Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie

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Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie
Con questo libro la Lega delle autonomie, celebra in modo non retorico i suoi
primi novant’anni: una storia a volte drammatica, a volte esaltante che mostra
agli amministratori le radici del loro impegno civile e democratico nel governo
delle comunità locali.
Oscar Gaspari lavora presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale.Tra le pubblicazioni più
importanti: L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906), Donzelli, Roma 1998;
Patrizia Dogliani e Oscar Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunale
europeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Donzelli, Roma 2003
Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie
La particolare capacità di una lettura politica degli eventi, non limitata all’ambito tecnico ed istituzionale, unita alla possibilità di esprimere le esigenze di tutte
le istituzioni locali, hanno caratterizzato il suo ruolo di promozione e sostegno
di tutto il movimento per le autonomie locali
Oscar Gaspari
La storia della Lega delle Autonomie è la storia di una concezione moderna
del ruolo del comune, quella di un ente locale vicino ai cittadini, che favorisce
la crescita economica, coniugando sviluppo e sostenibilità.
Oscar Gaspari
Dalla Lega dei comuni socialisti
a Legautonomie
Novant’anni di riformismo per la democrazia
e lo sviluppo delle comunità locali
Prefazione Postfazione
Linda Lanzillotta Oriano Giovanelli
Oscar Gaspari
Dalla Lega dei comuni socialisti
a Legautonomie
Novant’anni di riformismo per la democrazia
e lo sviluppo delle comunità locali
Prefazione Postfazione
Linda Lanzillotta Oriano Giovanelli
Avvertenza
Quando Legautonomie mi ha chiesto di scrivere la storia dell’organizzazione ho capito di dover combattere una sfida. Una sfida rispetto ai tempi e rispetto alle fonti. Per uno storico il tempo è sempre breve, e le fonti, spesso, non
sono mai sufficienti: in questo caso la situazione era drammatica rispetto ad entrambi i termini. Di archivi, infatti, la Lega non ne ha, ci sono solo le riviste.
Tipico di un’organizzazione che ha risolto problemi quotidiani per decenni, risolto uno si doveva passare in fretta ad un altro; non c’era tempo per gli archivi. La sfida, come ho già scritto, era quella far passare i fatti dalle pagine dei
quotidiani, in questo caso delle riviste, a quelle della storia. Altri, se lo vorranno, faranno sicuramente meglio di me, spero aiutati anche da questo libro, che
è, in primo luogo, un volume per ricordare al movimento per le autonomie locali di oggi di oggi un passato il cui ricordo rischia di essere sopraffatto dagli affanni della ricerca di soluzioni ai problemi quotidiani.
Ringraziamenti
Il primo ringraziamento va a Loreto Del Cimmuto, direttore di Legautonomie, e a Moreno Gentili, vicedirettore, che non solo hanno voluto questa ricerca, ma mi hanno spinto ed aiutato a farla nel miglior modo possibile. Il secondo va a Bruno Puglielli, l’editore, che mi ha sostenuto, aiutato ed è stato
buon consulente. Non posso dimenticare poi Corrado Corghi, che mi ha affidato i documenti raccolti nel corso della sua ricerca, con fiducia che spero di
non aver deluso.
O. G.
SOMMARIO
Prefazione di Linda Lanzillotta
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Premessa
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PARTE I - Dalle origini nel Periodo Liberale alla fine durante l’ascesa
del Fascismo
1. Gli albori del movimento per le autonomie locali alla fine dell’‘800:
dall’associazionismo dei lavoratori a quello delle autonomie locali
2. Il movimento socialista e l’affermazione della maggioranza liberale
e cattolica nell’Anci
3. La nascita della lega dei Comuni socialisti nel 1916
4. L’attività della lega nel periodo liberale
5. L’avvento del fascismo, le fratture nel Psi e la fine della lega
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PARTE II - Durante la Repubblica, negli anni dello scontro
1. La rinascita della lega: le ragioni della fondazione della lega dei comuni democratici
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2. La lega dei comuni democratici negli anni della contrapposizione e
dello scontro
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PARTE III - Dagli anni del Centro-Sinistra ad oggi
1. Gli anni del centro-sinistra
2. Gli anni ‘80
3. Gli anni ’90: le riforme
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Postfazione di Oriano Giovanelli
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Indice dei nomi
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Indice analitico
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PREFAZIONE
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PREFAZIONE
Quasi un secolo di storia
La storia delle autonomie locali in Italia è una storia di partecipazione e di
amministrazione, di riforme e di democrazia. Una storia che affonda le sue radici
nell’inizio del secolo scorso e lo attraversa tutto, per consegnare al nuovo millennio i suoi frutti più freschi: gli esiti della riforma del sistema della elezione diretta del sindaco, sicuramente la più riuscita tra le riforme istituzionali di cui tanto
si è discusso nell’ultimo quindicennio. Una riforma che ha portato con sè forti innovazioni nei contenuti e negli strumenti dell’amministrazione pubblica e la formazione di una nuova classe dirigente riformista e pragmatica. Se questi fenomeni e queste tendenze hanno caratterizzato l’ultima stagione politica e ci consentono di guardare con fiducia all’immediato futuro, è proprio in virtù della forza che
negli anni il sistema delle autonomie locali ha consolidato: una forza derivante dalla stessa loro posizione, una posizione di frontiera rispetto alle esigenze, ai bisogni,
alle richieste e alle proteste dei cittadini che le obbliga a comprendere, interpretare, rispondere ai bisogni immediati e, allo stesso tempo, raccordare queste risposte
ad una prospettiva più ampia e più lunga. Ma anche un’esperienza, quella delle autonomie locali, che ha radici profonde nella nostra storia municipale e che da tale
storia ricava una tradizione ricca, maturata attraverso un’arco storico sicuramente
assai più lungo e complesso di quello vissuto dal sistema regionale disegnato dalla Costituzione del ’48 e concretamente avviato solo da pochi decenni.
È su questa ossatura che possiamo oggi contare per dare attuazione al titolo
V della Costituzione e costruire un sistema trasparente, efficiente e moderno,
capace di adeguarsi alle esigenze nuove che le comunità locali esprimono nell’era della globalizzazione. Una dimensione globale che per essere affrontata
senza rimanerne sopraffatti richiede economie locali forti e coese, capaci di far
valere le proprie specificità, la propria integrazione, la propria identità culturale. Oggi più che mai, quanto più si espande lo spazio entro il quale i singoli cittadini e le imprese sono chiamati a operare e confrontarsi, tanto più i sistemi
locali hanno bisogno di forza e di capacità competitiva. È questa la sfida del disegno federalista ed autonomista : quella di riuscire ad essere un moltiplicatore
della crescita economica e culturale , fattori di consolidamento della coesione
sociale, e di saper dare risposte alle nuove domande che le comunità locali
esprimono senza produrre degenerazioni burocratiche.
Il laboratorio degli anni ‘90
La legge 81, nel 1993, introducendo la elezione diretta del sindaco ha rappresentato senza dubbio una svolta radicale. Una rivoluzione paragonabile a
quella che diede il via al movimento della autonomie locali, quando le riforme
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PREFAZIONE
crispine cominciarono a sganciare comuni e province dal corpo amministrativo del governo centrale. Da allora, si è man mano sedimentata una tradizione;
ma soprattutto si è costruita una cultura dell’amministrare: la posizione dei sindaci, in prima linea rispetto alle istanze e al controllo della popolazione, e la
mole crescente dei problemi che i governi locali si sono trovati a dover risolvere, hanno fatto crescere questa cultura. Nel bene e nel
male, con luci ed ombre ma sempre con una più marcata vicinanza – o almeno una minore lontananza - tra la politica e le persone, tra il dire e il fare.
Se dal punto di vista costituzionale questo fa delle autonomie locali lo scheletro del nostro sistema, dal punto di vista politico ne fa i laboratori più pronti
ad accogliere ed elaborare le novità. Come è successo appunto nel ’93, con l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia . La
novità sostanziale era nel fatto che per la prima volta si instaurava un rapporto
di responsabilità diretta tra eletti ed elettori: al sindaco, al presidente della provincia si poteva finalmente chiedere conto, fisicamente, dell’attuazione del programma e, in generale, di tutto ciò che non funzionava nella città. Da allora,
sono cambiate non solo la percezione del ruolo del primo cittadino, la sua popolarità, la sua visibilità: ma anche i suoi poteri, la possibilità di dare un’impronta politica al proprio mandato e innovare concretamente gli strumenti e gli
obiettivi nel governo delle città. E questo elemento, quello della responsabilità
politica, della accountability degli eletti, è stato ciò che l’opinione pubblica ha
richiesto da allora alle leggi elettorali.
È da qui, peraltro, dalla responsabilità diretta del sindaco nei confronti dei
cittadini e, dunque, dalla necessità di dare risposte adeguate e tempestive che
nasce la spinta all’innovazione amministrativa.
Così, è a livello delle autonomie locali che si sperimentano, nel corso degli
anni Novanta, soluzioni innovative che saranno poi estesee all’amministrazione centrale segnando una stagione di profondi cambiamenti nell’amministrazione italiana. Ed è sempre nel sistema delle autonomie che si definiscono nuovi strumenti di finanza locale e di gestione amministrativa per ottimizzare la gestione amministrativa e contabile per conciliare le esigenze del risanamento finanziario imposto dall’esigenza dell’Italia di allinearsi agli standard europei e
quelle, altrettanto urgenti, di modernizzare le nostre città, di fronteggiare le sfide ambientali, di gestire i contraccolpi della globalizzazione.
Grandi cambiamenti sociali ed economici cui una nuova generazione di amministratori ha saputo rispondere con nuovi paradigmi : una gestione della
proprietà pubblica che, abbandonata la logica della rendita fondiaria, diveniva
la leva di grandi operazioni di riqualificazione urbana e di riconversione produttiva ed economica dei territori; una trasformazione degli assetti delle aziende municipalizzate traghettate dalla logica del monopolio e dell’organizzazione
burocratica a quella dell’organizzazione d’impresa e del mercato; l’introduzione di criteri privatistici nel reclutamento e nella valutazione dei dirigenti e l’adozione di modelli organizzativi volti a premiare professionalità e qualità, a valorizzare i talenti interni e immettere risorse esterne. Sfide necessarie, affrontate con esiti alterni come è logico che avvenga in una fase di così profondi cambiamenti. Sfide ancora da giocare : ma che certo hanno formato sul campo
PREFAZIONE
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una nuova generazione di politici-amministratori, resi più forti dall’investitura
popolare, ma proprio per questo anche più esposti al controllo e al giudizio democratico.
La sfida dell’oggi
Per tutti questi motivi le autonomie locali sono state un laboratorio, anzi
tanti laboratori, dell’innovazione politica e amministrativa. A questo punto si
rende necessaria una riflessione sull’insieme del sistema e sui connotati nel nostro federalismo, dunque sul modo per dare attuazione al titolo V della Costituzione. Il ruolo delle autonomie locali è infatti cresciuto anche tra i conflitti:
quello politico con il governo centrale ha caratterizzato l’ultima fase, nella quale senza dare alcun impulso né strumenti concreti al federalismo fiscale il governo di centro-destra si è limitato a scaricare in periferia – sulle regioni e sui
comuni – i problemi economici che non riusciva a risolvere al centro. Quella
fase si è finalmente chiusa, e il sistema delle autonomie locali può tornare a
contare su un approccio cooperativo con il governo per la ricerca della soluzione dei problemi comuni. Ma c’è anche un’altra riflessione da approfondire:
quella che riguarda i rapporti tra i diversi livelli del governo regionale e locale,
e i cerchi concentrici da tracciare da comuni a province a regioni in un disegno
costituzionale saggio, equilibrato ed efficiente che valorizzi il ruolo di elaborazione politica delle regioni senza comprimere l’autonomia del sistema locale.
Per questo le regioni dovranno poter sviluppare politiche di innovazione e per
la competitività evitando però di incorrere nella tentazione di rosicchiare spazio, ruolo e competenze a scapito dei comuni e delle province ovvero la moltiplicazione e sovrapposizione di compiti analoghi. È un rischio che potrebbe essere indotto dalla affinità dei sistemi elettorali che potrebbe indurre una qualche confusione tra livelli politici, organizzativi e amministrativi; ma è un rischio da evitare poichè si tradurrebbe in un fattore di inefficienza del sistema,
di tensioni e conflitti tra livelli di governo, in un danno per gli interessi dei cittadini e delle imprese.
La sfida attuale allora è quella di costruire un moderno ed equilibrato sistema di governo multilevel. Evitare il paradosso di un nuovo centralismo – stavolta di stampo regionalistico – e dare a ciascun livello di governo chiarezza sul
proprio ruolo. Alle regioni è stata attribuita una missione importante in termini di legislazione, programmazione, indirizzo: aggiungere a questa compiti di
gestione ed erogazione diretta dei servizi sarebbe sbagliato e depriverebbe il patrimonio di competenze delle autonomie locali. Non sarebbe certo questo il
modo migliore per realizzare il federalismo e la sua aspirazione originaria: che
è quella di valorizzare le peculiarità, i talenti e le istanze democratiche presenti
nei territori avvicinando quanto più possibile l’amministrazione ai cittadini per
rendere le risposte adeguate, proporzionate e coerenti con i bisogni che il cittadino esprime. Allo stesso tempo va detto che la missione delle regioni, così definita, per esplicarsi pienamente e compiutamente ha bisogno di svolgersi entro una rete che la connetta e la coordini con tutte le regioni e con il governo
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PREFAZIONE
centrale; e che a nessun livello questo disegno federalista può davvero essere attuato se non è accompagnato dal federalismo fiscale. Il compimento di questo
disegno, la chiarezza dei compiti e dei livelli di governo, la attuazione del disegno costituzionale sono peraltro la premessa necessaria perché dai territori e
delle loro risorse riparta un circolo virtuoso, si innesti una crescita democratica ed economica.
Il riformismo delle città
L’innovazione portata dai laboratori delle città nel nostro sistema politico è
stata il frutto di tanti fattori, dalla tradizione secolare delle autonomie locali, al
nuovo sistema elettorale, alle singole soggettività messe in campo dalle persone
che sono state protagoniste di questa stagione. Il riformismo spesso cercato a
fatica nelle teorie si è visto in pratica, anche nelle sue contraddizioni, nei conflitti con resistenze corporative, nelle battute d’arresto. Si è dovuto fare le ossa sul campo, pragmaticamente. E su questo campo si è formata una classe politica e dirigente nuova, negli stessi anni nei quali la crisi dei partiti pesanti – la
loro sparizione, o la loro radicale trasformazione – liberava energie ma lasciava
anche un vuoto. Nella crisi dei partiti e negli anni nei quali si è rischiato che
questa si trasformasse in anti-politica, le autonomie locali hanno anche costituito un vivaio di nuova classe dirigente per il centrosinistra. Non è un caso
dunque che da queste posizioni “di frontiera” siano maturate anche le scelte più
convinte e coerenti a favore di una radicale innovazione politica, una spinta
verso la costruzione di soggetti politici che sappiano guardare in modo nuovo
ai temi che il nuovo secolo e il nuovo millennio ci pongono e che proprio nelle città emergono in tutta la loro forza: i temi dei mutamenti climatici, delle
trasfromazioni demografiche legate all’invecchiamento e ai grandi flussi migratori messi in moto dalla globalizzazione, il multiculturalismo. I temi, insomma,
di fronte ai quali appaiono non più sufficienti gli strumenti e i paradigmi di lettura e di interpretazione offerti dalle pur nobili tradizioni politiche del Novecento.
Linda Lanzillotta
Ministro per gli Affari regionali
e le autonomie locali
PREMESSA
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PREMESSA
1. Il movimento per le autonomie locali:
un ruolo politico-istituzionale e tecnico-amministrativo
La Lega dei comuni socialisti, progenitrice dell’attuale Lega delle autonomie
locali, venne fondata nel 1916 per fornire supporto politico-istituzionale e tecnico-amministrativo alle amministrazioni locali guidate dal Partito socialista
italiano (Psi) già aderenti all’Associazione dei comuni italiani (Anci)1 ed all’Unione delle province d’Italia (Upi). Per ricostruire la storia della Lega è quindi
necessario fare riferimento alla storia di Anci ed Upi, costituite, rispettivamente, nel 1901 e nel 1908, ma non solo e non tanto perché ne precedettero la nascita. Le tre organizzazioni, infatti, devono essere considerate le principali articolazioni di un unico movimento per le autonomie locali diretto ad affermare il
ruolo fondamentale di comuni, province e degli altri enti locali nella Nazione.
Furono gli stessi interpreti di questa storia ad utilizzare per primi il termine
“movimento” riferendosi alla realtà dei comuni, i più importanti ed attivi tra le
autonomie locali. Il socialista riformista Giovanni Montemartini, dopo aver accennato al panorama comunale internazionale, scriveva nel 1902: “Anche in
Italia abbiamo una primavera nella vita municipale […] La espressione massima di questo movimento si ha nella Associazione dei Comuni italiani”2.
Luigi Sturzo, tra i protagonisti di queste vicende, scriveva nel 1949 che: “La
campagna per le autonomie locali fu fatta principalmente dall’associazione nazionale dei comuni italiani […] Faceva riscontro a questa associazione quella
delle provincie, che anch’essa sosteneva, nel suo ambito, i principii di autonomia amministrativa […] La campagna era serrata contro l’accentramento burocratico e contro l’ingerenza politica nella vita amministrativa locale. Tutti i
partiti, compresi i liberali, partecipavano alla campagna dei comuni e delle provincie”3.
Il sacerdote di Caltagirone scriveva di una “campagna [...] contro l’accentramento burocratico” e “contro l’ingerenza politica” evidenziando così i due
ambiti dell’impegno delle organizzazioni del movimento in favore delle amministrazioni locali: uno tecnico-amministrativo ed uno politico-istituzionale. In secondo luogo Sturzo evidenziava l’unitarietà come caratteristica essenziale di
Per definire l’Associazione dei comuni italiani si è preferito utilizzare la sigla Anci, che
identifica l’attuale Associazione nazionale dei comuni italiani ricostituita nel 1946, per evidenziare la continuità della storia dell’Associazione prima e dopo il fascismo, una scelta compiuta
per primo da Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque
lune, 1962, ora in Roberto Ruffilli, Maria Serena Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci, Roma, Anci, 1986, pp. 9-21.
2
G. Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi, Milano, Società editrice libraria, 1902, pp. 372-3.
3
Luigi Sturzo, La regione nella nazione (1949), Opera Omnia di Luigi Sturzo, Prima serie,
Opere, vol. XI, Zanichelli, Bologna, 1974, pp. 11-2; i corsivi sono redazionali.
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PREMESSA
quella che definiva, indifferentemente, la “campagna per le autonomie locali” o
la “campagna dei comuni e delle provincie”.
Caratteristica fondamentale del movimento era quindi l’unitarietà, che si basava su una rivendicazione di autonomia nei confronti del potere centrale così
forte, talvolta, da superare i confini dell’appartenenza degli amministratori e dei
tecnici delle amministrazioni locali ai vari partiti. Unitarietà che, però, non impediva contrasti anche forti tra le diverse organizzazioni, in particolare tra le
maggiori, Anci e Lega e tra Anci ed Upi. I contrasti non potevano essere spiegati solo con la diversità delle aree politiche di riferimento - tra l’altro marginale tra Anci ed Upi - ma anche con l’esistenza di una sorta di concorrenzialità tra
le diverse strutture in entrambi gli ambiti delle rispettive attività, sia politico-istituzionale, sia tecnico-amministrativa. Quella che può essere definita come vera
e propria rivalità tra le organizzazioni veniva alla luce, in particolare, a partire
dagli anni ’80, via via che veniva superata la fase di contrapposizione ideologica
tra l’Anci, vicina alle forze politiche al governo e la Lega, vicina a quelle dell’opposizione. Sarebbe divenuta allora evidente, rispetto a tutte le altre organizzazioni, “la tentazione ricorrente di fare da sé dell’Anci, spinta dalla maggior forza degli enti e dal maggior numero degli amministratori rappresentati”4.
2. Dalla natura politica e dalla trasversalità le capacità di stimolo
della Lega
La Lega si caratterizzava rispetto alle altre organizzazioni per alcune caratteristiche essenziali di tipo sia politico, sia tecnico. Dal punto di vista politico si caratterizzava per essere rivolta alle amministrazioni guidate dalla sinistra e per difendere
quelle stesse amministrazioni dai soprusi del Ministero dell’interno che le colpivano in misura assolutamente superiore a quella cui pure erano soggette tutte le autonomie locali. Dal punto di vista tecnico la Lega si distingueva per il fatto di associare vari tipi di autonomie locali: comuni, province e, in seguito, comunità montane ed anche regioni. La caratterizzazione politica e, quindi, la particolare capacità di una lettura articolata e complessa degli eventi non limitata all’ambito giuridico-istituzionale unita alla possibilità di esprimere posizioni che fossero espressione
dei diversi tipi di autonomia locale e, dal secondo dopoguerra anche delle regioni,
favorirono quel ruolo di stimolo nei confronti di tutto il movimento e di tutte le
organizzazioni che ha caratterizzato le vicende della Lega fino ad oggi.
Questa storia della Lega, quindi, non verrà letta esclusivamente alla luce della storia dei movimenti e dei partiti politici, diversamente da quanto è accaduto nella ricerca di Corrado Corghi, del 19795, e nelle opere, di impostazione siOscar Gaspari, L’Italia delle Province. Breve storia dell’Unione delle Province d’Italia dal
1908 ai nostri giorni, Roma, Upi Editoria e servizi, 2004, pp. 203-4.
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Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo. Contributo per una
ricerca storica sull’associazionismo dei poteri locali in Italia, Roma, Edizioni delle Autonomie,
1979, bozza di stampa non corretta; la ricerca è stata poi pubblicata nel 1984, a puntate, nella rivista “Calendario del popolo” (CdP), citato di seguito.
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PREMESSA
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mile, dedicate all’Anci ed ai politici cattolici nelle istituzioni locali, prima fra
tutte quella di Gabriele De Rosa, del 1962, per finire con quella di Chiaramonte, del 20046. Verranno così messe in evidenza le vicende politico-istituzionali e quelle tecnico-amministrative relative al movimento per le autonomie
locali che invece, nelle citate ricerche, sono state sostanzialmente trascurate. Solo assumendo questo particolare punto di vista, infatti, è possibile comprendere pienamente le peculiarità della storia di un’organizzazione come la Lega che,
altrimenti, verrebbe considerata come una mera appendice del Psi nel periodo
liberale e fascista, e del Partito socialista e di quello comunista nel periodo repubblicano, e non si comprenderebbe la continuità del suo ruolo anche all’indomani della crisi dei partiti politici di massa avvenuta alla fine del ‘900. Una
lettura della storia della Lega impostata soprattutto sul piano politico, può spiegare come mai le vicende della Lega non abbiano fino ad ora sollevato l’interesse dovuto ad un’organizzazione che ormai da novant’anni è tra i protagonisti della scena politico-istituzionale italiana.
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Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,
1962; Lorenzo Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo, Roma, Edizioni
Lega per le autonomie e i poteri locali, 1973; Mario Belardinelli, Movimento cattolico e questione comunale dopo l’unità, Roma, Edizioni Studium, 1979; Roberto Ruffilli, Alle origini dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci,
cit., pp. 23-35; Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2004.
PARTE I
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE ALLA
FINE DURANTE L’ASCESA DEL FASCISMO
1. Gli albori del movimento per le autonomie locali alla fine
dell’‘800: dall’associazionismo dei lavoratori a quello delle
autonomie locali
Negli ultimi decenni della seconda metà dell’‘800 si svilupparono e si intrecciarono richieste di riforma sociale e politico-istituzionale che accompagnarono le grandi trasformazioni economiche e sociali di quel periodo. In quegli anni maturarono sia le prime iniziative legate ai nascenti movimenti politici socialista e cattolico, sia quelle del movimento per le autonomie locali, articolato nel movimento dei comuni ed in quello delle province. Non è possibile
comprendere pienamente l’evoluzione della legislazione e dell’attività amministrativa degli enti locali senza fare riferimento a questo intreccio tra attività politico-sociale e politico-istituzionale, di cui la Lega è stata senza dubbio l’esempio più evidente. Si trattò però di intreccio e non di identificazione tra due distinte attività l’una, propria di partiti e sindacati prevalentemente nel campo
politico e sociale, e l’altra, quella della Lega, nell’ambito del movimento per le
autonomie locali, in gran parte nella realtà amministrativa e delle istituzioni.
Comuni e province nell’Italia unita, non appena ne ebbero la possibilità, si
organizzarono per sostenere i propri interessi di istituzioni, in riferimento ed in
nome dei cittadini, sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale. La questione fondamentale era – ed è - in primo luogo, quella finanziaria, sulla base
del fatto che essendo limitate le possibilità di tassare i cittadini, era evidente che
maggiori erano le risorse che andavano allo Stato, meno erano quelle che rimanevano a comuni e province e viceversa.
I due congressi dei sindaci che si svolsero a Torino nel 1879 e nel 1884, promossi dal sindaco liberale Luigi Ferraris, possono essere considerate le prime
manifestazioni di quello che si sarebbe sviluppato in seguito in un vero e proprio movimento comunale7. Ma fu la riforma del 1888 voluta da Francesco
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Di questi eventi Elisabetta Colombo sottolinea il carattere esclusivamente tecnico-finanziario, l’assoluta lontananza “dalla carica eversiva propria delle battaglie di fine secolo”, evidenziata anche dal fatto che i sindaci partecipanti fossero di nomina regia e, in conclusione, la sostanziale estraneità di questi congressi al movimento per le autonomie locali proprie del periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900. Pur senza sottovalutare questi dati, è però possibile rinvenire al-
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PARTE I
Crispi - che concesse ai comuni con più di 10.000 abitanti ed alle province l’elezione del sindaco e del presidente della deputazione provinciale da parte dei
rispettivi consigli8 - a rendere possibile la trasformazione delle sporadiche proteste di comuni e province, singole ed organizzate, in un vero e proprio movimento per le autonomie locali. Se prima di allora un sindaco nominato con decreto regio solo eccezionalmente avrebbe potuto promuovere o favorire manifestazioni di autonomia da parte del proprio comune, per la provincia era pressoché impossibile esprimere posizioni non conformi alle direttive del governo.
Secondo la legge comunale e provinciale del 1865, infatti, era il prefetto a capo dell’amministrazione provinciale.
Ancora una volta in modo simile a quanto era accaduto ai lavoratori - ma in
misura e, soprattutto, con una diversa natura, in quanto istituzioni regolati da
leggi - comuni e province poterono associarsi non solo quando ne avvertirono
la necessità, ma anche quando le leggi diedero loro, non certo libertà e diritti
civili, come ai lavoratori, ma una sufficiente autonomia
Fu proprio qualche anno dopo la riforma crispina che il radicale e massone9
Francesco Fazi, sindaco di Foligno, promosse quattro incontri che si tennero tra
il 1892 ed il 1894 a Perugia, Ancona, Forlì e Roma, a cui parteciparono fino a
duemila sindaci di tutta Italia. Le ragioni di queste proteste erano soprattutto
economiche. Ecco come Corghi sintetizza la situazione della finanza locale, la
cui pessima condizione è stata confermata anche da più recenti e specifiche ricerche10:
“Gli enti locali vennero spremuti all’osso con le leggi che vanno dal 1865 al
1870 riservando ad essi il compito di assicurare allo stato il raggiungimento del
pareggio contabile delle proprie finanze (Quintino Sella): così province e comuni pagarono spese non di loro spettanza, mentre lo stato avocò a sé beni e
imposte degli enti locali […] condannati al progressivo indebitamento”11.
cuni elementi di importante continuità con le successive vicende del movimento per le autonomie locali considerato nel suo complesso. La continuità era nel ruolo fondamentale esercitato nel movimento dalla città di Torino, nell’attenzione ai provvedimenti finanziari e nell’estremo realismo, nella stessa ossequiosità dei toni, nell’estrema riluttanza a costituire un’organizzazione permanente, caratteristiche che erano proprie in particolare dell’ala moderata del movimento per le autonomie locali, qual era, ad esempio, quello delle province; Elisabetta Colombo, Le “conferenze tributarie” dei sindaci, 1879-1884, in “Storia, Amministrazione, Costituzione. Annale dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica” (Annale Isap) 7/1999, pp.
121-156; su questi eventi cfr. Fernanda Mazzanti Pepe, Il movimento per le autonomie locali e il
decentramento amministrativo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, in Annale Isap 6/1998, pp.
127-166.
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Su questo argomento si veda, in particolare, Archivio ISAP 6. Le riforme crispine, Milano,
1990, 4 voll. L’elettività dei sindaci dei comuni minori veniva concessa nel 1896 dal governo
di Antonio Starabba, marchese di Rudinì.
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Sull’importantissimo ruolo della massoneria nelle iniziative di Fazi e, successivamente, nella fondazione dell’Anci, cfr. Oscar Gaspari, L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età
liberale (1879-1906), Roma, Donzelli, 1998, pp. 74-81.
10
Il riferimento è, in particolare, all’opera di Gianni Marongiu, Storia dei tributi degli enti
locali (1861-2000), Padova, Cedam, 2002, pp. 73-135.
11
Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1). L’inizio della
lotta per la conquista dei comuni, CdP, feb. 1984, p. 9919.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
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1.1. I lavoratori alla conquista dei comuni
Non fu un caso che ad intervenire a quelle assemblee fossero soprattutto sindaci della sinistra e, in particolare, socialisti. La mobilitazione di questa parte
politica rispetto ai comuni era di antica data, scrive ancora Corghi:
“Grande merito storico di Andrea Costa (sarà il primo deputato socialista eletto nel 1882) fu di aver affermato per primo, con fermezza e passionalità romagnola, la necessità della conquista dei comuni da parte dei lavoratori. Il primo
passo in questa linea è la fondazione, nel 1881, del Partito socialista rivoluzionario di Romagna”12.
La riforma elettorale politica promossa dal governo Depretis nel 1882, allargò il suffragio dal 2 al 7% della popolazione e permise l’elezione a deputato
di Costa, il quale ebbe il “merito indiscusso” di aver condotto “il socialismo romagnolo e non solo romagnolo a riconoscere il principio della partecipazione
alle elezioni in genere, alle amministrative in ispece”13. “Impadronirsi dei Comuni mediante viva partecipazione alle elezioni amministrative, e trasformare
a vantaggio del popolo e dell’autonomia comunale l’attuale ordinamento amministrativo, affidando alle associazioni operaie i lavori comunali e l’esercizio
delle proprietà del comune ed impegnando, all’occorrenza, la lotta contro lo
Stato”, era questo il programma del partito di Andrea Costa nel 188114. In queste righe sono delineate le caratteristiche fondamentali del programma socialista per i comuni che giustificava la partecipazione alle elezioni locali vista allora, in particolare dagli anarchici, come un vero e proprio tradimento della lotta rivoluzionaria. Il programma dei socialisti, una volta arrivati al governo dei
comuni, avrebbe dovuto permettere un’amministrazione volta al vantaggio delle classi popolari ed alla promozione dell’autonomia comunale; all’instaurazione di un rapporto privilegiato con le organizzazioni dei lavoratori; un’amministrazione, infine, che gestisse le risorse del comune a beneficio dei lavoratori e
che si impegnasse nella lotta contro lo Stato liberale.
L’interesse dei socialisti per le amministrazioni locali assunse consistenza e
dimensione nazionale nel quarto congresso del Partito dei lavoratori italiani che
si svolse a Bologna nel 1888. Nell’assemblea, Costa, deputato di Imola, e i suoi
compagni, riuscirono ad affermare la loro linea rispetto alla “forte componente astensionistica a quell’epoca di matrice prevalentemente anarchica”, una linea che venne fatta propria dal programma del Partito dei lavoratori italiani
(dal 1895 Partito socialista italiano), nato a Genova nel 1892, che prevedeva:
“una lotta più ampia intesa a conquistare i poteri pubblici per trasformarli da
strumento che è oggi di oppressione e sfruttamento, in strumento per l’espropriazione economica e politica della classe dominante” 15.
Ibidem.
Ettore Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa, in idem, Costituzione e amministrazione nell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 147.
14
Gastone Manacorda, Il movimento operaio attraverso i suoi congressi. Dalle origini alla formazione del Partito Socialista (1853-1892), Roma, Rinascita, 1953, p. 345.
15
Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1)..., cit., pp. 9919-20.
12
13
16
PARTE I
1.2. Adattare il programma socialista alla realtà dell’istituzione locale
La riforma del 1882, ricorda Ettore Rotelli, mise “in moto una dinamica politico-istituzionale difficilmente arrestabile”: sei anni dopo arrivò la riforma crispina. La campagna elettorale per le elezioni del 1889, le prime dopo la riforma, videro riaffiorare nella sinistra “tutte le suggestioni del socialismo anarchico” ma, alla fine, passò la tesi di un “programma minimo” da realizzare una volta conquistato il comune16. Sotto la formula “programma minimo” i socialisti
del primo ‘900 raggruppavano gli obiettivi principali che le loro amministrazioni avrebbero dovuto perseguire. Secondo quanto stabilito nel congresso di
Parma del 1895, ai primi posti vi erano: il passaggio al comune dei servizi pubblici, come gas, acqua potabile, tranvie, linee elettriche e, quindi, la riforma
delle imposte comunali, l’abolizione delle spese di lusso, l’aggiudicazione dei lavori pubblici alle cooperative di lavoro, la giornata di lavoro di otto ore per i lavoratori comunali17.
Tenendo conto dei limiti imposti dalla legislazione in vigore nei comuni,
nonostante venisse definito minimo, a ben vedere, si trattava di un programma
teorico ben difficilmente realizzabile18, ma il principio dell’adattamento del
progetto rivoluzionario alla concreta realtà dell’istituzione locale era passato. E
così, una volta conquistato Imola ed altri comuni romagnoli nel 1889, insieme
a tanti altri municipi come Verona, Catania, Venezia e Genova, i socialisti si
prepararono alla realizzazione di misure dirette allo sviluppo della realtà locale
per il miglioramento delle condizioni dei cittadini più poveri, dei lavoratori
proletari. Scriveva Andrea Costa: “l’amministrazione sarà migliorata, curata la
proprietà generale, maggiormente diffusa l’istruzione, diminuiti ed equamente
ripartiti gli aggravi, sollevate le condizioni di coloro che dal comune dipendono, gittati i germi di un avvenire migliore economico e sociale”19.
Spesso, però, l’adattamento del programma socialista alla situazione amministrativa non sarebbe stato considerato sufficiente dall’autorità di governo. Lo
scioglimento del consiglio comunale di Imola nel 1898, infatti, fu quasi certamente collegato “all’avvento di un’amministrazione dichiaratamente socialista
e, in ogni caso, alle scelte concrete che questa aveva compiuto”20. Iniziavano da
allora le prime esperienze di scioglimenti dei consigli comunali, misura che tanto avrebbe colpito le amministrazioni socialiste nel periodo liberale.
Sin dal loro primo affacciarsi nelle istituzioni locali i socialisti avrebbero così dovuto risolvere da una parte, la questione dell’adattamento del loro programma teorico alle concrete ed effettive possibilità dell’amministrazione locaRotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., pp. 148-153.
Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1)..., cit., p. 9924; su questo argomento e, più in generale, sulla nascita di un progetto socialista per gli enti locali cfr. Ernesto Ragionieri, La formazione del programma amministrativo socialista in Italia, in Politica e
amministrazione nella storia dell’Italia unita, Roma, Editori Riuniti, pp. 199-264.
18
Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., p. 153.
19
Andrea Costa agli amici, in “La Lega Democratica”, n. 42, 20 ottobre 1889; riportato da
Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa..., cit., pp. 154-5.
20
Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa..., cit., p. 161.
16
17
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
17
le e, dall’altra, la questione del rapporto con l’autorità di governo. La mobilitazione unitaria, lo stesso strumento proposto ai lavoratori per il miglioramento
delle loro condizioni, fu il principale mezzo per difendere i comuni individuato dai socialisti, insieme a tutta la sinistra, radicale e repubblicana. Fu in questa logica che sindaci, amministratori e consiglieri comunali della sinistra parteciparono all’iniziativa di Francesco Fazi.
1.3. I primi convegni dei sindaci eletti dai consigli
I protagonisti principali delle assemblee organizzate dal sindaco di Foligno
furono i municipi piccoli e medi che sono, ancora oggi, i più forti sostenitori
dell’associazionismo delle istituzioni locali. Le ragioni del loro attivismo risiedevano principalmente nel fatto che, a differenza delle grandi città, essi non
avevano mezzi ed influenza politica tali da sperare di vedere soddisfatte le proprie esigenze. Era evidente che solo attraverso un’azione collettiva i comuni piccoli e medi avevano qualche possibilità di ottenere dei risultati positivi. Vi è poi
un’altro dato della mobilitazione di Fazi che deve essere sottolineato in quanto
caratteristica basilare del movimento comunale: il protagonismo dei comuni
del centro e del nord, aree dove le tradizioni storiche di autonomia locale erano senza dubbio più forti e che coincidevano, in gran parte, con le aree di maggior forza dei partiti della sinistra.
Verso la fine della mobilitazione promossa da Fazi, nel 1894, si sviluppò anche l’intesa con alcuni studiosi lombardi e veneti, tra cui il più conosciuto ed
attivo era il milanese Giovanni Casnati21.
Furono questi studiosi ad organizzare i convegni successivi, i primi a Milano nel 1894 ed a Verona nel 1895, ai quali contribuirono attivamente le amministrazioni provinciali delle due regioni, in particolare quello del 1895 fu diretto dal sindaco di Verona, il radicale Augusto Caperle, e dal presidente della
deputazione provinciale veronese, Luigi Dorigo. All’attività dei comitati regionali lombardo e veneto si aggiunse nel 1896 quella del comitato regionale piemontese e in un’assemblea del comitato lombardo svoltasi nel 1897, a Milano,
nacque l’idea di tenere il primo congresso nazionale delle province, che si svolse dal 20 al 24 ottobre 1898 a Torino22. Furono “il diffuso regionalismo” di fine ‘800 ed alcune norme giudicate lesive delle province a spingere le amministrazioni provinciali al congresso nazionale23, proprio come disposizioni reputate dannose alle finanze comunali avevano indotto qualche anno prima i comuni a mobilitarsi intorno al sindaco di Foligno.
Roberto Ruffilli, La questione regionale dall’unificazione alla dittatura (1862-1942), Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 114-118
22
Sull’assemblea cfr. Atti del primo congresso nazionale delle rappresentanze provinciali di Torino. 20-24 ottobre 1898, 2 voll., Torino 1899, ristampa a cura dell’Unione delle province d’Italia 1908-1983, Roma. Da notare che sempre Torino aveva ospitato 19 anni prima, nel 1879,
la prima riunione dei municipi italiani, a conferma della prossimità del movimento dei comuni e di quello delle province.
23
Mazzanti Pepe, Il movimento per le autonomie locali e il decentramento..., cit., pp. 143-157.
21
18
PARTE I
Già alla fine dell’’800 erano così delineate gran parte delle principali caratteristiche del movimento per le autonomie locali: il primato del movimento comunale su quello delle province, la forte capacità di mobilitazione dei comuni
piccoli e medi, la tensione del movimento comunale verso l’unità. Infatti, per
quanto in questo periodo fosse palese la leadership dei partiti popolari - ed in
particolare dei radicali - rispetto alle altre formazioni politiche, amministratori
della sinistra ed amministratori liberali - e poi anche cattolici - si trovarono e si
sarebbero trovati uno accanto all’altro per rivendicare maggiore autonomia e
maggiori risorse dal governo.
Finita la crisi politico-istituzionale di fine secolo, con manifestazioni e morti
in tutta Italia ed il fallimento della svolta politica autoritaria tentata dal governo
del generale Luigi Pelloux, il movimento dei comuni riprese nel 1900 attraverso due iniziative distinte e concorrenti: la prima, avviata dai grandi comuni liberali del nord e della Toscana, con Verona e Firenze in testa; la seconda promossa da socialisti, repubblicani e radicali, partita da Parma e Milano, che risultò vincente. Quest’ultima iniziativa, infatti, si estese ai comuni piccoli e medi di tutta Italia e, nel 1901, diede vita all’Associazione dei comuni italiani.
1.4. La fondazione dell’Anci
Il congresso di fondazione dell’Anci si svolse nel ridotto del Regio Teatro di
Parma dal 17 al 19 ottobre del 1901. Il sindaco di Milano, il radicale Giuseppe Mussi, inaugurò il congresso chiedendo allo Stato il “legale sviluppo della nostra vita, sgravii delle nostre finanze”. L’azione dei comuni sarebbe dovuta essere
“lenta e pacifica”24. Il dibattito congressuale si aprì sul nome da dare all’organizzazione dei comuni. Il consigliere comunale socialista parmense Ferdinando
Laghi, promotore della prima delibera che aveva dato il via alla nascita dell’Anci, chiese l’adozione del termine lega invece di quello di associazione che era
stato proposto nella bozza in discussione al congresso, ma il suo parere venne
bocciato. Il termine lega ricordava troppo le leghe socialiste dei lavoratori e
avrebbe potuto allontanare ancor più i moderati, già poco presenti a Parma.
La discussione si riaccese sulla scelta della sede dell’Associazione, questa volta prevalse la posizione sostenuta dai socialisti, che avevano chiesto Milano perché amministrata dai partiti popolari, ed era appoggiati dai radicali perché il
sindaco Mussi apparteneva alle loro file. Da allora e per 15 anni, fino al 1916,
il capoluogo lombardo avrebbe ospitato la sede dell’Anci, anche quando l’amministrazione comunale passò sotto il controllo di una maggioranza liberale
moderata. L’assemblea dei sindaci di Parma, quindi, elesse il consiglio direttivo
che risultò composto da 15 membri, il quale poi a sua volta indicò come presidente Mussi, e due vicepresidenti, Giovanni Mariotti, radicale, sindaco di
Parma e Antonino Martino, repubblicano, sindaco di Messina. Il socialista
riformista Emilio Caldara fu nominato segretario dell’Associazione e direttore
dell’organo ufficiale “L’Autonomia comunale”. L’Associazione fondata a Parma
24
Il Congresso di Parma, “L’Autonomia comunale”, (AC) 20 mar. 1901, n. 1, p. 2.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
19
era controllata da una maggioranza politica di sinistra all’interno della quale,
però, le frange più estremiste, seppure rappresentate nel consiglio direttivo, non
ottennero alcun ruolo di rilievo nell’organizzazione.
Con la fondazione dell’Anci il principio dell’associazionismo, che socialisti,
radicali e repubblicani avevano per primi promosso tra i lavoratori, passava alle istituzioni locali grazie a quegli stessi movimenti politici. Anche l’idea di
chiamare l’organizzazione dei comuni lega - oltre che esigenze politiche propagandistiche - evidenziava il fatto che il principio dell’associazionismo delle autonomie locali derivava da quello delle leghe dei lavoratori. E fu proprio il cambiamento del nome da lega in associazione, insieme all’approvazione di uno statuto più moderato rispetto a quello proposto inizialmente, a sollevare i primi
dubbi sull’utilità dell’Anci in una parte importante del Psi.
Il commento più significativo, in questo senso, apparve appena dopo il congresso di Parma nella “Critica sociale”. In un articolo firmato con lo pseudonimo “Il Federalista” Salvemini presentò il progetto di uno “Statuto della Federazione Nazionale fra i Comuni italiani per la conquista dell’autonomia” che
avrebbe dovuto “tutelare i Comuni, giuridicamente e moralmente dalle illegali
sopraffazioni del potere centrale”, promuovere la modifica della legge comunale e provinciale, la riforma fiscale e l’abolizione di province e prefetture sostituendole con consorzi di municipi. La Federazione doveva essere formata da
Federazioni locali di non meno di 20 comuni che avrebbero poi costituito la
Federazione nazionale ed eletto il consiglio federale. Salvemini considerava
questa prospettiva realizzabile solo attraverso l’alleanza dei socialisti con gli altri partiti popolari25 per costruire un movimento comunale che sarebbe stato
“principio di rinnovamento completo di tutta la vita pubblica italiana” per conquistare, con l’autonomia comunale, l’indipendenza dalla ingerenza governativa e quindi segnare la fine della corruzione elettorale. I comuni autonomi, a
questo punto, avrebbero sentito “il bisogno di associarsi fra loro in federazioni
regionali” e l’Italia sarebbe diventata uno Stato federale26.
Era palese la disparità tra il progetto dell’esponente socialista e, più in generale, tra il modello combattivo di organizzazione proposto dai socialisti e quello che sarebbe stato sostenuto a Parma dai radicali Mussi e Mariotti, che prospettavano un organismo non estremista ed aperto al contributo di tutti i comuni. Mentre Mariotti colloquiava amichevolmente con il prefetto per tranPur sottolineando la necessità di un’alleanza tra i partiti popolari, Salvemini non risparmiò critiche ai possibili alleati, in particolare ai repubblicani, che considerò come i veri responsabili del cambiamento del nome dell’organizzazione comunale da Lega in Associazione, e
scrisse, ironicamente, se non sarebbe stato meglio fare una “Confraternita di Comuni” per favorire l’adesione di un maggior numero di municipi.
26
Il Federalista, L’Autonomia Comunale e il prossimo Congresso di Parma, in “Critica sociale”, 11 ott. 1901, ora in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., pp. 190-9. L’idea generale del progetto salveminiano, sembra riecheggiare il progetto di Andrea Costa del
1879 che individuò nei comuni “l’organizzazione politica della società, non [restava], infatti, al
di sopra dei Comuni che la loro federazione [...] uno Stato inteso come federazione di Comuni”, (Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., pp.142-3), l’impostazione di Costa aveva però forti toni anarchici che non erano evidenti in quella di Salvemini.
25
20
PARTE I
quillizzarlo rispetto alla natura del congresso parmense27 - evidenziando fin da
quel momento la priorità della prospettiva del dialogo con le istituzioni nazionali, propria della storia dell’Anci – Salvemini elaborava un progetto che tendeva alla riforma democratica e federalista dello Stato.
1.5. La primavera municipale in Italia
La nascita dell’Anci, seguita due anni dopo dall’approvazione della legge sulle aziende municipalizzate (29 marzo 1903, n. 103), annunciava la primavera
municipale in Italia28. È questa la definizione particolarmente efficace del socialista riformista Giovanni Montemartini29 il quale, dopo aver accennato al panorama comunale internazionale, scriveva nel 1902: “Anche in Italia abbiamo
una primavera nella vita municipale […] La espressione massima di questo movimento si ha nella Associazione dei Comuni italiani”30. Il fondatore del Partito popolare, Luigi Sturzo, scriveva nel 1949 di un “movimento municipalista
che culminò nell’Associazione dei comuni italiani, [che] datava dalla fine dell’ottocento”31. Nell’Anci ebbero la possibilità di lavorare uno accanto all’altro i
protagonisti del movimento comunale, il complesso di tecnici, amministratori e
politici di diverso orientamento politico e cultura che, sia sul piano nazionale,
sia su quello internazionale32, aveva l’obiettivo di affermare la centralità delle
Dai rapporti del prefetto di Parma, Pietro Veyrat, risaltava l’opera tranquillizzatrice di
Mariotti, con il quale il funzionario parrebbe proprio aver avuto diversi colloqui. Altrettanto
importante fu la funzione svolta del prefetto presso il Ministero dell’interno. Veyrat apparve
quasi come un vero e proprio rappresentante delle richieste dei comuni presso la sede centrale,
in certi momenti sembrò addirittura farsi personalmente garante delle assicurazioni di Mariotti. In questi contatti il sindaco parmense, sottolineando il proprio ruolo di moderatore, cercò
di minimizzare la pericolosità politica del congresso del quale anticipava quella che sarebbe dovuta essere una tra le principali richieste, di carattere squisitamente finanziario, a dimostrazione del carattere legale della manifestazione; Archivio Centrale dello Stato, (Acs), Fondo Ministero dell’interno (Min. Int.), Comuni, b. 460, fasc. 15900.11, lettere del prefetto di Parma al
Ministro dell’interno del 2, 4 e 21 ott. 1901.
28
Ancora nel 1910 sulla prima pagina de l’“Avanti!”, Giovanni Zibordi firmava un articolo
intitolato Primavera di vita municipale, 8 set. 1910.
29
Cfr. La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini. Atti del Seminario nazionale, Pavia 15 dicembre 1984, Pavia, Amministrazione provinciale, 1986; Vito Gallotta (a cura di), Cultura e lavoro nell’età giolittiana, Napoli, Guida, 1989.
30
Giovanni Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi, Milano, Società editrice libraria, 1902, pp. 372-3.
31
L. Sturzo, Unità o centralismo statale?, “Il Mondo”,12 mag.1949 in idem, Politica di questi anni. Consensi e critiche (Dall’aprile 1948 al dicembre 1949), Bologna, Zanichelli, 1955,
p.213.
32
Per un’analisi del movimento comunale italiano e dei primi anni dell’Associazione nazionale dei comuni italiani cfr. Gaspari, L’Italia dei municipi..., cit.; sul movimento comunale internazionale cfr. Oscar Gaspari, Alle origini del movimento comunale europeo: dall’Union Internationale des Villes al Consiglio dei comuni d’Europa (1913-1953), “Memoria e ricerca”, n.10,
dic. 1997, 147-163; idem, Cities against States? Hopes, Dreams and Shortcomings of the European
Municipal Movement 1900–1960, “Contemporary European History”,vol. 11, n.4, nov. 2002,
pp. 597-621.
27
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
21
funzioni e dei problemi delle città presso le istituzioni e l’opinione pubblica per
meglio rispondere ai crescenti bisogni dei cittadini.
In particolare nell’organizzazione lavorarono insieme - oltre a liberali, radicali e repubblicani - i protagonisti della storia politico-istituzionale italiana del
‘900: gli esponenti del movimento socialista e di quello cattolico33, storici oppositori dello Stato liberale che, nella battaglia per l’autonomia comunale, trovarono un eccezionale luogo di collaborazione e di confronto.
Fu nella gestione della strategia dei comuni italiani di fronte allo Stato liberale che il municipalismo sociale cattolico e il socialismo municipale socialista
riuscirono per alcuni anni a trovare una sintesi. I due movimenti avevano visioni sostanzialmente divergenti su materie molto importanti, basti pensare all’educazione ed all’assistenza, che i socialisti volevano laica ed i cattolici intendevano fortemente permeata da valori religiosi e con possibilità di interventi diretti di istituzioni religiose. Furono comunque, secondo Aimo:
“le amministrazioni socialiste e popolari le autentiche protagoniste [della] rinascita comunale [..] le anticipatrici di politiche pubbliche, di forte impatto sociale e di rilevo simbolico, che saranno poi seguite e imitate dallo stesso Stato centrale e che hanno fatto parlare di un vero e proprio ‘diritto comunale’ […] dalle aziende municipalizzate al sostegno alle cooperative, dalla costruzione di case
popolari alla predisposizione di doposcuola per i bambini poveri, dall’apertura
di mercati rionali alla realizzazione di spacci comunali, dall’istituzione degli Uffici del lavoro alla tutela del patrimonio artistico, dalla prevalenza della tassa di
famiglia sui dazi consumo alla limitazione delle spese di lusso e così via”34.
È bene però precisare fin d’ora che non tutti i cattolici, né tutti i socialisti
furono egualmente impegnati nel movimento per le autonomie locali. Nei cattolici, alla fine dell’età giolittiana:
“l’originaria spinta propulsiva del municipalismo cattolico si attenua e […]
vengono alla luce le sue due anime contrapposte: quella più strumentale, che
faceva della bandiera dell’autonomismo un mezzo per sostenere e rinvigorire la
polemica ideale contro il liberalismo, e quella più laica e lineare, che di tale battaglia dottrinale si serviva come di una tappa importante per una democratizzazione complessiva della macchina statale”.
Per quanto riguarda i socialisti, i settori più moderati e riformisti formularono:
“programmi che, pur mantenendo sullo sfondo l’ideale del superamento dello
Stato borghese e capitalista, indicano gli obiettivi e i mezzi per consentire alla
classe operaia (e ai ceti subalterni) di utilizzare a proprio vantaggio le istituzioni esistenti […, ma] la nuova strategia non troverà unanime accoglienza e le frazioni rivoluzionarie e anarchiche non mancheranno di criticarla”35, e soprattutto, è il caso di sottolinearlo, di boicottarla.
Su questo argomento, oltre al citato Bedeschi si vedano Corrado Corghi, La Lega per le
autonomie locali dalle origini al fascismo (2). L’Associazione dei comuni e i cattolici, CdP, mar.
1984, pp. 9996-10002; e Mario Belardinelli, Movimento cattolico e questione comunale dopo l’Unità, Roma, Edizioni Studium, 1979.
34
Piero Aimo, Stato e poteri locali in Italia (1848-1995), Roma, Carocci 1998, p. 92.
35
Aimo,Stato e poteri locali in Italia..., cit., pp. 89-90.
33
22
PARTE I
2. Il movimento socialista e l’affermazione della maggioranza
liberale e cattolica nell’Anci
Il secondo congresso dell’Anci si svolse dal 9 all’11 novembre 1902 a Messina. Tra i protagonisti vi fu Sturzo, sacerdote e consigliere comunale di Caltagirone36 che, due anni dopo, nel congresso di Napoli del 1904, venne eletto nel
consiglio direttivo dell’Anci insieme al cattolico parmense Giuseppe Micheli, di
Parma. Fu quello il primo successo dell’alleanza tra cattolici e liberali diretta a
sostituire la coalizione di socialisti, repubblicani e radicali alla testa dell’Anci.
Nel 1905 si tenne a Firenze un congresso straordinario dell’associazione nel
quale il sindaco della città, Ippolito Niccolini, sottolineò l’unità dei comuni italiani in difesa della propria autonomia al di là delle distinzioni politiche e della
collocazione geografica. Si poneva così fine, idealmente, alla divisione che per anni aveva separato i comuni italiani tra grandi moderati e piccoli e medi comuni
più battaglieri. Proprio il comune di Firenze nel 1900, infatti, aveva ospitato una
riunione di grandi comuni del Nord e della Toscana, guidati dai liberali, a cui si
sarebbero contrapposti i comuni piccoli e medi della sinistra che avrebbero dato
vita all’Anci. Il congresso straordinario, dedicato al problema della eliminazione
dai bilanci comunali delle spese di competenza dello Stato - come quelle per l’arredamento dei tribunali e per l’alloggio delle truppe - nel disegno di alcuni membri socialisti della direzione, avrebbe dovuto promuovere le dimissioni dei consiglieri comunali, una sorta di sciopero nazionale dei comuni contro il Governo.
La nuova maggioranza di sindaci liberali e cattolici affermatasi per la prima
volta proprio in quell’occasione, riuscì però a far passare la linea che prevedeva
la mobilitazione dei sindaci per spingere il Parlamento ad approvare un apposito disegno di legge presentato da alcuni senatori vicini all’Anci. La scelta risultò
vincente e, due anni dopo, venne varata la legge 24 marzo 1907, n. 116, che prevedeva il graduale passaggio dai comuni allo Stato di tutte le spese di competenza statale; l’organo ufficiale dell’Associazione la definì “la nostra legge”37.
2.1. L’autonomia comunale dal terreno politico a quello istituzionale e
tecnico-amministrativo
Nel 1906, al congresso di Torino, una coalizione di liberali e di cattolici guidati da Sturzo ottenne la maggioranza dei seggi nel consiglio direttivo. Da allora il presidente dell’Associazione fu sempre un liberale e le più importanti ini36
Su Sturzo consigliere comunale e, dal 1905, pro-sindaco, cfr. Umberto Chiaramonte, Il
municipalismo di Luigi Sturzo pro-sindaco di Caltagirone (1899-1920), presentazione di Gabriele De Rosa, Brescia, Morcelliana, 1992; idem, Luigi Sturzo e il governo locale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.
37
La nostra legge, AC, n. 4-5, apr.-mag. 1907, p. 100. Sulla questione delle spese dello Stato caricate sui bilanci degli enti locali è particolarmente interessante il saggio di Vittorio Italia,
La provincia quale destinataria di oneri a favore dello Stato, in Antonio Amorth, (a cura di), Le
province. L’ordinamento comunale e provinciale, 2, ISAP, Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1968, pp. 119-138.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
23
ziative dell’Anci abbandonarono il terreno più propriamente politico per concentrarsi su questioni di carattere tecnico, finanziario ed istituzionale. In particolare, l’obiettivo prioritario della maggioranza moderata affermatasi a partire
dal congresso di Firenze diveniva quello di garantire ai comuni più risorse da
gestire con la maggiore autonomia possibile.
Nel campo istituzionale l’Anci sostenne il progetto del Consiglio superiore dei
comuni, prima proposta di un organismo istituzionale per regolare i rapporti tra
Stato e comuni38, presentata alla Camera nel marzo del 1906 da Pietro Niccolini,
componente del consiglio direttivo dell’Anci. L’ex sindaco di Ferrara presentava la
proposta nel corso del dibattito sul disegno di legge per la revisione dell’istituto dello scioglimento dei consigli comunali. Questo potere, che il Ministero dell’interno
avrebbe dovuto utilizzare solo in casi eccezionali, nel periodo giolittiano veniva impiegato con larghezza, in particolare per favorire l’elezione dei candidati del Governo nelle consultazioni politiche nazionali39. L’Anci proponeva che per lo scioglimento derivante da problemi di ordine pubblico vi dovesse essere “un unico responsabile, il ministro, unico giudice il Parlamento. Negli altri due casi (cioè violazione di legge e disordine finanziario) niente Consiglio di Stato, niente Consiglio
dei Ministri, ma un magistrato speciale; il Consiglio superiore dei Comuni”40.
L’ideatore del progetto fu Emanuele Greppi, presidente dell’Anci, un liberale conservatore - come Niccolini -, assessore alle finanze e, dal 1911, sindaco
del comune di Milano. Il modello di Greppi era quello del Consiglio superiore del lavoro: comuni e Governo dovevano avere pari dignità, proprio come accadeva nelle relazioni tra padroni e lavoratori. Il concetto, esplicitamente mutuato dall’ideologia socialista, era rivoluzionario rispetto al modo in cui erano
impostati i rapporti centro-periferia nell’Italia del primo ‘900, basati sulla subordinazione degli enti locali all’Esecutivo, e sottolineava la forza, anche presso
i liberali, del modello di azione politica sostenuto dal movimento socialista. La
proposta venne più volte discussa, approvata e rivista nel corso della storia dell’Associazione per tutto il periodo liberale.
2.2. Le nuove organizzazioni del movimento per le autonomie locali
2.2.1. L’Unione delle province d’Italia, l’Unione statistica delle città italiane e
la Federazione delle aziende municipalizzate italiane
La fondazione dell’Anci nel 1901 stimolò la nascita di altre organizzazioni
la principale delle quali fu l’Unione delle province d’Italia. Dopo il citato appuntamento di Torino del 1898, si svolse un secondo congresso nazionale, il 15
38
Su questo argomento cfr. Oscar Gaspari, I precedenti della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali, in “Amministrare”, n. 1, 1998, pp. 129-146.
39
La letteratura su questo tema è ampia, si rimanda, tra gli ultimi contributi, a Giovanni
Schininà, Le città meridionali in età giolittiana. Istituzioni statali e governo locale, Acireale-Roma, Bonanno, 2002.
40
L’intervento è pubblicato in L’opera dell’Associazione dei Comuni nel Parlamento, “Rivista
municipale”, n. 3, mar. 1906, pp. 55-67.
24
PARTE I
maggio 1905 a Napoli, ma solo in occasione della terza assemblea nazionale,
tenutasi a Roma il 23-25 marzo 190841, le province riuscirono a costituire la
propria organizzazione, vincendo i timori della maggioranza degli amministratori provinciali, grazie anche al beneplacito del Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti42. Il relativo ritardo nella nascita dell’Upi - che, oltretutto, per il
minor numero e la maggiore omogeneità politica delle province rispetto ai comuni avrebbe dovuto avere, almeno teoricamente, più possibilità di essere fondata per prima - mette in risalto il fatto che il principio dell’associazionismo era
considerato tout court eversivo. Una circostanza riaffermata dal fatto che l’Upi
nacque come organizzazione temporanea delle province e divenne definitiva solo nel 1912, ad un quinquennio dalla fondazione43.
L’Unione, idealmente, andava ad occupare l’ala più moderata del movimento per le autonomie locali, composta com’era, in grandissima maggioranza, da
amministrazioni liberali e comunque con forti tendenze conservatrici. Il riconoscimento dato da Giolitti all’Upi, però, evidenziava anche il tentativo del governo di controbilanciare l’Anci con una moderatissima organizzazione delle
province. L’Associazione dei comuni, infatti, nonostante fosse guidata da una
maggioranza formata da liberali e cattolici di Sturzo, appoggiati dai socialisti riformisti, era purtuttavia considerata pericolosa. Ma l’Upi, nata anche con l’obiettivo di bilanciare in senso moderato l’azione dell’Anci, non solo si sarebbe
ben presto alleata con l’organizzazione dei comuni ma il suo segretario, Annibale Gilardoni, sarebbe diventato nel primo dopoguerra uno dei massimi esponenti del Ppi del periodo liberale44.
Fu comunque nell’ambito del movimento comunale che il principio dell’associazionismo ebbe maggiore successo. Dopo l’Anci, per l’azione in ambito politico-istituzionale, vennero sviluppate organizzazioni di tipo tecnico-amministrativo affinché coadiuvassero le giunte nella loro attività di governo. La prima
organizzazione di questo tipo fu l’Unione statistica delle città italiane (Usci)45
che organizzò stabilmente, nel 1907, il comitato di comuni che gestiva la pubblicazione dell’Annuario statistico delle città italiane, promosso in un convegno
di sindaci svoltosi qualche giorno prima dell’apertura del congresso straordinario di Firenze del 1905. L’Unione, ispirata e animata dallo statistico fiorentino
41
Atti della prima assemblea generale dell’Unione delle Provincie d’Italia..., cit., Sulla storia
dell’Upi cfr. Gaspari, L’Italia delle Province…, cit.
42
Giolitti diede udienza ai rappresentanti delle province il giorno dopo la conclusione dei
lavori dell’assemblea di Roma, il 26 marzo, al termine dell’incontro si dichiarava: “lieto della
costituzione dell’Associazione la quale, mantenendo continuamente in contatto fra loro le singole amministrazioni, non solo aiuterà la tutela degli interessi comuni, ma sarà di grande vantaggio per lo svolgimento ed il miglioramento di quei servizi che sono pure tanta parte della vita sociale”; Atti della prima assemblea generale dell’Unione delle Provincie..., cit. pp. 190-1.
43
V Assemblea generale dell’Upi, “Bollettino dell’Unione delle Provincie d’Italia”, ott. 1912,
pp. 321-327.
