una massa enorme di persone a cambiare drammaticamente le
proprie abitudini ed a confrontarsi con mondi diversi per cultura, per lingua, leggi e tutto il resto. Di fronte
a tutto questo il parlamento italiano rimaneva chiuso, inerte e incapace perché rappresentava ancora una
piccolissima elite di privilegiati.
Deriva autoritaria.
Governi siffatti reagirono con estrema durezza alle richieste dei lavoratori effettuate attraverso scioperi e
manifestazioni di piazza. A Milano, nel 1989, una manifestazione di piazza contro il prezzo del pane fu
dispersa a cannonate dal generale Bava Beccaris. Dopo tale tragico evento fu limitata la libertà di stampa,
furono vietate manifestazioni popolari e furono arrestati dirigenti socialisti. Però alle elezioni del giugno
1900, benché non esistesse ancora il suffragio universale, questa linea fu sconfitta e furono premiati i
partiti d'opposizione: socialisti, repubblicani, liberali ostili al governo. Nel mese di luglio a Monza veniva
ucciso il re Umberto I dall'anarchico Gaetano Bresci che intendeva vendicare le vittime del 1898 a Milano.
POLITICI DI RILIEVO...
AGOSTINO DEPRETIS (Mezzana Corti, 31 gennaio 1813 – Stradella, 29 luglio 1887) è stato un politico
italiano.
Fu presidente del Consiglio dei ministri italiano per nove mandati nei periodi:
- 25 marzo 1876 - 24 marzo 1878
- 19 dicembre 1878 - 14 luglio 1879
- 29 maggio 1881 - 29 luglio 1887
Nel 1873 Depretis, ormai capo della Sinistra storica, preparò l'avvento al potere del suo partito, che
avvenne nel 1876 quando fu chiamato a formare il primo governo di sinistra del nuovo Regno d'Italia.
Durante questo governo fu varata la Legge Coppino (1877), che rendeva gratuita e obbligatoria la scuola
elementare. Spodestato da Cairoli nel marzo 1878, il successivo mese di dicembre sconfisse Cairoli
tornando ad essere Primo Ministro, ma il 14 luglio 1879 fu ancora una volta estromesso dallo stesso Cairoli.
Nel novembre del 1879, tuttavia, entrò a far parte del governo Cairoli come Ministro dell'Interno e nel
maggio del 1881 gli subentrò come primo ministro, mantenendo la carica fino alla morte, avvenuta il 29
luglio 1887.
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Durante questo lungo intervallo di tempo compì ben cinque rimpasti di governo, estromettendo dapprima
gli esponenti di sinistra Zanardelli e Baccarini, allo scopo di compiacere alle richieste della Destra, e
successivamente nominando Ricotti, Robilant e altri esponenti conservatori, attuando così quel
rivolgimento politico che fu poi chiamato il trasformismo. Il trasformismo gli servì anche a far approvare le
sue riforme. Secondo Sergio Romano, Depretis considerava le crisi come "temporali, fenomeni naturali
contro i quali l’unico rimedio possibile è quello di aprire l’ombrello e aspettare che passino".
Pochi mesi prima della morte si pentì di aver compiuto queste scelte, e reintegrò Crispi (che poi gli subentrò
alla morte) e Zanardelli nel proprio governo. Altre sue iniziative degne di nota furono l'abolizione della tassa
sul macinato, l'ampliamento del suffragio elettorale, il completamento della rete ferroviaria, l'entrata nella
Triplice Alleanza e l'occupazione di Massaua in Eritrea, con cui si inaugurò la politica coloniale dell'Italia.
Per contro gli si addebita un grande incremento dell'imposizione fiscale indiretta, lo snaturamento della
struttura originaria dei partiti politici emersi alla fine del periodo risorgimentale, e di aver messo in grave
crisi le finanze dello stato a causa di assai discutibili scelte in materia di lavori pubblici.
BENEDETTO ANGELO FRANCESCO CAIROLI (Pavia, 28 gennaio 1825 – Napoli, 8 agosto 1889) è
stato un politico italiano. Fu garibaldino, rifugiato politico e cospiratore anti-austriaco, deputato al
Parlamento, Presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi 24 marzo 1878 - 19 dicembre 1878 e
14 luglio 1879 - 29 maggio 1881.
GOVERNO CAIROLI I
Quando nel 1876 la Sinistra andò al potere, Cairoli, deputato sin dalla prima legislatura, quindi da 16 anni,
divenne capogruppo parlamentare della maggioranza e, dopo la caduta dei governi Depretis e Crispi, il 24
marzo 1878 formò il suo primo Gabinetto.
Sin dagli anni precedenti, la sua politica estera fu filo-francese ed irredentista, in linea con i sentimenti
tradizionali della Sinistra italiana ed ebbe suggello simbolico con le sue nozze (nel 1873) con la contessa
Elena Sizzo Noris (1845-1920), patriota trentina, fervente irredentista.