44
Oscar Gaspari, La riforma della finanza locale negli scritti di Annibale Gilardoni, Roma,
Gaffi, 2005.
45
Oscar Gaspari, L’Unione statistica delle città italiane (1905-1948), in “Ricerche storiche”,
numero monografico La città che cambia. Infrastrutture e servizi tecnici a rete in Italia fra ‘800
e ‘900, n. 3, set.-dic. 2000, pp. 465-490.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
25
Ugo Giusti46 e voluta dal sindaco Ippolito Niccolini, per gli intensi rapporti con
istituzioni scientifiche ed omologhi organismi europei, fu senza dubbio la struttura che, all’interno del movimento comunale italiano, ebbe i maggiori e i più
intensi contatti internazionali47.
Un’altra organizzazione nata a seguito della fondazione dell’Anci fu la Federazione delle aziende municipalizzate italiane, antenata dell’attuale Confservizi, promossa a Brescia nel 1909 e costituita nel congresso di Verona del 1910.
Tra i promotori vi fu l’ingegnere Giuseppe Orefici, presidente dell’Azienda dei
servizi municipali di Brescia, fratello di Girolamo Orefici, sindaco della città e
vicepresidente dell’Anci, delegato alla questione delle aziende municipali per
l’Associazione dei comuni. Protagonista dei primi anni di vita della Federazione48 fu Giovanni Montemartini, uno dei maggiori esperti di municipalizzazioni in Europa.
2.3. L’esigenza di una associazione “che si muovesse più agilmente e con
spirito pugnace”
Così, nel 1909, Emilio Caldara riassumeva i risultati dei primi anni dell’attività dell’Anci ed il ruolo delle organizzazioni ad essa vicine: “né è cosa da poco il diffondersi del principio della associazione in tutte le manifestazioni della
vita locale, dai Consorzi intercomunali volontari, all’Unione delle Provincie e
all’Unione statistica delle città italiane, dal Consorzio dei comuni che hanno
municipalizzato le affissioni alla Federazione di tutte le Aziende Municipalizzate [...] L’Associazione non può dare tutto quello che i Comuni, anche giustamente, desiderano. Essa è circoscritta ne’ suoi scopi statutari [...] Perciò accanto ad essa sono sorte, ad esempio l’Unione statistica delle città italiane e la Federazione delle Aziende municipalizzate, le quali hanno opportunamente applicato il principio dell’associazione permanente ad altri determinati scopi che
interessano la vita dei Comuni”49.
Il giudizio complessivamente positivo sull’opera dell’Anci del riformista
Caldara, segretario dell’organizzazione, veniva meglio articolato dai consiglieri
comunali e provinciali socialisti riuniti a congresso a Firenze nel settembre del
1910. In quell’occasione l’assemblea reclamò una più decisa azione dell’Anci
per il miglioramento delle condizioni politico-istituzionali dei comuni. Lotta
46
Su questo personaggio, fondamentale nella storia dell’Anci, cfr. Oscar Gaspari, Ugo Giusti (1873-1953), “Economia pubblica”, 1999, n. 1, pp. 79-116.
47
Cfr. Oscar Gaspari, L’Unione statistica delle città italiane (1905-1948), in “Ricerche storiche”, numero monografico La città che cambia. Infrastrutture e servizi tecnici a rete in Italia fra
‘800 e ‘900, n. 3, set.-dic. 2000, pp. 465-490.
48
Cfr. Oscar Gaspari, Dal monopolio, alla municipalizzazione, alla liberalizzazione dei servizi pubblici: le tappe di un processo di sviluppo nel quadro della storia del movimento comunale, in
Seconda Conferenza dei servizi pubblici locali. L’innovazione al servizio dei cittadini, Milano 3-5
ott. 2000, Book relatori, dattiloscritto, pp. 42-52.
49
Emilio Caldara, La vita e le opere dell’Associazione dei comuni italiani, AC, n. 24, 15 dic.
1909, p. 5.
26
PARTE I
istituzionale e lotta sociale si ricongiungevano poi nella richiesta del suffragio
universale amministrativo (anche se solo maschile) avanzata da Silvio Caperle50,
una richiesta che ben difficilmente l’Anci a maggioranza liberale e cattolica
avrebbe potuto far propria.
Carlo Corsi, da parte sua, sottolineava la poca combattività dell’Anci, ma
dopo aver accennato all’idea di una Lega, più decisa, sottolineava piuttosto la
necessità di una maggiore partecipazione dei socialisti all’Anci per imprimere
un’azione più risoluta:
“Per me la tattica seguita dall’Associazione che volle informare la propria vita
ad una azione spesse volte troppo quieta, e non abbastanza battagliera e vivace
ed altre volte troppo slegata, frammentaria, indecisa, può avere sviato molte
simpatie, specie di fronte ai partiti più pronti a muovere in battaglia ordinata
contro le ingiuste sopraffazioni statali. Di qui la domanda se fosse stata o fosse
per l’avvenire più utile una forma separata di associazione, una vera e propria
Lega dei comuni che si muovesse più agilmente e con spirito pugnace, sia pure
accanto all’Associazione dei comuni”.
Ma aggiungeva subito:
“Io sono fra quelli che credono che l’Associazione dei comuni italiani possa
compiere una funzione utile, solo che i consociati abbiano una coscienza profonda dei loro doveri, e l’entusiasmo delle parole traducano nelle opere. Credo
che solo un’Associazione universale dei comuni italiani – da cui non può in avvenire dissociarsi un Consiglio superiore dei comuni – possa molto tentare anche nell’ambiente italiano saturo di statolatria, e in mezzo al popolo italiano
che fino ad oggi fu quasi insensibile ad ogni questione di libertà e di autonomia comunale.
Il partito socialista deve compiere anche in questa Associazione opera di penetrazione che potrà portare anche a migliorarne lo statuto, a perfezionarne le
funzioni direttive, imprimendo un’azione più energica a tutto l’organismo e,
chiamando a raccolta quanti più comuni possa, potrà riuscire a vivificarne le
energie, portando un contributo sincero di studio e di lotta, e ravvivandone le
forze con la stampa, con l’opera parlamentare, con i comizi, con l’educazione
costante dell’anima popolare, volgendo la pubblica opinione – risolutamente –
alla difesa delle nostre amministrazioni comunali”51.
2.4. Il “comune moderno” nella strategia di cattolici e socialisti
Corsi denunciava il moderatismo dell’Anci ma, nello stesso tempo, ne sottolineava l’importanza che le veniva al suo carattere “universale” e citava quale
esempio positivo di questa impostazione il più importante progetto ideato dall’Anci fino a quel momento: il Consiglio superiore dei comuni. “Un’azione più
Silvio Caperle, Il suffragio universale amministrativo. La tesi sentimentale, “Avanti!”, 6 set.
1910, p.2.
51
Congresso dei consiglieri comunali e provinciali socialisti (Firenze 8-10 settembre 1910), Carlo Corsi, L’Associazione dei comuni italiani e i comuni socialisti, “Avanti!” 8 set. 1910, pp. 4-5.
50
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
27
energica” dell’Anci, sottolineava Corsi, doveva essere promossa attraverso una
maggiore partecipazione delle amministrazioni del Psi nell’organizzazione, in
modo simile a quanto aveva fatto Sturzo nel 1903 quando il sacerdote chiese
una maggiore presenza dei cattolici nell’Associazione e, ottenutala, riuscì a vincere, grazie all’alleanza con i liberali, la maggioranza socialista, radicale e repubblicana52. Era sul concreto terreno della battaglia politica democratica che
si doveva vincere la sfida per ottenere che l’Anci fosse “più energica”. Vi è poi
un’altra similitudine tra i concetti espressi da Corsi e quelli di Sturzo. Quando
il socialista parla di un “ambiente italiano saturo di statolatria” e del “popolo
italiano che fino ad oggi fu quasi insensibile ad ogni questione di libertà e di
autonomia comunale”, quando evidenzia la necessità che “i consociati abbiano
una coscienza profonda dei loro doveri” riecheggia un commento di Sturzo al
V congresso dell’Anci svoltosi a Torino nel 1905 dove questi aveva denunciato:
“l’abitudine mentale formata dalla tradizione liberale-centralistica […, e] la forma concreta di istituti soverchiatori, di sopraffazioni statali, di interessi politici, [che impedisce] la visione netta ed esatta del Comune moderno, libero nella sua funzione specifica e unito a tutta la nazione nella sua stabilità civile e politica”53.
In occasione dell’appuntamento di Firenze il socialista Giovanni Zibordi fece
un’altra importantissima riflessione, l’abitudine centralistica non valeva solo per
le istituzioni ma anche per i partiti. Solo i socialisti potevano essere in grado di
fare una riflessione simile, visto che avevano un proprio partito già dal 1892:
“Ora i congressi nazionali del partito, benché rechino alla ribalta di frequente
gli esempi di un localismo malinteso e protervo, che vorrebbe generalizzare e
ricavare leggi universe dal caso particolare, palesano però soprattutto la tendenza ch’io dirò per brevità statalista, per la quale i socialisti convenuti da ogni
parte d’Italia si affannano e si appuntano a discutere l’azione del Governo e l’atteggiamento del gruppo parlamentare rispetto ad esso, e a ciò danno un’importanza sproporzionata, quasi per abitudine di fede nella provvidenza; mentre
con altrettanto ed analogo accanimento discutono e criticano l’opera degli organi centrali del Partito, ad essi imputando e cercando responsabilità e colpe
che in buona parte andrebbero distribuite alla periferia”54.
La complementarietà dei concetti espressi dai socialisti Corsi e Zibordi a Firenze e quelli del cattolico Sturzo, la sottolineatura dell’importanza di una maggiore presenza di amministratori socialisti in un’organizzazione a maggioranza
moderata, sottolinea la convergenza di socialisti e cattolici nell’Anci, descritta
da Aimo come:
52
Lettera di Sturzo a Meda del 1° dic. 1903, pubblicata in nota nella ristampa de Il programma municipale dei cattolici italiani, pubblicata nella rivista La Croce di Costantino, ora in
Luigi Sturzo, “La Croce di Costantino”. Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolica
e sulle autonomie comunali, a cura di Gabriele De Rosa, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1958, pp. 270-1. Sull’impegno di Sturzo nell’Anci cfr. Oscar Gaspari, I primi anni di Sturzo nell’Associazione dei comuni italiani, in “Sociologia”, n.2, 1997, pp. 143-163.
53
Luigi Sturzo, Il V Congresso dei Comuni Italiani, “Rivista municipale”, n.5-6, mag.-giu.
1906, p.134.
54
Zibordi, Primavera di vita municipale…, cit.
28
PARTE I
“Luogo di incontro e di elaborazione di strategie unitarie tanto più rilevante se
si tiene conto che in esso confluiscono i delegati di forze politiche antagoniste
che non riusciranno, sul piano propriamente politico-parlamentare, a trovare
momenti di accordo stabili e significativi”55.
La collaborazione tra diverse forze politiche nell’Anci non solo non impedì la
concorrenza tra le diverse formazioni ma, è possibile dire, ne esaltò la ricerca
progettuale in vista del raggiungimento dell’obiettivo: la promozione dell’autonomia comunale. Un’autonomia che era difficile da raggiungere anche a causa
della “tendenza […] statalista”, come la definisce Zibordi, o della “abitudine
mentale formata dalla tradizione liberale-centralistica”, descritta da Sturzo.
Secondo questa visione, che accomunò le parti migliori del movimento socialista e di quello cattolico, la battaglia per l’autonomia doveva essere unitaria
e concorrente, doveva essere a tutto campo, all’interno delle istituzioni, dei partiti e delle mentalità degli individui. Solo così si sarebbe potuta avere “la visione netta ed esatta del Comune moderno”, secondo le parole del cattolico Sturzo che - a dimostrazione dell’affinità tra l’impegno dei cattolici e di quello dei
socialisti nei comuni - utilizza un’espressione così tipicamente socialista, “Comune moderno”, da divenire titolo della rivista fondata nel 1911 a Torino dal
riformista Giulio Casalini, la rivista che sarebbe diventata in seguito organo ufficiale della Lega dei comuni socialisti56.
La contestazione da parte dei socialisti della strategia “troppo quieta, e non
abbastanza battagliera” seguita dalla maggioranza moderata dell’Anci non
escludeva la possibilità, o meglio, la necessità, di un’azione unitaria di tutti i comuni. Fin dall’inizio della riflessione, che si sarebbe fatta via via più profonda,
sul tipo di rapporto che gli enti locali guidati dai “partiti più pronti a muovere
in battaglia ordinata contro le ingiuste sopraffazioni statali” dovevano avere con
l’Associazione, i socialisti riformisti, come Corsi, prefiguravano la possibilità
che la loro organizzazione si muovesse “accanto all’Associazione dei comuni”.
La coscienza che solo un’azione complessivamente unitaria del movimento comunale avrebbe potuto ottenere qualcosa dallo Stato e dal governo nazionale
non sarebbe mai venuta meno nei riformisti del movimento socialista.
2.5. L’evoluzione dell’Anci
Il XIII congresso dell’Associazione dei comuni italiani, svoltosi a Roma dal
28 febbraio al 1° marzo 1915, pose le basi per una trasformazione decisiva dell’organizzazione che avrebbe accresciuto il proprio protagonismo sulla scena
politico-istituzionale, anche attraverso lo sviluppo dell’attività di assistenza tecnico-amministrativa in favore dei comuni.
Nel congresso venne ribadita anche la decisione del trasferimento della sede
dell’Anci da Milano a Roma - decisione già deliberata nel 1907 a Bologna nel
Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit., p. 83.
Sulla rivista e sul suo direttore cfr. Federico Lucarini, Scienze comunali e pratiche di governo in Italia (1890-1915), Milano, Giuffrè, 2003, pp. 234-9.
55
56
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
29
VI congresso nazionale57 - e realizzata alla fine del 1916. Ormai, con il passare
del tempo e con il progressivo aumento delle competenze dell’amministrazione centrale - che con Giolitti vedeva aumentare progressivamente l’intervento
dello Stato nella società - era diventato indispensabile per l’associazione stabilirsi nella capitale, sia per seguire le pratiche dei municipi presso i ministeri, sia
per i crescenti contatti con il governo58. L’Anci aveva già aperto nel 1914 a Roma una propria segreteria che, come annunciava il presidente Emanuele Greppi in una apposita circolare, era “ospitata in appositi locali, cortesemente offerti dal Comune di Roma nel palazzo di via dei Barbieri n.6”.
Oltre a questa sede:
“Per le pratiche riguardanti in special modo i lavori pubblici, i mutui ad essi inerenti e, in genere, l’applicazione dei provvedimenti già emanati dal Governo o che potranno venire decretati in seguito per fronteggiare il grave fenomeno della disoccupazione e l’attuale crisi dei consumi, l’Associazione dei Comuni ha istituito, d’accordo con la Lega nazionale delle cooperative e con il suo
Comitato Parlamentare, un altro apposito ufficio, al quale le suddette determinate pratiche saranno affidate per la loro più immediata risoluzione”59.
2.5.1. La collaborazione dell’Anci di Sturzo con Lega delle cooperative,
riformisti e radicali
Come spiegava Sturzo in un intervento al consiglio direttivo dell’Anci, la collaborazione tra Lega delle cooperative ed Associazione era stata da lui avviata dopo la
scoperta che “la Lega delle Cooperative aveva preso l’iniziativa, attraverso il suo comitato parlamentare, di assistere i comuni per le pratiche inerenti ai lavori pubblici straordinari, resi necessari per alleviare la disoccupazione”60. Sottolineava poi in
seguito Sturzo nella relazione al congresso di Roma che: “Il contatto tra l’Associazione dei Comuni e la Lega delle Cooperative è certamente utile anche per le organizzazioni operaie. Ma l’opera più interessante, in cui sono stati uniti gli sforzi dei
due enti rappresentativi, è stata quella spiegata presso il Governo”61. Lega delle cooperative ed Anci parteciparono così ad un Comitato parlamentare per i lavori pubblici - promosso dal Presidente del consiglio Antonio Salandra - in qualità di parlamentari, insieme all’industriale Giovanni Agnelli, riformisti socialisti, tra i quali Bis57
Resoconto del VI congresso nazionale dell’Associazione dei Comuni tenutosi a Bologna nei giorni 23, 24 e 25 maggio 1907, AC, n. 6-7, giu.-lug. 1907, pp. 168-9.
58
Dario Franco, Istituzione della Segreteria di Roma e provvedimenti relativi. (Relazione al
XIII Congresso dell’Associazionedei Comuni Italiani), AC, n. 2, 28 feb. 1915, pp. 1-2.
59
La segreteria romana dell’Associazione dei Comuni, AC, n.11, 30 nov. 1914, p.1.
60
Atti dell’Associazione. Seduta del 7 dicembre in Roma, AC, n. 12, 31 dic. 1914, p. 10.
61
Luigi Sturzo e Dario Franco relatori, Sull’opera dell’Associazione dei comuni italiani per i provvedimenti straordinari relativi alla disoccupazione ed all’approvvigionamento del grano, AC, n. 3, 31
mar. 1915, p. 10. Secondo la ricerca di Chiaramonte: “dopo alcuni mesi, però, l’Associazione dei
Comuni disdisse il contratto e organizzò un ufficio tutto proprio a Roma, in via dei Barbieri 6,
evidentemente per evitare la subalternità ai socialisti”, Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 202. In realtà l’ufficio di via dei Barbieri era aperto da tempo, come annunciato nella citata circolare di Greppi pubblicata nel novembre 1914.
30
PARTE I
solati, Merloni, Sichel, cattolici, Meda e radicali, Ruini, e ancora Vergnanini, per la
Lega delle cooperative, e quindi Greppi, Caldara, Franco e Sturzo per l’Anci62.
Fu quindi, quasi certamente, anche per via di una vera e propria competizione sull’attività di assistenza ai comuni nel periodo bellico che l’Anci decise
di aprire una propria segreteria a Roma e, successivamente, di trasferire da Milano e Roma la propria sede. Una competizione che spingeva alla collaborazione l’Anci di Sturzo e la Lega delle cooperative, una tra le più importanti strutture del movimento socialista, molto vicina ai riformisti. Era sul terreno della
consulenza amministrativa ai comuni, a beneficio delle cooperative e degli operai, che si concretizzava quella collaborazione tra cattolici e socialisti riformisti
che, in quegli anni, non si sarebbe mai evoluta in accordi parlamentari. Una
collaborazione che sembrava quasi essere sancita dalla contemporanea nomina
a vicepresidenti - a seguito del XIII congresso dell’Associazione - di Sturzo, prosindaco di Caltagirone e di Caldara63 sindaco di Milano, eletto nel 1914 nel
quadro del complessivo successo del Psi nelle elezioni amministrative64.
In quegli stessi mesi l’intesa tra cattolici e riformisti si allargò, idealmente, anche
ad un’altra formazione politica di sinistra, quella dei radicali, attraverso un suo importante esponente, già assessore nella giunta comunale di Roma guidata dal radicale Ernesto Nathan65 e sostenuta dalla sinistra: Meuccio Ruini. Nel XIII congresso Ruini, chiamato a partecipare dal collega parlamentare Filippo Meda, cattolico e
componente del consiglio direttivo dell’Anci, scriveva la relazione “Un ufficio tecnico contabile per le opere comunali”, che poneva le basi per una successiva evoluzione dell’Anci66. L’esponente radicale facendo riferimento alla propria esperienza di
alto funzionario del Ministero dei lavori pubblici nella gestione delle leggi speciali
per la Calabria, suggerì la costituzione di appositi uffici per assistere i municipi, in
quanto le difficoltà nel pagare e nel reperire tecnici preparati e gli ostacoli burocratici rendevano in effetti impossibile ai comuni sia progettare le opere pubbliche, sia
ottenere dallo Stato i finanziamenti in loro favore previsti dalla legge67.
62
Su questa attività Chiaramonte, Luigi Sturzo e l’Anci…, cit., pp. 221-5. Sull’apertura di
un ufficio di assistenza ai comuni della Lega in collaborazione con l’Anci cfr. Renato Zangheri, Giuseppe Galasso, Valerio Castronovo, Storia del movimento cooperativo in Italia. La Lega
Nazionale delle cooperative e Mutue 1886-1986, Torino, Einaudi, 1987, pp. 365-7.
63
Atti dell’Associazione. Sedute del consiglio direttivo. Seduta del I marzo 1915, AC, n. 3, 31
mar. 1915, p. 15. Lo stesso consiglio direttivo eleggeva anche il presidente, senatore Piero Lucca - sindaco di Vercelli, liberale moderato - e un terzo vicepresidente il liberale Dario Franco.
64
Cfr. Maurizio Punzo, La giunta Caldara: l’amministrazione comunale di Milano negli anni 1914-1920, Milano, Cariplo, Laterza, 1986.
65
Sull’esperienza dell’amministrazione di Nathan cfr. Giuseppe Barbalace, Riforme e governo municipale a Roma in età giolittiana, Napoli, Liguori, 1994.
66
La relazione, scritta da Ruini era però firmata anche da Meda, su richiesta personale di
Sturzo che, evidentemente, non voleva - o forse non poteva -, almeno ufficialmente, far intervenire da solo come relatore ad un congresso dell’Anci una personalità estranea all’organizzazione. Da sottolineare il fatto che il sacerdote Sturzo non aveva alcun problema a far fare ed a
fare esporre la relazione ad un radicale e noto massone; sulla vicenda Meuccio Ruini, Profili di
storia. Rievocazioni, studi, ricordi, Milano, Giuffrè, 1973, p. 275.
67
Deputati Ruini e Meda, relatori, Per istituire un ufficio tecnico-contabile per le opere comunali, AC, n. 2, 28 feb. 1915, pp. 2-4.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
31
L’entrata in guerra dell’Italia rese impossibile la realizzazione a breve termine di quel progetto, ma il seme era gettato. Fu nel primo dopoguerra che ebbe
finalmente realizzazione il progetto proposto da Ruini per la creazione di uffici di assistenza tecnica ai comuni dell’Anci. Nel 1919 venne aperto il Segretariato per la montagna. L’ufficio - che può essere considerato precursore dell’attuale Unione dei comuni e delle comunità montane (Uncem) - forniva assistenza tecnica ed amministrativa ai comuni montani per la gestione delle terre,
dei pascoli e delle foreste municipali68. Sempre nel 1919, su pressione dell’Anci e per iniziativa del Ministro per i lavori pubblici, nasceva il secondo ufficio
di assistenza proposto da Ruini nel 1915, quello per i comuni di pianura: l’Istituto nazionale per le opere pubbliche dei comuni, istituito con decreto regio
n. 1628 del 2 settembre69.
Nel congresso del 1915 l’Anci riaffermò il passaggio da una politica di opposizione e di resistenza che cercava di modificare il sistema centralista agendo
dall’esterno, attraverso manifestazioni e proteste, ad una politica di pressione e
di condizionamento che agiva soprattutto dall’interno. Una politica di riforme,
quindi, che si delineò nell’Anci attraverso la definizione di nuovi uffici, la collaborazione tra istituzioni, organizzazioni ed uffici elaborati dal movimento comunale e dal movimento dei lavoratori, grazie al concorso di esponenti di rilievo della sinistra riformista socialista e radicale e del movimento cattolico.
3. La nascita della Lega dei comuni socialisti nel 1916
3.1. Il congresso degli amministratori locali socialisti a Bologna: 16-17
gennaio 1916
Il 16 gennaio 1916, nel liceo musicale Rossini di Bologna, dopo i saluti di
rito, intervenne il segretario del Psi Costantino Lazzari che mise in risalto come la concreta opera svolta nei comuni avesse smentito il “vecchio ritornello
68
L’organizzazione, presieduta da un tecnico di grande fama come Arrigo Serpieri, sopravvisse anche alla scomparsa dell’Anci e continuò nella propria azione in favore dei comuni montani fino allo scioglimento voluto dal fascismo nel 1936. Rifondato nel 1946 come ente parastatale per volontà del Ministero dell’agricoltura, ormai senza più alcun legame con i comuni,
venne sciolto nel 1965; cfr. Oscar Gaspari, Il segretariato per la montagna (1919-1965). Ruini,
Serpieri e Sturzo per la bonifica d’alta quota, Comitato consultivo montagna, Presidenza del
consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1994. Sull’evoluzione normativa dell’ente, soppresso con D.P.R. del 31 mar. 1965 (GU 149/1965), cfr. Gli Enti pubblici italiani. Anagrafe, legislazione e giurisprudenza dal 1861 al 1970, introduzione di Alberto Mortara, Ciriec, Milano, Franco Angeli, 1972, p. 883.
69
Il compito dell’ente era quello di “assumere in sostituzione e nell’interesse degli Enti locali l’esecuzione delle opere pubbliche di competenza dei Comuni e dei Consorzi e portar loro, se richiesta, assistenza nei lavori da essi intrapresi”; Sala XLIII. Associazione dei comuni italiani, in Prima mostra italiana di attività municipale, Vercelli MCMXXIV. Catalogo generale con
50 illustrazioni, Milano, 1924, p. 308. L’Istituto, soggetto a vari riordinamenti legislativi ed infine commissariato, venne soppresso con D.M. del 12 dic. 1941 (G.U. n. 89/1941), cfr. Gli
Enti pubblici italiani…, cit. pp. 748-9.
32
PARTE I
[...] che nei comuni non si fa politica”dimostrando che era possibile fare nei comuni “la nostra politica: la politica socialista”. La prima relazione fu di Caldara, Riforma tributaria e finanze locali nella quale l’avvocato riformista sottolineò
come il peso eccessivo della tassazione statale rendeva praticamente impossibile ai comuni qualsiasi ulteriore imposizione. Proprio quando era più intensa
l’opera di assistenza in favore dei cittadini la più importante risorsa finanziaria
comunale, il dazio consumo, si era andata riducendo per il calo dei consumi
della popolazione: i proventi del dazio, affermava Caldara, erano scesi da 19 a
14 milioni. Da qui la proposta di lasciare al Governo le imposte personali e di
affidare ai comuni quelle relative ai beni immobili. Intanto, continuava il sindaco, allo Stato non si dovevano chiedere favori ma mezzi per governare e se i
mezzi disponibili fossero stati insufficienti, non ci si sarebbe dovuti fermare
nemmeno di fronte alla possibilità di emettere nuova carta moneta70.
Alla relazione di Caldara succedeva un dibattito molto interessante nel corso del quale ebbe modo di mettersi in luce Giacomo Matteotti che, in primo
luogo, si dichiarava contrario al criterio di coprire i disavanzi con debiti. Con
il suo intervento l’esponente socialista poneva la questione dei piccoli comuni,
la maggioranza nel Paese e quelli nei quali viveva gran parte della popolazione
nazionale. La relazione del notissimo sindaco di Milano, sosteneva implicitamente il socialista polesano, si basava sostanzialmente sulle necessità di un
grande comune. Matteotti non chiedeva misure eccezionali come l’emissione di
carta moneta, ma il sostegno del Psi a proposte meno impegnative ma adeguate
alle necessità di bilancio dei piccoli comuni che lui ben conosceva come amministratore e come sindaco. Chiedeva, ad esempio, che una percentuale dei
prestiti di guerra ottenuti dallo Stato venisse destinata ai comuni, chiedeva l’abolizione del limite della sovrimposta fondiaria e sui fabbricati: “i comuni devono essere liberi di gravare di più dove lo credono possibile”; chiedeva l’aumento delle tasse per esercizi commerciali e rivendite. Infine, pur associandosi
alla richiesta di Antonio Graziadei affinché che lo Stato avocasse a sé spese che
gravavano sui comuni, esigeva però che a questi ultimi rimanessero le spese per
la scuola71. In questa richiesta il socialista Matteotti – naturalmente senza richiamarsi al leader popolare - coincideva perfettamente con il cattolico Sturzo,
anch’egli contrario ad affidare lo Stato l’istruzione elementare72.
Il risultato dello scontro delle due diverse concezioni della finanza locale era
un voto finale dell’assemblea nel quale alle richieste per la complessiva riforma
della finanza locale e della politica finanziaria nazionale seguivano le proposte
avanzate da Matteotti specificamente per i piccoli comuni73.
Il congresso discuteva, quindi, la relazione sulla Politica dei consumi di Fran70
Direzione del Partito socialista italiano, II Congresso nazionale delle amministrazioni comunali e provinciali socialiste Bologna 16-17 gennaio 1916. Resoconto stenografico, Biella, Tipografia Cooperativa Biellese, 1916, pp. 13-4; 22-9.
71
Ivi, pp. 32-7.
72
Sturzo sostenne questa posizione, come posizione ufficiale dell’Anci, nel XII congresso di
Milano svoltosi nel gennaio 1913; Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., pp. 167-171.
73
Le finanze locali e la riforma tributaria, “Avanti!”, 17 gen. 1916, pp. 1-2.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
33
cesco Zanardi, sindaco di Bologna il quale, come si vedrà oltre, proprio sul
fronte del sostegno ai consumi stava realizzando un’esperienza di grande importanza. Nel dibattito vennero proposte misure di sostegno ai consumi, tra le
quali anche l’abolizione dei dazi comunali che, pur costituendo la principale risorsa finanziaria dei municipi, gravavano sulla popolazione e frenavano il commercio. Vennero poi presentate misure per favorire acquisti collettivi, la costituzione di spacci cooperativi e comunali, aziende municipalizzate e proposte di
cooperazione. Nel voto approvato dall’assemblea venne suggerita l’istituzione
di un Consiglio superiore dei consumi a livello nazionale, la limitazione dei
prezzi, la produzione e distribuzione diretta ai cittadini di prodotti di vario tipo da parte dei comuni, la promozione di associazioni di consumatori, l’affidamento alla provincia compiti di produzione e distribuzione che i comuni
non erano in grado svolgere74.
Il giorno successivo, il 17 gennaio, l’assemblea affrontava il tema dell’occupazione. I comuni avrebbero dovuto promuovere “casse di disoccupazione”, uffici di collocamento, avviare lavori comunali, anche affidandoli a cooperative di
lavoro; venne approvato anche un emendamento di Alessandro Schiavi per la
nazionalizzazione delle forze idrauliche75. Viste le gravi difficoltà dei comuni socialisti nell’avere finanziamenti dalla Cassa depositi e prestiti, aggravatesi per
via della guerra, venne deciso di incaricare un’apposita commissione, nominata dalla direzione del Psi, per studiare la realizzazione di un’“Istituto nazionale
per il credito agli enti locali”76. Vennero rivolte aspre critiche all’attività di
Giunte provinciali amministrative e prefetti che ostacolavano l’azione dei comuni socialisti77; venne ricordata la presenza socialista nelle amministrazioni
del Sud, dove: “Un manipolo di compagni resiste da anni con fermezza ed ardore nelle poche disperse amministrazioni vessate da prefetti e da delegati, ad
essi occorre il doveroso sussidio dei nostri deputati e di tutto il partito”78. Per
quanto riguarda l’attività di assistenza e beneficenza venne dichiarato compito
essenziale dei comuni l’aiuto e la tutela delle vittime della guerra, anche attraverso la costituzione di un ufficio medico legale per i diritti delle vittime79.
3.2. Il distacco degli amministratori socialisti dall’Anci
Il congresso affrontò anche il problema del rapporto tra socialisti ed Anci e
la possibilità di costituire un’autonoma organizzazione di comuni e province.
L’idea di un’organizzazione dei comuni socialisti, come si è visto, maturava da
anni nel movimento comunale italiano, ma nei tempi di questa decisione furono decisivi alcuni importanti eventi nazionali ed internazionali. Nelle elezioni
La politica dei consumi, “Avanti!”, 17 gen. 1916, p. 2.
La ripresa economica dopo la guerra, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.1.
76
Il credito agli enti locali, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.1.
77
L’autonomia comunale, “Avanti!”, 18 gen. 1916, pp.1-2.
78
Per il mezzogiorno d’Italia, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.2.
79
Gli ultimi argomenti trattati dal congresso, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p. 2.
74
75
34
PARTE I
amministrative del 1914, le prime dopo la riforma del 1912 che aveva concesso il suffragio universale maschile, si accrebbe il contrasto tra i socialisti e i cattolici, alleati con i liberali attraverso il patto Gentiloni. I socialisti conquistarono la maggioranza a Milano e Bologna, mentre i cattolici avanzarono a Roma,
Genova, Torino, Ancona, Napoli, Firenze. La prevalenza delle tendenze massimaliste su quelle rappresentate dai riformisti avvenuta nel XIV congresso del
Psi - che si svolse ad Ancona il 26-29 aprile 1914 - veniva rafforzata ulteriormente dallo scoppio del primo conflitto mondiale. L’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915 approfondì, fino a renderla insanabile, la frattura tra i socialisti, in
maggioranza contrari alla guerra, e le altre formazioni politiche.
3.2.1. I socialisti e la questione dei rapporti con lo Stato
Fu l’anno seguente, nel 1916, che i consiglieri comunali e provinciali socialisti tennero a Bologna il proprio congresso. Secondo Corghi l’appuntamento
di Bologna venne promosso: “per creare un organismo di lotta dopo che l’Associazione dei comuni era ormai saldamente ancorata a Sturzo”80. La realtà è
che l’ipotesi della scissione non era prioritaria, almeno in un primo tempo, e
specialmente per i riformisti. Questi parevano sostenere piuttosto l’idea che il
partito, dopo il successo elettorale, dovesse intraprendere un’azione più decisa,
ma senza rotture traumatiche. Nell’interpretazione di Carlo Treves con il congresso di Bologna si riprendeva da capo un tentativo che, con l’Anci, era abortito fin dall’inizio, la rivoluzione dei sindaci, la rivoluzione delle riforme:
“Una volta a noi venne fatto di scrivere, e quel pensiero ci torna sempre alla
mente, che la rivoluzione in Italia l’avrebbero un dì fatta i sindaci. Era il tempo della fondazione, per opera dell’on. Mussi, della Lega dei Comuni […] Ma
la Lega dal suono bellicoso si è trasformata in una pacifica Associazione dei comuni. E i sindaci della rivoluzione si trovano a convegno non a Legnano ma a
Bologna. La rivoluzione che essi agitano è la riforma. Date ai Comuni un ubi
consistam finanziario così solido e autonomo, che renda sicura la loro vita, la
sottragga alla inquieta fluttuazione dei redditi nel vertiginoso vortice delle vicende interne ed esterne al comune […] le masse si stringono intorno al Comune come ad un prolungamento del compiuto sistema delle proprie organizzazioni. Ecco il fatto rivoluzionario se l’azione è riformista, è legale […] Ecco
infatti il Comune integratore dei Sindacati nella lotta per la resistenza, per il salario elevato […] Ecco infatti il Comune integratore delle Cooperative nella
lotta per la vita a buon mercato […] Bononia docet. Il nostro Zanardi illustra
con la predica savia dell’esempio”81.
Scriveva Zibordi da parte sua commentando il congresso:
“Quando lo Stato borghese fa la ‘politica della civiltà’, cura le scuole, i lavori,
Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3). La fondazione della Lega dei comuni socialisti, CdP, apr. 1984, p. 10073.
81
Carlo Treves, Stato e comune (Per il convegno amministrativo di Bologna), “Critica sociale”,
16-31 gen. 1916, pp. 17-9.
80
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
35
la produzione, allora gli atteggiamenti e i rapporti del Partito socialista e degli
Amministratori socialisti, rispetto ad esso, non possono essere logicamente gli
stessi che si assumono quando lo Stato fa la politica della guerra. È esso che si
stacca da noi, più che non siamo noi a staccarci da esso”82.
Ma, proseguiva Zibordi, l’opposizione allo Stato, lo Stato della “politica della guerra”, non voleva dire “sdegnosa secessione sull’Aventino”, lo stesso valeva
anche per l’Anci, che non poteva essere abbandonata per un malinteso sentimento di repulsione, senza prima aver ben chiaro cosa fare:
“Questi rilievi su una psicologia palesatasi anche in questo campo dei rapporti fra Comuni socialisti e Stato borghese[…] mi vengono suggeriti da quel
movimento, iniziatosi a Bologna per invito della Direzione del partito, e propagatosi poi in molti luoghi, con una febbre, con una vera voluttà di intransigenza, di resezione chirurgica, di taglio violento col passato, per la formazione
di una Lega dei comuni socialisti – sacrosantissima e utilissima cosa - e per la
uscita in massa dalla Associazione dei Comuni, come se fosse una città infetta da
colera, un postribolo di coscienze, un luogo di perdizione e di vizio! Fosse pure, tale Associazione, una cosa superflua e anodina, è del pari superfluo questo
eccesso di indignazione, e questa fretta repentina di uscirne”83.
3.2.2. Il dibattito tra riformisti e massimalisti e l’uscita dall’Anci
La vittoria dei socialisti nelle elezioni locali ed il successo delle posizioni
massimaliste al congresso di Ancona aveva dato forza sia alle posizioni dei riformisti, ben radicati negli enti locali, sia a quelle dei massimalisti, più forti nel
partito, che chiedevano una decisa politica antistatale dei comuni socialisti.
Paradossalmente, la Lega dei comuni socialisti nasceva sulla base di due esigenze totalmente distinte: quella dei riformisti di rafforzare l’autonomia dei comuni socialisti, che amministravano in nome dei bisogni della classe operaia e
dei cittadini più deboli collaborando con le istituzioni nazionali, e quella dei
massimalisti che, in ossequio al mito della rivoluzione, si opponevano a qualsiasi apertura e collaborazione.
Entrambe le posizioni potevano affermare di fare riferimento alla politica
socialista per gli enti locali elaborata a partire dal programma di Andrea Costa,
che prevedeva sia un’amministrazione volta al vantaggio delle classi popolari ed
alla promozione dell’autonomia comunale, sia l’impegno nella lotta contro lo
Stato liberale. Di fatto, però, nella concreta elaborazione di quel programma
era stata indubbiamente privilegiata la prima parte, e non poteva essere altrimenti, pena lo scioglimento del consiglio, come ben sapevano da tempo i sindaci socialisti. Così era stato nelle più importanti amministrazioni comunali a
partecipazione socialista nel periodo giolittiano, come nel caso di quella del sindaco radicale di Roma, Nathan, dove era stato assessore Montemartini, esper82
Giovanni Zibordi, Moto centrifugo e centripeto nelle necessità della situazione di guerra, e
nell’atmosfera di intransigenza da essa creata, “Critica sociale”, 1-15 mag. 1916, pp. 133-4.
83
Ibidem
36
PARTE I
to della “municipalizzazione industriale [che] rappresenta una fase della secolare lotta tra la classe dei produttori e la classe dei consumatori”84, come in quelle a maggioranza socialista che stavano amministrando proprio in quegli stessi
giorni a Milano e a Bologna.
È stato Punzo, nella sua storia dell’amministrazione socialista di Milano del
sindaco Caldara ad interpretare per primo la successione degli avvenimenti
che diede origine alla costituzione della Lega85. La proposta di indire un convegno nazionale dei comuni socialisti era scaturita nel corso di una riunione
delle amministrazioni socialiste della provincia di Milano svoltasi a Monza il
3 ottobre 1915, a seguito della quale la direzione del Psi deliberò la convocazione di una commissione di sindaci socialisti diretta alla preparazione di
un’assemblea di tutte le amministrazioni socialiste “allo scopo di rendere più
omogenea l’azione comunale del Partito, inspirata a carattere socialista e classista”86.
Nella sua ricerca Punzo ha sottolineato fortemente il carattere riformista
del convegno di Bologna e, in effetti, dall’andamento del dibattito, risulta
evidente che l’ostilità nutrita da gran parte degli amministratori rispetto all’Anci di Sturzo travolse, letteralmente, l’impostazione data dalla relazione
dei fratelli Marangoni alla questione dell’organizzazione autonoma dei comuni socialisti discussa il 17 gennaio. La relazione di Cesare e Guido Marangoni su Organi e mezzi per fornire ai corpi locali amministrati dai socialisti
una consulenza tecnica e politica, sostanzialmente moderata nella sostanza,
presentava un dettagliato progetto87 di costituzione di una “Federazione dei
comuni e delle provincie socialiste”, per “le grandi città [che] hanno dei bisogni che sono sconosciuti ai piccoli comuni; [e per] i comuni di campagna
[che] hanno esigenze che non sono dei comuni di città”88. A questa si contrappose, nel corso del relativo dibattito, un ordine del giorno di Attilio Lolli che recava: “Il congresso costituendo la Federazione dei comuni socialisti,
dichiara che i comuni stessi dovranno uscire dall’attuale Associazione dei comuni italiani”.
Il voto di Lolli venne approvato dopo un dibattito nel quale venne aspramente contestato il comportamento tenuto dal sindaco di Milano Caldara nei
primi mesi della guerra, vennero fatti duri commenti sull’Anci e deciso il camMontemartini, La municipalizzazione dei publici servigi..., cit., p. 92.
Punzo, La giunta Caldara…, cit., pp. 164-7.
86
Alberto Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra, Milano, A. Mondadori, 1926, pp.
90-1. Secondo Chiaramonte l’idea del convegno sarebbe venuta a seguito di un altro congresso di amministratori socialisti, quelli della provincia di Reggio Emilia, Il Convegno degli amministratori socialisti a Reggio Emilia, “Avanti!”, 30 nov. 1915, Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., pp. 195-6. L’ipotesi che il convegno di Milano sia il vero precursore del successivo
convegno di Bologna è però avvalorata sia dal fatto che questo precede l’incontro di Reggio
Emilia (3 ottobre rispetto al 28 novembre), sia che sia stata sostenuta per primo da Malatesta
nel 1926.
87
La relazione, infatti, suggeriva l’articolazione interna della Federazione e l’ammontare delle quote associative.
88
Direzione del Partito socialista italiano, II Congresso nazionale delle amministrazioni comunali e provinciali socialiste..., cit., pp. 253-9.
84
85
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
37
biamento del nome della nuova organizzazione da Federazione a Lega dei comuni socialisti89.
L’ostilità manifestata dal congresso di Bologna verso l’Anci venne poi sfruttata dalla direzione del Psi per mettere in difficoltà i riformisti presenti al vertice dell’Associazione con la richiesta ufficiale dell’abbandono repentino da parte delle amministrazioni socialiste, fatta in gennaio, in vista dell’adesione alla
Lega90, che sarebbe stata fondata nel marzo successivo.
3.2.3. La risposta dell’Anci
Il 21 febbraio, ad circa un mese dal voto della direzione del Psi a Bologna,
il consiglio direttivo dell’Anci, riunito a Milano, con la partecipazione della
componente socialista al completo91, discuteva e votava un ordine nel giorno
che così si concludeva:
“all’infuori di ogni contingenza politica l’Associazione deve continuare a svolgere il proprio programma sulla base del proprio statuto, facendo appello come
per il passato all’adesione di tutti i Comuni e affidamento sulla collaborazione
di tutti gli uomini che ne abbiano temporaneamente il governo: convinta di
compiere in tal modo operazione utile alla rivendicazione e alla protezione del
‘diritto comunale’ nell’interesse di tutti i partiti”92.
3.2.4. Caldara: Anci e Lega due organizzazioni con vocazioni diverse e un
obiettivo comune
Caldara, dal 1914 primo sindaco socialista di Milano e dal 1901 segretario
dell’Anci, difese l’Associazione dei comuni. Il giorno seguente alla sua partecipazione al consiglio direttivo di Milano - una presenza per altro stigmatizzata
89
Lolli, illustrando la sua proposta di voto affermava, tra l’altro, “ci siamo imbrancati in
mezzo ad una associazione nella quale fanno il bello e il brutto tempo uomini come don Sturzo, come Meda ed i più emeriti rappresentanti del conservatorismo italiano”, chiedeva che la
nuova associazione si chiamasse “Lega dei comuni socialisti e [di] uscire in massa dall’attuale
Associazione dei comuni italiani”. Cesare Marangoni, rispondendo a Lolli, si dichiarava “in
principio d’accordo, ma [la scelta] mi sembra pericolosa a priori” per gli impegni presi dai comuni con l’Anci e “oltre che pericoloso potrebbe anche essere poco simpatico uscire così ex
abrupto”, dichiarava quindi preferibile rimandare la decisione alla Federazione dei comuni socialisti, o ad un referendum da indire tra gli stessi comuni. Rispetto all’inopportunità dell’uscita dall’Anci, l’altro relatore, Guido Marangoni ricordava che Caldara era vicepresidente dell’Associazione e Sichel era membro del consiglio direttivo; ivi, pp. 259-273.
90
La direzione del partito riunita a Bologna, “Avanti!”, 21 gen. 1916; Malatesta, I socialisti
italiani…, cit., pp. 95-6
91
Con Caldara, faceva parte della minoranza socialista presente nel consiglio direttivo dell’Anci nominato a seguito del XIII congresso svoltosi a Roma nel 1915, oltre ai citati Giulio Casalini deputato e consigliere comunale a Torino; Luigi Sabatini, sindaco di Albano laziale e Tullio
Zanella, sindaco di Verona; anche Adelmo Sichel, deputato e assessore comunale a Guastalla.
92
Associazione dei comuni italiani. La riunione del consiglio direttivo in Milano 21-22 febbraio
1916, AC, n. 2, 29 feb. 1916, p.1.
38
PARTE I
dall”Avanti!” che pure aveva deciso di riportare la delibera93 - Caldara espresse
la necessità di discutere la deliberazione del Partito, ricordando la diversa natura delle due organizzazioni, “una con determinati fini politici [la Lega], l’altra
come strumento tecnico di difesa e di studio [l’Anci]”, ricordando - o forse meglio rivendicando – la propria qualità di vicepresidente dell’Anci e l’opera che
da quindici anni prestava nell’organizzazione. Un’organizzazione che, tra l’altro, avrebbe dovuto lasciare proprio all’indomani della sentenza del Consiglio
di Stato che radiava dal bilancio comunale milanese il contributo all’Anci94.
Il giorno dopo la pubblicazione della lettera di Caldara il quotidiano del Psi
pubblicava la notizia che la giunta comunale di Bologna, guidata da Zanardi,
aveva votato l’abbandono dell’Anci95. La presa di posizione della giunta bolognese bilanciava ne l’“Avanti!” le ragioni del riformista Caldara ma, diversamente da quella che sosteneva il sindaco di Milano, la maggioranza il sindaco
di Bologna era massimalista96 e molto probailmente quel voto non rispecchiava la posizione politica del primo cittadino della città felsinea.
Una successiva circolare della direzione firmata dal segretario Costantino
Lazzari ricordò, nuovamente, a tutti i sindaci socialisti l’obbligo di uscire dall’Anci e di iscriversi alla Lega97. Secondo Punzo si trattava di una scelta formalmente conforme alle proposte presentate dai riformisti ad Ancona, di fatto aveva un significato contrario:
“Non si poteva negare, in effetti, una coerenza esteriore tra questa decisione e
quella adottata due anni prima al congresso nazionale di Ancona, quando era
stata deliberata, su proposta di Caldara, la tattica intransigente nelle elezioni amministrative. Si trattava però, palesemente, di due modi diversi ed anzi antitetici di concepire il principio dell’intransigenza, inteso da alcuni [i riformisti] come autonomia del partito socialista da ogni gruppo politico, senza però escludere convergenze e collaborazioni; da altri [i massimalisti] come netta chiusura
ad ogni dialogo e come netta contrapposizione a tutti gli altri partiti”98.
L’uscita dall’Anci dei comuni socialisti adempiva alla volontà espressa dagli
amministratori socialisti a Bologna99, ma non impedì la collaborazione tra la Lega e l’Anci. Come dimostrava il discorso sulle finanze comunali del deputato
Adelmo Sichel alla Camera, pubblicato con un certo rilievo nel numero del dicembre 1915 dalla rivista dell’Anci. Nell’intervento parlamentare l’esponente riL’Associazione dei comuni e il congresso socialista di Bologna, “Avanti!”, 22 feb. 1916.
Associazione o Lega dei comuni? Una lettera di Emilio Caldara, “Avanti!”, 23 feb. 1916.
95
La giunta municipale di Bologna e l’Associazione dei Comuni, “Avanti!”, 24 feb. 1916.
96
Paola Furlan, L’amministrazione socialista Zanardi a Bologna, in Maurizio Degl’Innocenti (a cura di), Le sinistre e il governo locale in Europa dalla fine dell’800 alla seconda guerra mondiale, Pisa, Nistri-Lischi, 1984, pp. 134-145. Sulla sindacatura di Zanardi cfr. Nazario Sauro
Onofri, La grande guerra nella città rossa. Socialismo e reazione a Bologna dal 1914 al 1918, Milano, Edizioni Del Gallo, 1966.
97
La Lega dei comuni socialisti, “Avanti!”, 13 mar. 1916.
98
Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 165.
99
Diversamente da quello che sostiene Punzo, secondo il quale era stata la direzione del Psi
“interpretando per altro un voto espresso dallo stesso congresso” a decidere la scissione dall’Anci; ibidem.
93
94
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
39
formista dichiarava che le sue affermazioni non erano eco della volontà delle sole amministrazioni socialiste ma di tutti i comuni e, a tale proposito, presentava
un ordine del giorno “d’accordo con i miei colleghi del Consiglio direttivo della Lega dei Comuni, insieme col collega Meda, che mi ha ceduto l’incarico”100.
Era evidente, comunque, che la nascita della Lega nei termini in cui fu decisa a Bologna – nonostante le accelerazioni imposte dalla direzione del Psi, sottolineate da Punzo - incontrò il plauso di molti amministratori che ormai da anni non si riconoscevano nell’Anci, quegli stessi che avevano votato a Bologna la
mozione Lolli. Esemplare, a questo proposito, il caso di Sesto Fiorentino narrato da Ragionieri. Il consiglio comunale a maggioranza socialista della cittadina
votava il distacco dall’Anci nel 1905, anno di inizio della svolta moderata dell’organizzazione, perché “non dà alcun affidamento di poter conseguire lo scopo pel quale venne costituita”, e fino alla costituzione della Lega, nel 1916, non
fece più parte di alcuna associazione nazionale101. Secondo i dati dell’Anci erano
circa 300 i municipi che abbandonarono l’organizzazione, soprattutto del nord,
tra questi i più importanti erano Milano, Bologna, Alessandria e Monza102.
3.3. Statuto e rivista della Lega
Il 23 maggio 1916 la direzione del Psi ed il Comitato direttivo della Lega
approvarono lo statuto della Lega dei comuni socialisti. Lo statuto, quindi, non
venne votato in un congresso di amministratori ma dalla dirigenza del Psi, quasi a sottolineare l’esistenza di quella subordinazione ai vertici nazionali del partito, quella “tendenza [….] statalista”103 criticata da Zibordi nel 1910. Per quanto riguarda il funzionamento, organo dirigente della Lega era la Commissione
esecutiva, di cinque membri, composta dal segretario dell’organizzazione e da
altri quattro eletti nel seno del Comitato direttivo. La Commissione, almeno
fino a tutto il 1918, era composta da Antonino Campanozzi, segretario; Costantino Lazzari, per la direzione del Psi; Giovanni Merloni, per il gruppo parlamentare socialista; Luigi Sabatini, sindaco di Albano laziale, rappresentante
dei piccoli comuni; Francesco Zanardi, sindaco di Bologna. La Lega aveva sede a Roma in via del Seminario 87104, l’organo ufficiale era il mensile “Il comune moderno”, una delle migliori riviste di amministrazione locale del primo
‘900, dove “con maggiore coerenza”, scrive Lucarini, “si faceva prassi quotidiaIl discorso dell’on. Sichel sulle finanze comunali, AC, n. 12, 31 dic. 1915.
Archivio comunale di Sesto Fiorentino, Atti del consiglio comunale, vol. 79, p. 332; citato da Ernesto Ragionieri, Un comune socialista: Sesto Fiorentino, Roma, Editori Riuniti, 1953,
pp. 134-5.
102
L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana sociale” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 3.
103
Zibordi, Primavera di vita municipale…, cit. Chiaramonte sottolinea molto polemicamente la circostanza; Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., p. 210.
104
Statuto della Lega dei comuni socialisti, “Almanacco socialista italiano 1917”, Antonino
Campanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega dei comuni socialisti, idem 1918, pp. 211-7;
L’Assemblea generale delle amministrazioni socialiste, idem 1919, pp. 263-270.
100
101
40
PARTE I
na l’idea […] di una stretta collaborazione tra le fasce più motivate della burocrazia, gli amministratori elettivi e i detentori di ‘saperi’ specialistici che aveva
animato le redazioni delle riviste locali a partire dalla fine dell’Ottocento”105. La
notizia che il foglio era divenuto organo ufficiale della Lega venne però pubblicata solo nel dicembre 1920106:
“La rivista sta per subire una profonda trasformazione, che le permetterà di assolvere il compito per cui era stata creata […] diverrà l’organo ufficiale, la rivista
tecnica della Lega dei comuni socialisti, che ha assunto grande importanza, dopo
le elezioni amministrative e la conquista di circa un terzo dei comuni italiani”. La
pubblicazione, ci teneva a ricordarlo l’editoriale, sarebbe rimasta sostanzialmente
la stessa, ma “Arricchita di elementi valorosi, la nostra redazione potrà dare una
idea davvero compiuta di quello che è il movimento comunale in Italia e fuori”107.
Per quanto riguarda l’attività, il secondo articolo dello Statuto della Lega recitava:
“Scopo della Lega è quello di coordinare le funzioni amministrative e politiche
del partito socialista in seno alle province, ai comuni e a tutti gli enti pubblici,
per promuoverne ed unificarne l’azione; di organizzare una efficace ed attiva consulenza tecnica, legale ed amministrativa, di facilitare i rapporti e di difendere gli
interessi degli enti pubblici locali di fronte agli enti tutori locali e centrali”108.
Se la “consulenza tecnica, legale ed amministrativa” e la difesa degli interessi
“degli enti pubblici locali di fronte agli enti tutori locali e centrali” erano comuni all’Anci, quello che differenziava fondamentalmente le due organizzazioni era
la qualificazione politica della Lega e la subordinazione al partito, rispetto ad
un’Associazione che era stata costituita a Parma sulla base di una sostanziale neutralità politica per favorire l’adesione del maggior numero possibile di comuni.
3.3.1. Le critiche di Sturzo ed il dolore di Caldara
Nelle pagine della rivista dell’Anci la scissione venne condannata senza appello
dal vicepresidente Sturzo secondo il quale la decisione era dovuta a motivi del tutto interni al Psi che niente avevano a che vedere con l’attività dell’Associazione:
Lucarini, Scienze comunali e pratiche di governo in Italia…, cit., p. 239.
La collaborazione del periodico con la Lega risaliva però al 1916, quando entravano nella redazione Merloni e Campanozzi esponenti dell’organizzazione socialista e animatori della
rivista “Politica e finanza locale” che si fondeva con “Il comune moderno”; Giulio Casalini, Novità in famiglia, “Il comune moderno”, (Icm), lug.-ago. 1916, p. 193; Lucarini, Scienze comunali e pratiche di governo in Italia…, cit., p. 237.
107
“Il comune moderno” nel 1921. La nostra trasformazione, Icm, ott.-nov. 1920, pp. 293-4;
dal gennaio 1921 la rivista venne pubblicata dalla Società editrice dell’ “Avanti!”.
108
Il Comitato direttivo, ai sensi dell’art. 4, era composto: “di due membri rappresentanti i consigli provinciali; di due rappresentanti i comuni di non oltre 5.000 abitanti; di due rappresentanti
i comuni fra i 5.000 e i 25.000 abitanti; di due rappresentanti i comuni fra i 25.000 e i 100.000
abitanti; di un rappresentanti per ognuno dei comuni di oltre 100.000 abitanti; di un rappresentante del gruppo parlamentare socialista; di un rappresentante della Direzione del partito socialista
italiano”; Statuto della Lega dei comuni socialisti, “Almanacco socialista italiano 1917”, pp. 151-4,
ora in Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3)…, cit., p. 10075.
105
106
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
41
“Mai si sono accennati irriducibili dissensi interni e tutta l’opera svolta fin qui
è stata sempre ottenuta con la collaborazione intiera di tutti i partiti. I socialisti sono dunque stati indotti a staccarsi unicamente per un criterio di parte […,
la Lega] non mancherà di voti e di memoriali: e per fare più e meglio dell’Associazione dei comuni, userà paroloni più grossi e tinte più calde. Ma quanto
alla resistenza sarà bene vedere fin dove le amministrazioni comunali socialiste
potranno fare a meno della Legge e delle Prefetture, e fin dove vorranno provocare le crisi municipali per protesta e per lotta […] L’idea delle libertà comunali deve farsi strada penetrando nella coscienza civile del Paese, non con la
voce tronfia del comizio, né con l’ubriacatura della rivolta, ma col perseverante lavoro intellettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elettori e studiosi”109.
Caldara non poté fare a meno di manifestare il proprio dolore per la rottura con un’organizzazione che aveva contribuito a formare e nella quale aveva lavorato per 14 anni come segretario e per un anno come vicepresidente. Nella
conclusione della sua lettera d’addio pubblicata su “L’autonomia comunale”
sottolineava il tentativo suo e dei colleghi riformisti affinché l’appartenenza alla Lega non fosse incompatibile con quella all’Anci e, nonostante l’insuccesso,
ribadiva l’idea di un’azione unitaria di Lega ed Anci rispetto alle materie più
importanti:
“Coi colleghi Casalini, Sabatini e Zanella ho curato con lealtà ed amore le pratiche intese a rendere compatibile la partecipazione dei Comuni socialisti, tanto alla loro istituenda organizzazione, quanto all’Associazione generale dei comuni italiani, e conseguentemente la nostra permanenza nel consiglio direttivo
di questa […] Mi conforta il pensiero che ancora potremo trovarci accanto, se
urgerà difendere la libertà ed i vitali interessi dei nostri Comuni”110.
Molto simile era la lettera di Sichel che, come Caldara, sperava nella futura
collaborazione tra le due organizzazioni:
“mi auguro che possiamo ancora, dall’una e dall’altra riva, trovarci vicini, per
difendere assieme le libertà e le autonomie comunali”111.
3.3.2. Le interpretazioni della nascita della Lega dei comuni socialisti
Il giudizio sulla nascita della Lega dei comuni socialisti è stato, fino ad oggi, sostanzialmente viziato dalla mancanza di elementi di giudizio. Come si è
visto, la decisione di far nascere la Lega non derivava dalla semplice constatazione di un’eccessiva moderazione dell’Anci, ma era frutto, piuttosto, di una
109
L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana sociale” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 4; nella stessa intervista Sturzo affermava che l’Anci associava circa 3000 comuni.
110
Lettera di Emilio Caldara, datata Milano 14 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31 mag.
1916, p. 1.
111
Lettera di Adelmo Sichel, datata Guastalla, 24 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31
mag. 1916, p. 1
42
PARTE I
decisione politica assunta all’interno del Psi sulla base di opposti intendimenti
di riformisti e massimalisti.
Secondo Bedeschi il congresso di Bologna del 1916 venne voluto dai socialisti “per approntare un adeguato strumento di lotta dopo che l’Associazione
dei comuni era passata ormai nelle mani dei cattolici guidati da Sturzo”112. Gabriele De Rosa, storico del movimento cattolico e biografo di Sturzo, il primo
a scrivere della storia dell’Anci, ha in qualche modo giustificato la scissione evidenziando una sorta di affievolimento dell’impulso originario dell’organizzazione: “L’Associazione, conseguito il primo successo sulla più importante rivendicazione della liberazione dei bilanci comunali dalle spese di competenza dello
Stato113, continuò a battersi per altri importanti obiettivi, ma sempre con minore incisività”114.
Sulla base di questa stessa motivazione Michele Lanzetta, in occasione del
sessantesimo anniversario della fondazione dell’Anci avvenuto nel 1961, ha
scritto nella rivista della Lega dei comuni democratici:
“i socialisti divennero polemici verso la Associazione Comuni Italiani sino ad
opporle, come proprio organismo di lotta, la Lega dei comuni socialisti, non
per intransigenza massimalistica […] chiedevano soltanto che l’Associazione
non deviasse dai suoi fini originari, fosse più presente, dinamica ed assumesse
nei confronti dell’autorità tutoria e dei governi un atteggiamento di adeguata
energia, e perciò di lotta per la conquista dell’autonomia comunale; e ciò dopo
che era stato sperimentato invano ogni altro metodo […] Nei suoi 25 anni di
esistenza furono fatti degli studi, anche pregevoli e fu ottenuta qualche riforma; ma nessuno può smentire che i risultati della sua azione – d’ordine eminentemente tecnico mentre il problema delle autonomie era eminentemente
politico, e più ristretta e centralizzata che non generale, articolata e periferica furono complessivamente modesti ed inadeguati, come conseguenza di una
condotta, se non sempre di supina remissività, indubbiamente troppo spesso
debole [...] la condotta dell’Associazione, preoccupata di non apparire intransigente e di distinguersi per un suo proprio modo di essere al di fuori e al di sopra della mischia, fu più di remora che non di aiuto rispetto alle campagne sviluppate dalla Lega e dalle varie correnti politiche interessate all’autonomia comunale, compresa quella cattolica”. In sostanza, la vita dell’Anci era “sempre
più lontana dagli scopi fondamentali dei suoi ideatori”115.
Il giudizio di Lanzetta sulla nascita della Lega era chiaro: non erano stati i
socialisti a lasciare l’Anci, era stata piuttosto la maggioranza moderata liberale
e cattolica ad abbandonare i fini originari per i quali l’associazione era stata
creata nel 1901 - su forte impulso della sinistra - obbligando così i socialisti ad
allontanarsi da questa.
Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo…, cit., p. 140.
Il riferimento è alla citata legge 24 marzo 1907, n. 116.
114
Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,
1962, ora in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., p. 19, il corsivo è redazionale.
115
Michele Lanzetta, I sessantanni dell’Anci, “Il comune democratico” (Icd), n. 9, 1961.
112
113
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
43
Un giudizio altrettanto impietoso di quello di Lanzetta sui risultati dell’opera dell’Anci è stato espresso dallo storico Lucarini che, a questo proposito, cita il fatto che in Italia i comuni non erano in grado di finanziare autonomamente le proprie opere pubbliche ma erano costretti a richiedere le somme necessarie dalla Cassa depositi e prestiti previa autorizzazione dello Stato116. Attribuire quasi solo alle colpe dell’Anci la mancanza di incisività delle proprie iniziative e della poca o inesistente autonomia politica, o finanziaria, dei comuni
italiani vuol dire sopravvalutare le possibilità di reale incidenza dell’attività dell’Associazione sul complesso sistema politico-istituzionale nazionale, tradizionalmente centralistico.
Diverso è il caso dell’opera di Umberto Chiaramonte, nella quale le vicende che portarono allo “strappo” della Lega sono ricostruite con minuziosità117.
L’autore segue fin nei dettagli la scissione ma senza avvertire la complessità degli avvenimenti che avevano preceduto e seguito il congresso Bologna del 1916,
gia segnalati da Punzo. Inoltre, preoccupato di dimostrare un inesistente primato dei cattolici in materia di politica locale e facendo propria la condanna
della separazione socialista espressa ufficialmente dalla direzione liberale e cattolica dell’Anci, Chiaramonte non ha registrato la continuità, nei fatti, della
collaborazione tra l’Associazione ed i riformisti testimoniata, per esempio, dal
citato intervento alla Camera del socialista Sichel118. Ma più che di primato dei
cattolici e di imitazione dei socialisti119 sarebbe stato il caso, invece, di registrare la sostanziale convergenza degli uni e degli altri sulla questione fondamentale del diritto all’autonomia dei comuni. Una sostanziale convergenza che aveva
permesso a cattolici e riformisti di collaborare per quindici anni e che avrebbe
permesso ancora ad amministratori e politici delle due parti di lavorare fianco
a fianco nell’interesse del movimento per le autonomie locali.
4. L’attività della Lega nel periodo liberale
4.1. La mobilitazione bellica e i comuni socialisti
Durante gli anni della guerra, la necessità di organizzare lo sforzo bellico
mobilitando tutte le forze disponibili, obbligò il governo nazionale ad appoggiarsi anche ai comuni amministrati dai socialisti i quali si rafforzarono, insieme alla loro Lega. Scrive Bedeschi “Il congelamento dei consigli comunali duFederico Lucarini, Immagini ambivalenti e realtà in movimento. I comuni urbani in Italia
dalla fine dell’Ottocento alla Grande Guerra (1894-1914), in Angelo Varni e Guido Melis (a cura di),L’impiegato allo specchio, Torino, Rosenberg e Sellier, 2002, p. 154 e 174.
117
Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., pp. 193-213.
118
Il discorso dell’on. Sichel sulle finanze comunali, AC, n. 12, 31 dic. 1915.
119
Chiaramonte, per esempio, scrive di imitazione dei socialisti, di dejà vu, tra gli argomenti
discussi a Bologna e quelli elaborati dall’Anci (Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., p. 195 e 199), come se i socialisti che avevano contribuito a fondare l’Associazione e a delinearne la politica per
quindici anni fossero stati semplicemente degli incompetenti capaci solo di ripetere i discorsi
di altri politici.
116
44
PARTE I
rante i quattro anni di guerra permetteva alla Lega non solo di consolidarsi organizzativamente, ma di dimostrarsi uno strumento utilissimo sia come collegamento che come azione unificatrice della politica socialista municipale”120.
In un articolo apparso nella “Critica sociale” del novembre 1916 il segretario, Campanozzi, illustrava i primissimi risultati dell’azione della Lega. Favorita dalla necessità del Governo di mobilitare tutte le istituzioni a sostegno dello
sforzo bellico: “col decreto luogotenenziale del 2 agosto, le principali proposte
della Lega dei comuni vennero accolte […] e furono create la Commissione
centrale, il servizio temporaneo degli approvvigionamenti e le commissioni
consultive provinciali, furono autorizzati gli enti pubblici locali a contribuire al
capitale di fondazione degli enti autonomi per i consumi”. Alla Commissione
centrale per gli approvvigionamenti “che tante speranze aveva suscitato”, vennero chiamati, insieme ai “più genuini rappresentanti degli agrari, degli industriali e dei commercianti, Francesco Zanardi, sindaco di Bologna e membro
autorevole del Comitato della Lega dei comuni socialisti, Antonio Vergnanini,
segretario generale della Lega nazionale delle cooperative e l’on. Carlo Pucci,
per la associazione veterinaria italiana: non come ostaggi naturalmente, del Partito socialista, ma come garanzia della serietà dei propositi che animavano il
Governo”. Il successo dell’attività della Commissione era però molto limitato,
visto che aveva subito promosso ricerche e censimenti ma le misure adottate
non solo non riuscirono a frenare i prezzi, obiettivo fondamentale della Commissione, ma turbarono il mercato121.
Insomma, nello stesso tempo la guerra favorì il coinvolgimento dei comuni
socialisti nella gestione del potere amministrativo dello Stato, ma questo non
dette alcuna garanzia riguardo al successo delle misure da loro proposte:
“L’ostacolo principale è derivato dalle eccezionali condizioni in cui oggi si svolge la vita nazionale in rapporto alle funzioni accentratrici dello Stato, le quali
han trasformato i liberi comuni in organi esecutivi della politica di guerra in
tutti i campi dell’attività locale: per cui si sono andati assottigliando, con l’incremento delle funzioni statali e con lo squilibrio permanente dei bilanci, quei
residui di libertà e di autonomia, che erano il necessario presupposto del formarsi e svilupparsi dell’Associazione”122.
Campanozzi non lo scriveva, ma all’importante Commissione centrale per
gli approvvigionamenti partecipavano oltre alla Lega, anche l’Associazione dei
comuni123 e l’Upi124. Anci, Upi e Lega, parteciparono poi congiuntamente anche ad un altro organismo creato durante il periodo bellico, nel 1918, la Commissione reale per la riforma degli ordinamenti amministrativi e tributari dei
Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo…, cit., p. 141.
Antonino Campanozzi, I problemi economici della guerra al convegno socialista di Roma,
“Critica sociale”, 1-15 nov. 1916, pp. 283-6.
122
Campanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega dei comuni socialisti…, cit., p. 211.
123
Archivio storico comunale di Parma, (ArSCPr), anno 1923, Amministrazione comunale 1, fasc. Diverse, Associazione dei comuni italiani. XIV Congresso Nazionale dei Comuni, Parma 19-20-21 Novembre 1921. Relazione morale e finanziaria Marzo 1915 – Ottobre 1921, Roma, p. 33.
124
Provincie e approvvigionamenti locali, “Rivista delle provincie” (Rdp) set. 1916, pp. 261-4.
120
121
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
45
comuni e delle province125. La Commissione, presieduta dal senatore Raffaele
Perla, contava tra i suoi componenti: per la Lega il sindaco di Bologna, Zanardi; per l’Anci il presidente e i due vicepresidenti, rispettivamente senatore Piero Lucca, Dario Franco e Luigi Sturzo; per l’Upi il presidente ed il segretario,
conte Vettor Giusti del Giardino ed Annibale Gilardoni; e ancora il deputato
Carlo Schanzer, Luigi Einaudi, e vari dirigenti dell’amministrazione centrale
dello Stato, tra i quali Alberto Pironti, direttore generale dell’Amministrazione
civile presso il Ministero dell’interno126. Le organizzazioni del movimento per
le autonomie, quindi, parteciparono a pieno titolo e da protagoniste allo sviluppo della pubblica amministrazione nazionale nel periodo bellico, sottolineata dalla storiografia127, contribuendone alla trasformazione.
4.2. I principali settori di intervento
Per quanto riguarda le attività di tipo tecnico-amministrativo, oltre a partecipare a Commissioni governative, la Lega promosse, nel 1917, specifiche attività di studio al proprio interno affidate ad apposite Commissioni speciali con
funzioni di supporto all’attività del Comitato esecutivo:
- per la politica tributaria, a cui parteciparono, Caldara, Matteotti, Graziadei,
Sichel, Merloni;
- per la politica dei consumi, con Zanardi, Vergnanini, Ernesto Pistoja, Enrico
Dugoni, Giuseppe Pucci;
- per la politica scolastica; con Virgilio Broccoli, Augusto Mammucari, Giuseppe Soglia;
- per la politica agraria, con Massimo Samoggia, Luigi Montemartini, Mario
Casalini, Luigi Sabatini, Giuseppe Parpagnoli;
- per l’assistenza e beneficenza, con Cesare Marangoni, Luigi Minguzzi, Francesco Betti, Fabrizio Maffi, Francesco Panizzi;
- per l’assistenza sanitaria e igienica, con Giulio Casalini, Umberto Brunelli e
Giuseppe Portalupi;
- per lo studio delle riforme concernenti le province, composta dai presidenti delle deputazioni provinciali di Ferrara, Aroldo Angelini; di Bologna, Guadagnino; di Mantova, Menotti Luppi; di Reggio Emilia, Mazzoli e, inoltre,
Claudio Treves;
- per la difesa dell’autonomia degli enti locali, con Filippo Turati, Caldara,
Emanuele Modigliani, Sichel e Campanozzi;
Per la politica del lavoro funzionava da Commissione speciale il Comitato esecutivo della Lega riunito con il Comitato esecutivo della Confederazione del lavoro. La Lega istituì anche un Ufficio di consulenza amministrativa e legale per gli
enti locali di cui fecero parte il segretario, Campanozzi e vari avvocati romani.
Costituita con il decreto luogotenenziale 18 aprile 1918, n. 511.
L’attività legislativa nei riguardi dei comuni, AC, mar.-mag. 1918, p. 11.
127
Per tutti cfr. Guido Melis, Storia dell’amministrazione italiana 1861-1993, Bologna, Il
Mulino, 1996, pp. 69-277.
125
126
46
PARTE I
L’azione della Lega si sviluppò anche in Parlamento attraverso gli interventi
dei deputati socialisti che promuovevano ed appoggiavano provvedimenti a favore degli enti locali, come quello – già ricordato - che aveva dato vita alla
Commissione centrale per gli approvvigionamenti. Ma l’organizzazione era anche impegnata anche nella preparazione di riunioni con il Gruppo parlamentare e la direzione del Psi, coadiuvate da convegni di sindaci, in materia finanze locali, assistenza e beneficenza, pensioni di guerra, politica scolastica e agraria, assistenza sanitaria ed igiene. Vi era stato anche un “importante colloquio
tra il Comitato esecutivo della Lega e il Ministro dell’interno”. Alcuni specifici
provvedimenti finanziari venivano definiti frutto proprio di questa attività,
quali il decreto luogotenenziale 31 agosto 1916, che istituiva, tra l’altro, il contributo straordinario per l’assistenza civile, e i decreti 21 dicembre 1916 e 26
luglio 1917, che concedevano mutui di favore anche per il finanziamento degli enti autonomi di consumo e per l’indennità di caro-viveri agli impiegati e
salariati degli enti locali:
“provvidenze certamente inadeguate di fronte al fabbisogno dei bilanci comunali; ma che, probabilmente, non sarebbero state in parte o in tutto emanate
senza la vivace e costante pressione dei nostri comuni e della loro Lega”.
Non aveva avuto successo, invece, la proposta di creare un “Istituto nazionale di credito che permettesse agli Enti locali di fronteggiare i bisogni
straordinari e temporanei di cassa, una specie di Banca di Esercizio”. Rispetto all’assistenza, la Lega aveva spinto il gruppo parlamentare socialista
a presentare alla Camera un ordine del giorno per la riforma delle pensioni
di guerra. Il tema era stato oggetto di un convegno il 25 ottobre 1916 tra
la Lega dei comuni, il gruppo parlamentare, la Lega nazionale delle cooperative e la direzione del Psi e alcune delle proposte discusse erano poi state
accolte dal Governo, in particolare quella relativa al riconoscimento dei figli naturali.
Sempre nell’ambito dell’assistenza ai cittadini più poveri, ai proletari, Campanozzi evidenziava che:
“alle insufficienti provvidenze del Governo centrale han supplito, con abbondanza di mezzi e con largo spirito di solidarietà sociale, le nostre singole amministrazioni, grandi e piccole, che furono e sono di esempio e ammaestramento alle amministrazioni borghesi, così nel campo dell’assistenza come in
quello dei consumi”.
In vari campi, nonostante le difficoltà del momento:
“si sono gettate le basi del programma socialista, con studi e deliberati delle
Commissioni speciali”.
L’obiettivo qualificante della Lega, la difesa dei comuni socialisti dagli attacchi delle autorità di governo, era trattato al termine della relazione:
“Aggiungiamo, infine, che parte dell’attività della Lega è stata spesa non infruttuosamente nella difesa politica dei comuni associati, alcuni dei quali –
Genzano, per esempio, Andria, Novara, Monza, ecc. – furono spesso bersaglio
di rappresaglie e di persecuzioni. Sia direttamente sia a mezzo del Segretariato
del Gruppo Parlamentare, la Lega è riuscita, in più casi, a salvaguardare le libertà comunali e ad impedire soprusi e sopraffazioni.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
47
E quando un comune è stato colpito imprevedutamente, come nel caso di
Monza, non ha mancato di levare la sua fiera protesta e di promuovere un’adeguata reazione da parte delle altre amministrazioni socialiste”.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie, nonostante le forti difficoltà di bilancio della Lega, causate dall’ostilità delle prefetture “che nella gran maggioranza dei casi hanno annullato le adesioni e le impostazioni della quota annua
(mentre han lasciato passare adesioni e contributi per la Associazione dei comuni non socialisti)”128, Campanozzi prevedeva, nel 1918, “il più lieto avvenire per questo organismo – la Lega dei Comuni – destinato a trasformarsi, grado a grado, in un vero laboratorio di studi e di esperienze di amministrazione
socialista e in un poderoso strumento per la conquista dei pubblici poteri”129.
4.3. La Lega tra riformismo e massimalismo
Nei fatti, quindi, la Lega dei comuni socialisti proseguì quella politica di
studio, di iniziative progettuali, di pressione politica sul governo, di collaborazione con le organizzazioni del movimento socialista già perseguita dall’Anci e
collaborò con questa - e con l’Upi - proprio come era nelle intenzioni espresse
da Caldara e Sichel al momento dell’uscita dall’Anci.
Quasi a riaffermare queste intenzioni la direzione del Psi riunita a Firenze dal
23 al 27 luglio 1917 votò un ordine del giorno nel quale le amministrazioni locali socialiste venivano invitate a continuare il proprio lavoro: “non per far opera di collaborazione, ma per continuare a difendere, col mezzo del Comune socialista, i diritti e gli interessi del proletariato”130. Il 12 agosto successivo un convegno nazionale degli enti comunali di consumo, approvava la costituzione di
una Federazione degli enti comunali di consumo, “conferendo ad essa veste giuridica per le operazioni commerciali e industriali, estendendo la sua azione a tutta l’Italia con organismi locali, provvedendo lo Stato al suo finanziamento”131.
Ma proprio all’indomani di queste riunioni che riaffermavano l’importanza
dell’opera dei comuni socialisti il segretario del Psi, Lazzari, riprese presso gli
amministratori locali la campagna di intransigenza e di opposizione alla guerra
rivolta, in particolare, contro i riformisti, una campagna avviata nel gennaio
1917 con la richiesta dell’abbandono repentino dell’Anci. Rafforzando la tendenza intransigente negli enti locali la direzione del Psi volle colpire la collaborazione tra gli amministratori socialisti - soprattutto quelli di Milano e Bologna
-, gli altri partiti e le istituzioni, in materia di assistenza alla popolazione proprio nel momento in cui questa rivelava tutta la propria importanza nei durissimi anni della guerra. Scrive ancora Punzo:
128
In realtà lamentale per la cancellazione delle adesioni dei comuni venivano, in quello
stesso periodo, anche dall’Anci, come nel caso dell’eliminazione del contributo di Milano all’Associazione per il 1916, deliberata dal Consiglio di Stato, A proposito di una cancellazione,
AC, n. 2, feb. 1916.
129
Campanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega…, cit., pp. 211-7.
130
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 155.
131
ivi, p. 155-6.
48
PARTE I
“I comuni socialisti avrebbero dovuto adottare […] un’opposizione inflessibile
contro lo sforzo bellico della nazione, capovolgendo la politica svolta fino a
quel momento”132.
Scrive Malatesta: “Ai municipi socialisti la Lega dei Comuni aveva fatto conoscere le deliberazioni prese dalla Direzione del Partito, quando, il 12 [agosto], Costantino Lazzari, segretario del P.S.I., inviava a tutti i sindaci socialisti
una circolare riservata e personale, che venne nelle mani del Governo, e servì
più tardi come uno degli elementi che condussero alla condanna del Lazzari”133.
Nella circolare si chiedeva agli amministratori socialisti di scegliere tra due
misure egualmente dirompenti:
“1) Provocare le destituzioni in massa, mediante una generale ed eguale motivazione politica. Per esempio, non voler più oltre con una illuminata opera
amministrativa contribuire al prolungarsi di una guerra che si era rivelata incapace di risolvere alcuni dei problemi che ha posto, mentre moltiplica i disagi
materiale e morali di tutta la nazione.
2) Rassegnare senza discussione ed eccezioni le dimissioni vostre e degli interi consigli dietro una parola d’ordine”134.
A questa, il 25 settembre, seguiva un’altra circolare nella quale si sollecitava la risposta alla precedente135. L’8 ottobre 1917 il Consiglio dei Ministri varò un decreto
che prevedeva in caso di dimissioni del sindaco e del conseguente scioglimento del
consiglio comunale, il pagamento in solido da parte dello stesso sindaco delle spese che sarebbero state necessarie per la gestione straordinaria del comune136.
La grande maggioranza degli amministratori, anche prima del provvedimento governativo, si espresse contro entrambi i provvedimenti suggeriti137 ma
il decreto bloccò qualsiasi rimanente velleità di mobilitazione. Caldara, da parte sua, in aperto contrasto con la politica promossa dalla direzione del proprio
partito, in una lettera inviata alla Lega il 13 novembre 1917 dopo la rotta dell’esercito italiano a Caporetto (avvenuta il 24 ottobre 1917), chiese agli amministratori socialisti di restare al proprio posto138. Il divario tra i riformisti, magPunzo, La giunta Caldara…, cit., p. 165.
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 158; l’autore nel suo testo attribuisce alla circolare, erroneamente, la data del 12 settembre, sulla questione, cfr. Punzo, La
giunta Caldara…, cit., pp. 314-5.
134
Circolare diretta dal segretario del Partito socialista italiano Costantino Lazzari ai sindaci
socialisti del 12 agosto 1917 (circolare Lazzari n.1), ora in Luigi Ambrosoli, Né aderire né sabotare 1915-1918, Milano, Edizioni Avanti!, 1961, pp. 409- 410.
135
Circolare diretta dal segretario del Partito socialista italiano Costantino Lazzari ai sindaci
socialisti del 25 settembre 1917 (circolare Lazzari n.1 bis), ora in ivi, p. 410.
136
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 158. A seguito di questi ed altri
atti, Lazzari venne processato a Roma, insieme al vicesegretario Bombacci, il 26 febbraio 1918
e condannato a due anni e undici mesi di reclusione, Bombacci a due anni e quattro mesi; ivi,
pp. 165-173.
137
La notizia è tratta dall’analisi fatta da Punzo delle carte sequestrate a Costantino Lazzari
e da lui consultate presso l’Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, A 5 G, b. 60; Punzo, La
giunta Caldara…, cit., pp. 314-5.
138
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 162.
132
133
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
49
gioritari nelle amministrazioni locali, nel sindacato e nel gruppo parlamentare139, ed il Psi si faceva sempre più profondo. Mentre Turati, dopo la rotta di
Caporetto, ribadiva il dovere dei socialisti di difendere la Patria, i rivoluzionari
cercavano ispirazione nella rivoluzione bolscevica in Russia.
4.4. La seconda Assemblea generale della Lega
Alla seconda assemblea generale della Lega, che si svolse a Bologna il 15-16
settembre 1918140, oltre a 9 deputati (Morgari, Graziadei, Sichel, Bentini, Brunelli, Mazzoni, Treves, Todeschini e Beghi), parteciparono 80 comuni (Milano
e Bologna erano le uniche due grandi città presenti), 11 enti ed opere pie, 5
amministrazioni provinciali (Bologna, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e la
minoranza di quella di Venezia); aderirono 17 comuni e la Confederazione generale del lavoro.
Campanozzi nella sua relazione in primo luogo rendeva “un fervido omaggio all’opera di Francesco Zanardi, che della Lega fu il principale animatore”,
ricordava il progetto, di una “Cattedra ambulante di amministrazione, non attuato per mancanza di fondi, e di una Banca di esercizio per i comuni che non
poté avere attuazione per l’opposizione del Governo”, un progetto, quest’ultimo, già avanzato nel 1916 con lo stesso esito. Metteva in risalto l’attività di assistenza dei comuni alla popolazione provata dalla guerra, ricordando in particolare Milano e Bologna, confermava la difficile situazione di bilancio provocata dall’annullamento delle delibere di versamento della quota sociale, infine,
invitava “le amministrazioni a valersi dell’Ufficio di consulenza, costituito di
valorosi professionisti”. Seguivano le relazioni di Sichel, sull’autonomia comunale; di Zanardi, su consumi e produzione; di Bonfantini, sulla politica scolastica; di Bogiankino su tributi e bilanci e, dopo una discussione, l’assemblea votava i relativi ordini del giorno.
A proposito dell’autonomia comunale, il voto impegnava i deputati socialisti alla presentazione di una proposta di legge di iniziativa parlamentare per la
riforma della legge comunale e provinciale, anche in materia di opere pie, alla
difesa delle amministrazioni locali socialiste e, infine, anche a promuovere l’assicurazione obbligatoria come soluzione al problema dell’assistenza sanitaria,
che gravava in gran parte sui bilanci comunali. Riguardo ai consumi, il voto del
congresso era diretto a “sviluppare la coscienza di classe del proletariato internazionale per l’abolizione dei dazi interni di consumo” e, in generale “una più
intima e completa fusione di sforzi per il raggiungimento di un sano equilibrio
tra la produzione ed il consumo”. A questi altisonanti proclami seguivano precise indicazioni, quel voto doveva trovare attuazione attraverso:
139
La Confederazione del lavoro e il gruppo parlamentare vennero criticati da Lazzari e
dall’”Avanti!” per l’incitamento alla difesa del paese, Malatesta, I socialisti italiani durante la
guerra..., cit., pp. 160-3 e 272-3.
140
Si ricorda che appena due settimane prima, dal 1° al 4 settembre 1918, si era svolto a
Roma il XV congresso del Psi.
50
PARTE I
“cooperative libere da piccoli interessi particolaristici, e gli Enti autonomi dei
consumi […] produzione diretta attraverso organi di produzione creati con
concorso e nell’interesse di tutti i lavoratori associati”.
Relativamente alla politica scolastica si chiedeva anche nei piccoli comuni
l’apertura della IV classe elementare e, in generale, la promozione ed il miglioramento, complessivo, dell’insegnamento scolastico; rispetto a tributi e bilanci
si chiedeva l’abolizione del dazio consumo e la sua sostituzione, come risorsa finanziaria dei comuni, con una sovrimposta comunale su terreni, fabbricati e
redditi mobiliari141.
In questo congresso sembrava fosse addirittura possibile nella Lega una sintesi tra gli obiettivi utopici dei massimalisti e quelli più realistici dei riformisti
(purtroppo altrettanto utopici solo per la miopia e l’immobilismo della classe
dirigente liberale). Era il caso del voto scaturito dalla relazione del sindaco di
Bologna Zanardi, che iniziava con la premessa “sviluppare la coscienza di classe del proletariato internazionale” e proseguiva, come già ricordato, con la richiesta della “abolizione dei dazi interni di consumo” per “una più intima e
completa fusione di sforzi per il raggiungimento di un sano equilibrio tra la
produzione ed il consumo”.
4.5. Dall’utopia socialista all’amministrazione locale
4.5.1. Zanardi e l’Ente comunale di consumo
La citazione di Zanardi come esempio di traduzione dell’ideale socialista in
concrete misure amministrative e giuridiche in favore dei cittadini non è casuale. Proprio come non lo era stata scelta del sindaco di Bologna come relatore in materia di consumi e produzione. Zanardi, infatti, era conosciuto come il
“sindaco del pane”, l’ideatore dell’Ente autonomo dei consumi (poi ente comunale di consumo) da lui definito: “Cittadini riuniti in libera associazione,
con lo scopo di distribuire generi di largo consumo alle migliori condizioni senza alcun scopo speculativo”. L’ente venne finanziato inizialmente dal Comune
e dalla Provincia, rispettivamente con 500.000 e 100.000 lire, nacque nell’agosto 1914 e, successivamente, venne riconosciuto sul piano giuridico da un apposito decreto luogotenenziale discusso nel 1918142. Bononia docet [Bologna insegna], aveva scritto Treves, e lo faceva non solo in ambito politico, ma anche
in quello giuridico.
Furlan definisce l’Ente autonomo dei consumi: “una vera e propria figura
giuridica creata appositamente per legittimare la funzionalità e la necessità dell’esistenza di quelli che ormai veniva chiamati ‘i negozi Zanardi’”143. E i congressi dei comuni socialisti, l’organizzazione della Lega, erano l’occasione per
diffondere il modello dell’ente autonomo dei consumi in tutta Italia.
L’Assemblea generale delle amministrazioni socialiste…, cit.
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., pp. 119-124.
143
Furlan, L’amministrazione socialista Zanardi…, cit., p. 143.
141
142
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
51
Quello della creazione dell’ente autonomo dei consumi è un esempio, concreto, di quello che Rugge ha scritto in merito al fatto che i comuni con le proprie azioni, “imponevano un’articolazione delle funzioni amministrative”144. La
felice espressione di Cassese su “la forza creatrice del diritto esistente in periferia”145 - che riprende un concetto di Giannini che definisce i comuni del Centro-Nord del primo ‘900 come “i più operosi creatori di istituti giuridici”146 - è
la migliore definizione e, insieme a quello di Giannini, il maggiore riconoscimento dell’originale sforzo di elaborazione giuridica, politica e culturale dei comuni italiani e della società locale italiana del primo ‘900147.
Fu la concreta, straordinaria esperienza di amministrazioni comunali come
quelle di Bologna e di Milano, che dette forza al progetto riformista. Il libricino di Caldara sulla sua esperienza di Sindaco di guerra a Milano fornisce l’esempio di cosa erano in grado di fare le amministrazioni socialiste per aiutare i
cittadini negli anni della prima guerra mondiale. All’assistenza ai lavoratori italiani che tornavano in Patria allo scoppio del conflitto, ancor prima dell’entrata in guerra dell’Italia, successe quella ai profughi dai territori italiani invasi dalle truppe nemiche, sempre più numerosi dopo la rotta di Caporetto. A questa
si aggiunse l’oculata gestione dell’approvvigionamento dei generi alimentari
contro la borsa nera degli speculatori, anche oltrepassando i limiti delle competenze ufficiali. Ricordava Caldara, infatti, che la decisione del prefetto di
sciogliere il consiglio comunale di Monza ebbe origine dal proposito del sindaco di istituire la tessera per lo zucchero.
Era in pieno periodo di guerra che la “utopia del divenire socialista [era]
stata per qualche tempo, tangibile realtà. Una organizzazione adeguata ha poFabio Rugge, La “città che sale”: il problema del governo municipale di inizio secolo, in Mariapia Bigaran (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, Franco Angeli 1986, pp. 57-8.
145
Sabino Cassese, Prospettive degli studi di storia locale, in Bigaran, (a cura di), Istituzioni e
borghesie locali…, cit., pp.33-4.
146
Massimo Severo Giannini,I comuni, in idem (a cura di), Atti del congresso celebrativo del
centenario delle leggi amministrative di unificazione. L’ordinamento comunale e provinciale, vol. I,
I comuni, pubblicazioni dell’Isap, Vicenza, Neri Pozza, 1967, p.35. Ecco cosa scrive Giannini
in proposito: “fu così che i Comuni, soprattutto quelli dell’Italia settentrionale e centrale, furono, almeno agli inizi di questo secolo, i più operosi creatori di istituti giuridici. Vi furono regolamenti comunali di edilizia, i quali contenevano delle prescrizioni che erano più avanzate di
quelle della legge urbanistica del 1942; erano in vigore regolamenti di polizia rurale, sull’uso
delle acque e sull’uso dei pascoli comunali, i quali certamente contenevano norme più appropriate di quelle che non fossero state poi emanate nelle leggi statali sulle acque pubbliche e sugli usi civici; istituti come i pubblici macelli, i mercati generali, i mercati speciali, i depositi generali, i vivai e i semenzai pubblici, le scuole di riabilitazione per i minorati, le cattedre di istruzione agraria, i preventori e gli ambulatori, alcuni istituti assistenziali per gli anziani o per persone socialmente sottoprotette, ebbero tutti la loro origine in iniziative comunali [...] il primo
periodo della nostra storia unitaria ha visto un vero e proprio ‘diritto comunalÈ, che ha costituito un’anticipazione di legislazione statale, sopravvenuta sempre tardi, e non sempre bene [...]
Tale processo espansivo è continuo e costante, e l’esempio forse più vistoso lo abbiamo nel campo delle municipalizzazioni [...] oggi [1967] il diritto comunale trova inaridite le proprie sorgenti”, ivi, pp. 34-6.
147
Su questo argomento cfr. Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., pp. 83-93.
144
52
PARTE I
tuto disciplinare i mercati più vasti e sensibili: quello del grano, ad esempio”.
All’attività annonaria, che sembrava segnare il successo dell’economia pianificata rispetto a quella di mercato, si aggiungeva quella della gestione dei servizi pubblici vecchi e nuovi. Il comune assumeva la gestione delle tramvie urbane, ma preparava anche la difesa contro le incursioni aeree e portava a compimento opere pubbliche importanti, come la metropolitana e il canale navigabile da Milano al Po. Nel contempo si cercava di ridurre la burocrazia, si gestivano servizi in accordo con le autorità militari e, alla fine del conflitto, l’internazionalismo proletario faceva valere le proprie ragioni su quelle della guerra, sulla logica dei vinti e dei vincitori. Così lo stesso Comitato di assistenza
che univa comuni e organizzazioni operaie nello sforzo per il soccorso ai bambini italiani profughi dell’area del Piave, predisponeva l’assistenza ai bambini
della città di Vienna: “circa 2.300 bambini viennesi vennero sottratti alla miseria, migliorandone indirettamente anche le condizioni di quelli rimasti e salvandone dalla morte (in base alle tavole di mortalità allora accertate) circa
200”148.
4.5.2. La repressione prefettizia
Erano però nulle le possibilità che la concreta esperienza dei comuni socialisti si traducesse in un ampliamento dell’autonomia comunale e, quindi, in
leggi dello Stato che riconoscessero e promuovessero più in generale l’attività
dei comuni. Nel clima di scontro sociale e di incertezza politica del primo dopoguerra le istituzioni più vicine ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini erano
le prime a pagare le conseguenze dei provvedimenti dei prefetti, come testimoniano le parole di Lazzari al XVI congresso del partito dell’ottobre 1919. Riguardo alla situazione dei comuni socialisti ed alla Lega, definita “organo sussidiario del Partito”, il segretario del Psi affermava che:
“Parecchi comuni, alcuni importanti come ad esempio Massa, sono stati cancellati dalla lista dei comuni socialisti dalla violenza della amministrazioni governative locali […] Le difficoltà della vita amministrativa sono diventate grandi, immense e noi dobbiamo davvero riconoscenza ed ammirazione per il coraggio e lo spirito illuminato col quale i nostri compagni sindaci hanno affrontato le responsabilità delle loro situazioni”149.
Coraggio e spirito illuminato dei compagni sindaci non bastarono a bloccare
né i provvedimenti di scioglimento dei consigli e di commissariamento degli
enti decisi dai prefetti, né le violenze dei fascisti, o la ristrettezza dei bilanci comunali, proprio come non bastò l’azione congiunta di Lega e parlamentari socialisti a far sì che i sindaci socialisti rimanessero in carica, nemmeno quello di
148
Emilio Caldara, Impressioni di un sindaco in guerra, Milano, Librerie editrici “La cultura”, 1924.
149
Partito socialista italiano (Direzione del), Resoconto stenografico del XVI congresso nazionale del Partito Socialista Italiano. Bologna 5-6-7-8 ottobre 1919, Roma, Edizione della direzione del Psi, Milano Avanti!, 1920, pp. 50-1.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
53
Massa, Francesco Betti150, membro del Comitato direttivo della Lega sin dalla
costituzione151.
A queste difficoltà, di carattere politico-istituzionale, si aggiunsero poi quelle dovute all’evoluzione della situazione politica nazionale ed a quella del partito e del movimento socialista.
5. L’avvento del fascismo, le fratture nel Psi e la fine della Lega
5.1. L’assalto fascista allo Stato comincia dai comuni socialisti: Bologna e Milano
Nel 1919, il 23 marzo, vennero fondati i Fasci di combattimento e a partire dall’autunno del 1920, in un crescendo impressionate, la violenza fascista si
abbatté sul partito, sulle organizzazioni e sulle amministrazioni locali socialiste.
Il 15 aprile 1919 le squadre fasciste attaccarono la redazione milanese
dell’”Avanti!”, ma “il fatto di sangue più drammatico che aprì la nuova stagione di scontro civile avvenne a Bologna il 21 novembre 1920 nel palazzo comunale d’Accursio e nella sottostante piazza centrale: il bilancio fu di nove
morti e cinquanta feriti tra la folla”152. Il 21 novembre era la data dell’insediamento della seconda amministrazione comunale socialista. Il nuovo sindaco, il
massimalista Enio Gnudi, eletto all’indomani delle elezioni amministrative due anni dopo la fine dell’amministrazione Zanardi, decaduto perché designato alla Camera nel 1919 - rimase in carica appena due ore153. Era solo l’inizio:
Bononia docet. La frase di Treves che metteva in risalto il ruolo pionieristico di
Bologna nell’attività dei comuni italiani valeva anche nei durissimi anni della
violenza fascista.
Meno di due anni dopo, nell’agosto del 1922, i fascisti assaltavano il comune di Milano, il fatto ebbe un impatto fortissimo sulla Lega. Così scriveva Zanardi in quei giorni:
“Seguiamo attentamente lo svolgersi degli avvenimenti che riguardano il Comune di Milano, poiché ad essi è subordinata la vita della nostra Lega.
Quando il Direttorio del Gruppo Parlamentare e buona parte del Consiglio
direttivo della Lega dei Comuni erano favorevoli ad abbandonare le amministrazioni Comunali e Provinciali per parte dei nostri compagni, l’intervento
delle organizzazioni politiche ed economiche della vostra città ci ha consigliato
di soprassedere da ogni deliberazione.
La Direzione del Partito Socialista, poi, ha invitato i compagni a rimanere
al loro posto, ma tale deliberazione potrebbe essere revocata se il governo sciogliesse il Comune di Milano.
Ibidem.
Statuto della Lega dei comuni socialisti…, cit.
152
Patrizia Dogliani, L’Italia fascista (1922-1940), Milano, Sansoni, 1999, p. 19.
153
L’eccidio di Palazzo d’Accursio avvenne a seguito dell’uccisione del consigliere della minoranza nazionalista, Giulio Giordani, a cui seguì l’aggressione fascista in piazza del Nettuno
contro i cittadini accorsi a festeggiare l’elezione del nuovo sindaco.
150
151
54
PARTE I
Per questo ti preghiamo di volerci tenere informati intorno alla vostra situazione; noi dal canto nostro facciamo quotidianamente vive pratiche per conoscere gli intendimenti del Governo Centrale; fino ad oggi non ci è stato possibile conoscere esattamente il pensiero del Ministro dell’Interno, da noi già interrogato.
Le nostre impressioni sono queste: che i fascisti vogliono ad ogni costo lo
scioglimento del Consiglio sotto la minaccia di nuove e più decisive azioni, che
colpiscano lo Stato.
La nostra opera è aiutata autorevolmente dai compagni On.li Caldara, Gonzales, Turati, Treves; sarà nostra cura tenerti informati di tutto quanto accade
in merito alla importante questione”154.
5.2. Comuni e province tentano di resistere alla violenza fascista
Questa lettera firmata da Zanardi su carta intestata “Lega dei Comuni Socialisti”155 è molto importante perché testimonia l’impegno dell’organizzazione
in favore dei comuni socialisti e il ruolo decisivo svolto dalla città di Milano
nella decisione degli amministratori del Psi di resistere all’assalto fascista alle autonomie locali. A guidare l’amministrazione comunale milanese non c’era più
il riformista Caldara ma Angelo Filippetti, già assessore anziano della giunta
precedente, “amministratore esperto e politicamente non identificabile con i
massimalisti più estremi”, non a caso con lui c’erano quattro assessori della
giunta Caldara. Ogni sforzo fu però inutile. Il “prefetto Lusignoli […] legalizzò il sopruso [fascista] dichiarando lo scioglimento dell’amministrazione socialista”156.“La marcia su Roma [iniziò] da Milano”, ha scritto Rotelli157.
Il susseguirsi del decreto prefettizio di scioglimento alla violenza fascista era
normale in quegli anni, si trattava di “una sorta di ‘divisione dei compiti’ che
aveva portato tra il 1921 e il 1922 allo scardinamento di tutte le amministrazioni comunali in alcune province dell’Italia settentrionale”158, dove più forte
era stato il successo dei socialisti – e dei popolari - nelle elezioni amministrative dell’autunno del 1920. 2.022 comuni e 26 consigli provinciali erano nelle
mani delle amministrazioni socialiste, 1.613 comuni e 10 province in quelle dei
154
Lettera di Francesco Zanardi ad Alessandro Schiavi, Roma 10 ago. 1922; Archivio di Stato di Forlì, Fondo Alessandro Schiavi, b. 9, f. 60; pubblicata in Alessandro Schiavi, Carteggi.
Tomo primo: 1892-1926, a cura di Carlo De Maria, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 2003, pp. 489-490.
155
Più precisamente: “Lega dei Comuni Socialisti. Segreteria. Roma. Via Panetteria, 15”
156
Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 209.
157
Ettore Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il regime
fascista, in Idem, L’alternativa delle autonomie. Istituzioni locali e tendenze politiche dell’Italia moderna, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 181.
158
Luigi Ponziani, Fascismo e autonomie locali, in Marco Palla (a cura di), Lo Stato fascista,
Milano, La Nuova Italia, 2001, p. 329; sullo stesso argomento cfr., dello stesso autore, Il fascismo dei prefetti. Amministrazione e politica nell’Italia meridionale (1922-1926), Catanzaro, Meridiana libri, 1995.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
55
popolari di Sturzo159. Scrive lo storico Aimo: “fra i principali ostacoli che il fascismo incontrò agli esordi, per il raggiungimento dei propri obiettivi di dominio politico, vi fu certamente il diffuso, radicato e articolato tessuto degli enti municipali alla cui guida erano saldamente insediati – nella maggior parte dei
casi – gli esponenti del Partito popolare e della Sinistra, nonché i rappresentanti
delle vecchie élites liberali”160, e fu un ostacolo che il fascismo decise di togliere
di mezzo per primo.
5.3. Le divisioni all’interno della Lega e la fondazione del Partito comunista
Gli sviluppi della situazione interna al Partito socialista non contribuirono
certo a dare forza agli enti locali amministrati dai socialisti. Dal 15 al 21 gennaio 1921 si svolse a Livorno il XVII congresso nazionale del Psi nel corso del
quale la corrente dei comunisti decise il distacco dal partito e il 22 gennaio i secessionisti fondarono il Partito comunista d’Italia (Pci).
A seguito del congresso costitutivo il Pci emanò una direttiva che avrebbe
avuto conseguenze molto gravi sulle amministrazioni locali a maggioranza socialista e, quindi, anche sulla Lega. La posizione del nuovo partito sul tema fu
sostanzialmente identica a quella dei massimalisti del Psi i quali nutrirono sempre una sostanziale diffidenza verso le amministrazioni locali, aggravata, in questo caso, dalla necessità del nuovo partito di riaffermare la propria identità rispetto al vecchio Partito socialista con la rottura della collaborazione in qualsiasi sede.
Innanzitutto il ruolo dei consiglieri e degli amministratori comunisti era considerato in termini estremamente limitati: “il Partito comunista non s’illude e
non vuole far credere che gli organismi dell’amministrazione locale possano minimamente servire per l’esplicazione di un qualsiasi programma comunista”, la
loro presenza doveva solo servire a “impedire che la classe borghese si serva di esse per tutelare i propri interessi e rafforzare i propri privilegi”. Il dato essenziale
era l’affermazione dell’identità e dell’autonomia politica, a tutti i costi. Era sulla
base di questa necessità che i comunisti, secondo la direzione, potevano rimanere nelle giunte comunali e nelle deputazioni provinciali solo se ne avevano il controllo assoluto e, in tal caso, avrebbero dovuto far dimettere tutti gli assessori socialisti. Nell’eventualità, invece, che i comunisti non avessero avuto la maggioranza nelle amministrazioni avrebbero dovuto dimettersi, senza alcuno scrupolo:
“Se l’applicazione della tattica suesposta porterà in molte amministrazioni a crisi e ad impossibilità di funzionamento di questo non devono preoccuparsi i comunisti, per i quali soprattutto necessita differenziarsi dai socialisti, che dopo
l’esito del Congresso di Livorno […] pensano che noi nella pratica annulleremo quello storico avvenimento per non turbare il normale andamento dei lavori amministrativi”.
159
Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. VIII, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli 1979, pp. 335-6.
160
Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit., p. 105.
56
PARTE I
Per quanto riguarda la Lega:
“I comuni e le province comuniste, che hanno già inviato la loro adesione alla
Lega dei comuni socialisti, rinunciano per ora ad ogni distacco e non dichiarino le loro dimissioni.
I comuni e le province comuniste che ancora non avessero inviato la loro
adesione, sospendano per ora ogni deliberazione in proposito. È necessario prima di prendere una definitiva risoluzione in proposito, attendere lo svolgimento ed i risultati del congresso che la Lega ha convocato per gli ultimi giorni del marzo prossimo a Rimini”161.
5.4. La linea intransigente contro il Psi
Il Pci, però, aveva fretta e non avrebbe aspettato il III congresso della Lega
per decidere il da farsi. La necessità della contrapposizione netta con il vecchio
Psi era assoluta. Per questo:
“Il C.E. [Comitato Esecutivo] del Partito comunista d’Italia, esaminata la posizione dei comuni comunisti nei riguardi dell’imminente Congresso dei comuni socialisti, ed i rapporti svoltisi tra quest’organismo ed i comuni comunisti di alcune province, che ne sono stati allontanati, riservandosi di dare ulteriori istruzioni sull’argomento dell’assistenza e consulenza tecnico-legale ai comuni che sono nelle mani del Partito, invita i comuni comunisti a non intervenire al congresso di Rimini”162.
Questo richiamo avrebbe avuto riflessi rilevanti nelle province a più forte
presenza comunista, come quella torinese. In un convegno svoltosi il 9 aprile
1922 a Torino, Angelo Tasca sostenne che “la conquista di oltre 2.000 comuni
da parte del P.S. [Partito Socialista] sia stata più dannosa che utile al proletariato”; Signorini fece presente “la necessità di costituire un Ufficio di consulenza legale per le amministrazioni rette da comunisti” e l’assemblea dette mandato all’esecutivo federale di istituirlo163. A Milano, il 18 febbraio 1921, tre assessori si dimisero dalla giunta Filippetti “in seguito alla scissione comunista,
cui aderirono 16 consiglieri”164.
Giunte comunali e deputazioni provinciali a maggioranza mista socialista e
comunista si spaccavano e correvano il rischio di non essere in grado di amministrare proprio quando avrebbero dovuto essere più compatte, per difendersi
non solo dalla terribile violenza delle squadre fasciste ma anche dai decreti di
scioglimento dei prefetti. Ufficialmente, infatti, quelle giunte e quelle deputazioni potevano essere sciolte con una giustificazione oggettiva, perché non era161
Tattica dei comunisti nelle amministrazioni locali, in Partito comunista d’Italia, Manifesti
ed altri documenti politici (21 gennaio – 31 dicembre 1921), Libreria editrice del P.C. d’Italia,
Roma (s.d.); Milano, Feltrinelli reprint, 1966, pp. 30-3.
162
Ivi, pp. 39-40; il corsivo è redazionale.
163
Il convegno dei rappresentanti comunisti delle amministrazioni comunali e provinciale di Torino, “Il comune moderno”, apr. 1922, pp. 127-8.
164
Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 352.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
57
no in grado di amministrare, coprendo così agevolmente la vera motivazione:
assecondare la violenza squadrista.
La Lega iniziò ad indebolirsi al proprio interno proprio quando era più forte una delle ragioni fondamentali per la quale era nata: la necessità del suo intervento in difesa delle amministrazioni locali socialiste. Lo aveva scritto Amilcare Locatelli prima del congresso del Psi del 1921:
“I lavoratori che in uno sforzo meraviglioso di compattezza hanno conquistati
quasi tremila comuni e venticinque province non vogliono scissioni. La scissione per essi è un’eresia. […] la grande maggioranza dei comuni d’Italia vuole
l’unità del partito perché non siano dispersi in pochi giorni , i frutti fecondi che
nella battaglia elettorale ultima abbiano raccolti”165.
5.5. Il terzo ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti
A meno di tre mesi dall’appuntamento di Livorno, dal 3 al 6 aprile 1921 si
svolse a Rimini il III ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti.
In occasione dell’apertura del congresso l’”Avanti!” pubblicò in seconda pagina un articolo firmato Gema, pseudonimo di Giacomo Matteotti. Il deputato riformista sottolineava il valore della concretezza dei congressi degli amministratori, rispetto alle “discussioni epiche o dei discorsi emozionanti a lungo
metraggio” di altri consessi; ricordava la difficilissima situazione delle finanze
comunali dopo gli anni della guerra e la necessità di non coprire i debiti del bilancio ordinario con prestiti; denunciava la violenza fascista contro gli enti locali e proclamava la necessità di resistere:
“La violenza che insanguina le vie d’Italia ha preso come bersaglio favorito le
amministrazioni comunali socialiste, dimostrando ancora una volta, se ce n’era
bisogno, che non tanto gli eccessi violenti di alcuni socialisti, si vogliono ritorcere, quanto più distruggere l’opera costruttiva ed evolutiva del socialismo, che
lede l’interesse privato e capitalistico […] se abbandoniamo la nostra opera, la
vittoria avversaria è completa, il terrorismo diviene l’arma normale di lotta politica, la nazione regredisce a condizioni politiche ed economiche incredibili”166.
Zanardi, nella sua veste di deputato, iniziò la relazione salutando, innanzitutto, i compagni sindaci e amministratori vittime dei fascisti, per primo il sindaco di Ferrara, Bogiankino, “in carcere per un reato che non ha commesso” e
ricordò che “solo per divergenze politiche si [erano] perduti due grossi comuni: Firenze e Torino”. Il “sindaco del pane” annunciò l’adesione alla Lega di
1900 comuni ma ricordò anche che sedici province su venticinque non avevano ancora risposto all’appello. Il problema, però, era che quasi nessun ente locale riusciva a pagare la quota per colpa della autorità tutorie, così, era il partito a garantire la sopravvivenza della Lega ed erano praticamente solo i riformisti a combattere in Parlamento per gli amministratori:
165
Amilcare Locatelli, Nei comuni conquistati. Il pensiero sul Congresso, “Avanti!”, 16 gen.
1921, p. 2.
166
Gema, Il comune conquistato al socialismo. Il nostro congresso, “Avanti!”, 3 apr. 1921, p. 2.
58
PARTE I
“La Lega vive perché la direzione del Partito socialista ha anticipato dei fondi.
I deputati del Parlamento poco hanno fatto finora per la Lega. Molto hanno lavorato Matteotti, Casalini, Donati e qualche altro ma nel complesso il Gruppo
parlamentare non ha ancora potuto esplicare un’opera molto efficace”167.
Baratono per la direzione del Psi, incitò gli amministratori alla formazione
di Leghe regionali a cui avrebbero dovuto far capo anche le organizzazioni di
assistenza, gli enti per l’acquisto e la distribuzione dei viveri. Era indispensabile, a suo avviso, riorganizzare la Lega, il fascismo veniva visto come un ostacolo passeggero, utile a fortificare l’incrollabile fede nella rivoluzione finale:
“Chi sa che la reazione fascista non ci abbia fatto bene! Opera di riorganizzazione dunque, e quest’opera si può fare soprattutto nei comuni. Per preparare
la rivoluzione alle volte può valere il parlare, ma alle volte vale di più il tacere e
il fare (Applausi calorosi)”168.
L’assemblea discusse poi sul tema Per l’autonomia, intervennero Filippetti,
nuovo sindaco socialista di Milano, poi Casalini. Anche Matteotti, nelle conclusioni, sottolineò il possibile effetto positivo che avrebbe potuto avere la bufera fascista che, schiantando i rami secchi, avrebbe fortificato la pianta del socialismo169. Nemmeno lui, in quei giorni, sembrava aver avvertito il pericolo
mortale costituito dal fascismo.
Fu poi la volta della discussione su Abitazioni affitti e case popolari, argomento per il quale era relatore Alessandro Schiavi, presidente dell’Istituto per
le case popolari di Milano, ex collaboratore del sindaco Caldara170.
5.5.1. La questione dei tributi locali posta da Matteotti
Nella giornata del 4 aprile gli amministratori dibatterono de I tributi locali. I
relatori furono Menotti Luppi e Matteotti, il quale, tra l’altro - ribadendo il concetto espresso nell’articolo pubblicato nell’”Avanti!” - sottolineò l’importanza di
non finanziare con mutui la spesa ordinaria dei comuni. Dichiarò, quindi, di essere contrario alla suddivisione netta delle risorse finanziarie tra Stato e comuni
concedendo al primo le imposte sulle persone, ed ai secondi quelle sugli immobili. I comuni, sottolineò Matteotti “debbono vivere con tutta la ricchezza privata e non con una sola parte di essa”. Il suo progetto prevedeva per i comuni
due imposte, mobiliare ed immobiliare, ed una terza, la tassa di famiglia, che le
“riassuma per ogni famiglia progressivamente […] bisogna tassare indipendentemente dallo Stato con un sistema che non colpisca il produttore ma l’intermediario” e, infine, l’abolizione del dazio consumo. Al termine della discussione venne annunciato all’assemblea che i comuni rappresentati erano 700171. SeMagnifica affermazione del comune socialista a Rimini. La prima giornata. L’opera svolta
dalla Lega, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1.
168
La prima giornata. Il discorso Baratono per la direzione del Partito, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1
169
La prima giornata. Per l’autonomia, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1
170
La prima giornata. Abitazioni affitti e case popolari, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1
171
La seconda giornata. I tributi locali, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1
167
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
59
guì la discussione sul progetto de La banca socialista per i comuni, argomento
del quale era relatore Baratono172.
Alla fine della giornata l’assemblea congressuale affrontò il tema del rapporto con lo Stato, durante la quale passò l’idea, sostenuta dai riformisti e dal segretario del Psi, Giovanni Bacci, anche alla luce della scissione comunista di Livorno, di non opporsi frontalmente allo Stato, dimettendosi in massa, come
pure era stato proposto, ma di resistere alla testa delle amministrazioni173.
I lavori del 5 aprile iniziarono con la discussione del Problema scolastico, a cui
seguì quella sui rapporti tra comuni, province ed i loro dipendenti. In particolare, rispetto a questo argomento, è da ricordare la proposta dell’assemblea che
considerò la questione della semplificazione della burocrazia non come una scelta del vertice politico, ma inquadrandola nei rapporti tra amministrazione e dipendenti, coinvolgendo quindi i lavoratori nello sforzo della riforma della pubblica amministrazione locale in vista del miglioramento dei servizi ai cittadini:
“ritiene infine che la Lega dei comuni debba curare la semplificazione dei servizi, per la speditezza dei medesimi e risanamento della burocrazia, stato civile,
liste elettorali, contabilità, anagrafe, ecc. ciò che possa condurre alla eliminazione di circa la metà del personale con maggiore speditezza dei servizi stessi”174.
E fu guardando all’efficienza del servizio offerto ai cittadini che il 6 aprile,
il congresso, relativamente ai cambiamenti di circoscrizione territoriale dei comuni, approvò una mozione nella quale si chiese ai municipi, sostanzialmente,
di riflettere prima di chiedere la modifica dei rispettivi confini:
“reputando massimamente utile la riunione in Consorzi sia in generale che per
particolari scopi e servigi, invita i Comuni e frazioni che richiedono mutamenti
di circoscrizione, a soprassedere in questo periodo di tempo e quindi a sottoporre la questione alla Lega dei Comuni”.
Da ricordare, sempre nel quadro dei lavori, la riunione dei delegati delle amministrazioni provinciali presieduta dall’avv. Levi, presidente della deputazione di
Milano, nel corso della quale venne approvata la “costituzione di una sezione indipendente per le Province della Lega dei comuni con segretario speciale”. Infine:
“Quanto ai rapporti con le altre province non socialiste, si accetta la proposta
Matteotti di intervenire nelle riunioni singole che trattino interessi generali,
sentita la Lega dei Comuni. Non si potrà aderire all’Unione delle Province che
ha un fine, come lo dimostra l’ordine del giorno approvato all’ultimo congresso essenzialmente politico”.
Diversamente da quello che avevano cercato di fare con l’Anci, i riformisti
non solo promuovevano un’autonoma organizzazione di amministrazioni socialiste ma chiedevano anche l’uscita dall’Upi. Probabilmente, visto il ben di172
La seconda giornata. Il finanziamento per i comuni. La banca socialista, “Avanti!” 5 apr.
1921, p. 1.
173
Il Comune socialista di fronte allo Stato borghese. La seduta notturna del 4, “Avanti!”, 6 apr.
1921, p. 1.
174
I lavori della terza giornata. Il problema scolastico. Rapporti tra enti locali e loro dipendenti, “Avanti!”, 6 apr. 1921, p. 1; Il congresso dei comuni socialisti termina i lavori. La seduta notturna del cinque, “Avanti!”, 7 apr. 1921, p. 2.
60
PARTE I
verso peso dell’associazione delle province rispetto a quella dei comuni, l’abbandono delle giunte vicine al Psi avrebbe privato l’Upi di gran parte della propria forza e, quindi, politicamente, non vi sarebbe stato alcun vantaggio nella
doppia militanza, che sarebbe stata invece molto utile nell’Anci, per continuare ad influenzare le decisioni di un’organizzazione che, anche dopo la spaccatura, era rimasta viva e vitale.
Nel corso dell’ultima giornata dei lavori vennero approvate diverse altre mozioni, sulle casse di risparmio, sulla politica sanitaria, una di queste era intitolata Tutti al loro posto, approvata all’unanimità, nella quale:
“Il Congresso invia l’espressione della propria solidarietà e della propria simpatia a tutti i compagni delle Amministrazioni colpite dalla violenza di gruppi o
di minoranze faziose armate dal capitalismo più retrivo e incivile. Si astiene da
ogni illusoria denuncia e protesta presso gli organi governativi […] ed invita i
compagni a restare ad ogni costo al loro posto, esempio di fortezza e di ricostruzione per l’immancabile domani nell’ideale socialista”175.
5.5.2. La reazione degli agrari
Ma la “solidarietà” e la “simpatia” non erano sufficienti a difendere “i compagni” dalla violenza fascista. Forse era “illusoria” qualsiasi “denuncia e protesta presso gli organi governativi”, ma Giacomo Matteotti denunciò e protestò
comunque, e con grande forza, come fece alla Camera dei Deputati il 27 luglio
1921, nonostante le interruzioni ed il dileggio dei deputati fascisti. Matteotti
denunciò la violenza delle squadre fasciste che picchiavano e uccidevano gli
amministratori socialisti al pari di quella dello Stato che ne approfittava per
sciogliere i consigli comunali che avevano espresso quelle amministrazioni. Dopo aver fatto un lungo e particolareggiato resoconto delle terribili violenze cui
erano stati oggetto i comuni socialisti il deputato indicò apertamente i mandanti e la vera ragione delle violenze contro le amministrazioni del Psi, gli agrari e la loro volontà di non pagare e tasse:
“Lo scioglimento dei consigli comunali è avvenuto senza che si parlasse di queste violenze, e voi vi attaccate ai discorsi-programma pronunziati da alcuni dei
componenti dei Consigli! Ora, io domando, onorevole Teso, se risulta a carico
di nessuno di quei consigli comunali alcuna illegalità vera e propria, e volutamente da noi preparata.
È vano ricorrere a qualche parola più o meno accesa di qualcuno di parte
nostra, quando quelle amministrazioni effettivamente camminavano secondo
una linea precisa nella quale non vi era posto per l’illegalità […] La maggioranza socialista del comune di Rovigo offerse (e qui vi è qualche deputato che
me ne può fare testimonianza) i garofani bianchi ai consiglieri di minoranza.
Questi sono i costumi civili della nostra provincia.
Le indennità [agli amministratori, contestate dai deputati fascisti] erano
quelle, e anzi inferiori, a quelle del progetto votato in Parlamento. E i sussi175
L’ultima giornata, “Avanti!”, 7 apr. 1922.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
61
di stessi consentiti dall’onorevole Giolitti per circolare ai prefetti. In verità
c’erano solamente le tasse! E quello fu l’argomento che ha scatenato la violenza degli agrari. I nostri consigli comunali non si adattavano a seguire la politica balorda del governo che fa debiti per pagare le spese ordinarie, ma io ho
insegnato ai miei comuni a pagare le spese ordinarie con le ordinarie entrate”176.
Ecco quello che aveva scatenato la violenza contro le giunte comunali socialiste, non la paura del mito della rivoluzione proletaria, ma la concreta pratica amministrativa – propagandata nei congressi ed insegnata in particolare da
Matteotti – che prevedeva il pagamento delle spese ordinarie con le entrate ordinarie garantite da tasse ed imposte a carico delle classi agiate. Le spese ordinarie, come aveva scritto ne l’Avanti!, non dovevano essere pagate con prestiti
che tra l’altro, era molto difficile reperire, perché: “ai Comuni beniamini si continuano le concessioni di prestiti. Ma tutte le Casse, e specialmente le locali, si
chiudono inesorabilmente ai Comuni socialisti”177.
5.5.3. I sindaci socialisti “finanziano” i propri comuni: l’esempio di Zanardi
e Matteotti
E che cosa significasse non avere risorse per sindaci e amministratori socialisti lo sapevano bene uomini come Matteotti e Zanardi. Alla fine del 1914,
nell’avviare l’iniziativa che, successivamente, avrebbe dato vita agli Enti comunali di consumo, il sindaco di Bologna, il “sindaco del pane”, decise di aprire
degli spacci municipali dove vendere generi alimentari, combustibili per uso
domestico e tessuti a basso prezzo per la popolazione più povera, i “negozi Zanardi”. Per aprirli il sindaco sotto la sua personale responsabilità, “aveva usato
soldi del Comune per finanziare un’iniziativa che aveva un preciso carattere privato. In quell’operazione Zanardi rischiò tutto: la sua onorabilità e anche la sua
florida azienda farmaceutica. Egli sapeva che se i suoi ‘negozi’ avessero fatto fallimento avrebbe dovuto ritirasi a vita privata dopo avere pagato di persona i
danni provocati alla municipalità”178.
Matteotti, nella sua attività di sindaco e di amministratore in alcuni comuni del Polesine “colpiva la ricchezza e aiutava di tasca propria i comuni”. Nel
gennaio del 1913 prestava senza interessi, come sindaco, 12.000 lire al comune di Villamarzana, somma che doveva essere restituita in 4 rate da 3.000 lire;
nel 1914, come assessore, si dichiarava pronto ad assumere su di sé la spesa di
900 lire per istituire una scuola nel comune di Fratta Polesine179.
Atti della Camera. Discussioni, tornata del 27 lug. 1921, pp. 746-7.
Gema, Il comune conquistato al socialismo…., cit.
178
Onofri, La grande guerra nella città rossa..., cit., p. 158.
179
Fondazione Pietro Nenni, Giacomo Matteotti, Ricerca documentaria di Gianna Granati,
Città di Castello, 2005, pp. 157-8.
176
177
62
PARTE I
5.6. Il XIX Congresso nazionale del Psi, l’espulsione dei riformisti e la fine
della Lega
Dal 1° al 4 ottobre 1922 si svolse a Roma il XIX Congresso nazionale del
Psi. La sera del 3 ottobre, con una maggioranza di circa 3.000 voti (32.106 contro 29.119) la mozione dei massimalisti prevalse su quella degli unitari, votata
dai riformisti i quali, di conseguenza, vennero espulsi dal partito180. Il pomeriggio seguente, il 4 ottobre, il congresso approvò, a grande maggioranza, un
ordine del giorno sul tema “Comuni e amministrazioni locali” nel quale era
scritto:
“Le amministrazioni ancora tenute dai socialisti in comunione con elementi riformisti devono dimettersi. Alla direzione del Partito è riservato di decidere il contrario circa particolari eccezioni”181.
Quella stessa mattina, i riformisti capeggiati da Filippo Turati, fondarono il
Partito socialista unitario, tra gli aderenti vi erano due tra i massimi esponenti
della Lega Matteotti e Caldara; la loro presa di posizione rispetto agli enti locali era diversa: bisognava sostenere le amministrazioni locali socialiste. Sindaci ed assessori socialisti dovevano essere aiutati a rimanere al loro posto, come
aveva deliberato la Lega l’anno precedente. Sul tema “Comuni e province” parlarono, tra gli altri, Zanardi e Matteotti e venne approvato l’ordine del giorno
proposto da Modigliani:
“La Costituente, nell’intesa che il prossimo congresso del Partito socialista italiano unitario prenda più precise direttive in ordine alla conquista ed alla gestione delle amministrazioni locali, non ravvisa nella scissione una ragione di
per sé sufficiente ad indurre i compagni a dimettersi dalle amministrazioni locali, ed in ordine alle prossime elezioni amministrative, demanda ogni decisione alle Federazioni provinciali, fermo il diritto della Direzione a mettere il proprio veto a manifestazioni incompatibili con le direttive del partito”182.
5.6.1. Lo scioglimento della Lega
Mentre i riformisti ribadirono il loro sostegno alle giunte socialiste i massimalisti del Psi decisero esattamente il contrario. La direzione del partito riunitasi il 6 ottobre, dopo la fine del congresso, “presenti i compagni: Buffoni, Corsi, Fioritto, Garruccio, Lo Sardo, Marzi, Ribaldi, Serrati, Valeri per la Federazione giovanile socialista”, votò, tra le altre, le seguenti decisioni:
“Lega dei comuni socialisti
La direzione delibera di dichiarare sciolta la Lega dei comuni socialisti e costituire presso la sua sede un ufficio di assistenza e consulenza amministrativa.
180
Le due mozioni in votazione, “Avanti!”, 4 ott. 1922, p. 2; sul congresso cfr. Franco Pedone (a cura di), Il Partito socialista italiano nei suoi congressi. Volume III, 1917-1926, Milano, Edizioni Avanti!, 1963, pp. 238-246.
181
Le amministrazioni locali, “Avanti!”, 5 ott. 1922, pp.1-2.
182
Il congresso dei social-democratici, “Avanti!”, 5 ott. 1922, p. 2
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
63
Le elezioni amministrative
La direzione del Partito socialista italiano, in ordine alla questione delle elezioni amministrative ora indette in molte province, riafferma il dovere dei socialisti di partecipare alla lotta elettorale per la conquista degli Enti locali.