Tale atteggiamento, tuttavia, non teneva conto del grave indebolimento della Francia, dopo la sconfitta
subita alla guerra franco-prussiana, né delle latenti tensioni fra Roma e Parigi in merito alla colonizzazione
della Tunisia. Mentre l'appoggio alle manifestazioni irredentiste offerto da Cairoli, contribuivano a
mantenere tesi i rapporti con Vienna e l'alleato Bismark. Perciò la politica estera di Cairoli aveva
praticamente posto la posizione internazionale dell'Italia in un vicolo cieco.
Gli effetti di tale isolamento furono palesi a tutti in occasione del Congresso di Berlino (12 giugno-13 luglio
1878): l'Austria-Ungheria si assicurò l'occupazione della Bosnia e dell'Erzegovina, la Gran Bretagna l'isola di
Cipro, la Francia garanzie sulla Tunisia, mentre l'Italia (rappresentata dal ministro degli esteri Corti) non
ottenne assolutamente nulla, in particolare in merito al Trentino.
Cairoli sostenne di aver condotto la politica delle "mani nette", rifuggendo da tentazioni nazionaliste: l'idea
essendo che Roma aveva tanto pochi diritti su una nazione africana, quanto Vienna sulle residue province
italiane. Ma l'assenza di progressi in merito a Trento appariva in troppo palese contraddizione con l'enfasi
irredentista cui sembrava conformarsi la politica del governo. Cairoli, inoltre, poteva vantare di aver
ottenuto la partecipazione dell'Italia ad un grande Congresso europeo, in qualità di grande potenza. Ed era
la prima volta. Ma non fu facile per l'opinione pubblica comprenderne i vantaggi, in assenza di guadagni di
alcun tipo.
Il governo Cairoli ne uscì fortemente indebolito, cosicché cadde alla prima occasione: il tentativo da parte
dell'anarchico Passannante di assassinare il Re Umberto I (17 novembre 1878). Cairoli stesso, presente al
fatto, afferrò l'attentatore e ricevette una coltellata alla coscia. L'11 dicembre 1878 un ordine del giorno
favorevole al governo venne respinto a grande maggioranza e Cairoli si dimise il giorno 19.
GOVERNO CAIROLI II e III
Dopo un breve governo Depretis, il 14 luglio 1879 Cairoli tornò al potere e, il 25 novembre successivo
formò con Depretis un governo di coalizione, nel quale egli assunse gli incarichi di primo ministro e ministro
degli esteri. Ma non aveva saputo risolvere il grave isolamento in cui languiva la politica estera italiana.
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La questione all'ordine del giorno era la colonizzazione della Tunisia, cui ambivano la ricca Francia e la
debole Italia. Cairoli, come prima di lui il Depretis non ritennero mai di procedere ad un'occupazione,
essendo in generale ostili ad una politica militarista. Essi, tuttavia, confidarono troppo nella possibile
opposizione della Gran Bretagna all'allargamento della sfera di influenza francese in Africa del nord
(mentre, semmai, Londra era ostile al fatto che una sola potenza controllasse per intero il Canale di Sicilia).
Cosicché il governo si lasciò sorprendere, l'11 maggio 1881, quando i francesi procedettero all'occupazione
della colonia. Essa diede ulteriore conferma della debolezza della posizione internazionale dell'Italia, e
rinfocolò le polemiche successive al Congresso di Berlino. Gli eventi, in effetti, dimostravano la velleitarietà
della politica del Cairoli e del Depretis, l'impossibilità di una alleanza con la Francia e la necessità di un
riavvicinamento con Berlino e, quindi, con Vienna, seppure obtorto collo.
Una simile inversione della politica dell'ultimo decennio, tuttavia, non poteva essere condotta dai medesimi
uomini politici e Cairoli riconobbe la necessità di presentare le dimissioni, il 29 maggio 1881, evitando così
che la Camera lo censurasse apertamente. Da allora di fatto scomparve dalla scena politica.
La strada era aperta per le ambizioni di Francesco Crispi, uomo della Sinistra ma assai più disponibile ad
abbandonare la politica del disimpegno internazionale ed a legarsi al grande avversario della Francia, il
cancelliere Otto von Bismarck: nel maggio del 1882 Roma divenne membro della Triplice Alleanza.
FRANCESCO CRISPI (Ribera, 4 ottobre 1818 – Napoli, 12 agosto 1901) è stato un patriota e politico
italiano. Fu presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi 29 luglio 1887 - 6 febbraio 1891 e 15
dicembre 1893 - 10 marzo 1896.
Dopo l'avvento al potere della Sinistra nel novembre 1876 fu eletto Presidente della Camera. Nell'autunno
del 1877 si recò a Londra, Parigi e Berlino per una missione di carattere riservato, avendo così occasione di
stabilire cordiali relazioni personali con Otto von Bismarck.