Le modalità per la partecipazione saranno determinate volta per volta dalla Direzione, secondo le condizioni del luogo e della lotta”183.
Il successivo congresso, il XX, che si svolse a Milano dal 15 al 17 aprile
1923, si concentrò soprattutto sui rapporti con la III Internazionale e sul futuro del partito, che si decise di mantenere in vita nonostante l’Internazionale
spingesse alla fusione con il Pci. Per quanto riguarda le amministrazioni locali,
la mozione del comitato di difesa socialista che era stata approvata dal Congresso (5.361 voti contro 3.968) non le citava nemmeno184. Il “programma minimo” che aveva permesso la fioritura delle amministrazioni locali socialiste era
stato dimenticato dal Psi proprio mentre le squadre fasciste stavano compiendo la loro opera distruttiva nei confronti di comuni e province socialiste.
I comunisti avevano lasciato la Lega nel 1921 per aprire propri uffici di consulenza perché erano convinti che i propri aderenti fossero troppo pochi per
poter influenzare l’organizzazione. Il Psi, forte della propria maggioranza all’interno del movimento socialista, decise di chiudere la Lega dopo la scissione
riformista, quasi certamente, perché la ritenne un’organizzazione controllata da
aderenti al Partito socialista unitario e volle togliere, così, uno strumento che
riteneva potesse essere utilizzato dai rivali.
Così Ragionieri commenta la situazione del movimento socialista in quegli
anni:
“Mentre dalla base operaia e popolare saliva una forte spinta unitaria e si esprimeva una decisa e disperata volontà di lotta contro il fascismo, i partiti e gli organismi costituiti del movimento operaio italiano non seppero raccogliere queste indicazioni e con la loro condotta contribuirono a indebolire la capacità di
resistenza popolare, facilitando la vittoria fascista”185.
L’Anci non mancò l’occasione di sottolineare il legame tra il Psi e la Lega, a
cui addebitò la fine dell’organizzazione dei comuni:
“Lo scioglimento della Lega dei comuni socialisti, che giunge a pochi giorni di distanza del Congresso di Roma, dove la scissione del partito fu solennemente proclamata, è un fatto che merita speciale rilievo, perché conferma ancora una volta l’errore commesso dal partito socialista quando – in un momento in cui il socialismo sembrava arbitro dei destini d’Italia – esso pretese
che le Amministrazioni rosse ritirassero la propria adesione all’Associazione dei
Comuni Italiani e affidassero la difesa degli interessi municipali ad una organizzazione di partito.
La necessità in cui il partito socialista si è trovato di sciogliere la Lega di
fronte alla scissione della sua compagine, dimostra chiaramente come soltanto
Riunioni della direzione del Partito, “Avanti!”, 7 ott. 1922, p.1; il corsivo è redazionale.
Pedone (a cura di), Il Partito socialista italiano nei suoi congressi. Volume III, cit., pp. 259-277.
185
Ernesto Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, IV, t. 3, Dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi, 1976, pp. 2116-7.
183
184
64
PARTE I
una organizzazione apolitica possa far opera di efficace tutela di fronte alle alterne vicende dei partiti”186.
Nell’ultimo numero de “Il Comune moderno. Rivista degli enti locali. Organo della Lega dei Comuni Socialisti”, stampato a Torino e datato ottobredicembre 1922, il direttore, Casalini, annunciò la cessazione delle pubblicazioni della rivista. Ufficialmente la chiusura era dovuta alle cattive condizioni
di salute del direttore, tra le righe, invece, si poteva leggere una chiara denuncia della violenza fascista: “meglio non scrivere che dare alla penna una flessibilità ripugnante”187. Nessun accenno, invece, alla decisione del Psi di chiudere la Lega, forse perché sarebbe stato troppo doloroso ricordare che lo stesso
partito che aveva dato vita alla Lega, anche per proteggere e difendere i comuni socialisti, decise di chiuderla quando più forte sarebbe stata la sua necessità.
Rovesciando sui massimalisti l’accusa che nel 1953 Ragionieri riferiva ai socialdemocratici dell’Italia liberale, è possibile affermare che con la chiusura della Lega si manifestava palesemente la sottovalutazione, costante in tutto il massimalismo italiano, del problema del comune e della conquista del comune da
parte della classe operaia188. Non riconoscere comuni e province come pilastro
della democrazia dell’Italia del primo dopoguerra fu un errore gravissimo da
parte dei massimalisti. Scrive Aimo:
“Come è avvenuto per il municipalismo di marca cattolica, la crisi del modello giolittiano e i travagli del primo dopoguerra condurranno ad un declino del
socialismo municipale, che subirà pure gli effetti negativi della rinnovata e ancor più lacerante, contrapposizione, nel movimento operaio, fra le correnti riformatrici e quelle massimalistiche. Di queste divisioni approfitterà il nascente fascismo, che utilizzerà lo squadrismo e la violenza per colpire e sradicare le amministrazioni locali in mano alle Sinistre(e ai popolari)”189.
5.6.2. Un bilancio della “rinascita comunale”
Si chiudeva con il fascismo un periodo iniziato nel 1901, un periodo di
grande speranza, e non solo per le autonomie locali, definito da Aimo della “rinascita comunale”:
“Risale appunto a questo periodo (ottobre 1901) la fondazione dell’Associazione dei Comuni italiani, che rannoda, dunque, tante periferie disperse, ne assume, per così dire, la rappresentanza “sindacale” e diventa un interlocutore per
il potere statale. Luogo di incontro e di elaborazione di strategie unitarie tanto
più rilevante se si tiene conto che in esso confluiscono i delegati di forze poliIl comune e i partiti politici, AC, n. 5, nov. 1920, p. 1.
g.c. (Giulio Casalini), Commiato, Icm, , ott.-nov.-dic., 1922, p. 273.
188
La frase originaria di Ragionieri è: “si manifestava palesemente la sottovalutazione, costante in tutta la socialdemocrazia italiana, del problema dello stato e della conquista dello stato da parte della classe operaia”, Ragionieri, Sesto Fiorentino..., cit., pp. 110-1; il corsivo è redazionale.
189
Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit. pp. 90-1.
186
187
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
65
tiche antagonistiche che non riusciranno, sul piano propriamente politico-parlamentare, a trovare momenti di accordo stabili e significativi”.
Una stagione che non solo non si era interrotta con la nascita della Lega ma che
proprio con la nascita della Lega aveva avuto un ulteriore impulso, una ulteriore
sollecitazione progettuale, come avevano dimostrato, ad esempio, l’attività del comune di Bologna e le proposte discusse nei congressi della Lega. Aimo sottolinea
in senso sfavorevole il fatto che “l’affiliazione partitica toccherà, certamente, anche
queste forme di aggregazione volontaria e spontanea [il riferimento è all’Anci] (si
pensi ad esempio alla Lega dei Comuni socialisti, del 1916) ma l’elemento consociativo e collaborativo sarà comunque prevalente”190. Di per sé la costituzione della Lega non deve essere considerato un fatto negativo, solo per il fatto che l’organizzazione, diversamente, dall’Anci, fosse legata ad un partito. Proprio perché legata ad un partito con una lunga storia di attenzione verso gli enti locali, con una
forte identità ed un altrettanto forte senso di appartenenza come il Psi, infatti, la
Lega fu in grado di attrarre e di coinvolgere in un’azione collettiva amministrazioni locali che non avrebbero accettato di far parte di alcun altra associazione. Se non
l’avessero ostacolata le fortissime divisioni interne, che corrispondevano a quelle
esistenti nello stesso Psi, la Lega sarebbe stata in condizione di mobilitare le organizzazioni del movimento dei lavoratori ed il forte gruppo parlamentare socialista
come quasi certamente mai sarebbe stato in grado di fare l’Anci, né rispetto ai sindacati, né rispetto ai propri parlamentari di riferimento.
Nella visione dei riformisti la Lega non prevedeva l’incompatibilità con l’adesione all’Anci e anche quando su decisione dell’assemblea costitutiva del 1916
– ed il contributo determinante di Lazzari – l’incompatibilità venne infine stabilita, la dirigenza riformista dell’organizzazione si mosse, nei fatti, in coordinamento con l’Associazione dei comuni. Pur separata dall’Anci la Lega era protagonista del movimento per le autonomie locali, andandone ad occupare quella
può essere definita l’ala sinistra, accanto all’Associazione dei comuni di Sturzo,
al centro, ed all’ala destra, dove poteva essere collocata la meno forte Upi.
Grazie anche al prestigio di uomini come Caldara la Lega non venne trascinata in operazioni velleitarie come quelle adombrate dalle circolari Lazzari del
1917, garantendo così alle amministrazioni locali socialiste una rete di comunicazione e di contatti sulla base della quale promuovere iniziative a vantaggio dei
comuni non solo di tipo politico-istituzionale, come quelle svolte in Parlamento, ma anche dirette a sviluppare attività a beneficio dei cittadini come, ad esempio, quella che dette vita nel 1917 alla Federazione degli enti comunali di consumo191.
5.7. La fine dell’Anci e dell’Upi
Se la fine della Lega fu causata dalla miopia dei dirigenti del Psi quella dell’Anci si verificò, nei termini che verranno descritti, per la debolezza della diri190
191
Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit. p. 83.
Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 155-6.
66
PARTE I
genza liberale e cattolica che lasciò ai fascisti la libertà di decidere i termini della fine dell’Associazione.
Dalla seconda metà del 1923 gli uomini in camicia nera entrarono nell’Anci sostituendo gli amministratori democratici come Luigi Sturzo, rimasto nell’Associazione anche dopo la fondazione del Partito popolare italiano nel 1919.
I più famosi tra i nuovi dirigenti furono Roberto Farinacci e Cesare Rossi, consiglieri comunali rispettivamente a Cremona e a Milano192. Rossi poi, nell’ottobre del 1923, divenne vicepresidente dell’organizzazione insieme ad un altro fascista Giuseppe Puca, sindaco di Castellamare Adriatico193, in sostituzione di
Sturzo e Fortunato Buzzi194, decaduti perché non rieletti nei rispetti consigli comunali. In quegli stessi giorni, l’8 ottobre 1923, il presidente del consiglio Benito Mussolini incontrava la direzione dell’Anci195.
Qualche mese dopo, nel febbraio del 1924, la vecchia Anci e l’organizzazione fascista degli enti locali, la Confederazione nazionale degli enti autarchici (Cnea), costituita appena l’anno precedente196, stabilirono un “Patto d’intesa”197. Circa un anno più tardi però, il “Patto”, secondo le affermazioni della dirigenza dell’Anci, venne “improvvisamente denunciato” dall’organizzazione fascista198. Per la Cnea, era
“tramontata ogni possibilità d’intesa fra la Confederazione Nazionale degli Enti Autarchici e l’Associazione dei Comuni Italiani”199. Il 5 gennaio 1926 il consiglio direttivo dell’Associazione annunciava che nella precedente riunione del 15 dicembre:
192
A questo proposito il consiglio direttivo dell’Anci aveva rilevato, fin dal dicembre del
1922, “come fosse avvenuta una rinnovazione di molte amministrazioni comunali e come nuove correnti politiche si fossero inserite nel ritmo della vita comunale italiana”; Integrazione del
Consiglio direttivo dell’Associazione dei comuni, AC, n. 9, set. 1923, p. 1.
193
Riunione del Consiglio direttivo dell’Associazione dei Comuni Italiani, AC, n. 10, ott.
1923, p. 2.
194
Sturzo, Buzzi e Dario Franco, erano stati nominati vicepresidenti a seguito del congresso del XVI congresso dell’Anci svoltosi a Parma nel novembre 1921, Il XIV Congresso nazionale dei comuni, AC, lug. 1922, p. 2. Dario Franco rimase in carica anche negli anni successivi, a
fianco dei due vicepresidenti fascisti.
195
Importanti dichiarazioni di S.E. Mussolini ai rappresentanti dell’Associazione dei Comuni
Italiani, AC, n. 10, ott. 1923, p. 1.
196
Fu il fascista ferrarese Giuseppe Ghedini, ragioniere del Ministero dell’interno, ad ideare nel 1922, nella provincia di Ferrara, una Federazione provinciale dei comuni fascisti di cui
divenne segretario. Sul modello di quella Federazione, sempre a Ferrara, l’anno seguente venne
costituita la Cnea, di cui Ghedini sarebbe stato segretario fino al febbraio 1926, data della sua
morte. Nel dicembre del 1924 il Gran Consiglio del fascismo ed il direttorio del PNF dichiararono la Confederazione “organo ufficiale del Partito Nazionale Fascista”; Giuseppe Ghedini,
Rdp feb. 1926, pp. 34-5. L’organo cambiò la propria denominazione da Confederazione nazionale in Confederazione generale a partire dal novembre del 1926; Confederazione generale
degli enti autarchici, Federazione nazionale delle provincie, Rdp nov.-dic. 1926, pp 309-313.
197
Un patto d’intesa fra l’Associazione dei comuni e la Confederazione fra le federazioni provinciali degli enti autarchici locali, AC, feb. 1924.
198
Associazione dei comuni italiani, Relazione morale e finanziaria. Novembre 1921-dicembre
1925 (approvata dal Consiglio direttivo nella seduta del 15 dicembre 1925), Roma, 1925, p. 7.
199
ArSCPr, Anno 1925, Amministrazione comunale 1, fasc. Amministrazione comunale.
Abbonamenti. Anno 1925, Confederazione Nazionale degli Enti Autarchici, Federazione provinciale di Parma; Oggetto: Rapporti fra la Confederazione Enti Autarchici e l’Associazione dei Comuni Italiani, s.d., (febbraio 1925).
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
67
“per evitare una dispersione di energie, [decise di] addivenire alla fusione delle
due organizzazioni previa revoca della qualità di Ente morale, riconosciuta all’Associazione […] In dipendenza di tale deliberato, l’Associazione dei Comuni Italiani ha cessato, con il 31 dicembre 1925, ogni attività ed esaurita la liquidazione della sua gestione quale Ente, verrà successivamente fusa nella Confederazione Nazionale degli Enti autarchici”200.
Questa, in breve, la successione degli avvenimenti che portò alla fine dell’Associazione dei comuni.
5.7.1. L’inutile tentativo dell’Anci di ingraziarsi il fascismo. La clandestinità
istituzionale dell’Upi
Scorrendo i documenti ufficiali si ha modo di giudicare quanto ingloriosa
fu questa fine. Il resoconto della riunione del 15 dicembre 1925 iniziava con il
richiamo all’inesistente merito di essersi opposta ad un – in realtà mai avvenuto - tentativo socialista di appropriarsi dell’Associazione “che aveva vittoriosamente resistito nel 1916 al tentativo di conquista compiuto dai rappresentanti
dei Comuni socialisti, i quali tendevano a farne un organo del loro partito”.
Tradendo nella sostanza la tradizione moderata dell’Associazione e tramutandola in accondiscendenza verso il più forte, la direzione ricordava la propria
adesione naturale al fascismo. L’Anci, dopo avere vinto i socialisti, “veniva a trovarsi naturalmente inserita nel nuovo movimento nazionale, pur senz’assumere
atteggiamenti contrari alle precise disposizioni statutarie e senza cambiare sostanzialmente il proprio ordinamento”. E così, sempre rispettando lo statuto,
“sorta la Confederazione degli Enti Autarchici, quale organo eminentemente
rappresentativo di Amministrazioni locali fasciste, la Presidenza dell’Associazione si trovò facilmente d’accordo con i dirigenti di essa” e firmò il Patto poi
denunciato dalla Cnea.
La relazione continuava ancora per molte pagine con un’interessante descrizione dell’ampia e meritoria attività tecnico-amministrativa svolta in favore dei
comuni, e si concludeva con l’annuncio da parte della dirigenza dell’Anci, inspiegato e inspiegabile - se non con la denuncia della sopraffazione fascista della possibilità della propria fine:
“Se quindi una nuova situazione di cose, per quanto estranea alla sua azione e
ai fini che ha sempre perseguiti, vorrà che l’Associazione cessi di esistere, noi accetteremo con rammarico questa necessità, ma anche con profondo orgoglio,
con l’orgoglio che ci deriva dal fatto di consegnare ad altri una istituzione che
aveva acquistato simpatie ovunque”201.
Acs, Fondo Presidenza del consiglio dei ministri (Pcm), anno 1926, b. 909, fasc.
3.18.205, Associazione dei comuni italiani, Roma, 5 gen. 1926; Oggetto: Relazione morale e finanziaria – Fusione dell’Associazione dei comuni italiani con la Confederazione degli Enti Autarchici.
201
Associazione dei comuni italiani, Relazione morale e finanziaria. Novembre 1921-dicembre 1925…, cit., pp. 6 e 40.
200
68
PARTE I
Nella cronaca ufficiale della riunione del 15 dicembre 1925 inviata ai comuni non v’era traccia di alcuna decisione suicida da parte della direzione, che
si era limitata ad esprimere solamente il timore della propria fine. Molto probabilmente la scomparsa dell’Anci era già stata decretata, ma i dirigenti speravano ancora nel successo delle pressioni che qualche personalità fascista dell’Anci stava facendo sul governo e sullo stesso Mussolini, sottolineando l’utilità di continuare l’attività dell’organizzazione anche nel nuovo regime politico202. Quelle pressioni, però, furono inutili e il 5 gennaio 1926 la direzione fu
costretta ad annunciare, con data retroattiva, il suicidio dell’Anci.
Della vecchia dirigenza liberale, rimasta dopo l’uscita dei cattolici, c’erano
ancora il presidente Teofilo Rossi di Montelera e il vicepresidente Franco, forse
troppo poco per pensare a dichiarazioni più decise, sta di fatto che: “la vecchia
e gloriosa Associazione dei comuni, con la sua rivista ‘L’Autonomia comunale’”,
scrive Rotelli, “aveva abbandonato la scena […] e lo aveva fatto senza sbattere la
porta consentendo, così, alla Confederazione fascista di autominarsene erede”203.
Il giudizio di Rotelli è duro ma, complessivamente, giustificato. È vero che
la fine dell’Anci avvenne quasi per soffocamento, in forma lenta e progressiva,
è vero che fu la natura democratica dell’organizzazione a permettere l’insediamento di una nuova maggioranza di amministratori affermatasi non con il voto ma con la violenza. L’Anci, però, tra la fine del 1920 e l’inizio del 1923
avrebbe avuto il tempo per denunciare la violenza fascista contro i comuni ma
non lo fece - almeno a giudicare dalla pur non esaustiva documentazione disponibile204 - per una malintesa moderazione politica, o forse per opportunismo.
Non è improbabile, infatti, che la direzione dell’Anci almeno in un primo tempo, avesse creduto che quella violenza sarebbe stata limitata alle amministrazioni socialiste, quando poi fu la volta delle amministrazioni cattoliche i liberali pensarono che almeno loro sarebbero potuti rimanere, dopo fu troppo tardi: nel disegno della dittatura la cancellazione dell’autonomia locale e delle libertà civili e politiche dei cittadini andavano di pari passo205.
Il fascismo non si accontentò della fine dell’Anci che, non a caso, svanì alla
vigilia dell’emanazione delle leggi che nel 1926 sostituirono i sindaci con i podestà206, mentre quel che rimaneva dell’Upi venne fatto sparire, almeno uffi202
Cfr. Acs, Pcm, anno 1925, fasc. 3.18.1455, Copia della lettera dell’Associazione dei comuni italiani – Sezione provinciale Como – Varese – Lecco, Como 9 aprile 1925, allegata all’appunto inviato dall’On. Conte Pier Gaetano Venino al on. conte Giacomo Suardo, Sottosegretario
di stato alla Presidenza del consiglio, Milano 13 apr. 1925.
203
Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fascista…, cit., p. 180.
204
Non esistendo un archivio storico dell’Anci relativo al primo ‘900, si è fatto riferimento
alle pagine dell’organo ufficiale dell’organizzazione, “L’Autonomia comunale” che, dopo un
numero datato gen.-ott. 1919, riapparve nel luglio del 1922 fino al novembre 1925.
205
Sul collegamento tra la soppressione delle libertà individuali e dell’autonomia degli enti
locali durante il fascismo, esiziale in particolare per le minoranze etniche e linguistiche situate
in Italia, cfr. Sandro Fontana, Il fascismo e le autonomie locali, in, idem (a cura di), Il fascismo e
le autonomie locali, Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 9-19.
206
Le leggi 4 feb. 1926, n. 237 e 3 set. 1926, n. 1910, diedero vita ai podestà, la prima nei
comuni fino a 5.000 abitanti, la seconda in tutti gli altri.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
69
cialmente, alla fine del 1928207 proprio nei giorni in cui i presidenti delle deputazioni provinciali vennero cambiati con i presidi208, sia gli uni che gli altri di
nomina governativa. Sempre nel 1928, infatti, scomparve anche la Confederazione degli enti autarchici, pur essendo questa una “‘creazione eminentemente
fascista’ [che] si collocava in modo organico all’interno del Partito e del regime
e professava un’adesione assoluta alla ideologia ufficiale”. Rotelli evidenzia il
fatto che la Confederazione “costituì un elemento dialettico di un certo rilievo”209 all’interno del regime, ma, evidentemente, non fu certo questo a contribuire alla sua sopravvivenza.
Il fascismo dopo aver cancellato l’Anci ed aver annullato l’autonomia di
comuni e province decise di far scomparire qualsiasi tipo di organizzazione di
enti locali. Il governo nazista della Germania, invece, negli stessi anni, non
chiuse ma ristrutturò a proprio piacimento le associazioni comunali nazionali, anche per rilanciare la loro presenza nel panorama europeo ed internazionale come strumenti della propaganda nazista. Mentre la tradizionale autonomia dei comuni della Germania veniva rispettata, almeno formalmente, anche negli anni del Terzo Reich, il tradizionale centralismo dell’Italia aveva modo di affermarsi pienamente attraverso la dittatura fascista, sopprimendo anche la minima parvenza di autonomia locale. Fu in Spagna, sempre tra le due
guerre mondiali, che la tradizione di centralismo politico-istituzionale ebbe
modo di manifestarsi in modo simile a quello italiano. Nella penisola iberica,
infatti, il dittatore Francisco Franco, nel 1939, uscito vittorioso dalla guerra
civile, soppresse l’organizzazione dei comuni spagnoli, l’Unión de Municipios
Españoles210.
Per quanto riguarda l’organizzazione delle province, nel 1926 l’Upi divenne sezione della Confederazione nazionale degli enti autarchici, nel 1927 Federazione nazionale delle province, dal 1929 la Confederazione fascista venne soppressa e, con essa, anche la Federazione. Di fatto, però, l’organizzazione delle
province continuò ad esistere e proseguì la propria attività fino al 1943 in una
sorta di clandestinità istituzionale, camuffandosi come “comitato di direzione”
del mensile “Rivista delle provincie”, già organo ufficiale dell’Upi, diretto da
Pietro Gilardoni211.
207
L’informazione sulla fine dell’organizzazione fascista è ricavata da una frase del presidente, Maurizio Maraviglia, nell’introduzione di un volume, dove scrive di “cessazione della Confederazione”, (Partito nazionale fascista, Confederazione generale degli enti autarchici, Annuario statistico delle città italiane. Anno VII, Roma, 1929, p. III).
208
Con la legge 27 dic. 1928, n. 2962.
209
Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fascista…, cit., p. 180.
210
Joan-Anton Sánchez de Juan, Il movimento di riforma municipale in Spagna e i rapporti
con le reti intermunicipali europee (1900-1936), in Patrizia Dogliani e Oscar Gaspari (a cura di),
L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunale europeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Roma, Donzelli, 2003, pp. 123-148.
211
Pietro Gilardoni era figlio di Annibale, deputato popolare aventiniano, giornalista de “Il
Popolo”, collaboratore di Sturzo, allontanato dalla segreteria dell’Upi nel 1924 su esplicita richiesta del Ministro delle finanze Alberto De Stefani Gaspari, L’Italia delle Province…, cit., pp.
78-88; 104-113.
70
PARTE I
Nulla meglio di questa vicenda evidenzia la forza del movimento per le autonomie locali nella storia politico-istituzionale italiana, che riuscì in qualche
modo a conservare una sia pur flebile continuità persino negli anni della dittatura fascista.
5.8. Dalla questione comunale alla questione urbanistica, e la sconfitta dei
tecnici municipali
Il fascismo e la fine della democrazia, privarono il movimento per le autonomie locali delle proprie organizzazioni e della possibilità di un’elaborazione
politico-istituzionale, ma alcuni singoli tecnici, appartenenti alla parte più forte ed attiva del movimento, quello comunale, continuarono a sviluppare proposte di tipo scientifico e contribuirono a costituire una nuova e diversa organizzazione nell’ambito della quale operare autonomamente. La fondazione dell’Istituto nazionale di urbanistica (Inu) nel 1930, ad un lustro dalla fine dell’Anci, sancì il passaggio dalla questione comunale alla questione urbanistica. Detto in termini molto sintetici, durante il fascismo si definì il passaggio da una
concezione politica complessiva della gestione del governo locale, che comprendeva anche quella del territorio, ad un’altra di tipo tecnico-scientifico che
si occupava soprattutto, se non solo, della costruzione della città. Il collegamento tra l’esperienza dell’Anci – e dell’Usci, per quanto riguarda la statistica e quella dell’Inu era ben nota agli stessi protagonisti della fondazione della disciplina urbanistica, che lo riconobbero nella ricostruzione della storia dell’Inu
fatta nel 1932 nel primo numero della rivista “Urbanistica”:
“In Italia si ebbe dapprima un’Associazione dei Comuni italiani, seguita dall’Unione statistica delle città italiane. A Milano sorse in seguito l’Associazione
Nazionale delle Abitazioni e dei Piani Regolatori, e infine, promossi dai Sindacati degli Architetti e degli Ingegneri, sorsero a Roma, a Torino e a Milano dei
Gruppi di Urbanisti […, e] quindi l’Istituto Nazionale di Urbanistica sotto la
presidenza dell’on. Prof. Arch. Alberto Calza Bini”212.
Con l’Inu, scrive Zucconi: “Si realizza l’idea, lanciata a suo tempo dall’Associazione nazionale dei comuni italiani, di fondare ‘un centro di studi urbanistici e di altri studi municipali’, ma si concreta secondo modalità differenti da
quelle auspicate dai municipalisti”213. Il progetto menzionato da Zucconi era
quello di Silvio Ardy, un segretario comunale collaboratore dell’Anci come un
altro protagonista della fondazione e della storia dell’Inu, Virgilio Testa, “considerato il fondatore del diritto urbanistico in Italia”214. Quello di Ardy era il
212
Armando Melis de Villa, Presentazione dell’Istituto nazionale di Urbanistica, “Urbanistica”, n. 1, 1932, p.2.
213
Guido Zucconi, La città contesa: dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Milano, Jaca Book, 1999 (I ed. 1989), p. 159.
214
Laura Besati, Contributi ad una storia dell’Inu 1930-1975, in Urbanisti italiani, Roma,
Inu, 1995, p. 401; si rinvia a questo saggio anche per una breve ricostruzione delle vicende dell’Inu.
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE
71
progetto di un Istituto italiano di urbanesimo e di alti studi municipali215, pubblicato nel 1926, fallito anche perché “[privilegiava] il buon governo della città a discapito della rappresentazione della forma”216.
Durante il fascismo la prospettiva sostenuta dai municipalisti, come li definisce Zucconi, o dei tecnici municipali, come li chiama un altro storico dell’urbanistica, Adorno, venne “sconfitta a favore degli architetti libero professionisti, di cui si trova ampio riscontro nel dibattito culturale delle riviste del tempo”. Una sconfitta, scrive ancora Adorno, che avrebbe comportato sia la “affermazione della figura dell’architetto come costruttore d’immagine e promotore
del consenso, rispetto al tecnico come gestore del buon governo e vestale dell’efficienza amministrativa”, sia la “negazione dei processi democratici nelle autonomie locali, dello svuotamento delle loro competenze nel controllo e nella
costruzione del territorio”217.
Alla luce di questa interpretazione, l’interesse della Lega verso l’urbanistica,
nel periodo repubblicano, può essere interpretata come un tentativo di ricondurre tale questione all’interno di una visione complessiva del governo del territorio.
215
Silvio Ardy, Proposta di creazione di un Istituto italiano di urbanesimo e di alti studi municipali, Vercelli, 1926.
216
Paolo Nicoloso, Gli architetti di Mussolini: scuole e sindacato, architetti e massoni, professori e politici negli anni del regime, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 69.
217
Salvo Adorno, Urbanistica fascista. Tecnici e professionisti tra storiografia e storia disciplinare, in “Contemporanea”, n. 1, 2001, pp. 144-6. Si veda anche, sempre di Adorno, Storia, saperi urbani, professioni: un percorso a mo’ d’introduzione, in idem, (a cura di) Professionisti, città
e territorio. Percorsi di ricerca tra storia dell’urbanistica e storia della città, Gangemi editore, Roma, 2002, p. 21.
PARTE II
DURANTE LA REPUBBLICA,
NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
1. La rinascita della Lega: le ragioni della fondazione della Lega
dei comuni democratici
1.1. La Resistenza e la rifondazione dello Stato su basi autonomistiche
La rinascita della Lega avvenne in occasione del congresso degli amministratori locali comunisti e socialisti svoltosi a Firenze il 27 dicembre 1947218. La
scelta del luogo rispondeva a precise ragioni politico-istituzionali legate alla Resistenza:
“Se mai c’è stata nella storia unitaria una congiuntura nella quale la prospettiva della rifondazione dello stato su basi autonomistiche, cioè della restituzione
del potere dal centro alla periferia, si sia delineata, essa si chiama Resistenza. Se
mai c’è stata una fase di questa nella quale la prospettiva abbia acquistato nei
fatti precisione di contorni istituzionali, essa va vista nella seconda metà del
1944. Se mai c’è stato un luogo nel quale allora si siano poste le premesse del
mutamento, esso deve essere individuato in Firenze, città e capoluogo riconosciuto dell’intera Toscana. Se mai c’è stato in quel contesto un soggetto politico, che come tale abbia apprezzato, assunto e propugnato la causa del capovolgimento della struttura dello Stato accentrato e della sua ricostruzione dal basso, esso non si può che identificarlo nel Comitato toscano di liberazione nazionale [Ctln]”219.
L’omaggio di un autorevole studioso della storia delle istituzioni locali come
Ettore Rotelli al ruolo svolto in favore delle autonomie locali da Firenze – e dal
Ctln - negli anni della Resistenza e dell’immediato secondo dopoguerra può es218
Il Congresso dei comuni democratici a Firenze, “L’Amministratore democratico” (AD), dic.
1947, pp. 1-3.
219
Ettore Rotelli, L’ipotesi toscana di fondazione della Repubblica, in idem, Costituzione e amministrazione…, cit., pp. 342-3; introduzione ai due volumi curati dallo stesso autore, La ricostruzione in Toscana dal CLN ai partiti, Bologna, Il Mulino, 1980-81, 2 voll. Sullo stesso argomento cfr. anche: Pier Luigi Ballini (a cura di), “La Nazione del Popolo”. Organo del Comitato
Toscano di Liberazione Nazionale (11 agosto 1944-3 luglio 1946), Regione Toscana-Consiglio regionale, Firenze 1998; Pier Luigi Ballini, Luigi Lotti, Mario G. Rossi (a cura di), La Toscana nel
secondo dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 1991.
74
PARTE II
sere sufficiente, in questa sede, a spiegare perché proprio in quella città le amministrazioni locali della sinistra decidessero di far rinascere una propria organizzazione ispirata alla Lega dei comuni socialisti: la Lega dei comuni democratici. Nessun’altra città italiana, infatti, avrebbe potuto incarnare meglio di
Firenze le concrete istanze di autonomia di cui erano portatrici le amministrazioni locali della sinistra all’indomani della fine del fascismo e della seconda
guerra mondiale.
Fu il Comitato toscano di liberazione nazionale a sostenere con maggior forza e determinazione la necessità della riforma dell’istituto del prefetto, “l’aspetto politicamente più vistoso” del progetto di decentramento che il Ctln presentò al Governo, progetto che prevedeva l’attribuzione ai Cln regionali di numerose competenze amministrative dello Stato. Fu la Deputazione provinciale
di Firenze, nell’ambito del dibattito sulla necessità di costituire l’ente Regione,
a prefigurare in un ordine del giorno le competenze che si sarebbero dovute attribuire al nuovo istituto. In una primissima fase furono cattolici e azionisti i
più attivi, mentre i comunisti furono più interessati all’esigenza della formazione dei quadri amministrativi comunali ed ai problemi del governo locale. All’indomani delle elezioni locali, infatti, la grande maggioranza dei comuni toscani venne governata da amministrazioni giunte di sinistra, con una forte presenza del Pci. Furono però poi quelle stesse amministrazioni a diventare eredi
della battaglia del Ctln “per il rinnovamento istituzionale attraverso la difesa e
il potenziamento delle autonomie locali”220.
1.1.1. Il ruolo di Firenze e della Toscana
Fu così che, all’indomani delle elezioni amministrative del 1946 - che portarono alla testa di gran parte delle amministrazioni locali toscane i partiti della sinistra, e soprattutto il Pci - prese “gradualmente forma la condizione amministrativa del cambiamento, ossia la concreta gestione degli enti locali, finalizzata alla tutela degli interessi fondamentali delle classi popolari da parte della maggioranza di sinistra, e al tempo stesso impostata in chiave decisamente
autonomistica, non secondo le linee di una strategia puramente antagonistica
nei confronti del potere statale, ma intesa a costruire un effettivo sviluppo democratico, basato sull’iniziativa dal basso e su un ampio e reale coinvolgimento delle masse nella condizione della cosa pubblica”221.
Nella Toscana del secondo dopoguerra, fucina di progetti di riforma istituzionale, ad essere al centro dell’attenzione dei partiti della sinistra, e soprattutto dei comunisti, non furono progetti propagandistici, puramente antagonisti
220
Mario G. Rossi, Regionalismo e forze politiche in Toscana dalla Liberazione al “centro sinistra”, in Simone Neri Serneri (a cura di), Alle origini del governo regionale. Culture, istituzioni,
politiche in Toscana, Roma, Carocci, pp. 38-40; si rinvia a questo saggio ed all’intero volume
per una sintetica ed utile sintesi della questione dell’autonomia locale e regionale in Toscana
dal secondo dopoguerra agli anni ’70 del ‘900.
221
Mario G. Rossi, Politica e amministrazione alle origini della Toscana “rossa”, in Ballini,
Lotti, Rossi (a cura di), La Toscana nel secondo dopoguerra…, cit. pp. 432-3.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
75
rispetto alla politica del governo ma, soprattutto, i concreti problemi del governo locale e quelli della formazione degli amministratori. In questo contesto
fu di particolare importanza l’attività della Lega. Specie dopo il 1948, infatti:
“la Lega diventa sempre più il centro promotore e coordinatore dell’iniziativa
delle amministrazioni di sinistra, non tanto in opposizione alla politica governativa […] quanto in funzione di una politica alternativa dei poteri locali, volta a soddisfare i bisogni primari della popolazione, ad attivare e potenziare i servizi pubblici essenziali, ad affermare l’effettiva autonomia della vita amministrativa contro le pesanti ingerenze dell’autorità statale”. Contro la Lega, quindi, e anche contro la molto attiva Unione regionale delle province toscana, organizzazione periferica dell’Upi, vennero minacciate e promosse le misure repressive dei prefetti222.
Nonostante le peculiari caratteristiche del periodo e della mobilitazione politica del secondo dopoguerra, il protagonismo del capoluogo toscano negli anni della Resistenza e nell’immediato dopoguerra riguardo alle riforme istituzionali - nell’ambito di quello dell’intera regione - non era legato solo alla realtà
politica dei partiti della sinistra. Il ruolo di Firenze in favore dello sviluppo dell’autonomia locale, infatti, si ricollega in modo chiaro ed evidente al tradizionale attivismo della città nella storia del movimento per le autonomie locali. Il
comune di Firenze, come si è già accennato, nel primo ‘900 fu alla testa di un
movimento di grandi comuni moderati del centro e del nord che si sviluppò
poco prima di quello che avrebbe dato vita all’Anci nel 1901. Nello stesso capoluogo toscano, nel 1905, mosse i primi passi l’organizzazione statistica comunale, l’Usci, che avrebbe operato con successo in Italia per più di vent’anni.
Ancora a Firenze, infine, per iniziativa di quella deputazione provinciale, all’avanguardia nell’elaborazione del progetto di riforma regionale, si svolse nel
maggio del 1946 il congresso di rifondazione dell’Upi223.
Una volta evidenziate le motivazioni che possono spiegare la scelta della città di Firenze quale sede del congresso di fondazione della Lega dei comuni democratici, rimane da chiarire perché le amministrazioni locali socialiste e comuniste siano giunte alla decisione di costituire una propria struttura autonoma a più di un anno dalla rifondazione dell’Upi e dell’Anci, avvenute, rispettivamente, nel maggio e nel settembre del 1946.
1.2. La rifondazione dell’Upi
La rinascita dell’Upi224 si svolse – quasi certamente senza alcuna consapevolezza da parte degli amministratori - ripercorrendo le tappe della fondazione avvenuta nel 1908, quasi a dimostrare la profondità delle radici del movimento
per le autonomie locali. La prima riunione in occasione della quale venne maIvi, p. 445 e 449.
Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 maggio 1946, Libreria editrice fiorentina, sd., sl. (ma Firenze 1946), pp. 9-12.
224
Cfr. Gaspari, L’Italia delle Province…, cit., pp. 133-8.
222
223
76
PARTE II
nifestata la volontà di far rinascere l’Unione si svolse il 6 e 7 novembre 1945 a
Modena, organizzata dalla locale deputazione. Sempre a Modena, su proposta
dalla stessa provincia, si era svolto il convegno che 38 anni prima, nel 1907,
aveva posto le basi per la nascita dell’Upi. L’area tosco-emiliana confermava, così, di essere alla testa di quelle realtà locali medio-grandi che sono le più sensibili ai temi dell’autonomia e che più hanno da guadagnare da una rappresentanza collettiva dei propri interessi.
Al “Convegno delle provincie delle Regione Emilia-Romagna e contermini per
la trattazione di varii problemi amministrativi di particolare interesse per le provincie”, promosso dalla provincia di Modena, parteciparono tutte le province della regione e quelle di Firenze, La Spezia e Apuania (l’attuale provincia di MassaCarrara), con l’adesione delle amministrazioni provinciali di Mantova, Lucca e Pistoia. Nell’incontro vennero discussi vari argomenti e votati diversi ordini del giorno, sia di carattere politico-istituzionale, sia amministrativo, nei quali si chiese, in
particolare, l’esonero di spese e servizi di competenza dello Stato, la costruzione di
uno Stato che “si fondi sopra una larga autonomia regionale, provinciale e comunale che ne consenta l’auspicato decentramento burocratico ed amministrativo” e,
infine, il ritorno del segretario provinciale alle dirette dipendenze della provincia225.
Il convegno venne promosso da un’amministrazione di nomina prefettizia i
cui membri rispecchiavano la composizione del Comitato di liberazione nazionale (Cln). Fu, quindi, un’amministrazione composta da esponenti di tutti i
partiti quella che indisse il convegno, anche se furono politici di sinistra e della DC quelli che svolsero le relazioni: Giuseppe Cerchiari, presidente, e Gaetano Bertelli, del Psi226, Attilio Guidelli, della Democrazia cristiana; Gino Santini, del Partito d’azione227.
A richiamare la tradizione associativa delle province durante i lavori del convegno di Modena fu la deputazione provinciale di Firenze228. Si riproposero, così, al momento della rinascita nel secondo dopoguerra, le modalità della nascita dell’Upi nel 1908, che venne costituita dopo lo svolgimento di congressi nazionali delle province.
Dal 5 al 7 maggio 1946 nella sede dell’Amministrazione provinciale di Firenze, si svolse il congresso nel quale venne ricostituita l’Upi: vi parteciparono
circa 150 delegati in rappresentanza di 73 province, ma tutte le province italiane avevano manifestato la loro adesione.
L’assemblea propose i seguenti punti “sui quali dovrebbe basarsi la riforma:
1) Necessità di snellimento e di sburocratizzazione dell’apparato statale […]; 2)
Convegno delle provincie Emilia-Romagna e contermini, Rdp ago-set. 1945, pp. 96-108.
La corretta denominazione del Partito socialista italiano nel secondo dopoguerra, fino al
1947, era Partito socialista di unità proletaria, Psiup. Per sottolineare però la continuità del partito tra periodo liberale e repubblicano si preferisce utilizzare la dizione Psi anche per l’immediato dopoguerra.
227
Provincia di Modena, La provincia dei cittadini. Speciale 50 anni del consiglio provinciale, Modena, 2001, p. 7.
228
Lettera circolare della Deputazione provinciale di Firenze, 26 marzo 1946, firmata Il Presidente Ezio Donatini, in: Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 maggio 1946, Libreria editrice fiorentina, sd., sl. (ma Firenze 1946), pp. 9-12.
225
226
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
77
Mantenimento delle Provincie […]; 3) Creazione dell’Ente Regione per lo svolgimento delle funzioni di carattere regionale finora avocate alla competenza
dello Stato […]; 5) Affidamento ad una Commissione di Studio del compito
di sviluppare in un organico progetto le linee fondamentali di cui al presente
ordine del giorno […, e] di prendere gli opportuni contatti colla nuova Assemblea Costituente”. A Firenze la rinascita dell’Unione delle Provincie d’Italia
venne “approvata all’unanimità per acclamazione”, venne votato lo statuto e
nominato il Consiglio direttivo229, i cui componenti vennero proposti da
un’apposita commissione che li scelse “sulla base dei seguenti criteri: rappresentanza, per quanto possibile, del maggior numero di regioni; rappresentanza
della tendenza contraria alla istituzione dell’Ente Regione […] rappresentanza
equamente distribuita fra Province grandi, medie e minori”230
Il Consiglio direttivo riunitosi il 7 maggio, al termine del congresso, elesse
come presidente il democristiano Ezio Donatini, preside della deputazione provinciale di Firenze e nominò segretario dell’Unione, Pietro Gilardoni231, che
aveva guidato l’organizzazione delle province in tutto il periodo della clandestinità istituzionale, fino al 1943232.
1.3. La rifondazione dell’Anci
Il “Comitato tecnico provvisorio per la ricostituzione dell’Associazione dei
Comuni italiani”233, presieduto da Ugo Giusti, avviò la rifondazione dell’Anci
dalle pagine de “Il corriere amministrativo”234 nell’autunno del 1945, ma varie
Il congresso nazionale delle province (Firenze 5, 6, 7 maggio 1946), Rdp, gen.-mar. 1946,
pp. 6-32.
230
Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 maggio 1946…, cit., pp.
187-8.
231
Il congresso nazionale delle province (Firenze 5, 6, 7 maggio 1946), Rdp, gen.-mar. 1946,
p. 32.
232
Gaspari, L’Italia delle Province..., cit., pp. 104-6.
233
Il comitato tecnico provvisorio, L’Associazione dei comuni italiani, CA, n. 3-4, set.-ott.
1945, p. 99. I componenti erano: Lanfranco Maroi, statistico, futuro presidente dell’Istat;
Manlio Rossi Doria, antifascista, professore di economia politica agraria, membro del comitato centrale del Partito d’Azione e, dopo lo scioglimento, iscritto al Partito socialista italiano;
Alessandro Schiavi, socialista riformista, nel secondo dopoguerra aderente al partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat, nel periodo liberale era stato, tra l’altro, dirigente della Società
umanitaria di Milano e collaboratore del sindaco di Milano, Caldara; Renato Vicard, funzionario dell’Istat in pensione, segretario del comitato; Arcangelo Cirmeni, funzionario del Ministero dell’interno; Gino Crispo segretario comunale, facente funzioni, del comune di Roma, ed
Emanuele Rienzi.
234
Un accenno alla storia della rivista è in Ettore Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento
comunale e provinciale durante il periodo fascista, in, idem, L’alternativa delle autonomie. Istituzioni locali e tendenze politiche dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 155. Rotelli, tra
gli elementi di continuità tra il periodo fascista e quello repubblicano, rispetto alla storia delle
autonomie locali, sottolinea la presenza nella rivista “Il corriere amministrativo” (CA) di Arcangelo Cirmeni, e di Luigi Giovenco, che si erano segnalati durante la dittatura per il sostegno alla normativa fascista.
229
78
PARTE II
riunioni di comuni si svolsero già alcuni mesi prima. Furono i sindaci delle più
grandi città del Nord ad organizzare quelle assemblee, sia per porre al governo
la questione di una riforma dello Stato che garantisse l’autonomia comunale,
sia per risolvere i gravissimi problemi della ricostruzione235.
Il 16 luglio 1945 si riunirono a Milano insieme al sindaco della città, i primi cittadini di Genova e Torino che si rividero a Genova il 6 agosto con il sindaco di Bologna. Gli stessi sindaci si incontrarono nuovamente il 28 agosto a
Torino insieme ai primi cittadini di Venezia e Verona e ancora il 18 settembre
si tenne a Venezia una nuova riunione a cui parteciparono, con il sindaco della città lagunare, quelli di Bologna, Genova, Milano e Torino236, era quello il
“IV convegno dei sindaci dell’Alta Italia”.
Non è dato sapere se nei mesi seguenti le riunioni dei sindaci “dell’Alta Italia” continuassero ancora ed allo stesso ritmo, è certo però che il 5-6 gennaio
1946 si svolse a Roma un convegno nazionale tra i sindaci delle città capoluogo
di regione a cui parteciparono i primi cittadini di Roma, Milano, Genova, Bologna, Napoli, Palermo, Firenze, Trieste, Venezia, Bari, Reggio Calabria, Cagliari, Ancona, Perugia, Trento, L’Aquila, Potenza ed il pro-sindaco di La Spezia237.
Queste riunioni, promosse in particolare dai grandi comuni del Nord, non
sembravano prevedere l’ipotesi di un’organizzazione permanente, esattamente
come nel tentativo che precedette l’avvio dell’esperienza dell’Anci238. È chiaro
che tra le due iniziative vi erano grandi differenze, di contesto storico, istituzionale e politico; oltre a ciò, la definizione scelta dal gruppo dei sindaci promotori delle prime riunioni comunali, “sindaci dell’Alta Italia”, sembrava voler
rimandare ad un organo politico proprio del secondo dopoguerra, il Comitato
di liberazione nazionale alta Italia. Nonostante questo, però, può essere rinvenuto un significativo elemento di continuità tra la storia del movimento comunale del primo ‘900 e quella del secondo dopoguerra: entrambe le mobilitazioni dei sindaci dei grandi comuni erano composte e guidate, in gran parte,
da comuni del Nord, grandi comuni che avevano ragione di ritenere - allora come oggi – di essere sufficientemente forti per muoversi da soli.
La convergenza, finale, tra l’iniziativa partita dai grandi “comuni dell’Alta
Italia”, poi estesasi ai grandi comuni di tutta l’Italia, e quella dedicata alla rifondazione dell’associazione comunale venne comunque sancito dallo svolgimento di un “Convegno dei sindaci delle città capoluoghi di provincia” il 4 e
5 settembre a Roma, appena prima dello svolgimento dell’appuntamento che
vide la rifondazione dell’Anci239.
Sulla rinascita dell’Anci nel secondo dopoguerra cfr. Oscar Gaspari, L’Associazione nazionale dei comuni italiani dalla nascita al secondo dopoguerra, in Dogliani, Gaspari, (a cura di),
L’Europa dei comuni…, cit., pp. 54-62
236
ArSCPr, 1945, Carteggio, Amm. com. 5.
237
Il Convegno di sindaci a Roma e l’Associazione dei comuni italiani, CA, n. 1-2, gen. 1946,
pp. 2-7.
238
Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., pp. 29-38.
239
Convegno dei sindaci delle città capoluoghi di provincia, tenuto in Roma nei giorni 4 e 5 settembre 1946; in: Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre 1946, CA, suppl. al n. 17 del
15 set. 1946, pp. 105-130.
235
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
79
1.3.1. L’assemblea istitutiva
Il “Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione nazionale dei comuni italiani”, nel quale venne rifondata l’Anci, si svolse a Roma, in Campidoglio, dal
6 all’8 settembre 1946240. L’assemblea si aprì alla presenza del prefetto, di autorità di Stato e di governo e del Comitato tecnico provvisorio. La relazione introduttiva fu di Ugo Giusti, che ripercorse la storia dell’associazione, seguita
dall’intervento del sindaco di Roma, Filippo Andrea Doria Pamphilj, il quale
espose all’assemblea uno schema di statuto dell’Anci che richiamava in molti
punti quello in vigore nel periodo liberale. L’assemblea, però, decise di rimandare la discussione sullo statuto ad una fase successiva, in modo tale da poter
avere una bozza che fosse il risultato di un lavoro più accurato, affidato ad un
Comitato centrale esecutivo, la cui costituzione venne proposta dal sindaco comunista di Torino, Giovanni Roveda. Venne così approvato una sorta di statuto provvisorio, di 4 articoli, che permise l’esistenza dell’Anci fino a all’approvazione dello statuto ufficiale, avvenuta nel 1949.
Gli ordini del giorno approvati dall’assemblea riguardarono: finanza locale,
per la quale, nel quadro delle richieste per lo sviluppo dell’autonomia comunale, si chiese lo sgravio dai bilanci delle spese che non fossero di competenza dei
comuni (una richiesta presentata dai comuni fin dalla fine dell’’800241); aziende municipalizzate, per le quali si chiese un rilancio dopo la forte crisi del periodo fascista; alloggi per i senza tetto, per i quali si sollecitò, come misura urgente, la cessione di edifici militari per uso abitativo civile; problemi turistici,
affinché venisse promossa la valorizzazione del turismo attraverso la più ampia
autonomia. Venne quindi eletto un comitato centrale formato dai sindaci delle città capoluogo di regione ed un comitato esecutivo ristretto. Alla testa del
comitato esecutivo vennero chiamati il sindaco di Roma, Doria Pamphilj, e
quindi Giorgio Andreoli, Achille Guerra, Enzo Nuti, Mario Paone, Adolfo
Quintieri, Giulio Turchi, deputato comunista, futuro segretario della Lega dei
comuni democratici; del Comitato provvisorio promotore della rinascita vi erano Giusti, Crispo e Vicard242.
La sinistra accolse con grandi speranze la nascita dell’Anci e “Il comune democratico” diede subito notizia delle prime attività dell’appena costituito Comitato esecutivo dell’Associazione: le richieste di interventi in favore della finanza
locale; per la riforma dei controlli sulle amministrazioni comunali; la predisposizione di un’inchiesta sui problemi specifici dei comuni montani e di un’altra sul
Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre 1946, CA, suppl. al n. 17 del 15 set.
1946; ora in Anci, Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani
tenuto in Roma nei giorni 6, 7 e 8 settembre 1946, Empoli, Caparrini, 1946, ora in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., pp. 229-314.
241
Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit. pp. 151-179. Ancora nel 1957 la Lega dei comuni
siciliani promuoveva un’iniziativa sulla questione, Giuseppe Cardaci, I servizi statali a carico dei
comuni, Icd gen. 1957, pp. 24-5.
242
Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani tenuto in Roma nei giorni 6, 7 e 8 settembre 1946, in Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre
1946…, cit. pp. 7-102.
240
80
PARTE II
problema della municipalizzazione dei servizi; gli accordi con l’Associazione nazionale dei segretari comunali per la costituzione di una commissione mista sindaci-segretari incaricata di fornire al governo proposte sullo stato giuridico ed
economico dei segretari “conciliando però lo stesso con il principio di autonomia
dei Comuni”. La rivista rivolse quindi “a tutte le Amministrazioni comunali il più
vivo invito a sorreggerne lo sviluppo con la più incondizionata adesione”243.
1.4. Alle origini della fondazione della Lega: “Il Comune democratico” e
“L’Amministratore democratico”
Nella seconda tornata delle elezioni amministrative, svoltesi il 10 novembre
1946, “le sinistre ottennero un notevole successo conquistando la amministrazioni comunali di Torino, Genova e Firenze, e poiché nella tornata primaverile
avevano già conquistato quelle di Milano, Bologna e Venezia si veniva a delineare un quadro nel quale comunisti e socialisti, in qualche caso con la collaborazione dei repubblicani, dirigevano tutte le maggiori città dell’Italia centrosettentrionale (con sindaci comunisti a Torino, Genova, Venezia, Bologna e Firenze)” migliorando “i già elevatissimi risultati conseguiti” nelle elezioni locali
dell’autunno del 1920244. Secondo i dati pubblicati ne “L’Amministratore democratico” su 7.319 comuni esistenti più di 3.000 erano quelli amministrati
dai due partiti della sinistra. Nell’Italia del Nord su 57 comuni con più di
30.000 abitanti 40 erano retti dalla sinistra, nel Centro erano 23 su 27. Per
quanto riguarda il Sud venivano date informazioni solo sui comuni pugliesi, 6
su 16 con oltre 30.000 abitanti erano guidati da sindaci comunisti245.
Gli amministratori locali comunisti e socialisti, che avevano contribuito alla rifondazione delle principali organizzazioni del movimento per le autonomie
locali, Upi ed Anci, rinnovarono le sollecitazioni ai propri amministratori ad
iscriversi ad esse246 e parteciparono alla definizione delle rispettive attività.
1.4.1. Il ruolo della sinistra all’interno dell’Anci
Dalla sinistra venne mantenuto vivo il dibattito sulle caratteristiche dell’organizzazione interna dell’Anci, che si chiedeva venisse basata su sezioni
provinciali e regionali ben strutturate ed autonome247. Con questa posizione,
Associazione nazionale dei comuni italiani. Attività svolta fino ad oggi, “Il Comune democratico” (Icd) dic 1946, p. 11.
244
Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2459.
245
In particolare erano guidati da un sindaco comunista grandi comuni come Torino, Genova, Firenze, Bologna, Venezia, Taranto; e da un sindaco socialista: Milano, Alessandria, Novara, Perugia; Demar, Le forze popolari al comune, AD dic. 1947, pp. 10-2.
246
Nel caso dell’Anci questa affermazione è confermata dalla pubblicazione nella rivista “Il
Comune democratico” di articoli elogiativi dell’attività dell’Associazione e anche di un apposito comunicato che esortava i sindaci ad iscrivere i propri comuni; Sindaci!, Icd gen. 1947, p. 6.
247
In margine al Convegno di Perugia, Icd ott. 1947, pp. 118-9.
243
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
81
quasi certamente senza essere cosciente dei precedenti storici, la sinistra riproponeva la sostanza della citata proposta di Salvemini del 1901248. Ancora nel
1947, se non proprio su spinta della sinistra, quanto meno con il suo forte
contributo, nel 1947, l’Anci e la Confederazione generale italiana del lavoro
(Cgil) firmarono un accordo in base al quale l’Associazione, “interpretando in
questo campo le difficoltà degli amministratori e i bisogni della popolazione
che essi rappresentano, si è affiancata alla Confederazione generale del lavoro
per condurre insieme la battaglia contro il carovita”249. Grazie poi alla responsabilità politica e gestionale delle aziende municipalizzate i comuni del secondo dopoguerra erano in grado di incidere sul costo dei servizi alla popolazione e la sinistra non mancò di sottolinearlo con decisioni favorevoli ai cittadini consumatori, che avevano un importante effetto di raffreddamento dei
prezzi di mercato250.
Ancora su richiesta dei partiti della sinistra, molto probabilmente, ebbe sede a Milano, città amministrata da una giunta popolare, l’Associazione nazionale fra gli enti di assistenza (Anea)251 che, in due appuntamenti svoltisi sempre a Milano alla fine di ottobre del 1949, discusse un progetto per “la costituzione di un Ministero dell’Assistenza sociale” che avrebbe dovuto avere come organi periferici appositi uffici provinciali e gli Enti comunali di assistenza252. La nascita dell’Anci, comunque, non interruppe l’attività dei sindaci dell’Alta Italia e della Toscana, maggioritariamente amministrati dalla sinistra,
che si riunirono ancora nel 1947 per discutere, in particolare, della questione
finanziaria253.
Fu a Milano che vide la luce il primo nucleo della futura Lega dei comuni
democratici costituita ufficialmente alla fine del 1947. La città lombarda riprendeva così, nel secondo dopoguerra, quel ruolo di protagonista nella storia
del movimento per le autonomie locali che aveva già ricoperto nella storia dell’Anci, di cui era stata promotrice insieme a Parma e di cui ospitò la sede nei
primi 15 anni.
Il Federalista, L’Autonomia Comunale e il prossimo Congresso di Parma…, cit.
Federico Leghissa, L’Anci si è affiancata alla Cgil nella lotta contro il caro-vita, Icd ago.set. 1947, p. 73.
250
Nel 1949 la Lega dei Comuni democratici, la Confederazione della Municipalizzazione,
il Comitato di coordinamento dei consigli di gestione aziende gas, l’Associazione nazionale inquilini, si opponevano alla deliberazione del Cip (Comitato interministeriale prezzi) per l’aumento delle tariffe del gas e chiedevano, in primo luogo, il blocco delle tariffe, salvo ritocchi
indispensabili al pareggio del bilancio delle aziende; AD mag. 1949, p. 163.
251
L’Associazione si riuniva a Roma il 19-20 aprile 1947 (Riunione del Consiglio direttivo
dell’Associazione, Icd giu.-lug. 1947, pp. 65-6) e si sarebbe mobilitata successivamente per la difesa ed il rafforzamento degli Eca cfr. G.B. Facchini (Presidente dell’Eca di Bologna), Si vuole
abolire gli ECA?, Icd giu. 1950, p. 210.
252
Libera Venturini, L’assistenza: vecchie e nuove concezioni, Icd nov. 1949, pp. 119-120.
253
Da Bologna a Firenze. Importanti convegni dei sindaci dell’Alta Italia e della Toscana, Icd
giu.-lug. 1947, p. 71.
248
249
82
PARTE II
1.4.2. “Il Comune democratico”
Il 4 agosto 1946 venne costituito a Palazzo Marino il Centro di consulenza
ai comuni democratici della provincia di Milano254, la cui rivista mensile, “Il Comune democratico”255, diveniva dal gennaio 1948 organo della Lega256. Nel primo ‘900 la definizione ideale del comune socialista era stata quella di comune
moderno, dove l’aggettivo moderno metteva in evidenza la ricerca del progresso,
dello sviluppo economico e politico a vantaggio dei cittadini lavoratori, contrapposto al comune vecchio, arretrato e tradizionalista, arroccato nella difesa dei
privilegi di proprietari terrieri, borghesi e capitalisti. Nel secondo dopoguerra
l’espressione che identificava il comune socialista e comunista fu il comune democratico. Lo sviluppo economico e dei servizi non aveva portato con se, meccanicamente, il benessere dei cittadini lavoratori; il fascismo aveva dimostrato
che la modernità poteva accompagnarsi alla dittatura ed alla guerra. Nel secondo dopoguerra l’obiettivo degli amministratori della sinistra era quindi divenuta la democrazia che, nella realtà locale, si traduceva nel dar voce e diritti ai cittadini e, nella realtà istituzionale, nel dar voce e autonomia ai comuni.
Il Centro di consulenza era retto da un Consiglio direttivo - che, sentito il
segretario del Centro, dava “le direttive generali sul lavoro da svolgere” - formato da sindaco e vicesindaco di Milano, il socialista del Psli Antonio Greppi
ed il comunista Piero Montagnani257; e da vari sindaci di paesi della provincia:
Amilcare Locatelli, sindaco di Binasco, il vecchio socialista che aveva difeso la
Lega negli anni dell’ascesa del fascismo, anche di fronte ai compagni di partito; Aldo Dirotti, di Casalpusterlengo; Carlo Fontana, di Magenta; Cornelio
Zadra, di Parabiago; Carlo Grezzi, di Novate Milanese; Ezio Gasparini, vice
sindaco di Legnano.
Federico Leghissa, del Pci, era segretario del Consiglio direttivo e direttore
del Centro, costituito da una Segreteria e da un Ufficio studi problemi comuFederico Leghissa, Tutti così in prefettura?, Icd dic. 1946, p. 1.
Il titolo del periodico, per esteso, era: “Il Comune democratico. Edito dal Centro di consulenza ai Comuni democratici della provincia di Milano”.
256
Dal primo numero del 1948 la rivista diveniva Il Comune democratico. Edito dalla Lega dei
comuni democratici – Milano. Come riportato in un riquadro in prima pagina “Il Comitato Direttivo della Lega Nazionale dei Comuni democratici ha chiesto che la nostra rivista ‘Il comune
democratico’ divenga l’organo ufficiale della Lega stessa. Lieti di aderire a questa domanda che
rappresenta un premio alla nostra fatica, invitiamo gli amici ed i compagni amministratori ad
intensificare con slancio la campagna degli abbonamenti”; Icd gen.-feb. 1948, p. 1.
La dicitura “Organo ufficiale della Lega sarebbe apparsa sotto la testata a partire dal luglio
1948.
257
L’amministrazione comunale di Milano fu guidata dal 1945 al 1951 dal socialista Antonio Greppi, nominato sindaco dal Clnai alla fine della guerra. Greppi venne confermato nella carica all’indomani delle elezione del 7 aprile 1946 e ancora dopo la scissione del Psi del
1947, pur avendo egli scelto di appartenere al Psli come la maggioranza dei consiglieri socialisti, un Psli che a Milano continuava a collaborare con gli altri partiti della sinistra, mentre a livello nazionale, partecipava ai governi a guida democristiana da cui erano stati esclusi Pci e Psi;
sull’amministrazione milanese nel secondo dopoguerra cfr. Maurizio Punzo, Amministrazione e
politica a Palazzo Marino, in Gianfranco Petrillo e Adolfo Scalpelli (a cura di), Milano anni
Cinquanta, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 624-653.
254
255
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
83
nali. Dalla Segreteria, che aveva “compiti di coordinare e dirigere tutte le attività del Centro”, dipendevano l’Ufficio stampa, l’Ufficio di assistenza amministrativa, che aveva “il compito di rappresentanza dei Comuni presso le Autorità locali e centrali, e per dare l’assistenza tecnica amministrativa agli Amministratori, sia nel nostro ufficio, che recandosi nei singoli Comuni a visitare i consiglieri” e l’Ufficio di consulenza legale che esprimeva “pareri ai Comuni associati in merito a problemi di carattere giuridico, e per assisterli in ogni eventuale controversia”258. Sempre dalla Segreteria dipendeva anche l’Ufficio
Co.f.e.l. (Cooperativa per la fornitura degli enti locali) che provvedeva alla
somministrazione di stampati, cancelleria e ad altro materiale necessario agli
stessi enti per lo svolgimento della loro attività, non solo di quella strettamente amministrativa259.
L’Ufficio studi problemi comunali si occupava di consulenza in materia di
finanze, lavori pubblici e ricostruzione, scuola e assistenza, annona e consulenza igienica260.
Il Centro riprendeva la migliore tradizione dell’Anci. Due uffici della struttura milanese, infatti, avevano la stessa denominazione e le stesse funzioni di
quelli istituiti dall’Associazione dei comuni nella sua piena fioritura nei primi
anni ’20. Il riferimento è all’Ufficio di assistenza amministrativa, che aveva “il
compito particolare di aiutare i Comuni nella trattazione delle loro speciali pratiche presso le Amministrazioni Centrali, la cui definizione troppo spesso dipende essenzialmente da solleciti e pronti rapporti con gli Uffici governativi”;
ed all’Ufficio di consulenza legale, “costituito nel 1922, con il compito di fornire pareri ai Comuni associati sulle questioni di carattere essenzialmente legale e di assisterli eventualmente nelle loro contestazioni davanti alle varie magistrature”261.
Era evidente che una struttura come il Centro di consulenza ai comuni democratici della provincia di Milano andasse ad incidere sui rapporti che i comuni avevano con organismi pubblici ed aziende di vario tipo. Il segretario del
centro, Leghissa, evidenziò diffidenze ed ostilità, in primo luogo quelle degli
appaltatori delle imposte di consumo, dei fornitori dei comuni262 e, non ultimo, della prefettura, di cui riportava testualmente l’opinione di un anonimo
funzionario che così aveva commentato l’attività del centro:
“La consulenza ai Comuni, grazie alla nostra modesta competenza, possiamo
darla noi stessi; possono darla i Segretari comunali. Quanto all’autonomia, è
Struttura del Centro di consulenza, Icd dic. 1946, p. 14.
Nicola Jaeger, Problemi nuovi, soluzioni nuove. La mutualità fra gli enti pubblici. Cooperative di consumo fra enti locali, Icd giu.-lug. 1947, pp. 54-6.
260
Struttura del Centro di consulenza…, cit.
261
Sala XLIII. Associazione dei comuni italiani, in Prima mostra italiana di attività municipale, Vercelli MCMXXIV. Catalogo generale con 50 illustrazioni, Milano, 1924, pp. 306-312; cfr.
Gaspari, L’Associazione nazionale dei comuni italiani dalla nascita al secondo dopoguerra…, cit.,
pp. 40-3.
262
Il centro, infatti, stava promuovendo la costituzione di consorzi per la gestione diretta
delle imposte di consumo e di una cooperativa intercomunale per la fornitura di stampati e materiale vario in uso presso uffici ed enti comunali.
258
259
84
PARTE II
una cosa di là da venire, perché i nostri Comuni non sono maturi per autogovernarsi; e noi siamo qui per far rispettare la legge”.
I tempi, però, scriveva ancora Leghissa, erano ormai cambiati: “Una volta
non si usava interpellare chi sta più in basso, oggi è buona norma farlo; oggi
non è ammesso sottrarsi ai più elementari principi della democrazia; ancor meno è permesso frenare lo sviluppo di iniziative democratiche”263.
Ma gli ostacoli all’adesione dei comuni al Centro non mancavano, anche attraverso indicazioni dirette del Presidente del Consiglio, De Gasperi, a motivo,
almeno ufficialmente, della necessità di ridurre le spese degli enti locali264. La
modestia della riforma della legge comunale e provinciale265 approvata in quei
mesi ricordava agli enti la loro dipendenza dal centro.
1.4.3. La volontà di cambiamento nelle pagine della rivista
Le pagine della rivista “Il Comune democratico” danno un’idea delle grandi aspettative di cambiamento che trasparivano dall’intensa attività dei comuni della sinistra della provincia milanese. L’area era senza dubbio una delle più
ricche e progredite di tutta l’Italia e non rispecchiava, evidentemente, la complessa e frastagliata realtà degli enti locali italiani di quegli anni. Forse, però,
non è lontana dal vero l’ipotesi che la straordinaria volontà di cambiamento che
si manifestava attraverso la rivista era probabilmente comune alla gran parte
delle amministrazioni locali, in anni nei quali l’entusiasmo seguito alla fine del
fascismo e della guerra sembrava rendere possibile grandi mutamenti.
E grandi mutamenti sembravano preannunciare tutti gli articoli del mensile.
C’erano notizie sulla riforma della legge comunale e provinciale266; informazioni ed
istruzioni su uffici ed attività comunali267; il programma di un corso di dieci conversazioni per amministratori comunali organizzato dal Centro di consulenza ai
comuni democratici della provincia di Milano268, un altro corso sarebbe stato successivamente pubblicato a dispense allegate alla rivista nel 1952 e 1953, nel quale
nella “Parte I. Introduzione. Struttura generale del comune. Organi” al primo poLeghissa, Tutti così in prefettura?..., cit.. Per un recente ed efficace esame delle iniziative e di
un comune della sinistra, Modena, e delle relative risposte delle autorità governative, comparate
con quelle di un comune vicino al governo, Padova, e del ben diverso atteggiamento delle autorità, nel periodo a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50, cfr. Giovanni Taurasi, Autonomia promessa, autonomia mancata. Governo locale e reti di potere a Modena e Padova (1945-1956), Roma, Carocci 2005.
264
Il telegramma di De Gasperi, Icd feb.-mar. 1947, pp. 17-8.
265
Commento alle modifiche al T.U. della legge comunale e provinciale, Icd apr.-mag. 1947,
pp. 37-.
266
Relazione allo schema di D.L.L. recante modifiche al testo Unico della Legge Comunale e
Provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383 e successive modificazioni, Icd gen. 1947,
pp. 1-3; F.L., Verso l’autonomia comunale, Icd gen. 1947, pp. 4-5.
267
Libera Venturini, Cenni su l’Ente Comunale di Assistenza, Icd gen. 1947, p. 7; Alberto
Coccopalmerio, Come si amministra nei piccoli e medi comuni, Icd nov.-dic. 1947, pp. 126-7,
Svolgimento delle sedute alla giunta comunale, ivi, p. 127.
268
Programma di dieci conversazioni pratiche di aggiornamento e di preparazione per amministratori comunali, Icd nov.-dic. 1947, p. 139.
263
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
85
sto c’era “Popolo” e quindi “Consiglio, Giunta, Sindaco”269. La rivista dava poi informazioni sull’attività della Union Internationale des Villes270; sui piani regolatori cittadini271; informava gli amministratori sulla possibilità, ancora controversa, di
ricevere un’indennità di carica272, indispensabile per persone, come erano moltissime nella sinistra, che non avevano risorse economiche tali da poterle sostenere
mentre svolgevano l’attività di amministratori, spesso a tempo pieno.
Grandissimo spazio aveva poi la questione delle finanze comunali, sulla quale si
basava l’effettiva autonomia di comuni e province dal potere centrale e la possibilità di fare una vera politica in favore dei cittadini. Molto significativamente il primo
paragrafo dell’articolo che annunciava un convegno di assessori alle finanze si intitolava Confusione di leggi e di imposte273. Erano numerosi poi gli articoli dedicati alle modalità di accertamento dell’imposta di famiglia, l’imposta che garantiva una
importante fonte di entrate e che permetteva ai comuni della sinistra di attuare una
politica di redistribuzione del reddito a vantaggio dei cittadini più poveri274. E proprio la necessità di trarre il maggior vantaggio possibile da questa risorsa, spingeva
le amministrazioni locali della sinistra a costituire i Consigli tributari comunali275
che contribuivano ad accertare i redditi effettivi, specie dei maggiorenti.
Questo ed altri organismi di consultazione e di partecipazione dei cittadini
all’attività dell’amministrazione locale non sorsero solo per motivi economici,
ma anche per ovviare alla mancata riforma degli enti locali. L’obiettivo era, soprattutto, quello di promuovere la partecipazione dei cittadini all’attività ed al
controllo dell’operato comunale operando entro i margini della legislazione vigente e, sempre in questo ambito, nacquero anche le consulte popolari276.
1.5. Le motivazioni politiche della rinascita della Lega
L’esclusione dei partiti della sinistra dal IV Governo De Gasperi, consumatasi a Roma alla fine di maggio del 1947277, segnò la fine dell’unità dei partiti
del Cln a livello nazionale ed ebbe ripercussioni pressoché immediate nella vita dei comuni democratici.
Programma del corso di lezioni per gli amministratori comunali, Icd dic. 1951, p. 381.
VII Congresso internazionale dei comuni, Icd giu.-lug. 1947, pp. 56-9.
271
Mario Venanzi, Il nuovo piano regolatore della città di Milano; Luigi Tagliolato, Piano regolatore dei centri minori, Icd ago.-set. 1947, pp. 78-9.
272
L’indennità di carica agli amministratori, Icd feb.-mar. 1947, pp. 18-9.
273
Il convegno degli assessori alle finanze, Icd dic. 1946, pp. 4-6.
274
Si veda, per esempio, Piero Andreini, L’imposta di famiglia e la dimora abituale, Icd apr.mag. 1947, pp. 45-6.
275
Luigi Santambrogio, I consigli tributari e l’imposta di famiglia nel nuovo clima democratico, Icd
gen. 1947, pp. 11-2; Costituzione dei Consigli tributari comunali, Icd ago.-set. 1947, pp. 83-4.
276
Le consulte popolari ebbero origine a Milano, nel rione periferico e popolare di Affori,
nell’immediato secondo dopoguerra; Piero Montagnani, Un’esperienza democratica. Le consulte
popolari, Icd ott. 1947, pp. 97-103.
277
IV Governo De Gasperi (31 mag. 1947 – 23 mag. 1948); coalizione politica: DC- PliPsli-Pri; l’esecutivo precedente era il III Governo De Gasperi (2 feb. 1947 – 31 mag. 1947);
coalizione politica: DC-Pci-Psi.
269
270
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PARTE II
Il numero di giugno della rivista dei comuni milanesi si apriva con un editoriale nel quale dopo la denuncia dell’assoluta insufficienza delle riforme per le autonomie locali, si richiamava la necessità dell’unione, il primo e più forte mezzo
difesa che gli enti locali, fin dalla fine dell’’800, avevano mutuato dai lavoratori:
“La forza democratica dei Comuni sta nella loro unione. Anche per i Comuni,
il Governo di parte, che è stato costituito, può rappresentare più di un pericolo: troppe leve sono nelle mani dell’alta burocrazia perché non si debba temere
che esse potranno essere adoperate a scopi elettoralistici o di oppressione, con
l’assoluta violazione dei veri interessi delle popolazioni. Ebbene, se questo si verificherà, i Comuni facciano sentire la loro voce e gridino forte che è finito il
tempo di Giolitti o di Mussolini e che la libertà non è stata riconquistata, con
il sangue di tanti italiani, perché di essa venisse fatto scempio”278.
Al richiamo all’unità dei comuni per fini politici ne seguiva, immediatamente, un altro. Proprio come i lavoratori, che si univano in sindacati e cooperative per tutelarsi e migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, così i comuni dovevano associarsi per difendersi e formare delle cooperative per
incrementare la propria attività. L’esempio veniva dall’estero, dalla Germania,
ma anche dall’Unione sovietica degli anni della Nep279, ora la stessa possibilità
c’era anche in Italia, grazie al codice civile del 1942. I comuni, come tutti gli
enti pubblici, potevano partecipare a società commerciali e, a maggior ragione,
a società cooperative, l’esempio veniva dato proprio da Milano:
“L’esperimento iniziatosi a Milano, con la costituzione di una apposita cooperativa per la fornitura degli Enti locali (la CO.F.E.L.) allo scopo di fornire ai Comuni e ad altri Enti gli stampati, la cancelleria e quant’altro possa loro occorrere”280.
1.5.1. Le prime avvisaglie dell’offensiva di Scelba contro i comuni democratici
A qualche mese dalla fine della collaborazione nel Governo tra i partiti che
avevano fatto la Resistenza, avvenuta a Roma, a Milano si consumò un evento
che segnò la fine dell’ultima speranza di una riforma dell’amministrazione locale ispirata alla Resistenza. L’episodio fu la destituzione del prefetto di Milano, Ettore Troilo, decisa dal Ministro dell’interno, il democristiano Mario Scelba, ed attuata nonostante la massiccia protesta promossa dalla sinistra281. Scelba, con la destituzione di Troilo, completò l’espulsione dalla carriera prefettizia
di tutte le personalità espresse nell’ambito del Cln che egli riteneva incompatibili alla strategia di contenimento della minaccia eversiva che sarebbe potuta
venire dai partiti della sinistra. Una manovra analoga a quella compiuta nelRealizzare l’autonomia attraverso l’unione dei comuni, Icd giu.-lug. 1947, pp. 53-4.
La Nep (Nuova politica economica) venne attuata negli anni ’20 dallo Stato sovietico per
promuovere la ricostruzione nazionale dopo la guerra civile.
280
Jaeger, Problemi nuovi, soluzioni nuove. La mutualità fra gli enti pubblici.., cit; Statuto della Cooperativa Fornitura Enti Locali (Co.F.E.L.), Icd ott. 1947, pp. 119-120.
281
Per una dettagliata cronaca di questi eventi cfr. Carlo Troilo, La guerra di Troilo. Novembre 1947: l’occupazione della Prefettura di Milano, ultima trincea della Resistenza, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2005.
278
279
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
87
l’ambito delle forze di pubblica sicurezza, che lo aveva portato decidere la “riorganizzazione dei servizi di polizia nell’intento di espellerne gli ex partigiani
che vi erano entrati durante il governo Parri”282
Per opporsi alla destituzione decisa dal Ministro il 28 novembre 1947 una
folla di partigiani, lavoratori e militanti della sinistra, guidati dal segretario del
Pci della Lombardia, Giancarlo Pajetta, occupò la prefettura del capoluogo
lombardo. Si opposero alla destituzione anche 160 sindaci della provincia che
minacciarono le dimissioni283. Considerata dal punto di vista politico, l’occupazione “sembrò per un momento dare corpo ad una rilanciata ipotesi insurrezionale”284, che era però irrealizzabile e come tale venne abbandonata.
Dal punto di vista del movimento per le autonomie locali, fu una nuova e
definitiva dimostrazione che la minaccia delle dimissioni dei sindaci e, quindi,
il blocco dell’attività delle amministrazioni locali, non costituivano una minaccia tale da influenzare in alcun modo le decisioni del governo nazionale. La
conferma della destituzione del prefetto Troilo nonostante sia la protesta popolare, sia le minacciate, e mai date, dimissioni dei sindaci, aveva destituito di
ogni fondamento non solo la prospettiva rivoluzionaria ma anche l’idea di un
movimento dei comuni basato su modalità di lotta ed iniziative politiche modellate sulla falsariga di quelle seguite dal movimento dei lavoratori.
Quella che con estrema durezza gli amministratori e i politici della sinistra definirono come la “offensiva reazionaria contro i comuni democratici, contro i comuni socialisti e comunisti in particolare”, era iniziata. Era questa “una offensiva meno appariscente, che sfugge alla attenzione del cittadino perché non condotta ancora con la bomba ed il pugnale tra i denti, ma non per questo meno violenta e micidiale per le amministrazioni democratiche”. L’offensiva si sostanziava attraverso la
concessione di finanziamenti per lavori pubblici a comuni di un certo colore piuttosto che di un altro, con l’annullamento di qualsiasi prospettiva di autonomia politica e finanziaria dei comuni285. A questo bisognava rispondere “mantenendo uno
stretto legame con le Sezioni di Partito e con la popolazione del Comune”286.
1.5.2. “L’amministratore democratico”
E il partito si mosse. Nell’aprile del 1947, nelle settimane che precedettero
l’esclusione della sinistra dal Governo nazionale, mentre la lotta politica diveniva via via sempre più aspra, la direzione del Partito comunista avvertì la neRagionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2466.
Pietro Montagnani, I comuni nel fronte della democrazia, Icd nov.-dic. 1947, p. 121.
284
Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2468.
285
Sulla diversità di trattamento riservato dalle autorità di governo ai comuni della sinistra
(in particolare Modena) rispetto a quelli guidati da partiti governativi (in particolare Padova),
nell’ambito di una comune mortificazione dell’autonomia locale, cfr. Giovanni Taurasi, Autonomia promessa, autonomia mancata. Governo locale e reti di potere a Modena e Padova (19451956), Roma, Carocci 2005.
286
Federico Leghissa, Il comune democratico nel quadro della lotta contro la reazione, Icd nov.dic. 1947, pp. 122-3.
282
283
88
PARTE II
cessità di dotarsi di una rivista per i propri amministratori locali. Le ragioni
che portarono a questa pubblicazione erano, ufficialmente, di carattere tecnico: “un numero elevato di autentici lavoratori” era stato eletto nelle assemblee
locali e “L’Amministratore democratico. Bollettino mensile di orientamento e
d’informazione. Edito a cura del centro di consulenza per gli enti locali del
P.C.I.” intendeva aiutarli “efficacemente”287. In effetti, però, già esistevano numerose ed affermate riviste di carattere tecnico a cominciare da “Il comune democratico”, e da “Il corriere amministrativo”, che pubblicava i documenti ufficiali dell’Anci. Era evidente però che l’obiettivo del nuovo mensile non era
di tipo tecnico ma politico: rafforzare i legami tra il Partito comunista ed i
propri iscritti presenti nelle amministrazioni locali. A somiglianza della rivista
milanese “L’Amministratore democratico” era edito a cura di un Centro di
consulenza288; la sede della direzione e dell’amministrazione era in Via delle
Botteghe Oscure, 13, Roma; la strada il cui nome avrebbe poi simboleggiato
la sede nazionale del Pci.
La nuova rivista rivolgeva la propria attenzione più decisamente verso
questioni di carattere generale. Ospitava articoli di informazione sugli avvenimenti di politica nazionale289, sui lavori della Costituente in materia di enti locali, sulla finanza locale, sulle riunioni di sindaci ed amministratori di
partito a livello locale e nazionale, ma non mancavano articoli su specifiche
questioni di amministrazione locale e, più in generale, su problemi di governo.
Gli argomenti trattati erano sostanzialmente gli stessi de “Il Comune democratico”, ma con una maggiore accentuazione politica. Erano molto numerose anche in questo periodico le notizie sulla finanza locale, in particolare sul risanamento della finanza di comuni e province290 e sulla gestione
dell’imposta di famiglia. Erano molti poi gli articoli in difesa degli amministratori della sinistra contro i soprusi del Ministero dell’Interno e sugli specifici organi di consultazione dei cittadini istituiti dalle amministrazioni di
sinistra.
Dei Consigli tributari comunali veniva fatta la storia, illustrata l’attività, fornito il regolamento. Erano quattro i consigli composti dai cittadini che avevano iniziato la loro attività a Bologna il 1° agosto 1946:, “investiti dei compiti
di accertamento e di concordato per l’applicazione dell’imposta di famiglia”. Al
31 dicembre 1946 i Consigli bolognesi avevano svolto 201 sedute, istruite e definite 687 pratiche relative a redditi di capitali e misti, 509 si erano concluse
con un concordato con il contribuente, 178 senza. I risultati erano significativi: i 509 contribuenti avevano dichiarato un reddito di 50.027.602 lire, ed avePresentazione, AD apr. 1947, p. 1
La decisione di pubblicare una rivista e di aprire un centro di consulenza per gli enti locali del Pci a Roma, a poco meno di un anno di quello di Milano, era stata presa, quasi certamente, nel convegno dei sindaci comunisti svoltosi a Roma nel marzo del 1947; Convegno di
sindaci comunisti, AD apr. 1947, pp. 4-7.
289
Cfr. Offensiva antidemocratica, AD giu.-lug. 1947, nn. 3-4, pp. 1-2.
290
Autonomia finanziaria dei Comuni, AD apr. 1947, n. 1, pp. 9-10; Per il risanamento finanziario dei comuni e delle province, “AD mag. 1947, n. 2, pp. 6-8.
287
288
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
89
vano poi concordato la denuncia di 337.008.584 lire291, con un evidente beneficio per le assetate casse comunali.
Il fondamento giuridico degli organismi era dato dall’art. 117 del regolamento della Legge comunale e provinciale approvato con r.d. 12 feb. 1912 n.
297 nel quale era previsto che “nella formazione della matricola delle tasse la
Giunta comunale ‘può anche avvalersi dell’opera preparatoria di speciali Commissioni da essa nominate’”, il legislatore di allora “non immaginava neppure
lontanamente quale sviluppo avrebbe avuto tale norma dal 1946!”. Venivano
definiti dalla stampa governativa “Soviets tributari”, ma la possibilità di limitare l’evasione dall’imposta li giustificava ampiamente292.
Ai Consigli tributari si sommavano le Consulte popolari “sorte per prime
a Milano come organi di democrazia diretta nell’ambito della vita comunale,
hanno ormai superato la fase di esperimento diventando organismi insostituibili per i rapporti e i contatti diretti tra l’Amministrazione comunale e la
popolazione”. Le Consulte si sarebbero dovute costituire in ogni rione senza
“un rigido schema organizzativo”. Il massimo sostenitore, Piero Montagnani,
proponeva nel suo opuscolo293, che alle Consulte corrispondessero delle Assemblee popolari rionali, nelle quali i cittadini avrebbero avuto modo di manifestare le proprie esigenze, anche di fronte ai singoli assessori competenti
invitati di volta in volta. Un Comitato cittadino di coordinamento avrebbe
poi dovuto coordinare le richieste delle varie Consulte ed Assemblee294. Il primo congresso delle Consulte popolari si svolse a Milano il 21 dicembre
1947295.
Un altro esempio di promozione della partecipazione popolare democratica
al governo locale attraverso l’utilizzazione delle norme vigenti era quello del decentramento dell’attività e dell’amministrazione comunale nei quartieri attivato nella città di Bologna nella seconda metà degli anni ‘50. Il comune, in questo caso, sfruttò l’art. 155 della legge comunale e provinciale del 1915 che prevedeva la possibilità per i comuni con più di 60.000 ab. della ripartizione in
quartieri con facoltà del sindaco di nominare degli “aggiunti” scelti tra gli eleg291
Realizzazioni dei consigli tributari municipali a Bologna, AD mag. 1947, pp. 11-2; si veda anche L’attività dei consigli tributari municipali a Milano, AD dic. 1947, pp. 18-9; Luigi Gigliotti, I consigli tributari nell’esperienza di Bologna, Milano e Genova, AD gen.-feb. 1948, pp.
21-5; Luigi Gigliotti, I ricchi contro i consigli tributari, AD apr. 1948, pp. 95-7.
292
Venivano proposti anche dalla minoranza di sinistra del comune di Roma; Luigi Gigliotti, Le consulte tributarie di Roma, AD mar.-apr. 1949, pp. 120-1.
293
Piero Montagnani, Un’esperienza democratica: le consulte popolari, prefazione dell’on.
Giancarlo Paletta, Milano, Fcm, 1947.
294
P.M., Le consulte popolari (origine ed organizzazione), AD ott.-nov. 1947, pp. 8-9; si veda anche Mario Osti, Le consulte popolari. (due esperienze: Milano e Napoli), AD dic. 1947, pp.
8-9; Il convegno delle consulte popolari di Bologna, ad, 1948, n. 4, pp. 81-5; B. Garbagnati, Le
consulte cittadine di Torino, AD feb. 1949, pp. 65-6.
295
Erano “presenti i rappresentanti del Comune di Milano, della Deputazione provinciale,
dei sindaci di Bologna Genova, Venezia, Torino, nonché quelli dei partiti politici, della Camera del lavoro, della Federterra, e di altre numerose associazioni partigiane e combattentistiche,
economiche, sociali ed assistenziali”; Primo congresso delle Consulte popolari, Icd gen.-feb. 1948,
pp. 16-18.
90
PARTE II
gibili, con l’approvazione del prefetto296. Si trattò di un’iniziativa che si sarebbe
sviluppata ed estesa gradatamente fino ad arrivare alla sperimentazione dei consigli di quartiere e di borgata approvati in via sperimentale nel 1968 dal Ministero dell’interno nei comuni di Bologna, Venezia e Roma, Ministero che però
aveva “bloccato le delibere di tutte le altre città”297.
Il motto sulla copertina della rivista del Pci per gli amministratori “Il comune al popolo. Il popolo al comune”298, si sostanziava in una concreta pratica politica. L’obiettivo era quello di legare i cittadini all’amministrazione popolare, di rafforzare i legami tra sindaco e popolazione299, per colmare il distacco che si era creato nei vent’anni della dittatura. Certo era evidente che l’esempio dei soviet, l’appello all’esperienza rivoluzionaria sovietica, costituiva un
richiamo affascinante per gran parte del popolo della sinistra dell’immediato
secondo dopoguerra, ma era altrettanto evidente che il mito della democrazia
sovietica non venne mai associato – almeno nelle riviste esaminate per questa
ricerca - ai nuovi organi di consultazione popolare. Contemporaneamente il
Pci - come anche il Partito socialista -, continuando una storica battaglia combattuta dalla sinistra nell’Italia liberale, proseguita negli anni successivi, cercava di consolidare l’istituzione del sindaco attraverso il conferimento di
un’indennità di funzione perché, come titolava un articolo, I sindaci non vivono d’aria300.
1.6. La rifondazione della Lega dei comuni
L’8 dicembre, a poco più di dieci giorni dalla cacciata del prefetto Troilo, si
svolse a Milano un congresso di comuni democratici della provincia nel quale
venne espressa la volontà di “lottare per la democrazia e per il rinnovamento del
Paese, saldamente uniti non solo su scala provinciale o regionale, ma sul piano
nazionale […] di inserirsi nello schieramento di tutte le forze democratiche, di
costituire cioè parte integrante del Fronte democratico popolare […] di unire
solidalmente al Comune democratico o alle minoranze all’opposizione, nella
loro azione difensiva contro le forze reazionarie locali contro lo Stato accentratore e contro il Governo forcaiolo, le larghe masse popolari” 301.
Giuseppe Dozza, Democratizzare le strutture comunali. La città suddivisa in quartieri e la
nomina di “aggiunti” sindaci, Icd nov. 1957, pp. 19-20; sul decentramento comunale cfr. Pietro Procioni, Il cittadino e la comunità locale, Icd nov. 1964, pp. 16-25.
297
Decentramento e iniziativa popolare, Icd giu. 1968, inserto fotografico.
298
Lo stesso motto appariva nella copertina de “Il comune democratico”, probabilmente, a
partire dal marzo 1948 il “probabilmente” è dovuto al fatto che non tutte le copie consultate
sono corredate di copertina, dove il motto era inserito appena sotto il titolo. Nel 1947 sotto la
testata appariva la ben più innocua dicitura “Rassegna della stampa amministrativa”.
299
Rapporti fra il sindaco e la popolazione, AD mag. 1947, pp. 15-7.
300
Mario Franceschelli, I sindaci non vivono d’aria, AD ago.-set. 1947, pp. 5-6.
301
Cfr. La carta costitutiva del Fronte democratico popolare, Icd gen.-feb. 1948, p. 12. La carta al punto 2, “sviluppo democratico”, comma b), prevedeva: “nei Comuni: l’attuazione della
autonomia degli Enti locali e la riforma finanziaria che ne assicuri l’attività e il bilancio in conformità delle esigenze democratiche delle popolazioni”; ibidem.
296
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
91
La rivista dei comuni della provincia di Milano non lo scriveva ma era evidente che i fatti del 27 novembre avevano sancito la spaccatura tra gli enti locali amministrati da comunisti e socialisti ed il resto del movimento302. L’estromissione del
prefetto Troilo dalla prefettura di Milano appariva come la trasposizione, sul piano locale, dell’allontanamento dei partiti della sinistra dal governo di Roma avvenuta in ambito nazionale. La fruttuosa collaborazione che aveva permesso la stesura della Carta fondamentale era così cessata quasi alla vigilia dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. “I Comuni democratici associati nella lotta
e per la lotta”, riportava l’ordine del giorno dell’assemblea dell’8 dicembre, dovevano entrare nel Fronte democratico. Le parole d’ordine dei comuni milanesi, secondo “Il comune democratico”, erano state fatte proprie dal Congresso nazionale di Firenze da cui “sorse la ‘Lega nazionale dei comuni democratici’, la quale, riallacciandosi alle gloriose tradizioni socialiste, le rinverdisce le attualizza e le sostanzia”. La necessità “di un largo, costante, organizzato legame con le masse popolari” emersa nel corso dell’assemblea, aveva possibilità di sostanziarsi nella “originale esperienza delle ‘Consulte Popolari’ che tale legame realizzano e che, sorte a
Milano, si sono impetuosamente irradiate in quasi tutto il Paese”303.
Se “Il comune democratico” di Milano metteva in risalto i precedenti milanesi nella costituzione della Lega, la rivista del Pci, di Roma, sottolineava, invece, i
precedenti romani. Il numero di ottobre-novembre 1947 de “L’Amministratore
democratico” annunciava che, a seguito della deliberazione assunta nel “Convegno dei sindaci socialisti e comunisti dei comuni capoluoghi di provincia e di altri importanti comuni” del 14 dicembre a Roma, si sarebbe svolto alla fine di dicembre Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze304. Nel
mensile legato al Pci traspariva la volontà di slegare la Lega dei comuni dalla realtà di Milano e dagli eventi che si erano svolti nella città lombarda facendo apparire la nascita dell’organizzazione come il frutto di una meditata scelta politica legata all’evoluzione complessiva della situazione degli enti locali305.
1.6.1. Comuni e province di sinistra nella strategia di opposizione al governo
Molto probabilmente i fatti del 27 novembre avevano solo ratificato quanto andavano da tempo preparando le segreterie dei partiti306 ma, comunque, fu
a partire da quella data che comuni e province guidate dai partiti popolari enDeve comunque essere ricordato che Montagnani, nella relazione al congresso milanese
pubblicata nella rivista, aveva sottolineato l’importanza dell’azione concorde dei 160 Comuni
della provincia in occasione delle proteste di novembre e si rifaceva a quei fatti per evidenziare
l’importanza del legame tra comuni e popolo; I congressi di Milano e di Firenze. Relazioni. Montagnani, Icd gen.-feb. 1948, pp. 3-4.
303
Il Comune democratico, Obiettivi di lotta e di vittoria, Icd gen.-feb. 1948, pp. 1-2.
304
Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze, AD ott.-nov. 1947, p. 1.
305
Questa interpretazione della nascita della Lega è sostenuta, sostanzialmente anche da
Massimo Severo Giannini , Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e Lega dei Comuni Democratici, CA, 15-31 gen. 1948, pp. 16-18.
306
Si vedano, a questo proposito, le accuse incrociate di Giulio Turchi, per la Lega, e di
Achille Guerra, per l’Anci, (citati oltre più estesamente) di aver preparato la rottura dell’unità
302
92
PARTE II
trarono a far parte a pieno titolo della più ampia strategia di opposizione dei
partiti della sinistra al Governo, come sottolineava l’articolo che annunciava il
congresso di Firenze: “Dopo il Congresso dei consigli di gestione e la Costituente della Terra, un altro imponente schieramento di forze democratiche sta
per realizzarsi: quello dei Comuni Democratici […, che] si inserirà in un largo
‘Fronte per la Pace, la Libertà e il Lavoro’307 in cui si raccoglieranno tutte le forze democratiche e popolari italiane e che troverà nei comuni l’espressione unitaria locale”.
Alla premessa politica generale seguiva, ne “L’Amministratore democratico”,
il testo della mozione approvata dai sindaci riuniti a Roma308 e, ancora, alcuni
articoli di preparazione al congresso di Firenze dai titoli molto espliciti: Lotta
nei comuni, lotta nel Paese; Il comune, organismo politico309.
Proprio come era avvenuto nel primo ‘900, i comuni divennero teatro dell’aspra battaglia in corso tra le forze che sostenevano il Governo centrale e
quelle dell’opposizione. Ancora una volta furono i partiti della sinistra a farsi portavoce delle ragioni delle autonomie locali, per la prima volta, invece,
ad appoggiare quelle del Governo nazionale fu il partito dei cattolici, insieme
ai socialisti di Giuseppe Saragat. Nel secondo dopoguerra, a giocare il ruolo
che un tempo toccò ai governi liberali furono la Democrazia cristiana, erede
del Partito popolare italiano di Sturzo, in particolare nella persona del Ministro dell’interno Scelba - molto vicino al sacerdote di Caltagirone - e il Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli, dal 1952 Partito socialdemocratico
italiano, Psdi), erede dei socialisti riformisti i quali, come i cattolici di Sturzo, furono i più strenui sostenitori dell’autonomia comunale nel periodo liberale e fascista.
1.6.2. Continuità e differenza tra le aggressioni fasciste nel ’20 e ’21 e quelle
del periodo repubblicano
L’arresto del sindaco comunista di Genzano, Mario Colacchi, era l’ultimo
degli eventi che simboleggiavano la continuità tra l’aggressione ai comuni compiuta dai fascisti del primo dopoguerra, svolta con la complicità del governo liberale, e quella che stava compiendo il governo repubblicano nel secondo dopoguerra: “Si vogliono esautorare e liquidare queste amministrazioni, che ostacolano la libertà d’azione del governo antidemocratico. Alla stessa maniera la
pensavano i fascisti nel ’20 e ’21 ed abbiamo visto quali sono state le conseguenze”310. L’estensione del fenomeno era tale da essere denunciata dalla rivista
degli enti locali con la costituzione di organizzazioni di amministratori di partito; Giulio Turchi, Politica e amministrazione, Icd nov.-dic. 1948, pp. 169-172; idem, Richiamo alla realtà, AD
nov. 1948, pp. 395-9; Achille Guerra, Richiamo alla realtà, CA, 30 set. 1948, n. 18.
307
Sull’adesione della Lega al Fronte della Pace, cfr. Marco De Simone, Comuni popolari e
Fronte della Pace, del Lavoro e della Libertà, AD dic. 1947, pp. 6-8.
308
Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze, AD ott.-nov. 1947, p. 1.
309
AD ott.-nov. 1947, pp. 2-4 e 5-7.
310
Mario Colacchi: sindaco di Genzano, AD ott.-nov. 1947, p. 22.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
93
del Pci come L’offensiva reazionaria contro i sindaci democratici311. L’attacco ai
comuni non avveniva solo attraverso provvedimenti che colpivano i sindaci ma
anche con il classico strumento dello scioglimento dei consigli comunali312.
Ultimo elemento da sottolineare nella scelta della data di svolgimento del
congresso è la coincidenza con la firma della promulgazione della Legge fondamentale da parte del Capo provvisorio dello Stato, il 27 dicembre 1947, quasi a sottolineare il collegamento tra la nascita della Costituzione e quella di
un’organizzazione votata, sin dal primo momento, ad ottenere quell’autonomia
locale che pure era garantita dalle norme sui cui si sarebbe dovuto basare il nuovo Stato repubblicano.
Fu questo il clima nel quale si svolse l’appuntamento di Firenze nel quale
venne affrontata la questione di un’autonomia locale fortemente limitata nella
realtà e affermata, ma solo teoricamente, nella nuova Costituzione repubblicana..
1.6.3. Il congresso di rifondazione della Lega
Il congresso di fondazione della Lega si tenne, dunque, nel capoluogo toscano il 27 dicembre 1947, nel teatro comunale, parteciparono all’appuntamento rappresentanti di oltre 1.500 comuni della sinistra su 3.000, le adesioni
vennero soprattutto dal centro-nord, dove erano più forti le Leghe provinciali313. Alla presidenza sedevano i sindaci di Torino, Negarville; Firenze, Fabiani;
Genova, Tarello; Bologna, Dozza; Arezzo, Grazi, e, quindi, gli onorevoli Scoccimarro, Gasparotto, Cevolotto, Carpano e Miglioli.
Nella mozione conclusiva approvata dal congresso si dava “mandato al comitato provvisorio della Lega dei comuni di svolgere un’immediata azione diretta” ad ottenere:
- l’autonomia, attraverso l’attuazione della Costituzione che sarebbe entrata
in vigore il successivo 1° gennaio 1948;
- il risanamento dei bilanci comunali;
- una più vigorosa politica di lavori pubblici, specie riguardo l’edilizia abitativa.
A Firenze l’assemblea votò lo stesso testo predisposto dal Comitato di iniziativa per il Congresso nazionale dei comuni democratici nominato dal citato
Convegno dei sindaci socialisti e comunisti tenutosi il 14 dicembre a Roma.
Nel seguito della mozione conclusiva gli amministratori e i consiglieri della sinistra richiamavano quindi la necessità di organizzarsi in forma autonoma, come già avevano fatto altri settori dell’apparato del Pci e del Partito socialista,
311
L’offensiva reazionaria contro i sindaci democratici. Reati inesistenti e funzioni del sindaco
in democrazia AD dic. 1947, pp. 12-3; Giulio Turchi, Difendiamo i sindaci, AD ago.-set. 1948,
pp. 267-8
312
Vincenzo Bisconti (segretario generale del comune di Ravenna), Lo scioglimento dei consigli comunali nella Repubblica Democratica, AD gen.-feb. 1948, pp. 16-8.
313
La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazionale della Lega), AD mar. 1948, pp. 5-7.
94
PARTE II
“organismi di questa lotta popolare [contro il governo] identica alla lotta dei
Comuni democratici: i Consigli di gestione, i Comitati per la rinascita del Mezzogiorno e i Comitati per la Terra”. E concludevano con la volontà di “costituire la Lega nazionale dei Comuni e degli amministratori democratici, col
compito di coordinarne e dirigerne l’azione al fine soprattutto di ottenere la
pronta attuazione dei principi sanciti nella Costituzione”314.
1.7. Due organizzazioni di uno stesso movimento per le autonomie locali: le
ragioni di Massimo Severo Giannini
Una caratteristica fondamentale della Lega nata a Firenze nel 1947, che la
differenziava in modo determinante da quella del periodo liberale, era la dichiarata compatibilità con l’Anci. La Lega dei comuni democratici nacque per
meglio organizzare e far valere le ragioni di province e comuni socialisti e comunisti, non per isolare gli enti locali della sinistra dal movimento per le autonomie locali. Gli amministratori popolari, quindi, avrebbero continuato a far
sentire la propria autorevole voce anche nell’Anci. Questo significava forse che
la lezione dei riformisti dell’Italia liberale era stata appresa o era piuttosto una
ennesima manifestazione della “doppiezza” della sinistra, come di tutti i partiti
negli anni del secondo dopoguerra?
La risposta non è univoca e - come chiarito fin dalle premesse della ricerca
- non è questa la sede per tentare una spiegazione politica di questa scelta. Secondo Ragionieri il dato di fatto era che il Pci se non fu l’unico partito comunista dell’Europa occidentale ad utilizzare il prestigio politico e la forza elettorale derivanti dal successo nella lotta partigiana, fu però “il solo che ha saputo
di qui prendere le mosse per estendere la sua presenza e la sua influenza nella
società e per evitare, in ogni fase della lotta politica, quell’isolamento che ha costituito un costante obiettivo della conservazione italiana”315.
Per quanto riguarda le vicende qui descritte, è possibile affermare che la politica delle alleanze sostenuta dal Pci di Togliatti non costituiva la motivazione
fondamentale della tensione unitaria del movimento comunale, ma coincideva
con essa. Le ragioni dell’unità influenzavano tutta la storia del movimento comunale ed avrebbero superato, nei fatti, quelle che avevano portato alla rottura della collaborazione tra i partiti del Cln. A spiegare questo particolare punto di vista fu Massimo Severo Giannini. Il giurista, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, si era occupato di autonomie locali collaborando
con Adriano Olivetti alla concretizzazione del progetto olivettiano della “Comunità”316. Aveva poi tentato nel 1946, senza successo, di vedere riconosciute
dal Partito socialista le tesi del compromesso da lui elaborato tra le posizioni sue
e di Olivetti e quelle del Partito. Quelle tesi che, dopo la pubblicazione in forIl Congresso dei comuni democratici a Firenze, AD dic. 1947, pp. 1-3.
Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2458.
316
Adriano Olivetti, L’ ordine politico delle Comunità: garanzie di liberta in uno stato socialista, Ivrea, Nuove edizioni Ivrea, 1945.
314
315
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
95
ma anonima in una rivista socialista317, decise di far apparire, questa volta firmate – Giannini, Olivetti -, nelle pagine dell’Anci nel “Corriere amministrativo”318. L’interesse di Giannini per gli enti locali territoriali fu secondo solo a
quello per l’ordinamento giuridico, ed a questo interesse per gli enti locali, evidenziato da Sabino Cassese319, era direttamente collegato quello, altrettanto importante, verso il movimento per le autonomie locali, attraverso il movimento
comunale italiano - ed internazionale320 - prima nell’Anci, e poi nella Lega. All’Associazione dei comuni il professore partecipò dal 1947 - quando fu chiamato a far parte del direttivo - al 1953; per un più breve periodo aderì anche
del Movimento di comunità fondato da Olivetti, sempre nel 1947, del quale fu
componente del comitato centrale321. La storiografia non ha però finora evidenziato il suo ruolo nella e per la Lega, che fu degno di rilievo.
1.7.1. La compatibilità tra Anci e Lega
Sostenendo la compatibilità tra Anci e Lega nel “Corriere amministrativo”
Giannini, per quanto inascoltato, diede solide basi alla posizione politica sostenuta da tutta la sinistra nell’Italia repubblicana, e dai soli riformisti nel periodo
liberale. In anni nei quali la classe dirigente al governo era convinta della netta
divisione tra politica ed amministrazione, e quella all’opposizione della prevalenza della prima sulla seconda, Giannini sostenne compatibilità e complementarietà dei due termini. Il professore evidenziò l’importanza sostanziale dell’impegno “tecnico” delle due organizzazioni senza per questo mettere in secondo
piano la valenza “politica”. Giannini auspicò, così, un’azione combinata delle
due organizzazioni in nome del raggiungimento degli obiettivi comuni. L’Anci,
per il professore, era un’associazione “tecnico-politica”, che rappresentava tutti i
comuni, la Lega, invece, era un’organizzazione “politico-tecnica” che mirava ad
“esercitare un costante e sensibile richiamo sull’opinione pubblica delle condizioni di fatto che ostacolano la vita comunale, e che essa identifica in certe deIl problema delle autonomie locali, in “Bollettino dell’Istituto di studi socialisti”, n. 3, 16
feb. 1946, pp. 1-6.
318
Cfr. Davide Cadeddu, L’autonomia locale di Massimo Severo Giannini, in Annale Isap,
13/2005, pp. 31-7; per la pubblicazione citata: [Adriano Olivetti, Massimo Severo Giannini],
Il problema delle autonomie locali, CA, 15-28 feb. 1946, pp. 143-152.
319
Sabino Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1971,
p. 116.
320
La partecipazione del professore ai convegni Union Internationale de Villes, per l’Anci,
era seria ed impegnativa, si veda a questo proposito il suo scritto Autonomia locale e autogoverno, CA, 15-30 nov. 1948, pp. 1057-73, accuratamente commentato dal già citato Cadeddu,
L’autonomia locale di Massimo Severo Giannini…, cit.. Sul movimento comunale europeo ed internazionale cfr. “Contemporary European History”, n. 4, nov. 2002; Patrizia Dogliani e Oscar
Gaspari, Origini e sviluppo del movimento comunale europeo, in Idem (a cura di), L’Europa dei
comuni..., cit., pp. 7-28.
321
Giannini in seguito avrebbe ricordato con amarezza i suoi anni nell’Anci, un periodo segnato dalle “tante inutili commissioni”; ACS, Carte M.S. Giannini, Documento sugli ordinamenti territoriali presentato da M.S. Giannini, citato da Guido Melis, Giannini e la politica, in
“Rivista trimestrale di diritto pubblico”, n. 4, 2000, p. 1264.
317
96
PARTE II
terminate resistenze politiche. Quindi la Lega non potrebbe esercitare le funzioni di rappresentanza generale che esercita l’Associazione; ma questa per sua parte, non potrebbe svolgere quell’azione di pressione e di persuasione politica, che
la Lega si assume”. Non solo tra le due organizzazioni non vi era incompatibilità ma, al contrario, si sarebbero potute rafforzare a vicenda. Così concludeva il
suo articolo Giannini: “Non è da escludere anzi che le due associazioni, svolgendo ciascuna la sua azione, si potenzino a vicenda, raggiungendo dei risultati
più ampi di quelli che si sarebbero potuti raggiungere con una sola di esse”322.
I concetti espressi dal professore riecheggiano quelli espressi da Caldara nel
1916 che aveva evidenziato non l’incompatibilità - decisa dalla direzione del Psi
– ma la diversità delle due organizzazioni, nate “una con determinati fini politici [la Lega], l’altra come strumento tecnico di difesa e di studio [l’Anci]”323.
Una diversità che – nonostante l’imposizione ai comuni socialisti di abbandonare l’Anci, decretato dalla direzione - non avrebbe dovuto impedire – e non
impedì - l’azione comune delle due strutture, come avevano auspicato lo stesso Caldara e Sichel324.
Per Giannini - che, ricorda Cassese, riteneva “l’azione politica lo spazio necessario dell’impegno riformatore, per cui l’assenza da quell’area avrebbe reso
impossibile l’impegno”325 - politica ed amministrazione non solo non erano incompatibili ma erano parte di un unico e indivisibile “impegno riformatore”.
Per questo, deluso dal risultato della sua attività nel Psi, aveva deciso di impegnarsi nel movimento comunale.
È possibile mettere in risalto l’importanza dell’impegno di Giannini in questo ambito attraverso le note di Gaetano D’Auria sull’importanza fondamentale attribuita dal giurista all’amministrazione326 fin dal “1946, quando dominava, in tutti gli schieramenti politici, l’incerta e contraddittoria idea – poi riflessa nella Costituzione – che l’amministrazione fosse il ‘braccio esecutivo’ del governo (ai cui comandi non si può che obbedire) e, però, con addetti ‘al servizio
esclusivo della Nazione’ (quindi, svincolati da doveri di obbedienza politica o
partitica). Contraddizione risolta, nei fatti, con la dominanza – tuttora perdurante – della politica sull’amministrazione”327. Una dominanza che anche con
Massimo Severo Giannini, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e Lega dei Comuni Democratici, CA, 15-31 gen. 1948, pp. 16-18.
323
Associazione o Lega dei comuni? Una lettera di Emilio Caldara, “Avanti!”, 23 feb. 1916.
324
Lettera di Emilio Caldara, datata Milano 14 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31 mag.
1916, p. 1; Lettera di Adelmo Sichel, datata Guastalla, 24 mar. 1916, ibidem.
325
Sabino Cassese, Giannini: l’uomo e il lascito scientifico, in “Rivista trimestrale di diritto
pubblico”, n. 4, 2000, p. 960. Peraltro Cassese giudica il descritto impegno di Giannini come
“un errore di prospettiva proprio della sua generazione”, un errore, è possibile commentare, che
avrà forse amareggiato al vita del professore - come ricorda sempre Cassese - ma che era l’espressione insopprimibile della sua grandissima generosità personale.
326
Questo concetto sintetizza un’espressione ben più complessa di D’Auria, secondo il quale, “per Giannini, l’amministrazione, lungi dall’essere una sovrastruttura della società o dell’economia, [era] – invece – parte integrante dell’assetto di rapporti che, in ogni ordinamento, si
instaura fra potere pubblico e cittadini”; Gaetano D’Auria, Giannini e la riforma amministrativa, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, n. 4, 2000, p. 1218.
327
Ibidem
322
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
97
quell’articolo ne “Il corriere amministrativo” Giannini volle negare, pur personalmente impegnato con la sinistra, dimostrando un’assoluta libertà di giudizio in un periodo di fortissima contrapposizione politica. La sua interpretazione, oltretutto, non rimase confinata nell’ambito dell’interpretazione teorica.
Giannini, infatti, si impegnò nell’Anci e nella Lega senza tener conto in alcun
modo del fatto che l’una fosse vicina ai partiti al governo e, l’altra, ai partiti dell’opposizione, ai quali però lui era senza dubbio più legato.
1.7.2. La polemica tra Guerra (Anci) e Turchi (Lega)
La posizione eterodossa manifestata da Giannini venne ignorata sia dall’una, sia dall’altra parte. Nessun richiamo alle sue parole comparve sulle riviste
degli amministratori dei partiti della sinistra, mentre in quella dell’Anci, alcuni mesi dopo, venne pubblicato un articolo che esprimeva una posizione esattamente contraria che, questa sì, venne puntualmente contestata dal segretario
della Lega, Turchi.
Achille Guerra, dalle pagine riservate all’Anci ne “Il corriere amministrativo”, dopo aver ricordato la storia dell’Associazione del periodo liberale, che aveva visto lavorare insieme il cattolico Sturzo e il massone Nathan, il riformista
Caldara ed il cattolico Meda, contestava la creazione di organizzazioni comunali di partito, fossero queste la Lega, vicina alla sinistra, o l’Unione nazionale
enti locali, vicina alla Democrazia Cristiana. Questo perché, in questo modo,
si portava “ad incrinare, con la lotta politica, il campo della pura e semplice amministrazione ed entrambe vogliono trarre partito a giustificare la propria esistenza in contrasto od a complemento della Associazione nazionale dei comuni italiani da quella apoliticità, che all’Associazione medesima esse attribuiscono come peccato originale, ma che ne è, invece, il requisito sostanziale”, rompendo, quindi, l’unità dei comuni in tante organizzazioni minoritarie quanti
erano i partiti di riferimento. Solo l’Anci, sempre secondo Guerra, grazie alla
propria apoliticità, era e poteva essere in grado di rappresentare e di dar voce a
tutti i comuni in campo sia nazionale, sia internazionale328.
Giulio Turchi, comunista, segretario della Lega, al contrario di Guerra, rivendicava il ruolo politico della Lega del periodo liberale, ricordava che era stata la
Lega e non l’Anci a portare nel 1920 in Parlamento, con Matteotti, il disegno di
legge per l’indennità ai sindaci. “Il tecnicismo – scriveva il segretario - non basta;
e l’apoliticità tanto conclamata ed esaltata o è una illusione o significa soltanto il
prevalere nell’Associazione delle stesse forze che dirigono il governo”. Turchi contestava poi il fatto che, come scriveva Guerra, l’Anci avesse avuto un qualche ruolo contro il fascismo, non fu certo per quello che l’Associazione era stata sciolta
nel 1926, ma solo perché era un ostacolo alla politica centralista della dittatura.
L’esponente comunista faceva risalire la nascita dell’Anci “apolitica” all’atmosfera di collaborazione tra i partiti che componevano il Cln: “Ciò che caAchille Guerra, Richiamo alla realtà. Parole ai sindaci ed agli amministratori comunali,
CA, 30 set. 1948, pp. 865-870.
328
98
PARTE II
ratterizzava allora quei convegni e quelle discussioni era la facilità con la quale
i sindaci socialisti, comunisti, democristiani e di altre correnti, si mettevano
d’accordo”.
Una volta cessata la collaborazione tra i partiti che avevano vinto il fascismo
nella Resistenza l’unità nell’Anci non era più possibile, così “la Lega fu costituita essenzialmente per coordinare e dirigere l’azione amministrativa e politica dei comuni sul piano della lotta per la democratizzazione effettiva del Paese
e in accordo con tutte le forze organizzate e operanti allo stesso fine […] la Lega è una delle tante manifestazioni conseguenti alla mutata situazione politica
italiana, come lo è la costituzione dell’Unione nazionale degli enti locali”. Tra
l’altro, sottolineava Turchi, ben prima della costituzione della Lega si erano costituite le Unioni provinciali enti locali della DC, che da tempo si stava preparando alla “rottura dell’unità in tutti i settori”.
Il segretario della Lega ricordava poi che non erano solo questioni tecniche
quelle che riguardavano i comuni. Citava questioni di tipo tributario, il riassetto delle finanze comunali per le quali il governo aveva accettato le proposte
in merito delle Confederazioni dell’Industria e non quelle dei comuni; ricordava l’accanimento dei prefetti contro i consigli tributari, contro la gestione diretta delle imposte sui consumi da parte dei comuni, il divieto di pagare la quota associativa all’organizzazione. In ogni caso “La Lega non ha mai invitato i comuni ad uscire dall’Associazione […] Siamo favorevoli [all’Anci] perché convinti che i comuni possono muoversi su un piano unitario, su tutti i problemi
tecnici e anche su certi problemi politici; l’esperienza ha dimostrato e dimostra
che quanto più si è vicini al popolo e più è facile trovare un comune terreno di
intesa; e nessuno è tanto vicino al popolo quanto i sindaci”.
Dopo la fine dell’unità dei partiti del Cln però, ribadiva Turchi, non era più
possibile avere una sola organizzazione comunale ma – in quella che era una chiara sottolineatura dell’unità del movimento per le autonomie locali - aggiungeva:
“A nostro avviso l’Associazione dei Comuni Italiani dovrebbe costituirsi su base federativa: Federazione delle organizzazioni provinciali, o più semplicemente delle organizzazioni nazionali. Io pongo il problema, non lo risolvo”.
Su questa base esprimeva l’auspicio che il prossimo congresso dell’Anci fosse
adeguatamente preparato e che fosse stimolata la discussione. L’interesse del segretario della Lega per lo svolgimento del congresso dell’Associazione dei comuni si
basava sull’idea che un’Anci rappresentativa delle istanze di tutti i comuni non poteva che essere di vantaggio nei rapporti con l’opinione pubblica nazionale:
“Tutti debbono comprendere che i comuni, i grandi come i piccoli, sono le pietre angolari del nostro ordinamento democratico e che i sindaci, dal più illustre
al più oscuro, sono a pari titolo artefici ineliminabili e insostituibili della ricostruzione morale e materiale del paese”329.
329
Giulio Turchi, Politica e amministrazione, Icd nov.-dic. 1948, pp. 169-172; idem, Richiamo alla realtà, AD nov. 1948, pp. 395-9. Un richiamo, in questo caso evidentemente strumentale, all’apoliticità delle amministrazioni locali veniva anche dalle dichiarazioni del Ministro dell’interno, Scelba, fatte al congresso straordinario dell’Upi in alcuni articoli pubblicati
nel “Corriere della sera”, citati anche oltre; L’attualità politica, AD gen. 1949, pp. 1-2
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO
99
Turchi non ricordava l’idea di Giannini dell’importanza fondamentale dell’amministrazione, mentre l’”apoliticità” dell’Anci sostenuta da Guerra - che
concludeva il suo articolo con un richiamo all’idea della “pura amministrazione” intesa come “quell’arte, cioè, per mezzo della quale […] la ‘saggezza umana deve pervenire al soddisfacimento dei bisogni umani’” - corrispondeva ben
altra realtà. La realtà di un’amministrazione che - parafrasando la citata affermazione di D’Auria – sarebbe dovuta essere al servizio esclusivo della Nazione,
svincolata da doveri di obbedienza politica o partitica ma, nei fatti, era il braccio esecutivo del governo. Un governo che, in quegli stessi mesi, stava duramente colpendo comuni e province amministrati da socialisti e comunisti.
1.7.3. La convergenza sulla finanza locale
Divise da una diversa interpretazione del proprio ruolo, Lega ed Anci riuscivano a ritrovare l’unità d’intenti nelle concrete questioni dell’autonomia locale. Non c’era nulla da stupirsi, quindi, del fatto che “Il comune moderno”
pubblicasse, introducendolo come “un interessante articolo”, uno scritto in
materia di finanza locale di quello stesso Guerra che, qualche mese più tardi,
come si è visto sopra, sarebbe stato aspramente contestato riguardo al suo giudizio sul ruolo della Lega. Le stesse conclusioni dell’articolo di Guerra - che, come commentava l’organo della Lega “constata con amarezza la delusione provata dagli amministratori alla pubblicazione del provvedimento in esame”330 potevano tranquillamente essere sottoscritte dalla Lega stessa: “Una ulteriore
azione da parte degli amministratori degli enti locali è necessaria ed indispensabile affinché si possa finalmente conseguire il reale e definitivo assetto della
finanza comunale nel quadro di un’effettiva autonomia dei Comuni e di una
riforma tributaria veramente democratica”331.
La differenza maggiore era nei toni: illustrando lo stesso provvedimento di
legge commentato da Guerra la rivista scriveva “Articolo primo: una indegna
presa in giro”332. Non certo nella sostanza, come testimoniavano le risoluzioni
approvate nelle assemblee dei sindaci di quel periodo e molti articoli in materia di finanza locale pubblicati nelle riviste per le autonomie locali, compreso il
“Corriere amministrativo”333 ed un periodico specializzato come “L’amministrazione italiana”, nel quale si riprendeva anche il progetto di riforma tributaSi trattava del decreto legislativo 26 marzo 1948, n. 261, concernente l’assetto della finanza delle province e dei comuni.
331
Ecco il pensiero del prof. Achille Guerra, Icd giu. 1948, pp. 86-7.
332
Assetto della finanza dei comuni, Icd giu. 1948, p. 86.
333
Sulla concordanza delle posizioni in materia di finanza locale espresse nel corso del secondo dopoguerra da sindaci e studiosi di diverso orientamento politico cfr. Luca Baldissara,
Tecnica e politica nell’amministrazione. Saggio sulle culture amministrative e di governo municipale fra anni trenta e cinquanta, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 234-250. Non era rara, poi la
pubblicazione di uno stesso articolo ne “Il corriere amministrativo” e ne “Il comune democratico”, come nel caso di quello redatto dal segretario della Federazione di comuni di Reggio Emilia, La gestione in economia delle II.CC. [imposte comunali] è veramente pregiudizievole per le finanze dei Comuni?, Icd ago.-set. 1948, pp. 129-130; CA mag. 1948, pp. 412-6.
330
100 PARTE II
ria di Matteotti334. La continuità dei problemi della finanza locale era assoluta,
come testimoniava anche il discorso al Senato di Pietro Montagnani dell’ottobre 1948 contro i Servizi statali addossati al Comune che riprendeva, tali e quali, i motivi delle prime iniziative del movimento comunale di fine ‘800 contro
l’attribuzione di servizi pubblici dello Stato, e l’addebitamento delle relative
spese, alle autonomie locali. Montagnani, partendo dalla limitazione dell’istituto dell’integrazione dei bilanci ai soli comuni gravemente danneggiati dalla
guerra stabilito dalla legge del 26 marzo 1948 sottolineava l’esistenza di almeno “68 servizi di natura statale e di natura mista addossati ai Comuni e non
rimborsati ai Comuni”, servizi che per il 1947, al solo comune di Milano, costavano “ben 3 miliardi”335.
La continuità della questione della finanza locale dal periodo liberale a quello repubblicano non deve meravigliare. La questione era sì stata affrontata dall’Assemblea Costituente, ma “i suggerimenti e i propositi non furono portati a
esecuzione ed è comprensibile che, nei primi anni successivi alla entrata in vigore della Carta costituzionale, la finanza locale non fosse tra i primari obiettivi di riforma”336.
Nell’ambito del rilancio della propria attività, all’indomani delle elezioni politiche del 1948, la Lega si attivò molto sulla questione che non solo era di vitale importanza per gli enti locali ma sulla base della quale era possibile la convergenza con amministratori e studiosi di diversa tendenza. L’occasione per dimostrare il rilancio, o forse meglio, il primo avvio concreto della propria azione sul piano politico-istituzionale, venne dal progetto di legge del senatore Paolo Fortunati, del Pci, professore ed assessore ai tributi a Bologna 337, presentato
nella rivista del luglio 1948338.
2. La Lega dei comuni democratici negli anni della
contrapposizione e dello scontro
Svanita ogni speranza di riforma degli enti locali, insieme a quella più generale
dello Stato, esclusa dal governo nazionale, nei comuni e nelle province la sinistra
si preparava a difendersi dalle prevaricazioni del potere centrale e ad amministrare
secondo i propri obiettivi. Ricorda Rotelli che “l’unico vero elemento essenziale di
334
G. Albanesi, Autonomia comunale ed autonomia tributaria (Considerazioni), “L’amministrazione italiana”, 1946, n. 2, p. 65, ora in Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione...,
cit., pp. 241-2.
335
Servizi statali addossati al Comune (Dal discorso del dott. Pietro Montagnani pronunziato
al Senato il 23-10-1948), Icd ott. 1948, pp. 148-150; sullo stesso argomento Breve storia di una
legge ingiusta. La gestione finanziaria del servizio antincendi, Icd lug. 1950, p. 274.
336
Marongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., p. 286.
337
Paolo Fortunati, docente di statistica all’università di Padova durante il fascismo, entrato nel Pci nel 1941, assessore ai tributi nella giunta comunale bolognese di Dozza dal 1946 al
1956, senatore dal 1948, fu uno dei principali ispiratori della politica municipale della sinistra.
338
Paolo Fortunati, Progetto di legge per la finanza locale. Orientamenti e prospettive della politica tributaria, Icd lug. 1948, pp. 100-3; si veda anche, dello stesso autore, Per la libertà e l’autonomia dei comuni, AD ago.-set.1948, pp. 282-7.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 101
discontinuità fra il regime fascista e il regime repubblicano”339 immesso nella legislazione degli enti locali fu il principio dell’elettività delle cariche municipali, introdotto con il R.D. 7 gennaio 1946, n. 1. E fu grazie anche a questo solo elemento che gli amministratori comunisti e socialisti riuscirono, pur tra enormi difficoltà, a caratterizzare le autonomie locali da essi amministrati. Gli amministratori popolari, infatti, furono guidati nella loro attività dalla volontà di rispondere ai
bisogni dei cittadini seguendo le modalità della propria cultura politica, e vi riuscirono anche interpretando a proprio vantaggio norme e regolamenti della legislazione liberale e fascista che ancora disciplinavano l’ordinamento locale.
2.1. Il comune è un “organismo politico”
Contrariamente alla dottrina prevalente affermatasi nella giurisprudenza nazionale a partire dalla fine dell’’800, ma in perfetta continuità con la tradizione del movimento socialista, il comune, come ricordava un articolo di Montagnani, era considerato dalla sinistra un “organismo politico”:
“noi non sottovalutiamo l’importanza della tecnica amministrativa, il ché equivale a conoscere le leggi e i problemi amministrativi, aver capacità di tenere determinati rapporti con la popolazione, e con le altre autorità, ma è grave errore pensare che il comune sia un organismo puramente tecnico; il comune è invece un organismo politico”340. Il comune, quindi, doveva “proporsi quale uno
dei luoghi privilegiati nella realizzazione della togliattiana strategia delle alleanze”, e doveva “amministrare nell’interesse delle masse popolari”341.
Fu questo il quadro nel quale operò la Lega. L’editoriale del primo numero
del 1948 de “Il comune democratico”, il primo nella nuova veste di “organo ufficiale della Lega”, delineava gli obiettivi dell’organizzazione negli anni successivi, sia sul piano politico- istituzionale, sia su quello tecnico-amministrativo,
in Parlamento come nei comuni, senza alcuna soluzione di continuità:
1) adesione attiva e partecipata al Fronte popolare;
2) opposizione alla violazione dell’autonomia sancita dalla Costituzione attuata dal Governo;
3) risolvere la questione della finanza locale;
4) promuovere la ricostruzione del Paese;
5) risolvere la questione degli epurati342.