Nel frattempo il rapporto con la moglie si fa burrascoso. Lui è sempre più distante e sostiene che le loro
nozze non hanno mai avuto validità. Il 26 gennaio 1878 prende in moglie Lina Barbagallo, giovane e
avvenente leccese, di nobile ceppo borbonico, dalla quale aveva avuto una figlia cinque anni prima. Il
matrimonio è celebrato in casa perché nessuno sapesse niente. Nonostante gli sforzi, però, la notizia
trapela e la stampa lo accusa di bigamia ponendogli alcune domande sulla sua moralità e sull'uso pubblico
del suo potere. Ben sei domande dalle colonne de "Il Piccolo", il quotidiano più accanito. I giornali
rivendicano il diritto di intervenire sulla questione sottolineandone la valenza pubblica. Crispi replica che
sono fatti privati e a quelle sei domande non risponde. Lo scandalo coinvolge anche la regina Margherita di
Savoia, la quale si rifiuta pubblicamente di stringere la mano al ministro Crispi, dopo aver presa visione
della copia fotografica dell'atto di matrimonio celebrato a Malta. Perde la fiducia del re ed è costretto a
dimettersi da ministro. La magistratura apre un'inchiesta per bigamia che si conclude con un giudizio a suo
favore, avendo i giudici accertata l'irregolarità formale del matrimonio maltese, dovuta al fatto che il prete
celebrante era in quel momento sospeso a divinis per la sua attività patriottica. Un "processo breve", anzi
brevissimo. Crispi è infatti ancora forte, nonostante le dimissioni, e la magistratura, piegata alle esigenze
politiche, è sensibile al potere dominante.
Vignetta caricaturale su Crispi, raffigurato come il pallone aerostatico "Ciccio", pubblicata sul n. 36 (1895)
del giornale umoristico di Bologna La Rana. Il titolo recita: «Globo furbovolponico-politico-aerostatico a
prova di bomba e pistola».
Per nove anni la carriera politica di Crispi ebbe un periodo di stasi, ma nel 1887 ritornò in carica come
Ministro degli Interni nel governo di Agostino Depretis.
Successe a Depretis come primo ministro lo stesso anno, a causa della morte del vecchio "camaleonte"
della politica, già da tempo facile obiettivo delle critiche dell'opposizione per la disfatta coloniale a Dogali e
logorato anche nella salute.
Nel 1888 Crispi istituì, sul modello tedesco, la Segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri,
ponendovi a capo il magistrato sorrentino Francesco Saverio Gargiulo. Nel 1889 approvò il nuovo codice
penale di Giuseppe Zanardelli, che introduceva importanti novità in senso progressista, come la libertà di
associazione e di sciopero per la prima volta in Europa e l'abolizione della pena di morte. In campo
economico, adottò una politica protezionistica, imponendo dazi doganali sui prodotti commerciali. Sviluppò
anche l'apparato industriale soprattutto nella metallurgia e siderurgia. Nel 1891 Crispi dovette lasciare il
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governo a di Rudinì. Alla caduta del successivo governo Giolitti, causata dallo scandalo della Banca Romana,
Crispi ridivenne primo ministro. In questa occasione il suo governo assunse un carattere sempre più
conservatore e autoritario (e per questo fu celebrato dal regime fascista come il proprio precursore),
reprimendo con severità i disordini operai, intervenendo contro il movimento dei Fasci siciliani e
sciogliendo nel 1894 il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Diede inoltre impulso all'apparato
industriale, sostenendo la metallurgia e la siderurgia.
Ebbe in questo periodo come suo segretario personale, lo scrittore scapigliato e diplomatico milanese Carlo
Dossi. Una delle sue prime iniziative da capo del governo fu quella di recarsi in visita presso Bismarck, che
desiderava consultare riguardo al funzionamento della Triplice Alleanza. Basando la propria politica estera
su tale alleanza, integrata dal trattato navale con la Gran Bretagna (il cosiddetto naval entente). In politica
interna Crispi completò l'adozione dei codici sanitario e commerciale e riformò l'amministrazione della
giustizia. Antonio Gramsci nei suoi "quaderni dal carcere" parlando del risorgimento ne offre un ritratto
politico; egli descrive il politico Crispi come un uomo energico, risoluto e fanatico, ossessionato dall'unità
politico-territoriale del paese; in nome della quale è disposto, sebbene sconsigliato da Cavour, a trattare il
mezzoggiorno con gli stati di assedio introducendo in Sicilia i tribunali marziali contro chi ne voleva il
distacco dal resto d'Italia. Gramsci aggiunge che Crispi non esita a gettare il Mezzoggiorno e le isole in una
crisi commerciale paurosa, pur di rafforzare l'industria che poteva dare al paese una indipendenza reale e
avrebbe allargato i quadri del gruppo sociale dominante.
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