2.1.1. Le funzioni e i compiti della Lega
In un successivo editoriale intitolato La Lega dei comuni democratici. Funzioni e compiti, si sollecitavano gli amministratori alla mobilitazione, perché
339
Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fascista…, cit., pp. 231-2.
340
Piero Montagnani, Il comune, organismo politico, AD ott.-nov. 1947, pp. 5-7.
341
Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione..., p. 87.
342
Il Comune democratico, Obiettivi di lotta e di vittoria…, cit.
102 PARTE II
“molti dei nostri comuni – in special modo i piccoli – […] inconsci della loro
forza politica, [erano] su posizioni di rassegnata soggezione […] sotto lo scudiscio prefettizio”, e si preannunciava l’adesione alla Lega di “altre forze amministrative (Provincie, Istituti ospitalieri, Eca, Patronati scolastici, Orfanotrofi, Case di ricovero ed altri Istituti ed Enti morali similari)”.
Si offrivano, quindi, alcune informazioni sul comportamento da tenere nei
comuni e sugli obiettivi immediati da perseguire. In primo luogo, anche se non
veniva specificato, per ovviare evidentemente ad equivoci rispetto alla distinzione dei ruoli tra sindaco e segretario di partito, si chiariva che “spetta al sindaco, quale rappresentante diretto e legittimo della sovranità popolare, dirigere la politica del suo Comune”. Rispetto agli obiettivi, si ricordava l’apertura “di
una lotta serrata contro il Governo per costringerlo a sopprimere l’istituto del
controllo di merito che le GPA esercitano” e per garantire ai comuni risorse sufficienti, concedendo o l’autofinanziamento, o maggiori finanziamenti. In ogni
caso lo Stato si sarebbe dovuto accollare spese per servizi di interesse generale
che si facevano sempre più pesanti, in primo luogo quelle di spedalità343.
Sin dal primo momento furono evidentissime le difficoltà che la Lega avrebbe dovuto superare per la propria sopravvivenza come organizzazione. La prima circolare, la n. 1 del 27 gennaio 1948, richiedeva ai comuni un acconto sulla quota associativa, ma erano in molti a rispondere di non poterlo dare per
l’opposizione delle rispettive Gpa, che giudicavano il contributo inammissibile
in quanto considerato tra le “spese facoltative non previste dal bilancio” al ché,
la rivista della Lega suggeriva alcune soluzioni pratiche344.
Ma gli amministratori comunali della sinistra non avevano bisogno solo di
essere messi a conoscenza di tutte le possibili scappatoie per superare il soffocante controllo della Gpa, dovevano anche sapere come governare. Era per soddisfare questa necessità che si moltiplicavano nella rivista ufficiale della Lega le
informazione di carattere tecnico-amministrativo, e veniva pubblicata la relazione di Piero Montagnani Il comune è un organismo politico, prima di un Programma di dieci lezioni pratiche di aggiornamento e di preparazione per amministratori comunali345.
Nonostante “Il comune democratico” fosse l’organo della Lega, la prima intervista rilasciata dal segretario dell’organizzazione, Giulio Turchi, appariva nella rivista del Centro di consulenza per gli enti locali del Pci, partito con il quale, evidentemente, il deputato aveva un legame che veniva prima di quello con
G.F., La Lega dei comuni democratici. Funzioni e compiti, AD mar. 1948, pp. 25-6.
In un comunicato la Lega suggeriva varie soluzioni al problema, più immediate del ricorso in via amministrativa: il sindaco avrebbe potuto emettere un mandato di pagamento, sanando successivamente il provvedimento in sede di bilancio consuntivo; in caso di opposizione del tesoriere all’emissione del mandato avrebbe potuto pagare attingendo ai fondi dell’economato, o da quelli a disposizione diretta sua o della giunta. In conclusione: “i ripieghi non si
esauriscono a quelli sopra elencati, ne esistono altri che non possono sfuggire all’osservazione
di un buon sindaco popolare; è chiaro che qui intendiamo parlare di ripieghi leciti ed in rapporto al fine giusto che si vuol perseguire” Comunicato della segreteria nazionale della Lega dei
comuni democratici, AD mar. 1948, p. 30.
345
AD mar. 1948, pp. 37-40.
343
344
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 103
l’organizzazione delle autonomie enti locali. Turchi tratteggiava un breve bilancio dell’attività della Lega in vista, soprattutto, delle elezioni politiche nazionali del 18 aprile 1948. Per questo sottolineava l’impegno della Lega per la
vittoria della sinistra e ricordava la necessità di pubblicizzare l’attività dei comuni, contrapponendola all’immobilismo del governo centralista, e si dichiarava fiducioso nella vittoria e nel cambiamento della direzione del Paese. Riguardo all’attività dell’organizzazione, a tre mesi dalla nascita, ricordava i rapporti con il Ministro delle finanze in materia di riscossione delle imposte di
consumo, sottolineava il sostegno ad un progetto di riforma della figura dei segretari comunali elaborato dall’apposita commissione e bloccato dalla categoria346.
Una seconda intervista a Turchi, apparsa sempre ne “L’amministratore democratico”347 – e diretta principalmente al Partito comunista, al quale richiedeva un maggior impegno in favore degli amministratori - veniva pubblicata anche nella rivista della Lega. Come componente del Fronte democratico popolare, la Lega era partecipe della delusione della sinistra nelle elezioni politiche
nazionali del 18 aprile 1948 ed il suo segretario individuava le possibili responsabilità dell’organizzazione riguardo alla sconfitta elettorale. In primo luogo Turchi evidenziava l’insufficiente propaganda del lavoro fatto nei comuni.
Per il futuro, molto significativamente, sottolineava la necessità di “restare al
proprio posto e migliorare il proprio lavoro”, di contare sulla Lega e ricordava
che “il sindaco deve essere non soltanto capo dell’amministrazione ma anche
un dirigente politico”348.
Era evidente che gli amministratori comunisti non avevano ancora capito
l’importanza del proprio ruolo nei comuni e per questo era necessario sottolinearne la valenza politica.
2.2. La ripresa dopo i risultati del 18 aprile 1948
L’intervista di Turchi aveva, di fatto, anticipato le decisioni del Comitato
provvisorio della Lega nazionale dei comuni democratici e del Convegno dei
presidenti delle Leghe provinciali riunitisi a Roma, rispettivamente, il 24 e il 25
maggio 1948. All’indomani della sconfitta elettorale del Fronte popolare,
quando fu chiaro che la lotta per la vittoria della sinistra nel Paese sarebbe stata lunga e difficile, venne deciso di porre le basi per il rilancio, o meglio, per
l’avvio vero e proprio dell’attività della Lega sul piano nazionale.
Il Comitato provvisorio della Lega decideva di costituire quattro commissioni di studio su: autonomie; bilancio; ricostruzione, con particolare riguardo alle
La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazionale della Lega), AD mar. 1948 , pp. 5-7.
347
Giulio Turchi, Il lavoro comunale dopo le elezioni. Bilancio e prospettive, AD apr. 1948,
pp. 76-8.
348
Giulio Turchi, Bilancio e prospettive del lavoro comunale dopo le elezioni, Icd apr.-mag.
1948, pp. 76-8.
346
104 PARTE II
case di abitazione; problemi regionali, in vista della istituzione - che si riteneva allora, prossima - delle regioni. Veniva quindi confermata la decisione assunta in riunioni precedenti che la rivista della Lega provinciale di Milano divenisse organo
ufficiale delle Lega nazionale. Si annunciava la prossima convocazione di un convegno nazionale preparato da convegni provinciali, veniva approvata, infine, la
bozza dello statuto della Lega, poi rimessa all’esame delle leghe provinciali.
Il convegno dei presidenti delle leghe provinciali, svoltosi il 25 maggio, come primo problema affrontava quello delle minacciate dimissioni di amministratori della sinistra all’indomani dei risultati delle elezioni dell’aprile 1948, rientrate dopo “l’intervento immediato delle Leghe e quello personale di amministratori più preparati anche politicamente […] I convenuti sono stati unanimi nell’affermare che i sindaci hanno il dovere di restare al loro posto”.
Bisognava rinsaldare i legami con consiglieri e assessori dei partiti di maggioranza - in particolare del Partito socialista dei lavoratori italiani349 - che avevano deciso di rimanere nelle giunte nonostante il parere contrario dei vertici nazionali. Era
necessario diffondere Consulte popolari e Consigli tributari, rafforzare l’organizzazione della Lega, diffondere la rivista, si raccomandava, infine, “la costituzione di
un gruppo parlamentare che si interessi particolarmente delle questioni comunali e
dia agli amministratori tutta l’assistenza di cui essi possono avere bisogno”350.
Fu così che la rivista “Il comune democratico” dal luglio 1948 mutò il sottotitolo “Edito dalla Lega dei comuni democratici” assunto dal gennaio351 in quello di
“Organo ufficiale della Lega dei comuni democratici”. Il mensile aveva anche un
comitato di direzione di cui facevano parte i due segretari nazionali della Lega,
l’avv. Luigi Cavalieri e l’on. Luigi Turchi352. L’editoriale di apertura del fascicolo si
intitolava La nostra rivista, firmato “La Segreteria della Lega dei comuni democratici”, nel quale si rilanciava l’attività della Lega anche attraverso la rivista, strumento per la lotta politica e “di lavoro per gli amministratori degli Enti Locali” 353.
2.2.1. Lo statuto del 1948
Subito dopo veniva pubblicata la Bozza di statuto della Lega dei comuni democratici. La Lega aveva la propria sede centrale a Roma (art. 1), coordinava
“l’opera dei Comuni per l’attuazione delle autonomie locali riconosciute ed af349
Il 9 gennaio 1947 Giuseppe Saragat usciva dal Partito socialista di unità proletaria guidato da Pietro Nenni, alleato del Pci nel Fronte popolare, e fondava il Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli), poi Partito socialdemocratico italiano (Psdi).
350
Attività della lega dei comuni. Decisioni del Comitato provvisorio della Lega nazionale dei
comuni democratici e conclusione del Convegno dei presidenti delle Leghe provinciali, Icd giu.
1948, pp. 94-5.
351
Icd gen.-feb. 1948.
352
Gli altri componenti erano i sindaci di Genova, Gelasio Adamoli; Bologna, Dozza; Pescara, Italo Giovannucci; il rettore dell’Università di Siena, Mario Bracci; il deputato Riccardo
Lombardi ed il senatore Piero Montagnani, vice sindaco di Milano. Nel 1947, a partire dal numero dell’ago.-set., il consiglio di direzione della rivista era invece composto da Antonio Greppi, Piero Montagnani, Vittorio Craxi, Nicola Jaeger, Amilcare Locatelli, Giuseppe de Florentiis.
353
Icd lug. 1948, pp. 97-8.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 105
fermate dalla Costituzione della Repubblica Italiana e per lo sviluppo in senso
democratico delle autonomie […] rappresenta e difende gli interessi dei Comuni nei confronti dell’Amministrazione centrale”. Rispetto agli obiettivi, la
novità più significativa rispetto allo statuto del 1916354, come anche rispetto a
quello anteriore dell’Anci, era data dal fatto che l’organizzazione oltre a difendere i comuni, ne promuoveva lo sviluppo delle attività ma congiuntamente alle “iniziative che – sul piano politico, sul piano economico-sociale e su quello
amministrativo – valgono ad accrescere l’educazione civica dei cittadini”. A
questo scopo appoggiava l’istituzione “di organi popolari, quali le assemblee di
popolo, comunali e di quartiere, nelle quali gli amministratori rendano conto
del loro operato e siano esaminati i problemi comunali: le Consulte Popolari
[…] i Consigli Tributari”. Altra novità di rilievo era che la Lega “assiste, inoltre, i Comuni, le Provincie, le Regioni, gli Enti Locali e i singoli amministratori” (art. 2).
Potevano quindi far parte della Lega non solo i comuni, ma anche province, regioni, gruppi consiliari di minoranza ed enti locali come opere pie, ospedali, patronati scolastici, Eca, consulte popolari e consigli tributari (art. 3).
Nello statuto della Lega del 1948, venivano collegate la difesa e la promozione dell’autonomia locale sul piano politico-istituzionale e tecnico-amministrativo, con la promozione del principio dell’autonomia sul piano sociale legando, quindi, istituzioni e cittadini. Nella Lega, inoltre, insieme ai più forti e
numerosi comuni, che erano la “punta di diamante” del movimento per le autonomie locali, erano associati anche tutti gli enti e le istituzioni che facevano
parte di quel movimento: dalle province alle opere pie, fino alle regioni, la cui
istituzione, però, era ancora ben lontana.
Dal punto di vista teorico, in questo statuto trovavano posto un’istanza basilare del movimento per le autonomie locali, il collegamento tra le istituzioni
e i cittadini, e venivano poste le basi per il coordinamento delle iniziative di istituzioni ed enti locali355. Mancavano all’appello solo le aziende municipalizzate
che, probabilmente, già ben organizzate in una propria Confederazione356, non
avrebbero tratto alcun vantaggio dall’entrare a far parte di una struttura che era
appena ai suoi primi passi357.
354
Da sottolineare nello statuto, rispetto a quello del 1917, la formale indipendenza dell’organizzazione da qualsiasi partito. Il collegamento con i partiti della sinistra era nei fatti, nella partecipazione al Fronte democratico e nella segreteria doppia, affidata ad un comunista e ad
un socialista.
355
Bozza di Statuto della Lega dei comuni democratici, Icd lug. 1948, pp. 98-9.
356
Cfr. Gaspari, Dal monopolio, alla municipalizzazione, alla liberalizzazione dei servizi pubblici…, cit.
357
Questo però non voleva dire che le aziende comunali non si mobilitassero congiuntamente alla Lega rispetto a situazioni specifiche nelle quali erano direttamente coinvolte. Era il
caso, ad esempio, di un aumento delle tariffe del gas deliberato dal Comitato interministeriale
prezzi nel 1949, in occasione del quale la Confederazione della Municipalizzazione, la CoM,
insieme alla Lega dei Comuni democratici, il Comitato di coordinamento dei consigli di gestione aziende gas e l’Associazione nazionale inquilini, esprimeva in un comunicato la propria
opposizione e chiedeva di non aumentare le tariffe, salvo piccoli ritocchi essenziali al pareggio
del bilancio delle aziende; AD mag. 1949, p. 163.
106 PARTE II
2.2.2. Il successo nella difesa delle province, e della legalità, contro l’offensiva
del Ministero dell’interno
L’occasione per dimostrare che la Lega dei comuni non rappresentava gli interessi dei soli municipi venne molto presto. La rivista dell’organizzazione, infatti, nel luglio del 1948 denunciava l’inizio di una offensiva contro le deputazioni provinciali da parte del Ministero dell’interno che aveva espresso parere
favorevole al rinnovamento delle deputazioni in carica da quattro anni, proposto da alcuni prefetti. Si trattava delle deputazioni nominate a partire dal 1944
sulla base della composizione del Cln e che, secondo l’interpretazione della legge in vigore data dai prefetti, erano ormai scadute. Il segretario della Lega, Cavalieri, si opponeva a tale interpretazione, sostenendo l’illegittimità dei provvedimenti di scioglimento dei prefetti, che erano stati avallati dal Ministero dell’interno solo per l’interesse dei partiti governativi, e soprattutto della Democrazia cristiana, ad avere solo propri uomini nelle province358.
I tempi per le autonomie locali, però, per quanto il fenomeno degli scioglimenti dei consigli potesse farli venire alla mente non erano certo gli stessi dell’Italia liberale e dell’ascesa al potere del fascismo.
Qualche mese dopo la denuncia del segretario, “L’Amministratore democratico” annunciava che una sentenza della V sezione del Consiglio di Stato aveva sospeso, il 20 novembre 1948, l’esecuzione del decreto prefettizio di scioglimento
della deputazione provinciale di Roma che era stata quindi reintegrata nelle sue
funzioni. Una sentenza simile riguardante la deputazione provinciale di Napoli
era stata emessa in precedenza dalla IV sezione della stessa magistratura. Scelba
aveva disciolto le amministrazioni costituite a norma del DL 4 aprile 1944 n.
111, sul modello del Cln, in quanto erano passati 4 anni, per sostituirle con altre che, secondo il Ministro “dovevano rispecchiare i risultati del 18 aprile”359.
Nel 1951 la rivista della Lega ricordava un’altra sentenza della IV sezione Consiglio di Stato che, limitando l’ambito di attività del commissario prefettizio, stabiliva che questi poteva esercitare i poteri del sindaco e della giunta, ma non quelli del
consiglio comunale360. Nello stesso anno era Massimo Severo Giannini a commentare positivamente un’altra sentenza del Consiglio di Stato che aveva accettato il ricorso del comune di Rimini contro la rimozione del proprio sindaco per motivi di
ordine pubblico361, e non era l’ultima. Anche in diverse altre occasioni il Consiglio
di Stato sembrò contestare l’interpretazione estensiva dei poteri sostitutivi del Ministero dell’interno e dei prefetti riguardo alle amministrazioni locali362.
Luigi Cavalieri, Eccesso di potere e illegittimità dei decreti prefettizi di scioglimento delle Deputazioni provinciali, Icd lug. 1948, pp. 107-8.
359
Velleità incostituzionali dell’On. Scelba. Le deputazioni provinciali disciolte per ordine del
Ministro dell’Interno, reintegrate dal Consiglio di Stato, AD 1948, n. 12, p. 466.
360
Il Consiglio di Stato contro il governo di polizia, Icd apr. 1951, p. 156.
361
Massimo Severo Giannini, La rimozione dei sindaci in una decisione del Consiglio di Stato, Icd mag. 1951, pp. 196-8.
362
Il Prefetto di Taranto che aveva visto annullato il proprio decreto di nomina di un commissario sostitutivo dell’amministrazione comunale di Taranto si rifiutò di eseguire le decisioni del Consiglio di Stato e annunciò il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per
358
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 107
Non era certo un caso quindi che, alcuni anni dopo, tra il 1958 ed il 1959,
il Ministro dell’interno Fernando Tambroni363, avesse deciso di non chiedere
più tale parere. La questione veniva sollevata da un’interrogazione parlamentare dei deputati Luzzatto, Tonetti e Targetti a circa un anno di distanza dalla
scomparsa dai decreti presidenziali di scioglimento dei consigli comunali e dalle relazioni di accompagnamento del Ministro dell’interno di ogni riferimento
al parere del Consiglio di Stato. “Di per sé, quindi, – commentava l’articolo che
dava notizia dell’interpellanza – la cessazione improvvisa, ed è proprio il caso di
dire inconsulta della consuetudine di ascoltare il Consiglio di Stato in sede consultiva, denuncia un indirizzo di sopraffazione”364, un indirizzo che lo stesso
Consiglio di Stato non tardava a stigmatizzare duramente. Nella decisione
dell’8 aprile 1960, pubblicata il 27 maggio, la IV sezione del Consiglio di Stato, pronunciandosi in merito alla richiesta di annullamento dei provvedimenti
di scioglimento del consiglio comunale di Venezia e dell’Azienda comunale per
la navigazione interna, scriveva: “Desta quindi sorpresa che l’Avvocatura dello
Stato citando ben dieci casi di scioglimenti di consigli comunali intervenuti negli anni 1958 e 1959, dichiari che tale prassi [di chiedere il parere del Consiglio di Stato] non sussiste”365.
Il rispetto della legge e della prassi, questo chiedeva per le autonomie locali
la Lega, sia al Consiglio di Stato, sia al Ministro dell’interno, proprio come avevano fatto Anci ed Upi negli anni dell’Italia liberale.
2.2.3. “La caccia al sindaco” dopo l’attentato a Togliatti
La caccia al sindaco, così si intitolava l’articolo di Montagnani a commento
degli arresti e delle denunce ai sindaci a seguito degli incidenti del 14 luglio
1948 provocati dall’annuncio dell’attentato al segretario del Pci, Palmiro Togliatti366. Per il segretario della Lega, Turchi, gli incidenti erano solo una scusa.
Era evidente, infatti, la volontà di allontanare dai posti di responsabilità tutti
coloro i quali potessero essere di ostacolo “alla politica liberticida nella quale è
impegnato il governo”. Le modalità di svolgimento della caccia potevano essere di due tipi: “puramente poliziesca” e “burocratico-amministrativa”. Nel primo caso le prefetture prendevano a pretesto motivi di ordine pubblico come
manifestazioni e scioperi, nel secondo caso, invece, il pretesto era rappresentato dal fatto che “i sindaci non hanno saputo fare ciò che dovevano o per impedifetto di giurisdizione del Consiglio di Stato; Mario Franceschielli, Il Prefetto di Taranto ed il
Consiglio di Stato, Icd mag. 1951, pp. 199-200.
363
Tambroni era stato in carica come Ministro dell’interno dal 6 lug. 1955 al 15 feb. 1959,
con il primo Governo Segni, il primo Governo Zoli ed il secondo Governo Fanfani.
364
Si chieda il parere del Consiglio di Stato prima di sciogliere i consigli comunali, Icd apr.
1959, p. 95.
365
Giurisprudenza. Consiglio di Stato (Sezione IV), Icd mag. 1960, p. 201, il corsivo è redazionale; per un commento Domenico Rizzo, Il Consiglio di Stato sullo scioglimento del Consiglio
comunale di Venezia e dell’azienda comunale di navigazione, Icd giu. 1960, p. 242.
366
Piero Montagnani, La caccia al sindaco, Icd ago.-set. 1948, pp. 123-4.
108 PARTE II
rizia, o per altre ragioni”. In entrambi i casi avrebbe potuto essere di grande aiuto il supporto delle masse e specialmente della Lega, provinciale e nazionale,
che poteva soccorrere i sindaci e mobilitarsi in loro favore; i sindaci, concludeva Turchi, “debbono mantenersi strettamente legati al popolo e fra loro nelle
proprie Leghe”367. Intanto il segretario difendeva in Parlamento gli amministratori di sinistra contro le illegalità del Ministero dell’interno e dei prefetti368.
L’organizzazione dei comuni della sinistra poteva giocare un ruolo importante soprattutto nel prevenire l’imperizia “burocratico-amministrativa” degli
amministratori presa a pretesto dalle prefetture per gli scioglimenti, da qui il già
citato Programma di dieci lezioni pratiche di aggiornamento e di preparazione per
amministratori comunali369, la pubblicazione di articoli e notizie relative a giurisprudenza e tecnica amministrativa e, soprattutto, l’impegno per la riforma del
ruolo dei segretari comunali, che potevano essere di grande aiuto, o al contrario, di grande impedimento, all’attività amministrativa delle giunte “rosse”.
2.2.4. I segretari comunali ed il rapporto con gli amministratori di sinistra
Tra le questioni più approfondite nel periodico nel secondo dopoguerra vi
era senza dubbio quella della riforma della figura dei segretari comunali e provinciali, non solo per il ruolo essenziale da questi svolto nelle amministrazioni,
ma anche per il fatto che i membri della categoria erano tra i lettori più attenti ed erano numerosi i loro contributi a questa come a tutte le riviste specializzate in problemi dell’amministrazione locale. Gli articoli sui segretari comunali erano piuttosto frequenti, uno tra i primi esprimeva disappunto per l’esclusione delle donne dal concorso per segretari comunali370, ma l’argomento più
sviluppato era senza dubbio quello della riforma della categoria371. Su questa figura chiave nel funzionamento di comuni e province si scaricavano tensioni
molto forti in quegli anni perché l’importanza del segretario era accresciuta dalla circostanza che molti amministratori della sinistra non conoscevano la macchina amministrativa. Può essere utile a comprendere meglio questa realtà – ed
il successivo sviluppo - un breve profilo di uno dei nuovi amministratori della
sinistra nel dopoguerra: Roberto Vighi, socialista, vice presidente dal 1946 al
1951 e quindi presidente al fino al 1970 della provincia di Bologna:
Giulio Turchi, Difendiamo i sindaci e la democrazia nei comuni, Icd ago.-set. 1948, pp.
124-5; su questo argomento cfr. Giuseppe Sotgiu, L’attività della Lega non piace ai prefetti, e
neppure l’autonomia regionale, Icd nov.-dic. 1948, p. 173.
368
Giulio Turchi, Lo stato di polizia ed i comuni, AD 1948, n. 10, pp. 352-5.
369
AD mar. 1948, pp. 37-40.
370
Adriana Prandi, Dal concorso sono escluse le donne. Si completi la loro emancipazione, Icd
gen. 1947, p. 12.
371
Si veda l’ordine del giorno dell’Associazione dei sindaci della provincia di Como, Riforma dello stato giuridico dei segretari comunali, Icd feb.-mar. 1947, pp. 31-2. Sulla questione della riforma (mancata) dei segretari comunali nel secondo dopoguerra, che vide contraria la grande maggioranza della categoria, cfr. Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione…, cit.,
pp. 148-176.
367
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 109
“faceva parte della seconda generazione – per distinguerla da quella prefascista
– di pubblici amministratori usciti dal seno della sinistra democratica e popolare. Quegli amministratori che si son fatti da soli – perché non esistevano una
scuola e una cultura specifica del settore – e che sono cresciuti al contatto quotidiano dei problemi di quei cittadini che li avevano scelti con un voto e con
una fiducia di carattere politico e morale […, un] uomo che, nel secondo dopoguerra, aveva cominciato a imparare un nuovo ‘mestiere’ – per incarico del
partito – […, Vighi] fu tra quelli che, senza una precedente esperienza amministrativa, si gettarono con coraggio nell’impresa e imparò ‘sul campo’ il nuovo
mestiere di amministratore pubblico. Non fu sempre facile e non mancarono
certo critiche e scontri anche all’interno dello schieramento di sinistra. Non si
resta però – come restò lui – per un ventennio alla guida di una importante
amministrazione locale, come l’Amministrazione Provinciale di Bologna, per
astratta delega del partito, se, quel mestiere, non si è imparato a farlo con dignità, onestà e adeguatezza”372.
Le nuove amministrazioni in carica all’indomani della fine della guerra sostennero subito una decisa opposizione di principio contro le norme fasciste che,
dal 1928373, avevano privato i comuni della capacità di scegliere i propri segretari - passati in uno speciale ruolo del Ministero dell’interno – e da allora imposti
per nomina governativa. Fu così che nel documento conclusivo della riunione
svoltasi a Torino il 28 agosto 1945 tra i sindaci di Torino, Milano, Genova, Bologna, Venezia e Verona, tra le altre rivendicazioni poste al Governo, venne inserita quella della “abolizione di tutte le disposizioni legislative emanate dal 1928
in poi sullo stato giuridico ed economico dei Segretari comunali. [Si chiese] Il
ritorno, quindi, alle disposizioni del TU della legge comunale e provinciale del
1915, aggiornate alle odierne condizioni”374. Di tenore analogo era il voto deliberato dal citato “Convegno delle provincie della Regione Emilia-Romagna e
contermini per la trattazione di vari problemi amministrativi di particolare interesse per le provincie”, svoltosi sempre nel 1947, con il quale si chiese il ritorno del segretario provinciale alle dirette dipendenze della provincia375.
Lo scontro tra le esigenze di riforma e di autonomia manifestate dai sindaci
e la realtà della figura del segretario che era delineata dalla normativa fascista,
era tra le cause di una decisa ostilità reciproca che andava a scapito del buon
andamento dell’amministrazione. Per questo la rivista si rivolgeva agli amministratori, e in particolare ai sindaci, chiedendo di superare le incomprensioni,
perché: “Normalizzare i rapporti tra le Amministrazioni comunali ed il loro
Luigi Arbizzani, Francesco Bonazzi del Poggetto, Nazario Sauro Onofri, Contributo per
una biografia, in Roberto Vighi, Per il socialismo, l’antifascismo, le autonomie. Scelta di scritti e
discorsi dal 1914 al 1970, a cura di Luigi Arbizzani, Francesco Bonazzi del Poggetto, Nazario
Sauro Onofri, con un messaggio di Sandro Pertini, Provincia di Bologna, 1984; ristampa curata dalla Provincia di Bologna, Bologna, Tipografia Moderna, 1997, pp. 9-11.
373
Cfr. Oscar Gaspari, I segretari comunali e provinciali durante il periodo fascista: da professionisti a funzionari statali, in “Le carte e la storia”, n.1, 2004, pp. 173-190.
374
ArSCPr, Amministrazione comunale 5, 1945, “Convegno dei sindaci a Torino (28 ago.
1945)”.
375
Convegno delle provincie Emilia-Romagna e contermini, Rdp ago-set. 1945, pp. 96-108.
372
110 PARTE II
principale collaboratore, il Segretario, significa contribuire veramente a potenziare i nostri Comuni nelle loro funzioni pubbliche”376.
Anche il mensile “L’Amministratore democratico” promosse una campagna
per la riforma dello status dei segretari comunali e provinciali, in termini di
grande interesse. Nella rivista si sosteneva, in sostanza, il concetto che l’essere
presidente di provincia, assessore e, soprattutto, sindaco, comportava l’impegno di guidare l’amministrazione locale secondo determinati indirizzi politici
che il segretario aveva il dovere di attuare nel rispetto della legalità:
“Mentre compete al Sindaco l’indirizzo generale dell’Amministrazione comunale, essendo la espressione della sovranità popolare, al Segretario comunale incombe il compito della buona, corretta e legale attuazione dei provvedimenti
delle autorità comunali […] Sembra a noi che il miglior principio da seguire in
questa materia sia quello di rispettare reciprocamente le proprie competenze”377.
Il segretario comunale non poteva essere, semplicemente, un funzionario del
Ministero dell’interno come qualsiasi altro, chiamato a svolgere in ogni luogo
le medesime procedure perché al servizio di un’autorità burocratica centralizzata uguale in ogni situazione, come aveva voluto il fascismo. Nell’Italia repubblicana il segretario comunale - per la Lega proprio come per l’Anci -, doveva
essere al servizio dell’amministrazione locale e, in particolare per la Lega, doveva dirigere un’attività amministrativa che soddisfacesse i bisogni dei cittadini
secondo le priorità e le modalità indicate dall’autorità politica locale. Sono argomentazioni queste, che paiono rinviare sia all’enunciato della riforma della
categoria dei segretari comunali e provinciali sia alla distinzione tra attività di
indirizzo politico, propria dell’autorità politica elettiva, e quella di amministrazione, svolta autonomamente dai dirigenti, riforme avviate a partire da quella
dell’ordinamento degli enti locali del 1990378. Non è un caso che questa distinzione venga proposta nel secondo dopoguerra proprio dalla sinistra. Nell’immediato secondo dopoguerra gli amministratori locali comunisti e socialisti
erano portatori di un disegno politico innovatore di ampio respiro. Essi non venivano eletti semplicemente per gestire l’amministrazione seguendo le norme
ma per impegnarsi a soddisfare i bisogni della collettività - ed in particolare dei
cittadini più poveri e più deboli – attraverso l’amministrazione, anche appoggiandone le lotte379.
Nel quadro del tentativo di riformare la categoria nel secondo dopoguerra
l’Anci non poteva rimanere estraneo alla formazione dei nuovi segretari comuAldo Tassoni, Segretari e amministratori comunali, Icd apr.-mag. 1947, pp. 41-2.
Mafra (Mario Franceschelli), Rapporti tra sindaci e segretari comunali: oggi e domani, AD
ago.-set. 1947, nn. 5-6, pp. 7-9.
378
Si tratta, rispettivamente, del D.P.R. 4 dic. 1997, n. 465, Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali,a norma dell’articolo 17, comma
78, della L. 15 maggio 1997, n. 127, e del D. legis.vo 3 febbraio 1993 n. 29, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico impiego.
379
Fondamentale, a questo proposito, era l’impegno dei sindaci e delle amministrazioni comunali in favore e in difesa dei lavoratori in sciopero; cfr. L’Osservatore, Lo sciopero dei braccianti ed i sindaci, Icd ago 1949, pp. 15-6.
376
377
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 111
nali. Da qui l’organizzazione, appena prima della nascita della Lega, nel dicembre 1947, di un Corso di preparazione agli esami di diploma di segretario comunale, tra i cui docenti vi erano un professore del calibro di Massimo Severo
Giannini, Achille Guerra, ex direttore capo servizio del comune di Napoli e
componente del primo comitato esecutivo dell’Anci, Dante Cosi, storico esponente della categoria, Renato Vicard, ex funzionario dell’Istat e segretario dell’Anci380.
Sulle pagine de “L’Amministratore democratico”, si apriva una sorta di dibattito tra le diverse posizioni. C’era chi sosteneva che la legge dovesse definire
funzioni e responsabilità del segretario, fissare requisiti per la nomina, minimi
stipendiali, sanzioni disciplinari, garanzie rispetto alla stabilità dell’impiego, ferie, malattia e pensione ma anche che le amministrazioni potessero scegliere i
segretari381. Altri chiedevano una partecipazione dell’Anci alla gestione della categoria, che doveva però rimanere alle dipendenze del Ministero dell’interno,
per non essere alla mercé delle amministrazioni comunali382.
All’inizio del 1948 la Lega appoggiò il progetto di riforma della figura dei
segretari comunali elaborato dalla commissione mista comuni-segretari, che era
stato però bloccato dagli stessi segretari383. A questo proposito, Turchi dichiarava che la Lega “non potrà mai accedere al principio della statizzazione sostenuto dalla maggioranza della categoria”384. Dietro il sostegno del principio del ritorno al legame diretto tra segretario e comune, e della fine della statizzazione
voluta dal fascismo, non c’era solo la necessità del rispetto dei principi costituzionali, ma anche “il buon andamento dei Comuni”. I segretari dovevano essere legati alla realtà dei comuni, non alla burocrazia ministeriale, perché: “l’auCorso di preparazione agli esami di diploma di segretario comunale, AD ago.-set. 1947, nn.
5-6, p. 26.
381
“ai segretari comunali sia assicurata la possibilità di carriera ed un adeguato trattamento
economico, che la loro stabilità d’impiego sia strenuamente difesa da ingerenze di parte; che
dall’altro venga disciplinato il loro stato giuridico: tutto ciò rappresenta il minimo di quanto
in linea sindacalesi possa e si debba, anzi, richiedere. Ma […] ritengo si debba riconoscere che
le Amministrazioni Comunali abbiano il diritto di richiedere la possibilità di scegliere colui che
dovrà essere il primo dei suoi funzionari”; L.B. Segretario comunale, La questione dei segretari
comunali, AD apr. 1948, p. 114.
382
Vincenzo Bisconti, Ancora dei segretari comunali, AD mag. 1948, p. 162.
383
Nel 1946 venne costituita una commissione paritetica Anci-segretari per la riforma della figura del segretario, guidata dal giurista Michele La Torre, dai sindaci di Bologna, Giuseppe Dozza (comunista); Verona, Aldo Fedeli (socialista); Cosenza, Adolfo Quitieri (democristiano); dal presidente dell’associazione nazionale di categoria, Amerigo Beviglia; dal segretario
del comune di Bari, Giacomo Giacobelli e da quello della provincia di Taranto, Michele Rinaldi. All’inizio del 1947 la Commissione approvò a maggioranza, con il voto contrario dei due
segretari Giacobelli e Rinaldi, un progetto di riforma che accoglieva gran parte delle richieste
dei segretari, garantendo però agli enti locali il controllo sul segretario, tutelato dallo Stato in
caso di vertenze. Tale progetto, anche per la strenua opposizione della maggioranza della categoria, non venne però mai tradotto in legge. Fino al 1990 rimase quindi in vigore la normativa fascista del 1928; su questa vicenda, cfr. Baldissara Tecnica e politica nell’amministrazione...,
pp. 164-187.
384
La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazionale della Lega), AD mar. 1948 , pp. 5-7.
380
112 PARTE II
tonomia […] si può ottenere soltanto se l’ente dispone di funzionari i quali abbiano l’effettiva nozione delle necessità e degli interessi locali”385.
Quale fosse l’importanza della figura del segretario comunale e della sua dipendenza dal Ministero dell’interno veniva evidenziato nel corso del III Congresso nazionale dei segretari comunali tenuto a Roma il 16 e 17 gennaio 1949.
In quell’occasione veniva distribuito un memoriale firmato da due segretari nel
quale, per sostenere l’opportunità della dipendenza dal Ministero dell’interno,
si chiedeva, per evidenziare il positivo comportamento della categoria in quegli
anni: “in quanti casi di scioglimenti di Amministrazioni Comunali per gravi ed
accertate irregolarità ed abusi (ed i relativi decreti appaiono con progressiva frequenza nelle Gazzette Ufficiali) la prima avvisaglia non sia partita dal modesto
Segretario Comunale”386. L’orientamento filogovernativo della categoria era evidentemente molto forte e, in quegli anni di forti divisioni e contrapposizioni
ideologiche, anche la categoria dei segretari si divise, dando vita ad un Sindacato autonomo mentre la Sezione dei segretari legata alla Federazione nazionale dei dipendenti degli enti locali diveniva Sindacato nazionale di categoria ed
aderiva alla Cgil387.
Il dibattito veniva riaperto ne “Il comune democratico”, del 1949388. Nell’editoriale della rivista dell’agosto 1950 si denunciava l’annuncio di una prossima legge relativa ai segretari comunali che avrebbe dovuto sancire “la posizione e la figura del segretario comunale come rappresentante dello Stato nel Comune democratico”389. Ma anche quella speranza sarebbe andata delusa: la legge che avrebbe dovuto riformare la categoria (legge del 9 agosto 1954, n. 748),
infatti, non modificava lo status del segretario, che rimaneva alle dipendenze del
Ministero dell’interno. Dopo anni di studi, polemiche e battaglie, come scrive
Baldissara: “Con immagine abusata, si vorrebbe notare che ‘la montagna partoriva il topolino’”390.
2.2.5. Il punto sullo stato dell’organizzazione
In un’intervista apparsa ne “L’amministratore democratico” del gennaio
1949 il “compagno On. Turchi” faceva il punto sullo stato dell’organizzazione,
discusso nella riunione del Comitato direttivo della Lega del 16 dicembre
1948. Dopo aver segnalato la recente costituzione di almeno 12 Leghe provinciali, il segretario annunciava il potenziamento dell’attività politico-istituzionale attraverso la costituzione di un “comitato ristretto” cui avrebbero partecipato anche dei parlamentari. Il comitato avrebbe non solo diretto la Lega ma, soE.A., Autonomia e segretari comunali, Icd ago.-set. 1948, p. 136.
La prima avvisaglia, Icd gen. 1949, p. 5. Una conferma indiretta della veridicità di questa affermazione veniva da un successivo articolo di Federico Leghissa, La “non collaborazione”
di troppi segretari comunali, ivi, pp. 6-7.
387
Ibidem.
388
Leo Spalazzi, Il problema dei segretari comunali, Icd set. 1949, p. 60.
389
Orizzonti, Icd ago.-set. 1950, pp. 293-4.
390
Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione..., cit., p. 188.
385
386
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 113
prattutto, sarebbe intervenuto “prontamente ed energicamente tutte le volte
che una delle nostre amministrazioni comunali è fatta segno a persecuzione da
parte delle autorità governative”.
Il direttivo, sempre secondo Turchi, aveva deciso il rilancio dell’attività di
supporto tecnico-amministrativo, sia interna alla Lega, sia esterna, verso gli amministratori, per i quali veniva annunciato il prossimo svolgimento di tre convegni dedicati agli assessori con competenze, rispettivamente, al personale391, alle finanze e all’assistenza392, ed un quarto riservato ai problemi dei piccoli e medi comuni393.
Riguardo all’attività in favore della popolazione il direttivo aveva deciso che
i comuni della sinistra concentrassero i propri sforzi su “l’assistenza invernale e
la disoccupazione”; mentre, da parte sua la Lega si sarebbe adoperata per il riconoscimento della partecipazione di rappresentanti dei comuni agli organismi
preposti all’organizzazione dei lavori pubblici e della ricostruzione.
Il rilancio della Lega passava anche per una maggiore e più qualificata presenza dell’organizzazione nel dibattito politico in corso e, per questo, il direttivo aveva deciso una serie di misure, tutte evidentemente dirette a far conoscere all’opinione pubblica il ruolo e l’attività dell’organizzazione. Il direttivo decideva, quindi, di attivare “un collegamento continuativo e funzionale” con le minoranze consiliari di Roma e Napoli, due tra i maggiori e più importanti comuni italiani e “di
lanciare un manifesto al Paese” per denunciare la politica reazionaria del Governo contro gli amministratori locali. In questo ambito era evidentemente indispensabile riesaminare l’attività editoriale e, a questo proposito, Turchi affermava
molto chiaramente che: “due riviste, quella del Partito e quella della Lega non sono necessarie; esse rappresentano un dispendio di energie […] tanto l’aspetto tecnico che quello politico debbono trovare espressione adeguata”394.
Evidentemente la coesistenza di due riviste e di due Centri di consulenza per
gli enti locali distinti per le amministrazioni locali della sinistra non era più sostenibile, almeno in termini di “dispendio di energie”, ma senza dubbio anche
in termini monetari. Così, nel numero del giugno 1949 “L’Amministratore democratico”: “si [congedava] dai suoi abbonati e lettori per far posto a una nuova rivista, di più largo respiro e di più robusta intelaiatura, che sarà la voce della Lega nazionale dei comuni democratici […] nella strada del progresso, della
libertà e della pace”395.
Il convegno si svolse a Firenze nei primi mesi del 1949; Convegno nazionale degli assessori al personale, Icd mar.-apr. 1949, p. 64.
392
Il convegno si svolse a Genova all’inizio del 1949 alla presenza del segretario Turchi, vi
parteciparono una trentina tra grandi e piccoli comuni del Centro-Nord, insieme a rappresentanti dell’Udi e del patronato Inca della Cgil; Attività assistenziale: convegno di Genova, Icd
mar.-apr. 1949, pp. 63-4.
393
Da segnalare, sempre all’inizio del 1949, lo svolgimento di convegni di amministratori
del Psi: Primo convegno degli amministratori socialisti della provincia di Milano 13 marzo 1949,
Icd mar.-apr. 1949, pp. 64-6; P.N., Il Convegno degli amministratori socialisti a Napoli, AD
mar.-apr. 1949, pp. 112-4.
394
L’attività della Lega dei comuni democratici, AD gen. 1949, pp. 5-6.
395
Saluto ai lettori, AD giu. 1949, p. 193.
391
114 PARTE II
2.3. Una sola e “nuova” rivista per la Lega nazionale dei comuni democratici
L’idea che il nuovo organo della Lega dal vecchio titolo “Il comune democratico” voleva trasmettere ai propri lettori nel primo numero della nuova serie,
datato agosto 1949, era, allo stesso tempo, di continuità e di novità. Due concetti contraddittori considerati in astratto, ma che rappresentavano una consuetudine per i militanti dei partiti della sinistra. I socialisti ma anche, e in particolare, i comunisti, si consideravano eredi della migliore tradizione socialista
del ‘900 e, quindi, lontani dalle spinte massimaliste che tanto avevano danneggiato le lotte comunali. Allo stesso tempo, però, i partiti della sinistra, partendo dalla memoria viva delle proprie radici storiche, si proponevano come artefici di una nuova politica, articolata e complessa, nella quale erano organicamente comprese le istanze di rinnovamento della società nazionale ed internazionale. Tra queste istanze trovavano posto anche quelle provenienti dai governi locali. Così si presentava ai propri lettori la redazione della nuova rivista, organo di battaglia politica ed amministrativa allo stesso tempo:
“Ci presentiamo a voi quali eredi e continuatori di due riviste che da ora in poi
non si pubblicheranno più: ‘Il comune democratico’ e ‘L’amministratore democratico’. Le due riviste non sono morte per mancanza di mezzi o per esaurimento di compiti, come accade talvolta nel campo dell’editoria; esse hanno ceduto il campo a questa nuova rivista dopo un ponderato e meditato esame [...]
ci proponiamo di fare della rivista lo strumento, che gli amministratori comunali, e non soltanto essi, non hanno cessato di reclamare […] Questa nuova rivista è innanzitutto un foglio di opposizione: di essa faremo un mezzo di lotta
contro la politica reazionaria e anticostituzionale del governo democristiano
[…] La nostra rivista è un organo di battaglia. Noi ci rivolgiamo specialmente
ai sindaci e agli amministratori comunali che nella lotta per l’attuazione della
Costituzione hanno un posto di avanguardia […] La rivista oltre che un mezzo di orientamento e di guida sarà anche strumento di lavoro quotidiano per
gli amministratori; essi vi troveranno la spiegazione, il consiglio, e utili indicazioni sui problemi pratici e concreti che essi sono chiamati a risolvere”396.
Un primo bilancio della diffusione della nuova rivista sarebbe stato proposto ad un anno dall’uscita del primo numero. I dati risultano di un certo interesse anche perché possono dare un’idea di quella che era la forza della Lega dei
comuni democratici sul piano nazionale ed il suo radicamento territoriale. La
tiratura de “Il comune democratico” ammontava a 4.064 copie di cui 1.436 riservate ai “corrispondenti fissi”, 1.206 a rivenditori e 1.422 inviate agli abbonati. Poco meno di 4.500 copie per una rivista di carattere politico-amministrativo come quella non erano poche in assoluto, ma erano invece pochissime
se si pensava che i soli consiglieri comunali democratici che avrebbero dovuto
leggerla erano circa 65.000, escludendo i consiglieri delle province, gli amministratori dell’Eca e delle aziende municipalizzate.
Il quadro risultava ancor più scoraggiante se si faceva un’analisi della diffusione regionale e provinciale. L’Emilia e la Toscana da sole, (1.163 e 567 copie),
396
Il comune democratico, Ai nostri lettori, Icd ago 1949, p. 1.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 115
coprivano quasi la metà delle riviste diffuse nell’Italia settentrionale e centrale
(2.490 e 1.240 copie), mentre il Piemonte e la Lombardia diffondevano “un
numero di copie pari a quello di una sola provincia dell’Emilia e della Toscana”. Sconfortanti erano poi soprattutto i dati dell’Italia meridionale ed insulare nella quale venivano distribuite appena 325 copie; “la nostra conclusione –
concludeva l’articolo che commentava i dati evidenziati – è questa: che tutti i
nostri lettori, ma specialmente le organizzazioni periferiche della Lega si adoperino a migliorare la diffusione della Rivista”397.
2.3.1. L’orizzonte internazionale della nuova rivista: per la pace e per i paesi
dell’Est europeo
Riguardo all’orizzonte internazionale la Lega contestava l’istituzione del
Consiglio Europeo sia in quanto “strumento di parte, e di politica di parte; tanto di parte che il paese vi sarà rappresentato solamente dalla maggioranza”, sia
in quanto “strumento di una più vasta politica […, apertasi ] con la ratifica del
Patto Atlantico”.
Alle obiezioni che potevano venire da questa presa di posizione in materia
di politica internazionale, l’articolo rispondeva in maniera netta: “Non si pensi che son cose che non riguardano i Comuni. La pace riguarda i Comuni. Ed
i Comuni hanno il dovere di far sentire la loro voce, dei loro cittadini”398. Ma
l’orizzonte internazionale offriva anche un modello ai politici locali della sinistra, quello di Gheorghi Dimitrov399, dal 1914 al 1923 consigliere comunale
della città di Sofia, capitale della Bulgaria, e, dopo anni di clandestinità e di lotta, divenuto Capo del governo bulgaro nel 1946 e segretario generale del Partito comunista bulgaro l’anno successivo. Un vero e proprio eroe degli amministratori della sinistra, che veniva ricordato nel IV anniversario della morte400.
La nuova serie de “Il comune democratico” per quanto riguarda le esperienze amministrative all’estero faceva riferimento solo ai Paesi comunisti. Un tributo, allora, che era dovuto ai paesi fratelli dell’est, ed al suo capo, il “Maresciallo Stalin” che veniva festeggiato dalla rivista della Lega con la pubblicazione dell’indirizzo di augurio per il suo 70° compleanno inviatogli dal sindaco
Dozza nel dicembre del 1949401. Anche l’impostazione teorica del concetto dell’autonomia comunale era diventata ideologicamente ortodossa, tanto che veniva
ricordata “l’autonomia locale nel pensiero di Engels e di Lenin”402.
Ben diversi erano stati gli articoli relativi all’esperienza internazionale quando la rivista era gestita dalla Lega provinciale di Milano. Allora l’attenzione era
La nostra rivista, Icd ago.-set. 1950, pp. 327-8. Per arrivare al dato complessivo di 4.064
copie ai dati dell’Italia del nord, del centro e del sud andavano aggiunte le 9 copie riservate al
Territorio libero di Trieste, allora sotto amministrazione alleata.
398
Orizzonti, Icd ago. 1949, pp. 2-3.
399
Gheorghi Dimitrov. Consigliere comunale, Icd ago. 1949, pp. 6-8.
400
Nel IV anniversario della morte di Giorgio Dimitrov, Icd lug.-ago. 1953, p. 177.
401
Icd dic. 1949, p. 149
402
Mario Franceschelli, L’autonomia comunale, Icd gen. 1950, pp. 8-10.
397
116 PARTE II
rivolta all’Europa occidentale e venivano pubblicati, ad esempio, pezzi sull’ordinamento degli enti locali in Olanda, Svizzera403 e soprattutto Inghilterra404.
Tra questi ultimi è da segnalare Lo spirito dell’amministrazione locale inglese di
Ralph Cooke, dove si celebrava l’esperienza inglese come quella più vicina alla
storica definizione della democrazia data da Abramo Lincoln: “Government of
the people, by the people, for the people”. “Il Self government locale – concludeva Cooke - è nella sentenza di Abramo Lincoln la radice stessa della pubblica responsabilità, senza questa autonomia la Democrazia sarebbe soltanto un
nome vuoto”405. Solo nell’ultimo numero della prima serie, quello del marzoaprile 1949, era apparso un articolo dedicato all’Est europeo: I consigli popolari. Organi locali dello Stato Rumeno406. Nello scritto era evidente la somiglianza
dei consigli popolari romeni con le consulte popolari proposte dalla sinistra italiana, sia nella denominazione, sia nelle funzioni. Quello che ancora non sapevano i militanti italiani era che dietro nomi simili si celavano realtà politicoistituzionali completamente diverse, come erano diverse la democrazia che in
Italia si andava rafforzando e la dittatura che sempre più si sarebbe affermata in
Romania ed in tutti i paesi dell’Europa orientale.
La nuova direzione de “Il comune democratico”, dal punto di vista internazionale, si rifaceva direttamente all’eredità de “L’Amministratore democratico” che, a partire dal maggio 1948407, aveva dedicato ogni mese uno spazio alle esperienze dei comuni delle democrazie popolari dell’Europa orientale.
2.3.2. La nuova centralità delle amministrazioni comunali
Nell’articolo, Popolo e comune, il deputato socialista Guglielmo Ghislandi,
cercava di motivare amministratori e consiglieri della sinistra al duro lavoro nei
comuni. Persone che avevano lottato nella clandestinità durante il fascismo e,
soprattutto, nella Resistenza, dovevano abituarsi al lavoro amministrativo spesso grigio e defatigante nelle giunte ed a quello, ancora più ingrato, di consigliere d’opposizione. Un consigliere spesso escluso da qualsiasi decisione da un
“signor Sindaco […, chiuso] coi consiglieri di maggioranza e col quasi sempre
compiacente signor segretario [comunale] in una sala ristretta”. Solo il contatto con il popolo ed il pensiero di lottare per il popolo poteva aiutare a sopportare queste situazioni, quello stesso popolo che si doveva coinvolgere il più possibile nell’attività amministrativa e politica ed il cui voto avrebbe permesso la
vittoria alle prossime elezioni408.
403
Nicola Jaeger, Il Comune svizzero, Icd lug. 1948, pp. 104-5; Piero Montagnani, Embrioni di Consulte popolari in Olanda, ivi, pp. 105-6.
404
Paolo Lombardi, Local Governement in Inghilterra, Icd giu. 1948, pp. 77-80; primo di
una serie di cinque articoli, l’ultimo appariva nel numero di nov.-dic. 1948, pp. 181-3.
405
Ralph Cooke, Lo spirito dell’amministrazione locale inglese, Icd mar.-apr. 1949, p.
406
Stelian Tanasesco, I consigli popolari. Organi locali dello Stato Rumeno, Icd mar.-apr. 1949,
p. 59.
407
Manlio Ciufolini, Municipalità estere: Bucarest, AD mag. 1948, pp. 141-4
408
Guglielmo Ghislandi, Popolo e Comune, Icd ago. 1949, pp. 4-5.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 117
Il risultato delle elezioni politiche del 1948, la fine dell’illusione di un rovesciamento rapido della maggioranza democristiana aveva portato ad una rivalutazione del ruolo delle amministrazioni locali nella strategia della sinistra.
Nella prospettiva di una lunga battaglia politica per la conquista del governo
nazionale la presenza nelle amministrazioni e nei consigli delle istituzioni locali diventava essenziale. In questo quadro, il rafforzamento della Lega dei comuni democratici era necessaria sia per il supporto tecnico-amministrativo ai
compagni negli enti locali, sia per collegare la difesa in Parlamento dell’autonomia locale e delle amministrazioni dai provvedimenti del Ministero dell’interno con l’attività degli amministratori nei comuni e nelle province. Il rapporto
della Lega con l’Anci, infine, permetteva un utile dialogo con personalità vicine alla maggioranza politica al governo e, soprattutto, la possibilità metterne in
crisi l’appartenenza evidenziando le difficoltà dei rapporti con il Governo e
l’Amministrazione centrale controllati dai loro colleghi di partito.
Il nuovo atteggiamento della sinistra accresceva l’importanza del movimento per le autonomie locali sulla scena polico-istituzionale, dopo anni nei quali
l’unica prospettiva ritenuta utile era quella nazionale, per via della gestione dei
problemi della ricostruzione, istituzionale, economica e finanziaria della Nazione dopo i disastri della dittatura fascista e della guerra. Nel caso della sinistra, però, più che di recupero di importanza si trattava piuttosto di acquisizione di una nuova centralità, considerato che sin dagli anni dell’Italia liberale per
una parte consistente del Partito socialista, tesa verso la prospettiva rivoluzionaria, quello che riguardava i comuni era pur sempre un programma minimo.
Detto in altri termini, grazie alla nuova centralità delle amministrazioni locali nella politica della sinistra non ci sarebbero più state minacce di dimissioni in massa di sindaci comunisti e socialisti come quelle che si verificarono all’indomani dei risultati delle elezioni dell’aprile 1948. Gli amministratori della
sinistra sapevano, finalmente, che il loro ruolo era essenziale nella strategia politica del Pci e del Psi: “Nella lotta per la Democrazia il Comune è il perno”409,
scriveva nel 1949 Lucio Luzzatto, deputato socialista.
2.3.3. La nuova Lega in Parlamento e nella realtà locale
La prima iniziativa in ambito parlamentare della nuova Lega era in materia
di tariffe di servizi pubblici, che veniva pubblicata nella rubrica Cronache parlamentari410. I due segretari, il comunista Turchi ed il socialista Ghislandi, presentavano alla Camera una proposta di legge “per l’abolizione della competenza del comitato interministeriale prezzi [Cip] in materia di determinazione delle tariffe dei servizi pubblici in concessione o in gestione diretta dei comuni o
di altri enti pubblici”. La Lega, in sostanza, chiedeva che i comuni – cessata
l’emergenza dell’immediato dopoguerra - fossero liberi di fissare le tariffe dei
servizi pubblici in relazione alle specifiche esigenze delle rispettive aziende, sen409
410
Lucio Luzzatto, Il comune oggi, Icd set. 1949, pp. 35-6.
La rubrica era a cura di Gino Pallotta.
118 PARTE II
za dover essere costretti ad adeguarsi a quelle stabilite dal Cip, identiche per tutta l’Italia. L’eliminazione della competenza del Cip in materia avrebbe fatto cessare l’aumento generale e indiscriminato delle tariffe imposto dalle imprese private ad un organo che non aveva capacità, né volontà, di arginare richieste che
solo l’intervento della Confederazione delle aziende municipalizzate era riuscito, in qualche caso, a contenere. Ma autonomia, per i comuni, era anche poter
decidere i prezzi delle tariffe, eliminando il blocco delle tariffe dei pubblici servizi comunali deciso con il R.D.L. 5 ottobre 1936, n. 1746411.
Nell’autunno del 1949 riprendeva anche, a pieno ritmo, l’attività delle Leghe provinciali che si rispecchiavano nello svolgimento di numerosi congressi
ai quali, spesso, assisteva uno dei due segretari nazionali412. Nel febbraio del
1950 la rivista dell’organizzazione pubblicava una circolare dedicata a Imposta
di famiglia e I.C.A.P., che si concludeva con la viva raccomandazione “di curare l’esecuzione di queste direttive”413.
Un esempio dell’attività che le sedi provinciali della Lega svolgevano veniva
dalle notizie sulla Lega provinciale di Bologna, costituita nel 1946, all’indomani
dello svolgimento delle elezioni amministrative locali. L’Associazione dei comuni della provincia di Bologna - denominazione ufficiale della sede provinciale, assunta molto probabilmente all’indomani del congresso dell’Anci del
1949 – era costituita dall’assemblea dei sindaci dei sessanta comuni della provincia, spesso allargata ad assessori e consiglieri comunali, da un comitato direttivo, formato da amministratori del Pci, del Psi e del Psli, e dalla presidenza.
L’attività dell’associazione era diretta in particolare all’assistenza in favore dei
piccoli comuni, intorno ai 5-6000 abitanti, che erano la stragrande maggioranza414. Le frequenti riunioni plenarie erano accompagnate dall’attività di sei
commissioni di lavoro dedicate a tributi e bilanci; lavori pubblici; assistenza,
scuola e commissioni popolari; consulenza; amministrazione. Le attività più significative erano quelle per favorire il passaggio dei comuni dalla gestione delle imposte di consumo in appalto a quella diretta (avvenuta in 35 comuni); per
la promozione delle colonie per bambini (frequentate da oltre 3.000 giovani);
per la proiezione cinematografica di materiale didattico; per la consulenza
ospedaliera in materia di ricoveri finalizzata al risparmio della spese per degenti da parte delle amministrazioni comunali, allora competenti in materia di pagamento delle spese per l’assistenza ospedaliera; per consulenza sulle funzioni
del sindaco in materia di ordine pubblico415.
Sempre per quanto riguarda l’attività delle Lega in ambito locale c’è da segnalare l’attenzione ai piccoli comuni416 ed alla complessa e difficile realtà delle
Luigi Ciofi Degli Atti, In tema di tariffe dei servizi pubblici, Icd set. 1949, pp. 41-3.
L’attività della Lega, Icd set. 1949, pp. 51-3; nel mese di settembre venivano segnalati
convegni della Lega a Genova, Pistoia, Mantova, Novara e Torino; in ottobre a Padova, Milano, Piacenza, Terni, Rovigo; L’attività della Lega, Icd ott. 1949, pp. 91-2.
413
L’attività della Lega, Icd feb. 1950, pp.71-2.
414
I comuni maggiori erano Bologna (370.000 ab.) ed Imola (45.000 ab.), seguivano 6 comuni con 10-20.000 ab., e 5 comuni con 3.000 ab.
415
La Lega provinciale di Bologna, Icd mar.-apr. 1950, pp. 113-5.
416
Mario Osti, Finanza democratica nei piccoli comuni, Icd feb. 1950, pp.41-2.
411
412
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 119
istituzioni locali del Mezzogiorno e l’incitazione agli amministratori della Lega
a seguire le direttive espresse dal movimento per la Rinascita del Mezzogiorno417.
2.4. Una nuova Lega e una nuova Anci
Oltre nell’ambito politico, nel quadro di una nuova centralità acquisita dalle
istituzioni locali nella strategia politica della sinistra, il rilancio dell’attività della
Lega avveniva anche – e forse, soprattutto - nell’ambito del movimento per le
autonomie locali. Nell’editoriale di apertura della nuova serie, infatti, la prima
questione ad essere proposta era il rapporto con l’Anci, associazione alla quale si
ribadiva la necessità di partecipare attivamente. La Lega dei comuni democratici era un’organizzazione con caratteristiche di “strumento di formazione e di
azione per la difesa e lo sviluppo di dati principi. L’Anci è sede di elaborazione
e di rappresentanza, aperta a tutti”. Queste caratteristiche sarebbero rimaste intatte per decenni: la Lega, oltre che organizzazione diretta alla promozione della politica dei partiti della sinistra per gli enti locali, fu anche, soprattutto fino a
tutti gli anni ’50 del ‘900, importantissimo strumento di difesa delle amministrazioni della sinistra. L’Associazione dei comuni, invece, era riconosciuta come
organizzazione in grado di rappresentare tutti i comuni e, in quanto tale, di dialogare con le istituzioni relativamente alle esigenze di tutti gli enti locali.
Ma questo dialogo con le istituzioni non veniva semplicemente delegato all’Anci. La Lega si proponeva, nei fatti, come potente stimolo ad un dialogo che
fosse su problemi concreti e su reali possibilità di soluzione. Primo fra tutti i
problemi era quello delle finanze comunali:
“Le finanze comunali sono il problema chiave, fondamento delle possibilità operative di una amministrazione e cardine dell’autonomia degli enti locali”. E le finanze comunali dipendevano, in primo luogo, dall’imposta di famiglia che, i comuni della sinistra, applicavano seguendo i propri principi politici: “i principi di
equa distribuzione degli oneri in rapporto progressivo con la ricchezza individuale e la capacità contributiva”. Era questa la prima ragione di contrasto con il
governo centrale e, in particolare, con il Ministro delle finanze, che aveva annunciato: “il proposito di attuare provvedimenti diretti ad addossarne il maggior
aggravio sui meno abbienti, alleggerendone l’onere per le categorie più agiate”418.
2.4.1. L’evoluzione dei rapporti tra le due organizzazioni
Il fatto che aveva determinato la scelta dell’avvio di una nuova fase dell’attività della Lega e, in questo ambito, l’avvio della pubblicazione di una nuova serie de “Il comune democratico” era, senza dubbio, lo svolgimento del primo
Guglielmo Ghislandi, Per la rinascita del Mezzogiorno, Icd feb. 1950, pp. 39-40.
Orizzonti, Icd ago. 1949, pp. 2-3; un altro argomento fondamentale del dialogo con le istituzioni citato nell’articolo era quello della riforma dell’ordinamento locale basato su una riforma regionale che, in quanto prevista dalla Costituzione, si sarebbe dovuta mettere in opera al più presto.
417
418
120 PARTE II
congresso nazionale dell’Anci a Roma, dal 25 al 28 giugno 1949. L’ipotesi
emerge dalla lettura di un articolo firmato dal segretario nazionale Giulio Turchi, pubblicato nel primo numero della nuova rivista.
Dal settembre 1946 al dicembre 1947 l’Anci “vivacchiò”, proprio come era
accaduto nel primo dopoguerra perché, scriveva Turchi, l’Associazione dei comuni non aveva avuto “il coraggio di prendere apertamente posizione contro i
primi attentati alle riconquistate libertà democratiche dei quali proprio i comuni furono i primi a soffrirne”. All’indomani della nascita della Lega molti
comuni decisero di distaccarsi da un’Anci che sosteneva l’idea della “apoliticità” delle cariche amministrative. Priva dell’apporto dei comuni più attivi e propositivi l’Associazione “entrò in coma”. Che fosse proprio il nodo della “apoliticità” – e, quindi, fatto non secondario, la negazione di qualsiasi legittimità
della Lega - ad avvelenare i rapporti tra le due principali organizzazioni del movimento per le autonomie locali era divenuto evidente con la pubblicazione
dell’articolo di Achille Guerra sulla rivista dell’Anci nel novembre del 1948, citato nelle pagine precedenti.
Sottolineava Turchi, a questo proposito, che la partecipazione delle amministrazioni della sinistra al congresso nazionale dell’Anci di giugno era avvenuta dopo un accordo per la revisione dello statuto dell’Associazione. Il nuovo statuto approvato dal congresso riconosceva la possibilità di adesione di unioni locali di comuni alle quali veniva attribuita una competenza esclusiva in questioni di interesse locale e di assistenza e consulenza locale. Grazie a questo, le Leghe provinciali avevano avuto la possibilità di continuare la propria opera, con
il riconoscimento ufficiale dell’Associazione, ed avevano avuto quindi la possibilità di contribuire, in quanto tali, alla vita ed al dibattito interno dell’Anci419.
In anni di durissima contrapposizione tra i partiti di governo e della sinistra,
una contrapposizione insanabile che riprendeva i temi e i toni del conflitto internazionale tra i Paesi soggetti all’influenza dell’Unione sovietica e quelli dell’appena costituita Nato, il movimento comunale ricomponeva le proprie file
grazie ad un accordo tra amministratori e politici comunali vicini ai partiti di
governo e quelli che si riconoscevano nel Fronte popolare.
2.4.2 Il linguaggio comune dei sindaci
L’accordo, deciso dai vertici delle due organizzazioni, era poi stato sancito,
come sottolineava con una certa meraviglia il segretario Turchi, dallo svolgimento del congresso dell’Anci. Una meraviglia identica a quella manifestata all’inizio del ‘900 dal presidente dell’Anci, Emanuele Greppi, un conservatore
moderato milanese, che aveva descritto sul “Corriere della sera” il dibattito del
congresso straordinario dell’Anci di Firenze del 1905. Greppi si era trovato perL’esperienza della Lega che Turchi segnalava come modello per i comuni dell’Anci era
quella dei Consorzi provinciali Pro Infanza fra i comuni dell’Emilia e della Toscana; si veda a
questo proposito il progetto del comune di Modena, Una lodevole iniziativa, Icd giu. 1948, pp.
83-4.
419
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 121
fettamente a suo agio in un’assemblea di sindaci, di tutta Italia e di tutte le tendenze, che aveva giudicato molto severamente il comportamento del governo
nei confronti dei comuni: “dalla discussione risultò che il disgusto contro il Governo proveniva più ancora che per ingiusti aggravi di spesa, pel modo goffo,
incoerente e dispotico col quale subdolamente si permette di alterare senza posa le facoltà dei Comuni: prima con articoli equivoci di leggine che passano
inavvertite fra le commozioni della politica, poi con regolamenti che falsano le
leggi e richiedono cose spesso contraddittorie ed assurde”420.
Nel congresso dell’Anci del 1949, scriveva Turchi, sindaci di tutte le regioni
d’Italia e di tutti i partiti “hanno parlato un linguaggio in larga misura comune”, un fatto straordinario perché “è anche troppo noto che noi e i democristiani parliamo due lingue diverse […] Così è accaduto relativamente al problema dell’invadenza del potere centrale, così per quello della finanza; con la
stessa energia i sindaci socialisti e comunisti e quelli democristiani hanno affermato che i principi sanciti nella Costituzione devono trovare pratica e effettiva attuazione”421.
Sulla base del riconoscimento del principio dell’autonomia, istituzionale e
finanziaria, si ricomponevano i rapporti interni al movimento per le autonomie
locali e la Lega vedeva finalmente riconosciuta la legittimità della propria funzione. Fu quello un momento di grande importanza del movimento per le autonomie locali attraverso il quale ne veniva riaffermata la continuità dal periodo liberale a quello repubblicano. Nei ventanni di dittatura fascista, infatti, era
stato cancellato il protagonismo politico-istituzionale e tecnico-amministrativo
delle autonomie locali dell’Italia liberale ed era stata affermata la completa subordinazione di comuni e province allo Stato o, quanto meno, l’idea di una sorta di “neutralità” delle autonomie locali il cui solo ruolo sarebbe dovuto essere
quello di applicare le leggi dello Stato.
2.4.3. Battaglie comuni contro provvedimenti governativi
I primi risultati della collaborazione tra Anci e Lega venivano delineati da
Massimo Severo Giannini, componente del comitato di redazione dell’organo
della Lega e membro del comitato esecutivo dell’Anci. Il Consiglio nazionale
dell’Anci svoltosi a Roma il 6-7 giugno 1950 dedicato alla finanza locale aveva
votato ben 12 proposte all’unanimità e due sole a maggioranza, proposte che
erano state poi presentate al Ministro delle finanze e comunicate ai parlamentari delle commissioni finanze e tesoro impegnati nell’esame dei due progetti di
legge sulla finanza locale, di Fortunati e di Vanoni, quest’ultimo divenuto la
legge 30 luglio 1950 n. 575. Successivamente il Ministero dell’interno inviava
una circolare, datata 19 giugno, alla quale l’Anci aveva deciso di opporsi fermamente con un ordine del giorno approvato dal proprio comitato esecutivo
420
Emanuele Greppi, I Congressi dei Comuni, in “Corriere della sera”, 19 mag.1906; ora in
Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., p. 222.
421
Giulio Turchi, I comuni italiani a congresso, Icd ago 1949, pp. 9-10.
122 PARTE II
tenutosi a Venezia il 4 settembre. La circolare infatti, anticipava i criteri di applicazione della legge Vanoni la cui definizione era riservata al Parlamento.
L’Anci, quindi, scriveva Giannini: “[invitava] i comuni a non tener conto delle circolari ministeriali con le quali si pretende di dar applicazione a norme contenute in progetti non ancora divenuti legge. Tecnica sorprendente, invero, e
che ricorda molti analoghi fatti accaduti durante il ventennio, che furono tutti recisamente condannati dal Consiglio di Stato”.
Ma la prossimità tra Lega ed Anci era riaffermata anche - e forse soprattutto - dalla mortificazione cui entrambe erano soggette per via dei provvedimenti prefettizi di annullamento delle delibere comunali di spesa riguardanti le rispettive quote associative. A nulla contava il fatto che l’Anci fosse presieduta dal
democristiano sindaco di Roma Francesco Rebecchini. Gli annullamenti delle
delibere di adesione venivano “adottati tutti in applicazione rigoristica di una
circolare del Ministero degli interni” e non si trattava di annullamenti sporadici422 né, come si avrà modo di vedere più oltre, limitati ai difficili anni del dopoguerra.
Quei provvedimenti erano così massicci da costringere la direzione dell’Anci a tramutare l’assemblea annuale indetta a Napoli per il 25 ottobre del 1950
in un semplice convegno. A contribuire al successo di quel convegno, quale atto di opposizione alla repressione ministeriale - pur non dichiarato - Giannini
chiamava gli amministratori della sinistra: “ai quali si deve quel che di più vivo
ha saputo dare l’esperienza della vita locale di questa ripresa del dopoguerra”. A
quegli amministratori, scriveva ancora Giannini, “anche i comuni retti da amministratori di altra parte si stanno affiancando, ogni qualvolta, si capisce, si
tratti di amministratori autentici, non di mandatari di baronie locali […] Essi
si vanno persuadendo che l’attuale indirizzo politico è per sua natura ostile alle libertà locali: è ostile non perché vi siano nel Governo degli uomini che, singolarmente presi, non siano – o non siano stati – convinti dell’idea che la base
prima della vita democratica sono i comuni, ma perché le forze alle quali l’azione governativa è costretta ad appoggiarsi sono ostili alle libertà locali”423.
Il fenomeno della sostanziale convergenza di posizioni tra tutti gli amministratori locali che così gradevolmente aveva sorpreso il segretario Turchi nel
congresso dell’Anci del 1949 si ripeté a Napoli nell’ottobre del 1950: “sindaci
democristiani discutono insieme con i sindaci socialisti e comunisti e trovano
giuste e accettabili le posizioni che questi ultimi ritengono con ragione come
proprie”. L’unanimità che gli amministratori avevano ritrovato nella città partenopea riguardava temi essenziali del governo locale, come ordinamento e funzioni delle amministrazioni locali; la riforma dell’assistenza sanitaria; i contributi di miglioria; le aziende municipalizzate. Per il segretario il convegno aveCome poteva essere il caso dell’annullamento della delibera di adesione all’Anci del comune di Venezia, citato - incidentalmente - in un articolo del deputato Luzzatto nel quadro
delle denuncia dell’ispezione ministeriale punitiva cui era stato soggetta quella amministrazione, guidata da una maggioranza di sinistra; L.L. [Lucio Luzzatto], E Venezia?, Icd lug. 1950,
pp. 256-7.
423
Massimo Severo Giannini, L’attività dell’Anci, Icd ago.-set. 1950, pp. 299-300.
422
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 123
va “riconfermato l’esistenza di una frattura fra le sfere politiche dirigenti […] e
l’orientamento spontaneo e genuino del popolo che i sindaci convenuti a Napoli hanno espresso”. La Lega, concludeva Turchi, avrebbe dovuto ispirare “tutta la [sua] azione futura” al “significato politico”424 di quella frattura.
L’unità degli amministratori veniva ritrovata ogni qual volta veniva affrontata una discussione su questioni concrete. Nella cronaca del convegno nazionale dell’Anea svoltosi a Napoli il 9-12 novembre 1952, ad esempio, veniva sottolineato il fatto che il rafforzamento della politica di assistenza e degli enti di
assistenza sostenuto dalla sinistra aveva incontrato l’approvazione dei congressisti, i quali, sebbene larghissimamente affiliati alla DC avevano manifestato la
propria insofferenza verso il rappresentante del governo, il Sottosegretario all’interno, Teodoro Bubbio, che aveva affermato l’impossibilità per l’esecutivo di
aumentare i finanziamenti a favore degli enti di assistenza425. Addirittura, solo
la scarsa presenza di amministratori della Lega - su circa 1200 partecipanti solo 206 rappresentavano enti democratici – aveva impedito, secondo il segretario Turchi, che il congresso si trasformasse in un successo politico della sinistra426.
2.4.4. Giannini per il movimento delle autonomie locali e per la Lega
Dalle pagine de “Il comune democratico” Giannini ricordava la rilevanza
dell’Anci come luogo di dialogo tra diverse forze politiche in anni di durissimi
scontri ideologici. Scriveva a questo proposito alla fine del 1952: “Non si può
non sottolineare l’importanza che ha avuto l’Associazione come organismo che
senza estraniarsi dalle istanze politiche che dominano nelle amministrazioni comunali ha saputo rimanere apartitico. Essa è stata uno dei rari spazi della vita
nazionale ove sia reso possibile un dialogo tra diverse correnti politiche, si siano trovati molti punti di concordanza già in partenza e si siano raggiunti molti punti di accordo in arrivo. Ciascuno si è in essa sempre sforzato di prospettare le proprie tesi in termini generali, in genere con buoni risultati. Sarebbe auspicabile che una così importante esperienza non andasse perduta”427.
Lo studioso non solo difendeva l’azione unitaria del movimento per le autonomie locali, ma si occupava di delineare i confini dello spazio giuridico entro il quale la Lega, e le altre organizzazioni degli enti locali, potevano esplicare la propria azione, come nel caso della partecipazione agli accordi contrattuali dei propri dipendenti. In quegli anni una disputa divideva coloro i quali sostenevano la necessità che le organizzazioni di comuni e province rimanessero
estranee dall’affrontare la questione e coloro che, come le associazioni dei dipendenti, sostenevano il contrario.
Giulio Turchi, Un discorso e un convegno, Icd ott. 1950, pp. 343-4.
G. Battista Facchini, I problemi degli ECA al congresso dell’ANEA, Icd dice. 1952, pp.
357-8.
426
g.t. [Giulio Turchi], In margine al congresso dell’ANEA, Icd 12 1952, pp. 359-60.
427
Massimo Severo Giannini, Convegno-Congresso dell’ANCI, Icd dic. 1952, pp. 355-6.
424
425
124 PARTE II
Giannini, partendo dal presupposto che il Ministero dell’Interno aveva stabilito che tutti i dipendenti degli enti locali dovessero essere disciplinati da regolamenti comunali e provinciali, e non da contratti collettivi428, difendeva la
posizione formulata dalla Federazione nazionale dipendenti enti locali (Fndel)
nel 1950, accolta dall’Upi nel 1951, e difesa dalla Lega. Lo studioso sosteneva
che i problemi dei dipendenti degli enti locali non potevano essere visti come
estranei agli enti locali: “ma vanno considerati fra i problemi organizzativi fondamentali degli stessi enti – e ciò è stato posto in evidenza dalla Lega dei comuni democratici [..., inoltre] giova agli stessi enti locali intervenire nella discussione di tali problemi affinché essi non vengano risolti, in loro assenza, contro di loro”429.
Giannini riconosceva che il ruolo dell’Anci era insostituibile in quanto era
“uno dei rari spazi della vita nazionale ove sia reso possibile un dialogo tra diverse correnti politiche, si siano trovati molti punti di concordanza già in partenza e si siano raggiunti molti punti di accordo in arrivo” e, allo stesso tempo,
evidenziava il ruolo fondamentale della Lega nel porre all’attenzione i concreti
problemi delle autonomie locali e nella ricerca di una loro soluzione. Era questo il caso della questione del contratto degli impiegati locali, che, ricordava
Giannini, era “stato posto in evidenza dalla Lega dei comuni democratici”.
Il legame tra Anci e Lega poteva essere affermato, come per Giannini, anche
dalle biografie di alcuni protagonisti della storia del movimento per le autonomie locali. Era questo il caso di Renato Vicard, segretario dell’Anci dalla rifondazione nel secondo dopoguerra fino al 1956, la cui figura veniva così ricordata nelle pagine dell’organo della Lega: “Egli, che amava come propria creatura
l’Anci, era al tempo stesso un convinto sostenitore della Lega perché fermamente credeva, da socialista memore della Lega dei comuni socialisti, nella sua
insostituibile azione di avanguardia; ed anche per questo il nostro dolore per la
Sua scomparsa è vivamente sentito”430.
2.5. La difesa delle amministrazioni della sinistra e dei bisogni dei cittadini
2.5.1. Le difficoltà di una nuova classe dirigente nei comuni di sinistra
Vent’anni di fascismo volevano dire, per gli amministratori della sinistra della prima generazione, quella dell’Italia liberale, vent’anni di più sulle spalle e
vent’anni di lontananza dalle istituzioni. Ma se i vecchi militanti chiamati ad
amministrare comuni e province, nonostante non fossero variate le norme di
riferimento, potevano essere messi in difficoltà dall’evoluzione della prassi amUna disciplina, sottolineava polemicamente Giannini, che il Ministero imponeva persino
nel caso dei dipendenti delle aziende municipalizzate che “per chiara disposizione di legge, e per
ripetuta interpretazione di giurisprudenza, hanno lo stato giuridico di dipendenti privati”.
429
Massimo Severo Giannini, Associazioni di enti locali e associazioni di dipendenti di enti locali, Icd dic. 1951, pp. 379-380.
430
Renato Vicard, Icd ago. 1958, p. 219.
428
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 125
ministrativa, ben più pesante era la condizione dei compagni cresciuti alla dura scuola della clandestinità e della Resistenza. Dalle file del Pci e del Psi mancava all’appello un’intera generazione di amministratori e i nuovi militanti, carichi di entusiasmo, erano del tutto privi di esperienza. I neo-amministratori
furono così obbligati a farsi le ossa direttamente sul campo, spesso senza poter
fare alcun affidamento sull’aiuto di un segretario comunale e provinciale, a volte più pronto a rispondere alle indicazioni del Ministero – da cui dipendeva dagli anni del fascismo - che a coadiuvare il nuovo sindaco e il nuovo preside della provincia nell’esercizio della carica. Furono molti quelli che, come il citato
Roberto Vighi431, riuscirono a passare la prova lasciando traccia della loro opera, degli altri che non ebbero successo non sappiamo nulla. Tra questi ultimi vi
erano molto probabilmente gli amministratori della sinistra demoralizzati dall’esito delle elezioni nazionali del 1948 che, come già accennato, pensarono di
dimettersi:
“subito dopo le elezioni del 18 aprile si è verificato qualche caso di scoraggiamento con tendenza alle dimissioni, l’intervento immediato delle Leghe [provinciali] e quello personale di amministratori più preparati anche politicamente, è stato sufficiente a superare queste manifestazioni di crisi al loro primo manifestarsi”432.
L’insufficiente preparazione degli eletti nel 1946 sarebbe stata confermata
dalla stessa Lega nel 1951, quando l’allora segretario, Giulio Turchi, commentando i risultati delle elezioni locali di quell’anno, sottolineava la migliore qualità degli amministratori rispetto a quelli della tornata elettorale precedente433.
2.5.2. Lo scioglimento dei consigli comunali e l’imperizia dei prefetti
L’imperizia, cui la Lega cercò di ovviare con apposite iniziative434, in ogni caso, non era prerogativa dei soli sindaci della sinistra. Anche il Ministero dell’interno, nello stesso periodo, era costretto a ricordare la necessità di seguire
correttamente procedure e regolamenti ai prefetti che in alcuni casi, evidentemente, decidevano di avviare provvedimenti gravissimi, quali erano lo scioglimento dei consigli comunali e la rimozione dei sindaci, senza una adeguata
istruttoria. Riportava una circolare del Ministero riprodotta, senza alcun commento, nella rubrica Notizie utili per gli amministratori:
“Pervengono a questo ministero proposte di scioglimento dei consigli comunali e di rimozione dei sindaci senza che siano state osservate le prescrizioni di cui
agli articoli […] a tali eccezionali rimedi deve ricorrersi solo quando i vari mezVighi, Per il socialismo, l’antifascismo, le autonomie…., cit.
Attività della lega dei comuni. Decisioni del Comitato provvisorio della Lega nazionale dei
comuni democratici…, cit., p. 94.
433
Giulio Turchi, Una Lega più forte, Icd 12 1951, pp. 368-9.
434
La direzione, Si realizza un’attesa iniziativa: la scuola per amministratori, Icd ott.-nov.
1951, p. 336.; l’articolo, in realtà, annunciava solo la pubblicazione di “un corso per amministratori” in fascicoli mensili allegati alla rivista.
431
432
126 PARTE II
zi attribuiti dalla legge alla autorità governativa [invio di commissari (… )] si
siano palesati inefficaci”435.
La situazione non sembrava essere cambiata poi molto dal marzo 1892, data nella quale il Ministro dell’interno Francesco Nicotera, in una circolare, lamentò “duramente l’aumento quotidiano di richieste di scioglimento di consigli comunali fatte dai prefetti che: ‘in gran parte […] vengono respinte’ dal ministero”436.
A giudicare dai dati pubblicati nella rivista della Lega comunque, i casi di
scioglimento delle assemblee elettive locali, come si vedrà, non assunsero dimensioni paragonabili a quelle dei periodi precedenti. Di nuovo, rispetto al
passato c’era il fenomeno delle denunce a carico del “sindaco, della sua sospensione e rimozione e, infine, del suo arresto.
Primo responsabile di questa situazione era il prefetto di cui il costituzionalista Vezio Crisafulli negava la legittimità nel nuovo ordinamento democratico:
“La figura del prefetto, almeno per tutto quanto riguarda la sua sfera d’azione
nei confronti delle amministrazioni degli enti locali, non trova più posto in un
sistema che voglia davvero svolgere con coerenza i principi della Costituzione
repubblicana. È necessario che la vecchia diffidenza verso il popolo e le sue rappresentanze, caratteristica delle classi dirigenti che hanno portato alla rovina il
nostro paese, scompaia una buona volta per far posto alla fiducia ed al sano
principio del controllo popolare e della responsabilità degli amministratori eletti di fronte ai loro elettori”437.
2. 5.3. Le tipologie dei più gravi provvedimenti contro le autonomie locali
Nel 1950 il deputato Luzzatto divideva i provvedimenti del Ministero dell’interno contro le amministrazioni democratiche in due gruppi: la nomina di
un commissario prefettizio nei comuni il cui consiglio comunale aveva perso
oltre la metà dei componenti; la sospensione del sindaco e la sua successiva rimozione con provvedimento del Presidente della Repubblica438.
Nel primo caso il provvedimento amministrativo del Ministero si combinava con un atto politico di un partito i cui consiglieri si dimettevano in masScioglimento dei consigli comunali e di rimozione dei sindaci. (Dir. Gen. Amm. Civile, Div.
A. G. sez. I, 27 ago. 1948, n. 15900. I bis-1024), Icd nov.-dic. 1948, p. 195.
436
Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., p. 186; per la citazione del documento: Acs, Min.
Int. Comuni, b. 202, fasc. 15900.1.3, Circolare riservata del Ministero dell’interno, div. 2, n.
15800.2 del 23 marzo 1892, Inchiesta su scioglimento dei consigli comunali, ai signori prefetti
del Regno, firmato Ministro Nicotera.
437
Vezio Crisafulli, Prefetture e comuni, AD mag. 1948, pp. 136-9.
438
A questi due tipi di provvedimenti che possono essere definiti straordinari se ne poteva
aggiungere un terzo gruppo, meno eclatante ma comunque nocivo per il corretto svolgimento
dell’attività amministrativa comunale, definibile come ordinario. Tra questi possono essere
compresi gli annullamenti delle delibere comunali tramite la Gpa e l’attività ispettiva dei funzionari del Ministero dell’interno mirata a scovare l’esistenza di eventuali irregolarità amministrative; su questo terzo gruppo di provvedimenti cfr. L.L. [Lucio Luzzatto], E Venezia?, Icd lug.
1950, pp. 256-7.
435
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 127
sa, approfittando anche del fatto che, soprattutto verso la fine del quadriennio del mandato, alcuni componenti dell’assemblea potevano essere deceduti o si erano dimessi in precedenza per altri motivi. Il commissario prefettizio, quindi, attraverso vari escamotage, ritardava la convocazione dei comizi
elettorali ed amministrava il comune proprio nel periodo chiave che precedeva il nuovo appuntamento elettorale. La sospensione – e la rimozione - del
sindaco avveniva soprattutto per motivi di ordine pubblico e, generalmente,
comportava la privazione dei diritti politici del sindaco che, quindi, non poteva partecipare alla elezioni, privando così la sinistra del candidato più noto439, fatto particolarmente grave in piccoli comuni dove i candidati disponibili erano pochi.
L’istituto della rimozione veniva definito, sempre da Luzzatto, come “un
istituto in sé abnorme ed eccezionale, incompatibile con i principi della Costituzione vigente, e perciò comprensibile soltanto in casi transitori e del tutto eccezionali”. Purtroppo, invece, di quell’istituto si era abusato per fini politici colpendo i comuni della sinistra con la scusa di preservare l’ordine pubblico:
“Troppo si è fatto, e tutto si può fare in nome dell’‘ordine pubblico’ […] materia sommamente delicata, fondamentale per la vita democratica, su cui occorre pertanto ben riflettere”440. Quello che deve essere sottolineato è che il segretario della Lega dopo aver analizzato le norme dell’istituto giuridico e la correlata giurisprudenza, non condannava la rimozione in quanto tale che, sottolineava, poteva essere usata solo “in casi transitori e del tutto eccezionali”. Luzzatto denunciava l’abuso dell’istituto della rimozione, chiedeva, in sostanza, ancora una volta, il rispetto della legge.
2.5.4. “Il reato di essere sindaco”
L’espressione Il reato di essere sindaco441 titolo di un discorso svolto a Bologna nel 1951 dal sindaco Giuseppe Dozza, rende molto bene l’idea dell’atmosfera nella quale si trovarono ad amministrare i sindaci comunisti e socialisti
nell’Italia del secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’50. Dozza nel suo intervento espose uno per uno, numerosi casi di sindaci di piccoli paesi denunciati, incriminati, rimossi e addirittura incarcerati non tanto perché avessero
commesso reati ma, soprattutto, perché avevano svolto la loro attività a favore
dei propri cittadini.
Molti di questi casi erano narrati nelle pagine de “Il comune democratico”,
degli anni ’40 e ’50. Le notizie degli arresti e delle incriminazioni dei sindaci
divenivano sempre più dettagliate, in particolare a partire dai fatti del 14 luglio
1948. Veniva aperta persino una rubrica Sindaci arrestati, degli ultimi due,
Gualtiero Ciani, sindaco di Abbadia San Salvatore e Oreste Gelmini di MiranLucio Luzzatto, Contro i comuni, contro la democrazia, Icd mag. 1950, pp. 143-5.
Lucio Luzzatto, Rimozione di sindaci e ordine pubblico, Icd lug. 1950, pp. 247-9.
441
Giuseppe Dozza, Il reato di essere sindaco, in idem, Il buon governo e la rinascita della città. Scritti 1945-1966, Bologna, Cappelli, 1987, pp. 197-223.
439
440
128 PARTE II
dola, venivano pubblicate le fotografie ed alcune note442. Dall’agosto del 1949,
primo mese della nuova serie de “Il comune democratico”, le notizie sui provvedimenti liberticidi del Ministero dell’interno contro i primi cittadini dei comuni della sinistra venivano pubblicate nella rubrica Galleria dei sindaci443, continuazione di quella apparsa ne “L’amministratore democratico” dal 1948.
Successivamente alle manifestazioni contro l’attentato a Togliatti, era la mobilitazione dei sindaci della sinistra contro il Patto atlantico che metteva i comuni al centro dell’attenzione del Ministero dell’interno. Il 23 marzo 1949, ad
esempio, il locale commissario di pubblica sicurezza intimava al sindaco di Finale Emilia di tenere a porte chiuse una riunione del consiglio comunale dedicata a alla pace444.
Il Partito comunista, da parte sua, ribadiva la “azione e funzione politica degli Enti Locali” anche all’indomani delle ultime dichiarazioni del Ministro dell’interno, Scelba, sulla “apoliticità degli Enti Locali” pronunciate al congresso
straordinario dell’Upi. Una posizione, quella di Scelba, che veniva appoggiata
anche dal maggiore quotidiano nazionale, il “Corriere della sera”, che scriveva
di “pretesi ordini di comunistizzare le civiche amministrazioni”. Così commentava “L’Amministratore democratico”: “Il Governo mal sopporta che i comuni democratici assumano sempre più una funzione ed importanza politica e
quel pungolo agisce su di esso alla stessa guisa di un drappo rosso sbandierato
sugli occhi di un toro”445.
La stessa rivista dava poi notizia dei fatti accaduti a Spilamberto, in provincia di Modena, dove la polizia aveva messo praticamente messo sotto assedio il comune e tutta la popolazione, sollevando la protesta di 42 dei 46
sindaci della provincia che avevano denunciato al Presidente della Repubblica la repressione contro le giunte popolari della provincia446. Gli stessi fatti venivano denunciati in Parlamento, dove l’on. Cremaschi smentiva lo svolgimento di riunioni segrete della Lega dei comuni “per cospirare nei confronti
di quello che è l’atteggiamento del prefetto”. “La Lega dei Comuni – aveva
detto Cremaschi - ha mandato alla montagna e al mare i bambini del nostro
paese e non vi ha mandato soltanto quelli che avevano la tessera dell’Azione
Cattolica […] Questi sono i segreti dei Comuni democratici che danno fastidio a voi”447.
Il sindaco, era scritto ne “Il comune democratico” in un articolo che celebrava l’assoluzione di Dozza, insieme al segretario del Pci di Bologna, dall’accusa di “vilipendio delle istituzioni costituzionali”: “non esiste solo per celebrare matrimoni, per firmare deliberazioni e per presenziare […] alle cerimonie ufficiali: un sindaco […] ha il dovere di vivere la vita stessa del suo popolo, di inIcd ott. 1948, p. 146.
Mario Franceschelli, Galleria dei sindaci, Icd ago 1949, pp. 17-9.
444
Federico Leghissa, Attentato alla libertà dei comuni, Icd mar.-apr. 1949, pp. 49-50.
445
L’attualità politica, AD gen. 1949, pp. 1-2; sullo stesso argomento cfr. L.P., I comuni per
la pace contro ogni intimidazione poliziesca, AD mar.-apr. 1949, pp. 91-2.
446
L. Emiliano, Scelba contro Modena, AD giu. 1949, p. 207-9.
447
Cronache parlamentari. Gli arbitri del prefetto di Modena. (Da una interpellanza alla Camera del compagno Onorevole Cremaschi), AD giu. 1949, p. 218-9.
442
443
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 129
teressarsi ai suoi problemi politici, di ergersi, primo fra tutti, a difenderlo,
quando la legge, la giustizia, la libertà si calpesti”448.
2.5.5. Solidarietà degli amministratori di sinistra con i lavoratori uccisi dalla
polizia nelle lotte del dopoguerra
Una prima, forte mobilitazione della Lega fu quella a sostegno delle proteste per l’uccisione da parte della polizia di sei persone, a Modena, avvenuta il 9
gennaio 1950 durante una manifestazione contro il licenziamento di 200 operai. Altre uccisioni avevano funestato – e avrebbero funestato ancora - lo svolgimento di manifestazioni dei lavoratori, ma questa mobilitazione fu probabilmente la più importante. Il supporto a questa particolare protesta era dovuto
sia alle dimensioni della tragedia, sia, probabilmente, al fatto che la questa aveva colpito una città tra le più attive della Lega. Il fascicolo de “Il comune democratico” del gennaio 1950 era accompagnato da un numero straordinario interamente dedicato alla strage, nel quale erano raccolti estratti di documenti
che testimoniavano la “funzione democratica svolta dall’Amministrazione Democratica modenese”449, corredati da fotografie che illustravano le realizzazioni
del comune, dal restauro delle scuole, all’inizio dei lavori per il nuovo mercato,
alle colonie marine per ragazzi. Sostegno ai lavoratori, sviluppo dell’economia
e dei servizi sociali erano parte di una medesima politica, quella dei partiti della sinistra. La presenza nella commemorazione dei sei operai uccisi, svoltasi nell’aula del consiglio comunale di Modena, dei deputati Togliatti e Nenni, segretari nazionali del Pci e del Psi, e del sindaco Alfeo Corassori, - i cui stralci di
discorso chiudevano il numero straordinario - simboleggiavano il “contatto fra
[…] il Parlamento ed il Comune”450.
“Il mancato rispetto del Sindaco, della sua importante funzione nella vita
pubblica nazionale, della sua qualità di rappresentante del popolo – scriveva il
sindaco Dozza – fa parte dell’atmosfera d’illegalismo e generalmente si collega
con le lotte del lavoro”451.
Il bilancio della repressione delle forze di polizia contro i cittadini che, con
i loro sindaci, si mobilitavano per rivendicare terra e lavoro era pesantissimo.
Nel 1947 le vittime della polizia durante la repressione di manifestazioni dei
lavoratori furono 27; “tra gennaio 1948 e luglio 1950 Pietro Secchia riferì, non
smentito, in Parlamento di 62 lavoratori uccisi, 3.123 feriti, 91.433 arrestati,
19. 313 condannati per complessivi 7.598 anni di carcere […] 109 gli uccisi in
piazza tra il 1947 ed il 1954”452.
M.F., Dozza alla sbarra, Icd ago 1949, p. 20.
Documentazione, Icd Numero straordinario. Modena, gen. 1950, p. 7.
450
Ivi, Dal discorso dell’On. Togliatti, p. 32.
451
Giuseppe Dozza, Si rispetti la legalità repubblicana, Icd gen. 1950, pp. 3-5.
452
Giuseppe Carlo Marino, La repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 167 ss.; Donatella Della Porta, Herbert Reiter, Polizia e
protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai “no global”, Bologna, Il mulino, 2003, p. 97, citato da Giovanna Tosatti, Il Ministero dell’interno. Uomini e strutture (1861-1962), p. 300.
448
449
130 PARTE II
Le ultime più gravi manifestazioni della politica repressiva del governo si sarebbero verificate nell’estate del 1960 durante gli scontri di Genova, Roma,
Reggio Emilia, Palermo e Catania, ricordati, molto pacatamente, anche nella
rivista della Lega453.
2.5.6. La repressione delle amministrazioni di sinistra
Era in questa situazione che la Lega forniva ai sindaci istruzioni sulle proprie funzioni in materia di ordine pubblico454, mentre il costituzionalista Vezio
Crisafulli definiva le misure preannunziate dal Consiglio dei ministri del 18
marzo 1950 “evidentemente illegittime” espressione di un orientamento politico “profondamente repugnante” rispetto allo spirito della Costituzione repubblicana455. Una tesi che la Lega sosteneva nelle lettere indirizzate alle massime
autorità della Repubblica per chiedere il loro intervento contro gli interventi
repressivi del Ministero dell’interno e, in generale, contro lo spirito centralista
e antidemocratico che animava l’azione del governo in carica456. A conferma
delle ragioni delle autonomie locale contro il centralismo, l’organo della Lega
riproponeva un vecchio e famoso articolo di Luigi Einaudi, significativamente
intitolato Via i prefetti!, commentato dal deputato Luzzatto457.
Un discorso tenuto a Brescia nel 1951 dal Ministro Scelba dava occasione alla
direzione della Lega per riaffermare il sostegno ai principi di libertà ed autonomia
stabiliti dalla Costituzione. Secondo le parole del Ministro citate da Raffaele Merloni, nuovo segretario della Lega458, era l’azione sovvertitrice dei partiti di sinistra
nelle amministrazioni locali e nella sfera politica generale ad imporre: “da un canto il mantenimento di misure, che per amministratori liberi possono apparire come ingiustificate e, dall’altro, rende inattuabile il programma, che si impone ogni
giorno di più, per ampliare la sfera di competenza delle amministrazioni comunali”. Il Ministro spiegava così la mancata riforma della legge comunale e provinciale per l’adeguamento alla Costituzione, il ritardo nell’attuazione dell’istituto regionale, dei disegni di legge per il referendum e per la Corte Costituzionale.
Se il mancato compimento della Costituzione repubblicana dava al Ministro
dell’interno la possibilità di esercitare i medesimi poteri dei suoi predecessori
Governo ed elezioni, Icd lug.-ago. 1962, pp. 255-6.
M. Franceschelli, I sindaci e l’ordine pubblico, Icd mar.-apr. 1950, pp. 83-4; Paolo Franceschi, I sindaci e l’art. 113 della legge di P.S., Icd mag. 1950, pp. 148-9.
455
Vezio Crisafulli, Chi è contro la legge?, Icd mar.-apr. 1950, pp. 85-88.
456
Lettera aperta della Lega dei Comuni Democratici al Presidente della Repubblica, Icd gen.
1951, p. 431; Lettera aperta della Lega dei comuni democratici, Icd mar. 1951, pp. 109-111, la
lettera era indirizzata Al Presidente del Senato, della Camera, del Consiglio dei Ministri, della
Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti.
457
L.L., Il Prefetto e i principi della democrazia. Un vecchio articolo dell’Economist molto istruttivo per l’on. Scelba, Icd 3 1951, pp. 114-6 (Self-government in Italy, “Economist”, 23 set. 1944,
n. 5274).
458
Come si avrà modo di ricordare, appena oltre, l’annuncio che Raffaele Merloni sostituiva Ghislandi alla segreteria della Lega veniva pubblicato nella rivista era stato dato nel fascicolo dell’agosto-settembre 1951; Icd ago.-set. 1951, p. 269.
453
454
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 131
dell’Italia liberale, il deputato socialista Merloni poteva far proprie, a commento di due recenti rimozioni di sindaci459, le testuali parole pronunciate da Filippo Turati alla Camera nel 1913. Il leader socialista, quasi quarant’anni prima,
aveva denunciato il provvedimento di sospensione del sindaco di Castel San
Giovanni, in provincia di Piacenza perché questi, alla testa della maggioranza
dei partiti popolari, aveva “votato un ordine del giorno di protesta, meglio di
dolore, per gli eccidi avvenuti, ma tutt’altro che redatto in termini ingiuriosi
[…] si trattava soltanto di una protesta civilissima […] Se poi gli interessi dei
Comuni vanno per aria, tutto ciò è roba di secondaria importanza!”460.
È però necessario ricordare che i casi di scioglimento di consigli comunali
erano sostanzialmente limitati dal punto di vista numerico, anche se sempre
più dei pochi casi riconosciuti dal Ministro dell’interno. Secondo un’indagine
svolta dalla Lega nella “Gazzetta Ufficiale” dal 18 aprile 1948 al 31 dicembre
1949 erano stati disciolti 24 consigli comunali e rimossi 10 sindaci. Di questi
almeno 15 consigli e 7 sindaci erano socialcomunisti461.
Nella sua ricerca Tosatti scrive che i sindaci rimossi per motivi “spesso pretestuosi” di ordine pubblico tra il 1946 ed il 1958 furono 81, con punte di 25
nel 1950, 24 nel 1951 e 15 nel 1956. In particolare nel periodo 1° luglio 1954
– 26 aprile 1955, 44 sindaci furono sospesi dalla posizione di ufficiali di governo e 4 rimossi dall’incarico. Più ridotti furono invece i provvedimenti di
scioglimento dei consigli comunali, solo 38 tra il 1946 ed il 1958.
Il raffronto con i dati del periodo liberale è utile a descrivere l’evoluzione
storica del fenomeno per comprenderne meglio la rilevanza. È vero, infatti, che
a fronte di 47 provvedimenti di rimozione di sindaci emessi dai governi liberali in 23 anni (1900-1922), corrispondevano ben 81 provvedimenti emessi dai
governi repubblicani in 13 anni (1946-1958). È anche vero, però, che negli
stessi 22 anni i governi liberali avevano sciolto ben 1185 consigli comunali e,
sempre nei medesimi 12 anni, i governi repubblicani ne avevano sciolti solo
38462. Tutto questo senza tener conto del fatto che non tutti i provvedimenti di
scioglimento di consigli e di rimozione di sindaci riguardavano comuni amministrati dalla sinistra, come evidenziato dai dati esposti dal citato articolo de “Il
comune democratico” del 1951 (15 su un totale di 24 consigli; 7 su un totale
di 10 sindaci)463.
Questi cifre evidenziano la limitatezza del fenomeno anche rispetto al più ristretto universo dei comuni (circa un terzo del totale) amministrato da blocchi
di sinistra. Posta non da un punto di vista statistico, ma politico, la questione
era però molto diversa. I 15 consigli comunali sciolti e i 7 sindaci rimossi di cui
459
Si trattava dei sindaci di Cassano Magnago in provincia di Varese, nel 1950, per aver
convocato una riunione in sala consiliare per discutere sulla interdizione della bomba atomica
e quello di Monterchi, in provincia di Arezzo, nel 1951, per non essersi impegnato a far interrompere una manifestazione contro la visita del presidente degli USA.
460
Il discorso dell’on. Merloni nel dibattito sul bilancio dell’Interno, Icd ott.-nov. 1951, pp. 352-4.
461
Paolo Franceschi, Basta coi soprusi, Icd gen. 1951, pp. 444-6.
462
Atti Parlamentari, Camera, Leg. III, Documenti, disegni di legge e relazioni, n. 1427 A; citato da Tosatti, Il Ministero dell’interno…, cit., pp. 313-4.
463
Franceschi, Basta coi soprusi…, cit.
132 PARTE II
scriveva l’articolo citato venivano segnalati come la modalità più appariscente
di un atteggiamento vessatorio e punitivo del Ministero dell’interno nei confronti delle amministrazioni della sinistra. Per esempio, venivano utilizzati massicciamente controlli ed interventi sulle delibere da parte dei prefetti che rallentavano o bloccavano l’attività amministrativa; denunzie di marescialli dei carabinieri potevano portare all’arresto ed alla sospensione dell’attività dei sindaci, i quali poi, quasi sempre, venivano assolti, ma nel frattempo l’amministrazione era stata bloccata. E gli interventi più numerosi riguardavano piccoli comuni per piccole questioni, di solito legate alle scelte in materia di tassa di famiglia e di iniziative in favore della popolazione più povera.
Dal 1950 aumentavano i provvedimenti repressivi contro le iniziative di carattere politico espresse dai comuni della sinistra. Nel luglio di quell’anno il segretario della Lega denunciava l’utilizzo dell’istituto della rimozione del sindaco in “quindici o venti casi recenti”464. Proprio quell’anno la sinistra aveva promosso la firma della Petizione per la pace nell’ambito dell’iniziativa mondiale
dei Partigiani della pace al cui II congresso, svoltosi a Varsavia, partecipò una
“larga rappresentanza […] di amministratori comunali appartenenti a diverse
correnti politiche”465. Contro questa iniziativa si erano concentrati gli interventi repressivi del Ministero dell’interno, in particolare verso i piccoli comuni466.
Particolarmente pesante sarebbe divenuta la situazione della provincia di
Bologna, il cui “signor” prefetto467, nel 1957, veniva direttamente ed esplicitamente contestato dalla Lega per i suoi provvedimenti468.
2.5.7. L’opposizione all’ostruzionismo prefettizio: l’attività di Giannini
Con il passare degli anni, però, sarebbe divenuto più difficile per il Ministero dell’interno, forzare a danno dei comuni la normativa repressiva largamente presente nella legislazione locale. Nel 1957, ad esempio, la Corte di Appello di Napoli si pronunciava sulla nuova norma introdotta con l’art. 6 della
legge 2 marzo 1956, n. 136, che aveva soppresso l’istituto della decadenza “usata dai prefetti quale arma per colpire le amministrazioni popolari non gradite”,
disposta, sulla base delle precedenti legislazioni, dall’art. 15 del T.U. 5 aprile
1951, n. 203, che, tra l’altro, prevedeva l’ineleggibilità in caso di “lite pendente col Comune”. Bastava che il prefetto, o anche solo alcuni elettori, promuovessero un giudizio di responsabilità dinanzi al Consiglio di prefettura per impedire la partecipazione di un candidato alle elezioni amministrative. La norma, introdotta con un emendamento alla nuova legge elettorale dai deputati
Colitto e Luzzatto, prevedeva l’ineleggibilità per amministratori locali solo in
Lucio Luzzatto, Rimozione di sindaci e ordine pubblico, Icd lug. 1950, pp. 247-9.
II Congresso della pace a Varsavia, Icd nov.-dic. 1950, p. 384.
466
Paolo Franceschi, Il governo e le autonomie, Icd feb. 1950, pp. 43-5.
467
Da sottolineare che la qualifica di “signore” e non di “Sua Eccellenza”, come era allora
d’obbligo nel rivolgersi al prefetto, costituiva di per sé una scelta irriverente.
468
Un prefetto testardo che non conosce le leggi, Icd apr. 1957, pp. 25-6; Michele Lanzetta, Le
strane teorie del signor Prefetto, Icd lug.-ago 1957, pp. 3-5.
464
465
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 133
caso di passaggio in giudicato. Fu in virtù di questo che il sindaco di Giugliano ed altri amministratori popolari poterono presentarsi alle elezioni469.
Le formule che i prefetti si ingegnavano di trovare per annullare le deliberazioni comunali per la pace erano tali da essere bollate da Massimo Severo Giannini come “offese all’intelligenza”. I comuni, infatti, sia in quanto “enti che curano interessi generali, sia pure di dimensioni locali, della popolazione associata”, sia per avere “un’autonomia garantita dalla Costituzione”, avevano il diritto di “esprimere un voto in nome delle popolazioni che essi rappresentano”, e
così concludeva il suo articolo nella rivista della Lega:
“i Consigli comunali seguitino a deliberare e a formulare tutti i voti che credono;
ed anzi annotino pure nel registro delle deliberazioni comunali gli annullamenti
prefettizi. E ciò perché resti documentato, a chi ci seguirà, a quali ridicole incredibili aberrazioni si sarà giunti in questo periodo, da parte degli organi di governo”470.
La conferma della straordinaria lucidità delle parole di Giannini, e della giustezza della posizione della Lega,veniva appena un anno dopo con la notizia, data con
rilievo ne “Il comune democratico”, dell’approvazione da parte di alcuni comuni di
deliberazioni che conferivano la cittadinanza onoraria ad Antonio Segni, all’indomani della sua elezione nel maggio del 1962 a Presidente della Repubblica. La domanda del segretario della Lega Michele Lanzetta, del Psi, era sarcastica. Cosa avrebbero fatto i prefetti ora, quando a deliberare su materie non previste dalla normativa non erano i sindaci della sinistra ma quelli vicini ai partiti di governo?:
“dopo le predette deliberazioni che hanno conferito le cittadinanze onorarie al
Presidente della Repubblica, come ragioneranno i prefetti che non le hanno annullate e con la loro presenza alle manifestazioni relative le hanno con solennità convalidate?”471.
La decisione dei comuni governati da partiti o coalizioni di partiti vicini al governo di deliberare su argomenti non esplicitamente previsti da leggi e regolamenti, analogamente a quanto avevano fatto fino ad allora solo le amministrazioni della sinistra era forse il segnale più evidente che l’interpretazione del ruolo
dei comuni sostenuta dalla Lega non solo non era stata sconfitta dalla repressione prefettizia ma aveva finalmente vinto. Negli anni ’60 l’ostruzionismo prefettizio verso i comuni della sinistra non cessò ma, sicuramente anche per la presenza nel governo del Partito socialista, si sarebbe ridotto in termini che, da un mero punto di vista statistico, si sarebbero potuti definire fisiologici, ma che, da un
punto di vista politico-istituzionale, continuavano ad apparire intollerabili472.
469
G.M., La “sospensione” degli amministratori. Una importante sentenza della Corte d’Appello di Napoli, Icd gen. 1957, pp. 5 –7.
470
Massimo Severo Giannini, Per la storia dell’umorismo prefettizio, Icd feb. 1950, pp. 55-56.
471
Michele Lanzetta, Deliberazioni di cittadinanza onoraria ed attribuzioni dei consigli comunali, Icd set. 1962, pp. 270-2.
472
Le “ridicole incredibili aberrazioni” condannate da Giannini sarebbero avvenute, infatti,
anche in anni successivi, come nel 1961, quando un prefetto, senza averne alcun potere, minacciò di sospendere un sindaco se avesse insistito a far discutere ed approvare dal consiglio comunale una determinata delibera da lui annullata; L., Florilegio prefettizio, Icd giu. 1961, p. 187. Si
vedano anche le bocciature delle delibere in materia urbanistica da parte del prefetto di Bologna,
denunciate dalla rivista della Lega; Le note del mese. Il prefetto esorbitante, Icd giu. 1968, pp. 2-3.
134 PARTE II
2.6. Gli anni ‘50
2.6.1. La Lega dei comuni democratici, province e enti minori
Nel 1951, l’anno della seconda tornata delle elezioni amministrative, la Lega, senza dimenticare i comuni473, decideva di riaffermare il proprio ruolo nel
movimento per le autonomie locali cercando di stimolare anche gli altri enti locali, ed in particolare le province. L’interesse verso questo ente, che nel corso
del dibattito costituente aveva rischiato la soppressione, derivava dal fatto che,
dopo aver saltato l’appuntamento del 1946, le province erano coinvolte nella
consultazione elettorale.
Nell’editoriale del febbraio 1951 il segretario sottolineava con grande decisione che la Lega dei comuni democratici non associava solo comuni ma anche
“tutti gli enti locali, territoriali e non territoriali. [Anche se] È fuor di dubbio
che i comuni sono e rimangono fra gli enti locali quelli di gran lunga più importanti”474. Turchi ribadiva il concetto qualche tempo dopo, facendo una sorta di autocritica rispetto alla poca attenzione rivolta alla generalità degli enti locali, ed in particolare alla provincia: “Né dobbiamo tacere che molto più debole ancora è stata la nostra azione in direzione degli altri enti e organismi di
varia natura, tutti più o meno direttamente collegati con il comune […] gli
ECA, i Patronati Scolastici, gli Ospedali, la ONMI e quella miriade di enti e
istituzioni nella vita dei quali il comune ha sempre veste per intervenire e nella quale interviene solo raramente […] L’importanza preminente e fondamentale del comune non deve farci sottovalutare e meno ancora deve farci trascurare gli altri enti la cui importanza è pur sempre di grande rilievo per la popolazione; mi riferisco in particolare alla Provincia della quale si interessano soltanto gli iniziati e che i più continuano a confondere con la Prefettura; in direzione della Provincia occorre attuare una vera e propria svolta”475.
Nella risoluzione deliberata dal Comitato direttivo della Lega svoltosi a Bologna il 21 luglio 1951, all’indomani della proclamazione dei risultati delle elezioni svoltesi tra la fine di maggio ed i primi del giugno successivo, si sottolineavano, tra l’altro, il successo elettorale della sinistra e la sconfitta della Dc,
che perdeva circa 2.500.000 voti rispetto al 18 aprile 1948; il rinnovato impegno dei comuni democratici verso la pace, insieme ai ricostituiti organi elettivi
delle Province; la “difesa delle nostre industrie”; la “vigilanza degli amministratori democratici […] contro gli attentati alla integrità della Costituzione”. Si riaffermava, infine, “La Lega [come] strumento indispensabile per realizzare questa politica […, e che] Nella Lega devono confluire non soltanto i Comuni e le
Provincie, ma anche enti minori, ECA, Patronati scolastici e simili.”476. In un
Da segnalare, a questo proposito, un articolo sulla spinosa questione della ricostituzione
dei comuni sciolti durante il fascismo: Mario Franceschelli, Le ricostituzioni di Comuni e la Costituzione, Icd 1, 1951, p. 439.
474
Giulio Turchi, La Lega dei comuni democratici, Icd feb. 1951, p. 65-6.
475
G. Turchi, Guardando al futuro, Icd mag. 1951, pp. 193-4.
476
Risoluzione del Comitato direttivo della Lega, Icd giu.-lug. 1951, pp. 227-9.
473
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 135
secondo convegno nazionale, che ebbe luogo a Modena il 6 dicembre 1951,
l’attenzione si concentrava sull’organizzazione interna della Lega. Venne raccomandata, per l’ennesima volta, la costituzione delle Leghe provinciali, venne
deciso di costituire un Comitato direttivo nazionale che comprendesse i segretari delle Leghe provinciali dei capoluoghi di regione; per far fronte alla cronica mancanza di fondi, attribuita agli annullamenti delle delibere di iscrizione
da parte dei prefetti, si approvò il tesseramento degli amministratori477.
Le dimissioni dalla segreteria della Lega dei Comuni Democratici, per ragioni di salute, dell’on. Guglielmo Ghislandi, sostituito dall’on. Raffaele Merloni “per designazione della direzione del PSI”, annunciate nel numero di agosto-settembre478, sottolineavano l’apertura di una nuova fase nella vita dell’organizzazione, confermata anche dal passaggio dell’incarico di direttore responsabile della rivista, da Mario Osti (che l’aveva diretta dal primo numero della
nuova serie dell’agosto 1949) a Gino Pallotta, avvenuto con il fascicolo di ottobre-novembre479. A Modena, infatti, era stato stabilito anche una sorta di rilancio della rivista, attraverso l’arricchimento dei contenuti, la pubblicazione di
dispense “su problemi inerenti alle attribuzioni e al funzionamento degli enti
locali” e l’aumento della tiratura a 10.000 copie480.
L’aumento della diffusione, e quindi della tiratura, dell’organo della Lega
non era però semplice, e non solo per via dell’azione dei prefetti. Infatti, l’annullamento della delibera di spesa per l’abbonamento poteva essere scongiurato facendo riferimento a quanto previsto da due circolari del Ministero dell’interno, inserendo cioè tale delibera tra le spese relative a riviste tecniche e amministrative, e quindi tra le spese di ufficio “obbligatorie”481. Il fatto che questa
notizia venisse ripetuta più volte, insieme a sollecitazioni al rinnovo dell’abbonamento, poteva essere segnale, oltre che di una grave mancanza di fondi nei
bilanci comunali anche, forse, di una certa trascuratezza degli amministratori
della sinistra riguardo agli impegni verso la propria organizzazione, di cui la rivista era l’espressione ufficiale.
Il più evidente risultato dei convegni di Bologna e Modena fu, comunque,
il cambiamento della denominazione della Lega dei comuni democratici in Lega dei comuni democratici, provincie e enti minori482. Era questo un riconoscimento della presenza degli istituti che, con i comuni, formavano parte della
Lega, in particolare delle province i cui consigli, nel 1951, per la prima volta
dal secondo dopoguerra, erano stati eletti democraticamente. La rivista continuava ad essere denominata Il Comune democratico, ma dal gennaio del 1952
diveniva “Organo della Lega nazionale dei comuni democratici provincie ed
La risoluzione del Convegno nazionale di Modena, Icd dic.1951, pp. 370-1.
Icd ago.-set. 1951, p. 269.
479
Gino Pallotta fu direttore responsabile e poi vice direttore responsabile fino al numero
dell’aprile 1958, sostituito da Ruggero Gallico, che lo aveva affiancato nell’incarico qualche
mese prima.
480
La risoluzione del Convegno nazionale di Modena, Icd dic.1951, pp. 370-1.
481
Avvertenza importante, Icd feb. 1954, p. 48.
482
Il cambio venne deciso dal nuovo comitato direttivo della Lega riunito a Bologna il 20
gennaio 1952, Circolare n. 85, del 28 gen. 1952, L’attività della Lega, Icd gen. 1952, pp. 52-3.
477
478
136 PARTE II
enti minori”483. A partire da quel numero i vari articoli dedicati alle province
testimoniavano l’accresciuta attenzione della Lega verso quell’ente locale. La
ricerca di un rafforzamento dell’organizzazione, in particolare nel Sud, veniva
evidenziata poi dalla costituzione di una Lega dei Comuni meridionali alla fine
del 1952, all’indomani di un congresso svoltosi a Taranto il 14-15 dicembre
1952, convocato dalla Lega e dal Comitato Nazionale per la Rinascita del
Mezzogiorno484.
2.6.2. La mobilitazione contro la “legge truffa” del ‘53 ed il centralismo del Pci
Il 1953 si apriva all’insegna della mobilitazione della sinistra contro la legge
elettorale maggioritaria proposta dal governo, la cosiddetta “legge truffa”, alla
quale la Lega partecipava massicciamente. Tra le varie iniziative la più significativa era l’Assemblea nazionale degli eletti svoltasi al Teatro Valle di Roma il
15 marzo 1953 - che chiudeva un lungo ciclo di assemblee provinciali - al quale erano stati chiamati a partecipare i cittadini investiti di cariche pubbliche, dai
parlamentari ai consiglieri di comuni e province. L’assemblea di Roma, come
rilevava la rivista, era costituita “in grande maggioranza da sindaci convenuti da
ogni dove”485. Veniva quindi accolto con entusiasmo il risultato delle elezioni
politiche del 7 giugno 1953 che aveva sancito la sconfitta dei partiti di governo, i quali non avevano ottenuto la sperata maggioranza dei voti486.
Ma al successo politico del 7 giugno corrispondeva, secondo la direzione,
una insufficiente mobilitazione degli amministratori riguardo alle iniziative
promosse dalla Lega. Era evidente che alle contestate iniziative del governo i
partiti della sinistra ne volevano contrapporre altre che, non solo erano diverse, ma si dovevano dimostrare frutto di un modello politico-istituzionale alternativo basato sulla mobilitazione del popolo e quindi, anche per questo, in opposizione alle politiche del governo, che venivano tacciate di essere decisioni
antidemocratiche prese dai soli vertici dei partiti al potere. Il problema era che
però, in quest’ottica, anche gli amministratori venivano considerati popolo e,
come tali, si chiedeva loro sia una mobilitazione di massa come quella sollecitata ad operai e braccianti, nel caso di convegni e congressi, sia uno specifico tipo di mobilitazione corrispondente alle caratteristiche del loro ruolo, come potevamo essere voti e delibere di giunta, di consiglio, ma anche generiche prese
di posizione riguardo ad iniziative del partito, come nel caso specifico. Un articolo di Ciofi degli Atti del 1953 era illuminante riguardo alla dipendenza dai
politici segretari di partito cui poteva essere soggetto il popolo degli amministratori iscritti alla Lega all’inizio degli anni ’50. Gli amministratori della sinistra, infatti, venivano aspramente redarguiti per non aver risposto se non sporadicamente e in forma superficiale alla richiesta di inviare osservazioni e proIdc gen. 1952, p. 1.
Luigi Ciofi Degli Atti, È nata la Lega dei Comuni meridionali, Icd dic. 1952, pp. 350-2.
485
L’assemblea nazionale degli eletti, Icd mar. 1953, p. 43.
486
Giulio Turchi, 7 giugno 1953, Icd mag.-giu. 1953, pp. 117-8.
483
484
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 137
poste ai comitati parlamentari riguardo al progetto di legge per l’estensione dell’assistenza sanitaria gratuita ed alla “lotta contro il tugurio”, sulla base di quanto stabilito dal “rapporto al C.C. del P.C.I.” dell’on. Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista. Concludeva così il suo ammonimento Ciofi degli Atti: “ogni amministratore democratico è quindi direttamente e personalmente
impegnato e non potrà tradire il mandato ricevuto dai suoi elettori”487.
All’obbedienza al segretario del Pci italiano seguiva quella al “partito guida”,
il partito comunista sovietico e, in particolare al suo massimo esponente, il mitico Stalin, di cui la rivista della Lega del marzo 1953 annunciava la morte nell’editoriale: “sicura di interpretare il sentimento di tutti gli amministratori locali democratici italiani”, rinnovando “qui l’espressione del loro profondo cordoglio”488.
2.6.3. La vocazione unitaria della Lega
Il convegno dell’Anci di Genova del 1953 costituiva una nuova, importante occasione nella quale veniva riaffermata l’unità del movimento per le autonomie locali. Lo sottolineava il segretario Turchi in un articolo di commento
all’incontro. Per tre giorni 1.200 sindaci di grandi città e piccoli paesi avevano
manifestato la loro insoddisfazione sia riguardo alla situazione tecnico-amministrativa, sia riguardo a quella politico-istituzionale. La denuncia dell’insufficienza dei mezzi, delle interferenze dei prefetti, e il richiamo alle violazioni della Costituzione avevano contrassegnato i lavori dell’assemblea che aveva accolto in un gelido silenzio le dichiarazioni del Ministro dell’interno, Scelba, per la
prima volta intervenuto ad un’assemblea dell’Anci. Ripetendo i concetti espressi nel discorso svolto a Brescia nel 1951, Scelba aveva riaffermato che di autonomia, per i comuni, “non sia da parlare”. Un silenzio che aveva contrastato
con l’entusiasmo con il quale era stato invece accolto il messaggio di Sturzo che
aveva auspicato, addirittura, “il ‘ripristino delle autonomie locali’”. Le risoluzioni del convegno “furono approvate tutte all’unanimità”, addirittura, sottolinea Turchi, “senza che fossero da superare contrasti di qualche rilievo”, perché
tutti i sindaci, e non solo quelli della sinistra erano scontenti della politica governativa. L’Anci, concludeva Turchi, era uscita “rafforzata” dall’assemblea di
Genova, e avrebbe dovuto combattere con più decisione “per l’attuazione rapida e integrale della Costituzione”489.
La Lega era un’organizzazione dichiaratamente di parte, la cui azione era però rivolta non solo agli enti iscritti ma, soprattutto, all’avanzamento dell’intero
movimento per le autonomie locali. La vocazione unitaria della Lega era evidente non solo nelle iniziative politico-istituzionali nelle quali coinvolgeva indirettamente o partecipava direttamente con l’Anci, ma particolarmente nelCiofi degli Atti, Occorre più iniziativa, Icd mag.-giu. 1953, pp. 123-4.
Lutto per tutti i popoli, Icd mar. 1953, p. 41.
489
Giulio Turchi, La nuova legge comunale e provinciale all’esame dei sindaci d’Italia, icd mar.
1953, pp. 45-6.
487
488
138 PARTE II
l’attenzione riservata ai problemi della generalità degli enti e delle autonomie
locali, dagli enti comunali di assistenza, alle province, ai comuni meridionali,
ai comuni della montagna. Questa attenzione rivolta globalmente al complesso ed articolato mondo delle autonomie locali, vista da un punto di vista puramente politico, poteva anche essere considerata espressione di una pericolosa volontà egemonica nei confronti di quel mondo, da utilizzare contro il governo,
e come tale veniva avvertita dai partiti alla guida del Paese ed in particolare dal
Ministro dell’interno di quel periodo, Mario Scelba. Sta di fatto, però, che la
vocazione unitaria della Lega sottolineava le caratteristiche unitarie del movimento per le autonomie locali e sollecitava le diverse organizzazioni alla cooperazione. Dal punto di vista della Lega, l’organizzare i vari enti ed istituti dell’autonomia locale ne rafforzava il ruolo di leader politico-istituzionale de facto, un ruolo di stimolo e di pungolo all’attività di tutte le organizzazioni, non
solo riguardo alla più importante, l’Anci, ma anche all’Upi e, in seguito, anche
all’organizzazione dei comuni montani, l’Unione dei comuni e degli enti montani (Uncem), che faceva seguito ad un’attenzione ai problemi della montagna
e dei comuni montani promossa sin dall’immediato dopoguerra e, da allora,
sempre mantenuta viva.
2.6.4. La fondazione dell’Uncem e il problema delle imprese idroelettriche
Il 23-25 maggio 1954 si svolgeva a Torino il congresso di fondazione dell’Uncem. L’appuntamento - secondo un’interpretazione de “Il comune democratico” molto plausibile in un momento di forte contrapposizione politica
qual era quello dei primi anni ’50 del ‘900 - nelle intenzioni degli organizzatori, avrebbe dovuto dar vita ad una organizzazione filogovernativa, ma l’intervento degli amministratori democratici aveva impedito questa conclusione e, a
questo proposito, veniva sottolineata l’approvazione di un ordine del giorno per
la nazionalizzazione dei monopoli elettrici: “L’UNCEM, sorta come organizzazione di parte, si è trasformata, per la lotta delle opposizioni al congresso, in un
organismo unitario”490. Certo la minoranza di amministratori della sinistra era
stata esclusa dalla presidenza e dalla giunta dell’ente491, ma il contributo degli
amministratori della montagna della Lega alla battaglia per il pagamento del
sovracanone idroelettrico a carico delle imprese idroelettriche492 fu senza dubIl I Congresso dell’UNCEM, Icd mag.-giu. 1954, pp. 148-154.
Una decisione antidemocratica della maggioranza del Consiglio dell’UNCEM, Icd lug.
1954, p. 185.
492
La legge sul sovracanone idroelettrico (legge 27 dic. 1953, n. 959) riconosceva la titolarità delle risorse naturali del territorio oltre che allo Stato, anche alla popolazione della montagna. La norma prevedeva che le società concessionarie di grandi derivazioni d’acqua per la produzione di energia idroelettrica versassero un “sovracanone” per ogni kilowatt di potenza nominale media concessa a favore dei comuni situati nei bacini imbriferi interessati dalla concessione, cfr. Oscar Gaspari, La difesa della montagna: politiche ed istituzioni tra la fine dell’Ottocento ed il secondo dopoguerra, in Antonio G. Calafati, Ercole Sori (a cura di), Persistenze e cambiamenti negli Appennini in età moderna, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 269-299.
490
491
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 139
bio importante a spingere il Governo a muoversi per far rispettare la legge, come dimostravano le notizie che venivano regolarmente pubblicate nella rubrica dedicata alla montagna493 e all’approvazione, nel 1959, delle norme interpretative della legge 959494.
2.6.5. La tragedia del Vajont. La battaglia politica contro lo strapotere
dell’industria elettrica
Lo strettissimo legame tra le imprese idroelettriche e le comunità della montagna sarebbe poi stato tristemente sottolineato dal disastro del Vajont del 9
ottobre 1963, che provocò circa 2000 morti495. Una immane tragedia che si sarebbe potuta evitare se si fossero ascoltai i segnali d’allarme e le richieste d’aiuto della popolazione locale e, in particolare, dei sindaci di Longarone e di Erto
Casso che “fino all’ultimo si [erano] adoperati per lanciare l’allarme ed evitare
la sciagura”.
Più forti dei pericoli per la sicurezza dei montanari erano state le ragioni
economiche ed industriali della Società adriatica di elettricità (Sade) proprietaria dell’impianto, un vero e proprio “stato nello Stato”, ragioni, purtroppo, fatte sostanzialmente proprie dall’Enel, subentrata nella gestione all’indomani della nazionalizzazione dell’energia elettrica da meno di un anno496. La tragedia del
Vajont era un segno evidente che non era la titolarità della proprietà a determinare il rispetto o meno degli interessi delle comunità locali ma, soprattutto,
la complessiva concezione del rapporto tra impresa e popolazione.
Lo stretto legame tra interessi dei cittadini ed impresa industriale era invece
alla base del funzionamento delle imprese municipali il cui ruolo, dal secondo
dopoguerra e per decenni, era stato essenziale per il contenimento dei prezzi dei
servizi pubblici e delle forniture delle imprese dei servizi a rete acqua, gas ed
energia elettrica. Meno importante ma comunque significativo fu anche l’ap493
Secondo una notizia apparsa nel gennaio 1956 le società idroelettriche avevano versato
ai comuni montani solo 1.600 dei 9.000 miliardi dovuti per il sovracanone idroelettrico e le
centinaia di vertenze aperte nei aperte nei tribunali potevano essere, forse, risolte solo dopo lunghi anni; la soluzione poteva essere solo politica; Comuni e enti montani a convegno, Icd gen.
1956, p. 3.
494
Approvate sia al Senato che alla Camera le norme interpretative della legge 959, Icd dic.
1959, pp. 391-2. La normativa approvata avrebbe dovuto rendere più semplice il pagamento
dei sovracanoni elettrici ai comuni dei bacini imbriferi montani interessati: una maggiore entrata annua di 3 miliardi e il pagamento degli arretrati in 15 miliardi oltre agli interessi”; seguiva l’elenco dei comuni con il rispettivo credito accumulato.
495
Il disastro venne causato da una frana che invase il bacino e provocò la fuoriuscita dell’acqua ivi contenuta; cfr. Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe: il caso
del Vajont, Milano, La Pietra, 1983; la vicenda, ricordata nel 2001 anche da un film Vajont, è
stata riproposta all’opinione pubblica in tutta la sua drammaticità da uno spettacolo teatrale e
televisivo di Marco Paolini; Marco Paolini, Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Milano, Garzanti, 1997.
496
La lezione del Vajont, Icd nov.-dic. 1963, pp. 353-5. L’anno seguente la rivista pubblicò
in forma anastatica un volantino nel quale un comitato locale denunciava i soprusi della Sade
riguardo ai diritti delle popolazioni della provincia di Belluno, Icd feb. 1964, pp. 16-17.
140 PARTE II
porto delle municipalizzate elettriche per rompere il fronte del rifiuto delle
grandi imprese al pagamento dei sovracanoni. Per questo la decisione dell’azienda municipalizzata di Trento di versare i sovracanoni previsti dalla legge
venne annunciata sulle pagine dell’organo della Lega con grande rilievo, ma
con una significativa avvertenza che seguiva l’invito a tutte le imprese municipalizzate a seguirne l’esempio: “evitando così il sospetto che vogliano far fronte unico con il monopolio elettrico”497.
Evidentemente la possibilità di risparmiare sui costi di gestione poteva far
breccia anche in imprese comunali quali erano le aziende municipalizzate. Non
sarebbe mai stato facile far coincidere gli interessi delle comunità locali con
quelli economici delle municipalizzate, la cui Confederazione venne accusata di
“accentuare il distacco delle aziende dai comuni, isolando l’attività aziendale da
quella comunale generale, [di puntare] essenzialmente, perciò, l’azione al vertice di tipo parlamentare e di stimolo all’attività governativa [di affrontare] la
questione elettrica in modo limitato, esclusivamente nel quadro della legislazione vigente, anziché […] sotto il profilo delle riforme democratiche e di
struttura”498. Almeno nel 1956 quindi, data di questo articolo, le aziende municipalizzate venivano accusate di occuparsi troppo dei propri interessi settoriali
e troppo poco di quelli politici, le “riforme democratiche e di struttura”.
La mobilitazione dei comuni della sinistra nella battaglia contro l’oligopolio
che controllava il mercato italiano dell’energia elettrica avrebbe avuto un significativo successo sul fronte dei prezzi con l’apertura di una sorta di “inchiesta
sui contratti per l’energia destinata alla illuminazione” aperta dal Cip con la circolare n. 700 del 31 gennaio 1958, all’indomani di una serie di iniziative di comuni della provincia di Modena, Reggio Emilia, Parma, Bologna e Piacenza499. La battaglia politica condotta dalla sinistra contro lo strapotere dell’industria elettrica italiana, nella concreta attività sostenuta e promossa dalla Lega, si traduceva in concrete iniziative dirette al vantaggio di tutti i cittadini e,
in particolare, della popolazione della montagna500.
2.6.6. Il convegno di Bologna del 1954: la battaglia per l’attuazione della
Costituzione
Il 13 giugno 1954 si svolgeva a Bologna il convegno della Lega sul tema Popolo e comuni per le autonomie locali, nel quale si sollecitava la mobilitazione
delle organizzazioni degli enti locali e di quelle dei lavoratori per opporsi alla
politica del governo contro le amministrazioni locali. Sembrava quasi si volesse riproporre un vecchio sogno dei socialisti sin dai primi anni dell’Anci: moTrafiletto che segue Il Consiglio straordinario dell’UNCEM, Icd nov. 1955, p. 19.
Giorgio Coppa, Comuni e municipalizzazione, Icd dic. 1956, pp. 12-4.
499
Rubens Triva, Un successo dei Comuni emiliani contro le grandi società elettriche. Il CIP dispone un’inchiesta sui contratti per l’energia destinata alla illuminazione, Icd mar. 1958, p. 77.
500
Francesco Spezzano, Isolare il monopolio, Icd mar. 1958, pp. 78-9; cfr. Sp., Dedicato all’On. Preti ministro delle Finanze, Icd ago. 1958, p. 214; d.c., I diritti dei Comuni montani nei
confronti dei monopoli elettrici, Icd nov. 1958, pp. 310-7.
497
498
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 141
bilitare le masse popolari, e i lavoratori in particolare, a difesa dell’autonomia
locale501. Partecipavano all’incontro “oltre 1300 rappresentanti di amministrazioni, di organizzazioni politiche e sindacali, di parlamentari e di studiosi dei
problemi amministrativi”; tra le maggiori personalità presenti si ricordano il
sindaco di Bologna Dozza, i senatori Zanardi, Terracini, Molé, Spezzano, Allegato, Montagnani, Porcellini, Ferrari; i deputati Turchi, Targetti, Martuscelli,
Luzzatto, Luciana Viviani, Matteucci, il prof. Massimo Severo Giannini. Tra le
adesioni pervenute si segnalano quelle delle organizzazioni vicine alla sinistra,
come la Cgil, l’Unione donne italiane (Udi), la Confederterra, la Federbraccianti, la Lega nazionale delle cooperative, l’Associazione nazionale partigiani
d’Italia (Anpi), il Comitato di Rinascita dell’Arco Alpino. Le conclusioni del
convegno venivano illustrate dai senatori Terracini e Molé e dall’on. Targetti di
fronte a circa 20.000 cittadini502.
Nella sua relazione Turchi dichiarava che “la Lega dei comuni democratici
opera e parla in nome di oltre un terzo di tutti i Comuni e le Provincie italiane e in nome di oltre 50.000 amministratori comunali, provinciali e di altri enti locali che solo convenzionalmente, e non per la loro importanza, sono detti
minori”. Il segretario sosteneva che nella sostanza la politica del governo e l’azione dello Stato non si ispiravano in alcun modo alla Costituzione repubblicana, faceva un parallelo tra i recenti soprusi prefettizi contro le amministrazioni locali e quelli operati dai governi giolittiani. Turchi concludeva facendo
appello “all’aiuto di tutti, delle organizzazioni sindacali in primo luogo […] per
attuare e rendere operante la Costituzione”, soprattutto, concludeva: “È ora che
agiscano anche le associazioni unitarie degli enti locali: l’ANCI, e l’Unione delle Province, l’ANEA, la FIARO [Federazione italiana associazioni regionali
ospedaliere], le Aziende municipalizzate [...] ai voti deve seguire un’azione conseguente che fin qui è mancata del tutto”503.
Interveniva anche Massimo Severo Giannini, in qualità di membro del Comitato esecutivo dell’Anci, il quale - quasi ad evidenziare il fatto che la richiesta di applicare la Costituzione nell’ambito delle autonomie locali non avrebbe avuto alcuna portata eversiva, come invece aveva sostenuto Scelba – dichiarava che a suo avviso: “se si può rimproverare di qualche cosa la Costituzione, è di essere stata troppo timida sulla strada delle autonomie locali e sui
controlli degli Enti locali”. Oltretutto, sottolineava, sarebbe stato impossibile
controllare tutti gli atti – che ammontavano a circa 500.000 – ogni anno, di
tutti gli enti e commentava: “Io ritengo che sugli Enti locali non dovrebbe esistere altro controllo se non quello che esiste sugli Enti locali inglesi, cioè un
501
Un sogno infranto dallo scontro con la dura realtà quando in una manifestazione dell’Anci del 28 giugno 1903 al teatro lirico di Milano, a sostegno della richiesta dell’istituto del
referendum per i comuni e per lo sgravio delle spese statali caricate sui bilanci comunali, le masse richiamate dall’Associazione, controllate dai socialisti rivoluzionari e dagli intransigenti, avevano impedito l’intervento dei relatori moderati e fatto degenerare l’evento; Gaspari, L’Italia
dei municipi…, cit., pp. 108-111.
502
Icd lug. 1951, p. 175.
503
La relazione dell’on. Giulio Turchi. Popolo e Comuni per le autonomie locali, Icd lug. 1954,
pp. 175-9.
142 PARTE II
controllo contabile”504. Era difficile mobilitare le masse a difesa dei comuni
con le parole di un giurista come Giannini che a quella che sembrava essere la
parola d’ordine del convegno applichiamo la Costituzione, opponeva la propria
tesi di una Costituzione insufficiente riguardo all’autonomia locale. Quella
che la Lega chiedeva a Bologna nel 1951 era però una mobilitazione politica
utile forse soprattutto alla sinistra per rinserrare le file e restituire un po’ di entusiasmo a politici ed amministratori locali logorati da una difficile realtà com’era quella degli enti locali negli anni ’50, impossibilitati a rispondere alle
esigenze di una cittadinanza spesso molto povera, limitati economicamente da
magri bilanci e politicamente dalle minacce di prefetti e questori. Era probabilmente questo il senso dell’intervento dei rappresentanti della Cgil505 e della
Confederterra506.
Il convegno si concludeva con una mozione nella quale si esprimeva il sostegno al “disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato alla Camera dei
Deputati dagli onorevoli Martuscelli (PCI), Luzzatto (PSI), Bozzi (PLI), Macrelli (PRI), Chiaramello (PSDI) allo scopo di dare iniziale esecuzione ad alcune norme costituzionali in materia [di controlli] di Enti locali”507. L’obiettivo
della Lega era, evidentemente, quello di tradurre in un provvedimento legislativo, la debole mozione sui Controlli approvata nella II assemblea generale dell’Anci svoltasi a Genova nel marzo del 1953 nella quale si chiedeva per i comuni “la riduzione del controllo al solo bilancio” in un ipotetico futuro e ai soli “comuni tecnicamente meglio attrezzati”508. Dopo la fine del congresso, Giulio Turchi, a motivo dell’impegno derivante dalla nomina a questore della Camera dei deputati, lasciava il suo posto di segretario della Lega, dopo 7 anni
passati nella carica, al senatore Francesco Spezzano, sindaco di Acri, in provincia di Cosenza509.
2.6.7. La sinistra italiana e il comunismo sovietico. Le misure contro “le forze
totalitarie”
Il 4 dicembre di quello stesso anno le misure contro “le forze totalitarie”
preannunciate da Scelba il 18 marzo venivano perfezionate e ratificate dal Consiglio dei Ministri. La Lega dei comuni democratici si mobilitava contro quei
provvedimenti, nelle pagine della rivista apparivano articoli di denuncia, come
quello di Massimo Severo Giannini, per il quale le misure contro “le forze toMassimo Severo Giannini, Un passo avanti: applicare la Costituzione, Icd lug. 1954, p. 180.
Onorato Malaguti, I lavoratori sono interessati alla conquista delle libertà comunali, Icd
lug. 1954, pp. 181-2.
506
Giovanni Rossi, I contadini e il comune, Icd lug. 1954, pp. 186-7.
507
La Mozione del convegno, Icd lug. 1954, pp. 189-190.
508
I documenti dell’Anci 1946-1992, vol. I, Stilgraf, Roma, s.d., pp. 27-8.
509
Icd mag.-giu. 1954, p. 137. Spezzano, avvocato, nato ad Acri nel 1903, nel Partito socialista dal 1922, in quello comunista dal 1942, nel 1948 era stato eletto senatore nel collegio
di Crotone; come sindaco veniva ricordata la sua campagna contro il monopolio elettrico della Sme e la lotta per la terra nel Mezzogiorno; Icd mag.-giu. 1954, p. 138
504
505
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 143
talitarie” rappresentavano un pericolo per “la coesistenza pacifica delle classi”510.
L’anno seguente il pericolo rappresentato dall’applicazione di quelle norme veniva denunciato dal segretario, senatore Spezzano, in una interpellanza al Ministero dell’interno. L’intervento al Senato del segretario riguardava le possibili
conseguenze di una circolare del prefetto di Ascoli che chiedeva ai sindaci di inviare l’elenco dei componenti delle locali commissioni elettorali con l’indicazione del partito di appartenenza, in vista probabilmente, dell’applicazione delle norme dell’ormai cessato governo Saragat-Scelba511. L’editoriale del marzo del
1956 dava finalmente notizia di una sostanziale modifica di quelle misure: le
elezioni amministrative fissate per il 27-28 maggio successivo si sarebbero quindi potute svolgere con regolarità512.
La terza tornata elettorale amministrativa repubblicana si svolse in un periodo particolarmente complesso della vita politica nazionale ed internazionale, ed i risultati ebbero un’interpretazione controversa. Le elezioni amministrative del 1956 confermavano, ancora una volta, la particolare soggezione agli avvenimenti della politica nazionale ed internazionale della storia del movimento per le autonomie locali nei primi decenni della Repubblica. Una soggezione
che ha contribuito non poco a far credere ad una sussunzione di quest’ultima
nella storia dei partiti politici.
Alla fine di febbraio di quell’anno si era svolto il XX congresso del Partito
comunista sovietico nel quale il segretario Nikita Chruščëv divulgò il famoso
“rapporto segreto” sull’operato del suo predecessore nella carica, Josif Stalin, sul
cui contenuto, nonostante fin dal marzo circolasse sulla stampa, il segretario del
Pci , Togliatti, mantenne “un atteggiamento estremamente cauto e sostanzialmente difensivo e reticente […, forse anche per] considerazioni tattiche interne connesse con l’imminenza delle elezioni amministrative”. Le notizie sull’opera di Stalin diedero poi motivo al segretario del Psi, Nenni, di iniziare una
presa di distanze dall’alleato Pci, e la sua azione “ricevette un nuovo immediato impulso dalle elezioni amministrative del maggio 1956, nelle quali la caratteristica più rilevante fu il sensibile successo tanto del Psi, quanto – in minor
misura – del Psdi” 513.
Il commento sui risultati elettorali fornito dall’organo della Lega contestava
l’iniziale trionfalismo della stampa governativa, sottolineava l’erosione dei seggi complessivamente a disposizione dei partiti di maggioranza, con uno spostamento di voti verso la sinistra, dalla Dc al Psdi, e, globalmente, un buon risultato dell’opposizione di sinistra. Sostanzialmente, si può commentare, la situazione nelle autonomie locali non era cambiata di molto, e il giudizio de “Il comune democratico” era sibillino: “la battaglia per la formazione di nuove maggioranze è e rimane ancora aperta”514.
Massimo Severo Giannini, Sui provvedimenti di discriminazione, Icd feb. 1955, pp. 3-4.
Politica discriminatoria, Icd giu. 1955, p. 9.
512
Editoriale, Icd mar.1956, pp. 1-2.
513
Carlo Pinzani, L’Italia repubblicana, in Storia d’Italia, IV, t. 3, Dall’Unità a oggi, Torino,
Einaudi, 1976, pp. 2589, 2594.
514
c.d., Considerazioni sui risultati delle elezioni del 27 maggio, Icd lug. 1956, pp. 14-5.
510
511
144 PARTE II
La complessa situazione politica continuava, comunque, a non inficiare il
tentativo della Lega di sviluppare i rapporti con le diverse organizzazioni del
movimento per le autonomie locali, la cui comune condizione di vassallaggio
verso il potere centrale era evidenziata dalla vita stentata delle diverse strutture
dovuta quasi certamente, in gran parte, alla difficoltà di ricevere regolari contributi dai comuni a causa dei divieti delle autorità di controllo. Testimonianza di questa situazione veniva dall’articolo che commentava il prossimo svolgimento dell’assemblea generale dell’Anci del novembre 1956, nel quale si evidenziava: “lo scarso numero dei Comuni aderenti all’Anci, circa 2000 a quanto pare, dei quali solo alcune centinaia in regola con il pagamento dei contributi associativi”. Concludeva l’articolo: “Il nostro augurio è che l’Anci esca dalla Assemblea di Palermo rafforzata, e […] capace di contribuire con la sua forza al rinnovamento e al progresso del nostro paese, sulla strada tracciata dalla
Costituzione repubblicana”515. E non si trattava di un augurio formale. Era la
stessa Lega a protestare, sia attraverso la rivista, sia attraverso l’intervento in
Parlamento del Segretario Spezzano, contro l’annullamento da parte dei prefetti delle delibere di adesione all’Anci, e delle richieste di autorizzazione degli
amministratori a partecipare all’appuntamento di Palermo516. “Il comune democratico” sollecitava gli amministratori popolari a partecipare sia al convegno
dell’Anci, sia a quello, di poco successivo, dell’Upi517.
2.6.8. I problemi della municipalizzazione
Il forte malessere delle autonomie locali alla fine degli anni ‘50 aveva modo di esprimersi nei congressi della Confederazione della municipalizzazione
(Com), dell’Anci e dell’Upi, che si tenevano nel 1957 e, da ultimo, in quello
della Lega dell’inizio del 1958.
Il giudizio della rivista518 sul primo dei congressi, quello della Com, svoltosi a Roma il 15-16 febbraio su Problemi attuali della municipalizzazione era negativo. Commentando i lavori “Il comune democratico” sottolineava che le
municipalizzate non potevano pensare di risolvere i propri problemi aziendali
scaricandoli sui cittadini: “non si può ripiegare se non facendo scontare alle
popolazioni le conseguenze di una situazione di cui esse non sono certo responsabili”. Non era un caso che la stampa, proseguiva la rivista, avesse sintetizzato le conclusioni del convegno con titoli del tipo “Le Municipalizzate
chiedono aumenti di tariffe”, cui il Comitato interministeriale prezzi (CIP)
del Governo, aveva risposto decidendo un aumento del prezzo del gas di 2 lire al m3. Le conclusioni dell’articolo erano durissime: “molte parole e pochi
fatti e questi pochi nella direzione sbagliata, opposta a quella che la CostituM., L’Assemblea generale dell’Anci, Icd 10 1956, pp. 3-4.
Iscrizioni all’Anci, Icd gen. 1957, p. 15.
517
Congresso dell’Anci, Icd feb. 1957, pp. 1-2.
518
Dal gennaio del 1957 “Il comune democratico” mutava il proprio sottotitolo in “Rivista
per gli amministratori degli enti locali. A cura della Lega dei comuni democratici”.
515
516
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 145
zione e gli interessi della popolazione impongono. L’azione degli amministratori democratici ne trarrà le debite conclusioni”519. Un successivo articolo confermava la durezza del giudizio, evidenziando la presenza di una maggioranza
democristiana e socialdemocratica alla guida dell’organizzazione delle aziende
comunali520.
Negli stessi mesi il commento sulla III assemblea generale dell’Associazione dei comuni, tenutasi a Palermo il 28-31 marzo 1957, era invece sostanzialmente positivo. “Dal congresso dell’Anci – riportava l’editoriale di marzo - sono venute fuori delle mozioni votate all’unanimità che pongono in modo preciso e chiaro i vari problemi della vita comunali e con fermezza quelli delle autonomie in genere e della autonomia finanziaria in specie”521. La rivista pubblicava le conclusioni del congresso522 e, in particolare, la relazione del senatore Enrico Minio, esponente della Lega, sul tema Disegno di legge n. 151, presentato al Senato, in materia di tributi locali523. Si sottolineava la denuncia fatta a Palermo dell’arretratezza e dell’insufficienza della normativa in materia:
“la legislazione e la pratica applicazione della stessa [in materia di finanza locale] ha portato i Comuni sull’orlo del precipizio”524. Si insisteva sulla forte
unità di intenti manifestata dall’assemblea, che aveva portato all’entrata nell’esecutivo dell’Anci di un parlamentare del Pci e di uno del Psi, rispettivamente, Umberto Terracini e Giovanni Pieraccini525. Analoga “consapevolezza
ed unità d’intenti” era stata rilevata tra gli amministratori provinciali riuniti
nell’assemblea dell’Upi di Venezia, accompagnata dalla sottolineatura della
“necessità di una più stretta e profonda collaborazione tra amministratori provinciali e comunali”526.
Le speranze accese dalla presenza dei due parlamentari della sinistra nell’Anci, riguardo all’apertura di una nuova fase dei rapporti tra governo ed istituzioni locali sarebbero però andate deluse di lì a qualche settimana, con la formazione del governo monocolore democristiano di Adone Zoli, che pure comprendeva, come sottosegretario all’interno, l’on. Angelo Salizzoni, membro dell’esecutivo nazionale dell’Anci e responsabile dell’Ufficio centrale enti locali
della Dc527.
519
M. Li., Problemi attuali della municipalizzazione. Risultati del convegno dei sindaci indetto dalla C.O.M., Icd feb. 1957, pp. 13-4.
520
La Confederazione delle municipalizzate. Pericolosi atteggiamenti assunti dalla maggioranza nei congressi di Federazione, Icd apr. 1957, p. 22.
521
Un congresso unitario, Icd mar. 1957, pp. 1-2.
522
La III assemblea generale dell’Associazione nazionale comuni italiani, Icd mar. 1957, pp. 3-7
523
Sen. Enrico Minio, La difficile situazione delle finanze comunali, Icd mar. 1957, pp. 8-12.
524
Esigenze autonomistiche, Icd apr. 1957, pp. 1-2.
525
Unità degli amministratori comunali al Congresso dell’Anci. Due dichiarazioni del sen. Umberto Terracini e dell’on. Giovanni Pieraccini, Icd apr. 1957, pp. 3-4.
526
Virgilio Lazzeroni (presidente dell’Amministrazione provinciale di Siena), Note sul congresso dell’Upi, Icd apr. 1957, pp. 7-9.
527
Una nuova delusione per gli enti locali, Icd apr. 1957, pp. 1-2,
146 PARTE II
2.7. Il rilancio della Lega alla vigilia dell’esperienza dei governi di centro-sinistra
Il 1958 fu l’anno “del Primo Congresso Nazionale della Lega dopo quello
costitutivo tenutosi a Firenze il 27 dicembre 1947”528. L’annuncio del congresso sottolineava la concomitanza tra il decennale della rifondazione della Lega,
nel secondo dopoguerra, e quello della pubblicazione della Costituzione529. Al
congresso, anche questo svoltosi a Firenze, dal 31 gennaio al 2 febbraio, parteciparono solo due organizzazioni del movimento per le autonomie locali, l’Anci e l’Associazione nazionale enti di assistenza (Anea), mancavano, invece, l’Upi, l’Uncem e la Com.
Erano presenti invece a Firenze molte altre organizzazioni strutturalmente legate ai partiti della sinistra come la Cgil, l’Alleanza nazionale contadini, l’Unione
donne italiane, la Federazione dipendenti enti locali ed ospedalieri, la Confederazione nazionale dell’artigianato, l’Anpi, l’Unione italiana sport popolare (Uisp),
l’Associazione pionieri d’Italia (Api), l’Associazione ricreativa culturale italiana (Arci)530. Interveniva, infine, un’organizzazione del mondo delle autonomie locali
francese l’Association nationale des elus republicains municipaux et cantonaux531.
Nella città toscana erano rappresentati, in totale, 2.213 enti, dei quali 1.049
attraverso una rappresentanza diretta ed effettiva e 1.164 costituivano “altre
amministrazioni comunali, minoranze consiliari, enti minori rappresentati indirettamente tramite delega regolare”532. Tra i vari interventi si ricordano quelli di Dozza, sindaco di Bologna, del senatore Umberto Terracini e di Emilio Sereni, presidente dell’Alleanza nazionale contadini.
2.7.1. Il primo congresso nazionale della Lega, Firenze 1958
Il congresso si apriva con le relazioni del segretario Spezzano, La Lega: un
fondamentale strumento di lotta costituzionale, e di Michele Lanzetta, L’attuazione delle autonomie locali secondo la Costituzione, nella quale era commentata la
situazione politico-istituzionale complessiva e, in particolare, la mancata attuazione della Costituzione533. Il senatore Spezzano esordiva ricordando, pur senza spiegarne il vero motivo, che quel primo congresso della Lega si teneva a ben
dieci anni dalla fondazione:
“Questo è il nostro primo Congresso e si tiene dopo dieci anni di attività
della Lega per motivi organizzativi e di lavoro quali quelli di darsi degli organi
dirigenti democraticamente eletti, cercare la migliore struttura per la propria
Dopo il Congresso, Icd 1 1958, pp. 1-2.
Il congresso della Lega, Icd dic. 1957, pp.1-2.
530
Era rappresentata anche l’Unione lotta alla tubercolosi (Ult).
531
Icd 1 1958, p. 7. Il legame con l’organizzazione francese sarebbe continuato anche negli
anni seguenti, come dimostrava anche l’articolo di Maurice Bourjol, Prefetti e Regioni nella V
Repubblica, Icd dic. 1964, pp. 28-44.
532
Icd 1 1958, p. 14.
533
Michele Lanzetta, L’attuazione delle autonomie locali secondo la Costituzione. Seconda relazione al Congresso, Icd 1 1958, pp. 8-14
528
529
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 147
organizzazione, che deve potenziarsi e svilupparsi allo scopo di poter convenientemente assolvere i suoi molteplici compiti”.
L’analisi proposta dalla relazione iniziava, naturalmente, dal “campo internazionale”, caratterizzato “dalla crisi del blocco atlantico determinatasi sotto la
pressione sempre crescente del movimento della pace”, cui il governo aveva risposto con l’accentuazione della politica di armamento. Rispetto alla politica
interna “per la lotta delle masse popolari, si è prodotta la crisi del blocco centrista”, a cui il governo aveva risposto con “una sempre più invadente clericalizzazione dello Stato con l’acutizzarsi e moltiplicarsi degli attentati alle autonomie politico-finanziarie degli enti locali e con la mancata soluzione dei problemi
di fondo nella nostra vita nazionale”.
2.7.2. Bilancio di un decennio di attività
Solo dopo questo sommario delineamento della situazione politica internazionale e nazionale - così breve e schematico da apparire più come l’adempimento di un obbligo che un motivato giudizio - Spezzano passava a descrivere
l’attività della Lega e questa limitata, ufficialmente per brevità, agli ultimi tre
anni. Le estese citazioni della relazione permettono di approfondire la complessità e l’ampiezza delle funzioni svolte dalla Lega che - vista la mancanza dell’archivio - non è stato possibile ricostruire altrimenti. Oltre alle iniziative di carattere più specificamente politico-istituzionale di opposizione al governo, che
tanto spazio avevano nella rivista, Spezzano ricordava che:
“Nei vari Ministeri, LL.PP. [Lavori pubblici], Finanze, Interni, Agricoltura,
nei vari uffici, Cassa del Mezzogiorno, Istituti di Previdenza, Ina-Casa, Cassa
DD.PP., [Depositi e prestiti] la Lega ha seguito oltre duemila pratiche e non raramente con esito parzialmente o totalmente positivo. Abbiamo risolto per
iscritto 842 quesiti non sempre facili e molti altri sono stati risolti verbalmente; abbiamo risposto ad oltre tremila lettere. Con n. 76 circolari abbiamo illustrato problemi di natura generale quali la preparazione dei bilanci, l’imposta
di famiglia, le imposte di consumo, le prestazioni d’opera, la composizione delle Giunte provinciali amministrative, ecc.
Inoltre siamo intervenuti direttamente o mediante esposti dettagliati e documentati presso i Ministeri per problemi generali, alcuni dei quali sono stati
risolti secondo la nostra impostazione come, per esempio, la costituzione della
Commissione comunale per i tributi locali, la assunzione diretta delle imposte
di consumo, l’assistenza veterinaria gratuita, la modifica della circolare con la
quale si voleva ancorare l’accertamento per la imposta di famiglia a quello per
le imposte erariali; fatti questi che hanno rappresentato una non scarsa utilità
pratica per le Amministrazioni”.
A questa attività di supporto amministrativo, la Lega ne accompagnava
un’altra sul piano politico-istituzionale, altrettanto importante per la soluzione
dei problemi concreti della realtà locale:
“Abbiamo presentato i seguenti disegni di legge e abbiamo partecipato alla
discussione di tutti quelli interessanti gli enti locali. Ricordiamo:
148 PARTE II
disegno di legge n. 569 presentato al Senato: ‘Esonero degli oneri fiscali sul
canone dovuto ai Comuni dei bacini imbriferi a norma della legge 27 dicembre 1953. n. 959’;
- disegno di legge n. 587 presentato al Senato il 15 giugno 1954: ‘Soppressione degli artt. 131, 133, e 134’;
- disegno di legge n. 1706, presentato in Senato il 25 ottobre 1956: ‘Norme
integrative al T.U. delle leggi generali e speciali riguardanti la Cassa Depositi e
Prestiti, approvato con R.D. 2 gennaio 1953, n. 453’”.
2.7.3. Le campagne sul diritto di voto e per i comuni montani
Sempre in ambito politico-istituzionale, la Lega aveva promosso due campagne, la prima di carattere politico diretta “alla difesa del diritto di voto, della sua segretezza, alla netta opposizione contro le manovre ministeriali tendenti a privare ingiustamente dell’elettorato attivo e passivo centinaia di migliaia di
cittadini”. Si era trattato di una iniziativa condotta in vari ambiti: “da quello
parlamentare a quello giudiziario, dalla pubblicistica alla denuncia orale, e con
l’aiuto e l’appoggio di altre organizzazioni e dei partiti di sinistra ha già suscitato l’interesse di politici, studiosi, giuristi e di grandi strati della popolazione
frenando così le manovre dell’Esecutivo. Questo successo iniziale, in seguito all’accoglimento delle nostre tesi da parte dell’autorità giudiziaria e dopo un movimento favorevole dell’opinione pubblica, è stato coronato dalla legge 26 marzo 1956 che modifica l’art. 2 della legge n. 1058 e riconosce il diritto al voto a
molte categorie di cittadini che ne erano esclusi […] circa un milione di cittadini”.
Della seconda campagna si sottolineavano, soprattutto, gli effetti di carattere economico. Comuni e province non si difendevano solo politicamente ma
anche garantendo loro maggiori risorse. Questo che nei disegni della Lega – al
pari delle altre organizzazioni del movimento per le autonomie locali - costituiva un obiettivo primario, veniva ricordato quasi con imbarazzo, molto probabilmente perché le energie che erano state profuse per raggiungerlo erano state giudicate eccessive dalla direzione più propriamente politica, questo nonostante le risorse reperite venissero destinate a quello sviluppo economico essenziale per il benessere dei cittadini:
“L’altra campagna cui ci riferiamo è quella relativa alla applicazione delle leggi
27 dicembre 1953 e 4 dicembre 1956 rispettivamente sui comuni dei bacini
imbriferi montani e su quelli rivieraschi.
Abbiamo seguito questa materia con tanta continuità, interesse e passione
che tante volte ci sembrò esagerare. Ma il nostro interesse per l’applicazione,
onesta ed integrale di tali leggi non è stato determinato solo, e vorrei dire
nemmeno prevalentemente, dalla utilità economica pur rilevantissima per i Comuni, utilità che si traduce in una entrata straordinaria di circa 7 miliardi all’anno.
La nostra lotta ha avuto ed ha una prospettiva più ampia di politica amministrativa, cioè quella di servirci della legge 27 dicembre come arma contro il
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 149
monopolio elettrico. Infatti il legislatore, accogliendo le nostre richieste, ha riconosciuto per i Comuni la facoltà di avere dalle società elettriche invece del
canone in denaro e fino alla concorrenza della somma dovuta, la stessa energia
elettrica a condizioni di assoluto favore”.
I comuni montani potevano avere, finalmente, energia a buon mercato per
lo sviluppo della propria economia:
“Si tratta di circa due miliardi di chilowattora all’anno che, intelligentemente utilizzati e sfruttati, costituiranno, senza dubbio, un potente mezzo di
confronto e di controllo e quindi di efficace lotta contro lo strapotere del monopolio e, nello stesso tempo, un’arma per aiutare il progresso, se è vero, come
è vero, che una delle cause della arretratezza delle zone depresse del nostro Paese e dell’arresto di sviluppo di altre zone, va ricercata proprio nello strapotere
di detto monopolio”.
Spezzano passava poi ad illustrare la funzione dell’organo ufficiale, “Il comune democratico”. La rivista svolgeva una essenziale funzione di raccordo tra
gli amministratori e come mezzo di pressione sia verso il governo , sia verso la
Pubblica amministrazione nel suo complesso:
“il governo e i suoi organi periferici, le amministrazioni lontane da noi, le altre
associazioni degli Enti locali, la Cassa Depositi e Prestiti, gli Istituti di previdenza, in breve verso poteri, enti associazioni la cui attività, direttamente o indirettamente, è legata a quella dei Comuni, delle Provincie e degli altri Enti locali”.
2.7.4. Le questioni organizzative
A questo lungo elenco di successi Spezzano faceva seguire un’analisi dell’organizzazione, di cui lamentava un’insufficiente crescita sul piano provinciale:
“La verità è che, specie nella periferia, la nostra organizzazione deve crescere e svilupparsi e potenziarsi. Infatti finora un po’ per le nostre forze limitate,
un po’ perché non sempre né dappertutto il problema degli Enti locali è stato
convenientemente valutato, un po’ anche per altre condizioni obbiettive locali,
non in tutte le Province siamo riusciti ad avere, come è augurabile, una nostra
Lega provinciale con sede propria e con una sua continua e costante attività”.
Il segretario proponeva quindi due elenchi dalla chiarissima funzione pedagogica, tanto simili erano alla classica divisione tra buoni e cattivi: l’obiettivo
era premiare i primi e stimolare, con il rimprovero pubblico, i secondi. Tra i
buoni vi erano le province politicamente più operose: Arezzo, Bologna, Caserta, Cremona. Firenze, Grosseto, Mantova, Milano, Modena, Pavia, Pesaro,
Reggio Emilia, Rovigo, Siena, Vercelli, Tra i cattivi erano citate le province di
Alessandria, Novara, Cremona, Terni, Perugia, Ravenna, Catanzaro, Cosenza,
tutte deficienti per attività, nonostante la forte presenza di comuni amministrati dalla sinistra.
In linea di massima, come non mancava di sottolineare Spezzano, “nell’Italia centro-settentrionale le Leghe vi sono ed un considerevole numero delle
stesse è attivo ed efficiente. Nell’Italia meridionale tranne pochi casi isolati di
150 PARTE II
Leghe realmente efficienti, le altre o hanno una vita saltuaria o mancano del
tutto”.
Il segretario sottolineava poi l’importanza dell’attenzione al “problema della
montagna. È noto infatti che i Comuni montani sono i più deboli e quindi più
bisognevoli di aiuto, senza dire che hanno problemi particolari e in molti campi godono di una legislazione speciale”.
Altrettanta attenzione si sarebbe dovuta garantire verso “le aziende municipalizzate che, convenientemente sviluppate e dirette, costituiscono tra l’altro un
mezzo efficace per la lotta contro il monopolio e per l’attuazione dell’art. 43
della Costituzione, prospettive queste che dovranno essere sempre più popolarizzate e vivificate dall’appoggio delle numerose categorie interessate; prospettive rese più attuabili dal recente sganciamento delle Aziende IRI dalla Confindustria”.
Delineando quindi il futuro dell’attività della Lega, Spezzano, molto significativamente, sottolineava l’importanza dei rapporti con le altre organizzazioni, infatti, l’avvenire sarebbe stato:
“condizionato in buona parte dal modo come verranno risolti due quesiti:
Quali debbono essere le funzioni e i compiti della nostra Lega in presenza di
altre Associazioni unitarie come l’ANCI, l’UPI, l’UNCEM, l’ANEA?
Dovrà la nostra Lega ridurre la propria attività esclusivamente o prevalentemente alla assistenza e consulenza, o dovrà avere, come finora ha avuto, incrementandola se del caso, anche una funzione di orientamento nella attività politico-sociale amministrativa degli Enti locali?”.
2.7.5. La natura della Lega ed il rapporto con le altre organizzazioni
Spezzano, quindi, metteva in diretta relazione il futuro della Lega con il rapporto che si sarebbe dovuto sviluppare con le altre organizzazioni del mondo
delle autonomie locali e con l’attività che esse svolgevano. Da una parte era evidente alla direzione della Lega che solo un’azione il più possibile unitaria di tutte le organizzazioni avrebbe potuto dare qualche possibilità di successo alle iniziative promosse. Dall’altra, il carattere più propriamente istituzionale ed ufficiale delle altre organizzazioni sottolineava l’insostituibilità della funzione specificamente politica ed antigovernativa della Lega. Ma questa funzione di opposizione netta al governo non aveva fini puramente propagandistici, di partito, non serviva solo ad aumentare i voti dei partiti democratici, ma aveva l’obiettivo, dichiarato, di stimolare le altre organizzazioni a non rimanere schiacciate in un comodo ruolo di supporto alla politica decisa dal governo:
“La presenza di altre organizzazioni unitarie, infatti, lungi dal costituire un
ostacolo alla nostra Lega, la rende maggiormente indispensabile proprio per
quella funzione di incoraggiamento, di stimolo e di richiamo che finora, sia
pure con molte deficienze, ha svolto e la rende sempre più necessaria anche per
collegare e coordinare in seno a dette associazioni la attività dei nostri aderenti [...] È innegabile, inoltre, per esempio, che se la ANCI ha assunto alcune
posizioni sulle autonomie, sull’imposta di famiglia, sul dazio consumo, ciò è
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 151
dovuto anche al fatto che analoghe e più vaste posizioni erano state prese dalla nostra Lega [...] Ed è innegabile ancora che se l’UNCEM ha preso alcune
iniziative ed ha fatto dei passi avanti sia per quanto riguarda la preparazione e
l’applicazione delle leggi 959, 991, 4 dicembre 1956 relative ai Comuni dei
bacini imbriferi montani, alla montagna, ai Comuni rivieraschi, ciò è in gran
parte dovuto, anche, alle nostre chiare posizioni prese in Parlamento, sulla
stampa, nella nostra organizzazione, nei Ministeri, nella stessa sede dell’UNCEM”.
Rispetto al secondo quesito, se ridurre o meno l’attività della Lega ad una
consulenza di tipo tecnico-amministrativo, la risposta era scontata. Se era evidente, infatti, che molti dei problemi concreti degli enti locali avevano bisogno
di risposte di carattere tecnico-amministrativo che solo una organizzazione efficiente e preparata poteva dare - od aiutare a dare -, era altrettanto evidente che
la soluzione o, quanto meno, la ricerca di soluzioni a problemi più complessi,
poteva venire solo da un intervento politico-istituzionale:
“Noi crediamo che l’interrogativo sarà giustamente risolto approvando e tenendo fede allo Statuto che prevede per l’appunto, insieme con l’assistenza tecnico-giuridica, attività più ampie e di maggiore respiro come l’attuazione dell’autonomia, l’orientamento e il coordinamento delle attività degli Enti locali,
la formazione di organismi che facilitino la partecipazione più intensa ed estesa dei cittadini alla vita amministrativa anche allo scopo di elevarne la educazione e la preparazione civica. Compiti questi che non possono essere singolarmente guardati né si possono perseguire enucleandoli l’uno all’altro. Sono
questi problemi e fattori connessi fra di loro, se non addirittura diversi aspetti
di una comune realtà di fondo”.
2.7.6. Le prospettive politiche
La risposta che Spezzano dava alla domanda sulla funzione della Lega, solo
tecnico-amministrativa o anche politico-istituzionale, evidenzia l’elemento che
caratterizza e qualifica tutta la storia dell’organizzazione. La Lega dei comuni
democratici accanto ad una attività politico-istituzionale diretta verso l’alto, insieme a quella delle altre organizzazioni degli enti locali, per ottenere dal governo riforme complessive che dessero maggiore autonomia agli enti locali, ne
svolgeva altre due, peculiari della Lega. La prima era, orizzontale, di stimolo rispetto alle organizzazioni consorelle, la seconda verso il basso, verso i cittadini,
con l’obiettivo di stimolare la partecipazione diretta al governo ed all’amministrazione locale attraverso “la formazione di organismi che facilitino la partecipazione più intensa ed estesa dei cittadini alla vita amministrativa anche allo
scopo di elevarne la educazione e la preparazione civica […] Il Comune al Popolo e il Popolo al Comune non è uno slogan, ma una meta che ogni democratico vuole raggiungere e per la quale lotta”534.
534 Francesco Spezzano, La Lega: un fondamentale strumento di lotta costituzionale. Prima relazione al Congresso, Icd gen. 1958, pp. 3-7.
152 PARTE II
Anche Lanzetta, nella sua relazione, poneva la questione se la Lega dovesse
avere una funzione di “direzione politica” od un carattere “eminentemente tecnico”. La sua risposta era simile a quella di Spezzano ma più di lui azzardava - in
anni nei quali la fedeltà all’ideologia ed al programma politico era un’esigenza
assoluta – la prevalenza di una funzione tecnica della Lega la cui azione: “non
potrà che essere massimamente avveduta e perciò non astratta; quindi sostanziata di dimostrazioni continue di massima capacità tecnico-amministrativa”.
Subito dopo, a bilanciare un’affermazione che poteva essere interpretata come
eccessivamente squilibrata verso tematiche tecniche, diceva: “ma non dimentica mai che l’interpretazione ed il soddisfacimento dei bisogni popolari sono fatti eminentemente politici […] esemplari amministrazioni debbono essere le
nostre, ed onestamente popolari, appunto nella tradizione dalla quale è derivata gran parte delle autonomie che oggi sono nella Costituzione”535.
2.7.7. La battaglia per la pace e le relazioni internazionali
Tra gli interventi svolti nel corso del congresso deve essere ricordato quello
del senatore francese Waldeck L’Huillier segretario nazionale dell’Association
nationale des elus republicains municipaux et cantonaux. Questa presenza sottolineava una rinnovata attenzione verso le organizzazioni municipali internazionali che, per qualche tempo, prendeva il posto delle notizie sulle autonomie
locali dei Paesi socialisti apparse nell’organo della Lega con una certa regolarità fino al 1953 e praticamente cessate dal 1956, l’anno della denuncia dei crimini dello stalinismo in Russia536.
Sono molti gli elementi di particolare interesse contenuti nell’intervento di
Waldeck L’Huillier. In primo luogo la sottolineatura dell’opportunità di stabilire “fra le nostre due Associazioni legami solidi e fruttuosi. amichevoli e fraterni. In secondo luogo la sottolineatura del fatto che in Francia i comuni erano soggetti a gravi limitazioni della loro autonomia nonostante, proprio come
in Italia:
“la nostra Costituzione, votata nel 1946, preveda che le collettività locali si
amministrino liberamente sotto l’autorità del loro presidente, i Comuni francesi non godono ancora delle libertà municipali.
La riforma delle finanze locali, promessa da 58 anni, è costantemente e sistematicamente differita. Le formalità amministrative sono lunghe, complesse,
scoraggianti; i prestiti si ottengono difficilmente; le sovvenzioni necessarie ai lavori pubblici sono ridotte a zero.
Edouard Herriot, che fu sindaco di Lione durante un mezzo secolo, poteva
scrivere recentemente che il regime al quale sono sottoposti i municipi francesi è odioso e che costituisce talvolta una vera pagliacciata”.
Lanzetta, L’attuazione delle autonomie locali secondo la Costituzione…, cit.
Fu nel 1958 che riapparvero nella rivista notizie sugli enti locali dell’Est europeo: Luigi
Ciofi degli Atti, I Soviet locali nell’URSS, Documentazione Italia-URSS, 7; Icd ago. 1958, p.
212.
535
536
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 153
Come in Italia, ancora, ma con maggior forza, visto che la Francia sosteneva il peso di guerre coloniali da circa vent’anni, in Algeria e Indocina, i comuni francesi erano impegnati nella battaglia per la pace. E proprio per combattere meglio questa battaglia L’Huillier proponeva una modalità di rapporto tra
comuni assolutamente nuova, che si andava sviluppando nell’Europa degli anni ’50 del ‘900, il gemellaggio tra comuni”537. La politica dei gemellaggi, promossa in particolare, ma non solo, dai comuni francesi della sinistra a partire
dalla fine degli anni ‘40 verso città e paesi della Germania e dell’Est europeo538,
si diffondeva così anche in Italia a partire dai comuni associati alla Lega.
Al termine del congresso venivano approvati una risoluzione conclusiva e lo
statuto. Nella risoluzione conclusiva del congresso, oltre alla richiesta di attuazione della Costituzione, alla denuncia della normativa fascista ancora vigente,
alla richiesta di mobilitazione dei cittadini in favore degli enti locali, conteneva un interessante richiamo alla questione finanziaria coerente con l’accenno al
problema contenuto nello statuto: “Il Congresso respinge nel modo più categorico l’infondata accusa di dissipazione rivolta ai Comuni e alle Provincie, e la
direttiva espressa dall’on. Ministro delle finanze con la locuzione: ‘spendere meno’, e dichiara che le funzioni degli enti locali non debbono essere diminuite e
soffocate, ma al contrario ampliate ed adeguate alle legittime necessità delle popolazioni interessate. Esso riafferma l’esigenza che la riforma della finanza locale [..., e] l’ampia concessione di mutui per lavori pubblici dalla Cassa Depositi e Prestiti”. Non mancava naturalmente, in conclusione, l’appello alla pace:
“Il Congresso […] sente il dovere di esprimere la volontà delle popolazioni che
esso rappresenta di agire con coerente fermezza al fine di salvaguardare la pace
dell’Italia e del mondo”539.
E l’impegno della pace sarebbe continuato, con tenacia immutata, negli anni successivi. Ai tradizionali appelli dei singoli comuni, come sempre soggetti
alle ire censorie prefettizie540, si accompagnavano le notizie sulle attività delle
organizzazioni dei comuni, nuova modalità attraverso la quale si esprimevano
le iniziative per l’amicizia tra i popoli, come quelle della Fédération mondiale
des villes jumelée, alla quale si invitavano i comuni ad aderire541. All’aperta simpatia dimostrata verso quell’organizzazione corrispondeva la denuncia verso il
movimento europeista che si mobilitava in quegli stessi anni in Italia e in Europa e che attraverso il Consiglio dei comuni d’Europa, coinvolgeva anche i comuni542.
537
Waldeck L’Huillier, Il saluto degli amministratori francesi ai loro colleghi italiani, Icd gen.
1958, pp. 24-5. All’appello di L’Huillier rispondevano subito 8 comuni, 5 dei quali emiliani:
Imola, Carpi, Castelnuovo, Mirandola e Modena, e quindi Sarzana, Bagno a Ripoli e Giulianova.
538
Antoine Vion, Superare i conflitti: il gemellaggio tra città europee dopo la seconda guerra
mondiale, in Dogliani, Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni..., cit., pp. 249-272.
539
La risoluzione conclusiva del Congresso di Firenze, Icd gen. 1958, pp. 27-8.
540
I Comuni per la pace, Icd mag. 1959, pp. 132-3.
541
, Il Congresso delle città gemellate, Icd nov. 1959, pp. 364-5.
542
Ruggero Laurelli, “Europeismo”: minaccia mortale per le autonomie locali, Icd apr. 1953,
pp. 85-6.
154 PARTE II
Dopo qualche anno di oscuramento, alla fine degli anni ‘50, riappariva e si
rinnovava sotto forma di rapporti tra organizzazioni di enti locali anche il culto idealistico verso le autonomie locali dei Paesi socialisti. Così, la visita di una
delegazione della Lega all’omologa struttura della Cecoslovacchia543 dava modo
di sviluppare il panegirico dell’autogoverno locale di quella nazione socialista544.
2.7.8. Lo statuto
Lo statuto approvato dal congresso era quasi certamente il primo dalla fondazione della Lega, considerato che la bozza, presentata ne “Il comune democratico” del luglio 1948, non pare essere mai stata votata, né essersi trasformata in un vero e proprio statuto. L’art. 1 sanciva il cambiamento della denominazione in “Lega nazionale dei comuni democratici, regioni, provincie ed enti
minori”, che veniva definita “unione di amministrazioni e amministratori”. Era
sulla base di questo articolo che la rivista, dal gennaio 1958, era a cura “A cura
della Lega dei Comuni Democratici, Regioni, Province ed Enti minori”.
Le novità più essenziali venivano dal riconoscimento dell’organizzazione come struttura al servizio di enti ed amministratori e dalla scomparsa di un obiettivo più propriamente politico quale era quello della promozione di consulte
popolari e consigli tributari, presente all’art. 2 della bozza del 1948. Molto significativamente il nuovo art. 2 stabiliva come obiettivo, in primo luogo “l’attuazione dell’autonomia dei comuni, delle provincie e degli enti locali anche
sotto l’aspetto finanziario e il loro sviluppo in senso democratico” 545.
2.7.9. La Lega e l’Anci rafforzano le proprie strutture e l’attività tecnicoamministrativa
In sostanza con il suo nuovo statuto la Lega, dal 1958, dava più spazio alla
propria natura di organizzazione politico-istituzionale, riconosceva l’importanza della questione finanziaria nella realtà delle autonomie locali ed articolava
meglio la propria struttura interna. Il congresso del decennale puntava ad un
rilancio dell’attività dell’organizzazione, quasi a prepararla alle sfide che sarebbero venute, di lì a qualche tempo, dai cambiamenti politici che si sarebbero
verificati con la partecipazione del Partito socialista italiano ai governi di centro-sinistra. Questo rilancio, ancora una volta, avveniva quasi in concomitanza
con un analogo passo dell’Anci. L’Associazione, all’indomani della III assemblea che si era svolta a Palermo tra il 28 ed il 31 marzo 1957, aveva avviato una
profonda ristrutturazione della propria struttura. Fu a seguito del congresso di
Una delegazione della Lega nazionale dei Comuni in visita agli Enti locali cecoslovacchi, Icd
dic. 1959, p. 396; Alessandro Seppilli, Come operano gli enti locali nella Repubblica cecoslovacca, Icd dic. 1959, p. 398.
544
Michele Lanzetta, La capacità formativa e propulsiva primaria dell’autogoverno locale, Icd
feb. 1960, pp. 47-51.
545
Lo statuto della Lega nazionale, Icd gen. 1958, p. 26.
543
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 155
Palermo che venne deciso il passaggio della segreteria dall’anziano Renato Vicard, ad un giovane democristiano di origine pugliese, Giovanni Santo, che
avrebbe dedicato la propria vita allo sviluppo dell’organizzazione, di cui fu segretario fino al 1986.
Primo passo in questo senso fu l’apparizione nel dicembre del 1957 del bollettino ufficiale dell’Anci, “Notiziario Anci”, che accompagnò ancora per qualche tempo la tradizionale pubblicazione degli atti ufficiali all’interno del mensile di carattere tecnico-giuridico “Il corriere amministrativo”. E proprio nel
“Notiziario Anci” era stato pubblicato, per la prima volta, il testo di una lettera aperta ai Ministri dell’interno e della sanità scritta dal presidente della Com,
senatore Corbellini, nella quale questi protestava contro gli ostacoli frapposti
da Prefetture e GPA contro le farmacie comunali546.
Se nella seconda metà degli anni ’50 l’Anci decideva di pubblicare un proprio bollettino ufficiale, la Lega, che aveva avuto sin dall’inizio una vera e
propria rivista, consolidava le basi finanziarie ed allargava la propria presenza editoriale: anche questo era un segnale del progressivo rafforzamento dell’organizzazione della Lega avvenuto dalla seconda metà degli anni ’50. A
partire dal 1956, e soprattutto dal 1958, aumentavano gradualmente le inserzioni pubblicitarie di ditte commerciali e gli annunci di bandi di concorso per impieghi presso comuni e province pubblicati ne “Il comune democratico”547.
Un segnale della stabilizzazione e dell’incremento delle entrate dell’organizzazione veniva anche, in particolare, dall’annuncio, apparso alla fine del 1959,
della pubblicazione de “L’Agenda 1960 dell’Amministratore democratico. Edita a cura della Lega Nazionale dei Comuni democratici”. Ai lettori, che ormai
si abbonavano regolarmente, si proponeva l’acquisto di agende, che costituivano, anche, uno strumento di finanziamento dell’attività editoriale della Lega.
Per favorire maggiormente lettura e diffusione della rivista si proponeva all’attenzione dei lettori un questionario di due facciate Per il miglioramento e lo sviluppo della rivista Il comune democratico548.
All’Agenda sarebbero seguite altre pubblicazioni della “Edizioni Lega dei comuni democratici” che, nel gennaio 1962 erano poco meno di una decina e soprattutto di argomento tecnico549. Un decennio più tardi, nei primi anni ‘70 le
546
Red., La Confederazione delle Municipalizzate per l’istituzione delle farmacie comunali, Icd
gen. 1959, pp. 13-4.
547
Tra i primi inserzionisti della rivista si segnalano l’editrice Feltrinelli e la Olivetti, mentre successivamente comparivano gli Editori Riuniti, casa editrice ufficiale del Pci, e ditte produttrici delle merci più diverse (come materiale di segreteria, televisori, laterizi, ecc.). Nello
stesso periodo sparivano i tradizionali solleciti ad abbonarsi alla rivista, che venivano sostituiti
da annunci pubblicitari della rivista stessa.
548
Per il miglioramento e lo sviluppo della rivista Il comune democratico, Icd nov. 1960
549
Le pubblicazioni indicate in una manchette pubblicitaria allegata agli Indici dell’annata
1963, della rivista della Lega erano Gli enti locali e l’agricoltura, I comuni per lo sviluppo delle
scuola pubblica, La colonia di vacanza, Costituzione della Repubblica italiana, Agenda dell’amministratore democratico, Regolamento interno per il funzionamento del consiglio comunale, I comuni e l’imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili.
156 PARTE II
proporzioni dei titoli erano pressoché invertite, a vantaggio dei volumi di impostazione politica e storico-politica550.
2.8. Una moderna organizzazione riformista per la trasformazione democratica
dello Stato
2.8.1. Il congresso di Torino nel centenario dell’Unità d’Italia
Il 1961 fu un anno decisivo nell’evoluzione della Lega. Fu quello l’anno del
III congresso che, molto significativamente, si svolse a Torino nel quadro delle
celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia ma anche nel pieno della lenta
e complessa evoluzione politica che avrebbe portato i socialisti al governo alla
fine del 1963, quasi a rispondere ad una sfida politica in una doppia prospettiva da un punto di vista sia storico, sia contemporaneo. Torino, oltretutto, non
era importante solo dal punto di vista della costruzione dello Stato nazionale,
in quanto capitale del Regno sabaudo dalla quale era partita l’iniziativa per l’unificazione d’Italia, ma, come ricordava Gino Castagno, lo era anche dal punto di vista della storia dell’autonomia comunale, perché era stata anche la sede
della prima riunione dei comuni, avvenuta del 1879551. L’appuntamento era
stato preparato come mai era avvenuto in precedenza, con l’obiettivo di sollecitare una partecipazione il più possibile consapevole dei delegati e, al termine,
ancora per la prima volta, sarebbero stati pubblicati gli atti integrali con tutti
gli interventi. Prima dell’appuntamento nazionale erano stati tenuti dei congressi provinciali di preparazione, alcune delle relazioni erano state pubblicate
nei mesi precedenti l’appuntamento ed il numero della rivista di marzo-aprile,
quello distribuito prima del congresso svoltosi a giugno, conteneva il documento con le tesi predisposte dalla direzione.
La crisi degli enti locali italiani, era scritto nel documento, in particolare per
le vecchie norme accentratrici in vigore, era ormai gravissima. Il sempre più
grave divario tra Nord e Sud, tra città e campagna, le fortissime migrazioni interne, la stessa costituzione del Mercato comune europeo – di cui si paventavano le pesanti conseguenze sulla inadeguata struttura amministrativa nazionale – evidenziavano la necessità di profonde riforme che avrebbero dovuto coin550
Questi i titoli pubblicizzati in una pagina alla fine del fasc. del dicembre 1973 de “Il comune democratico”: Lorenzo Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’Unità al fascismo;
Valeria Erba, L’attuazione dei piani urbanistici; Piero Calandra, Giuseppe Troccoli (a cura di),
Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni, saggio introduttivo di Franco Bassanini; Domenico Davoli, Consiglieri comunali, provinciali e regionali; Gli Statuti regionali, prefazione di
Salvatore D’Albergo; “…Allora… più si studia più si diventa amici del padrone?”, Enzo Modica,
I comunisti per le autonomie; Atti della conferenza nazionale di solidarietà con i popoli delle colonie portoghesi. Reggio Emilia 25-25/3/1973; Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Francesco Strobbe, Riforma urbanistica 1973; Le autonomie e la politica culturale, Quaderni delle Autonomie
locali de “Il comune democratico”; Franco Ferrarotti, Fascismo di ritorno; Atti del VI congresso
nazionale della Lega per le autonomie e i poteri locali. Perugia 14-17 dice. 1972.
551
Gino Castagno, Il congresso nazionale della Lega nel quadro del Centenario a Torino, Icd
gen. 1961, pp. 20-22.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 157
volgere anche gli enti locali. Era in questo contesto che l’attuazione della regione e, più in generale, l’applicazione della Carta costituzionale, diventava
sempre più urgente.
Veniva quindi ricordato l’impegno della Lega negli ultimi anni, in particolare le campagne per la raccolta di firme per la costituzione del Fondo nazionale per la montagna e per l’attuazione della Regione; la lotta contro i monopoli
elettrici e quella contro i latifondi in collaborazione con l’Associazione dei contadini meridionali; la promozione dei gemellaggi tra le città italiane, quelle dell’Est europeo e dei paesi ex coloniali; l’attività contro gli arbitrii prefettizi. Venivano evidenziati i problemi organizzativi interni alla Lega, legati, soprattutto, ad una oltremodo eccessiva disparità tra la diverse forze delle realtà regionali
e provinciali.
Il documento riaffermava e, soprattutto, spiegava, come mai era avvenuto
prima, la natura della collaborazione della Lega con gli “organismi unitari degli
Enti locali (Anci, Upi, Anea, Uncem, Com, ecc.). La Lega non può né deve confondersi con queste associazioni che svolgono una loro attività particolare, spesso preziosa, ognuna nel suo settore specifico […] alla Lega spetta, invece, un
compito più generale e più impegnativo di continua propulsione democratica e
costituzionale nei riguardi di tutti gli Enti locali, grazie alla mobilitazione, quanto più coordinata ed organizzata possibile, delle forze amministrative”.
La discussione, a Torino, si sarebbe dovuta concentrare sull’attuazione della
Regione, sull’estensione delle funzioni della Provincia, sul rinnovamento del Comune, sulla promozione della partecipazione dei cittadini all’attività dell’ente locale. Si chiedeva l’attribuzione agli enti locali di una effettiva autonomia finanziaria, ma anche di nuovi poteri, come la tutela dell’ordine pubblico552. La Lega,
infine, sollecitava gli amministratori alla mobilitazione per la riforma della legge comunale e provinciale; allo sviluppo dei contatti con gli enti locali di altri
paesi, chiedeva l’impegno, in particolare, degli enti locali delle regioni a statuto
speciale affinché divenissero protagonisti delle politiche regionali553.
2.8.2. La critica all’Anci e la riflessione sulla continuità del socialismo riformista
nella storia del movimento comunale
A rammentare il ruolo dei comuni della sinistra nella storia nazionale, subito dopo il saluto della rivista ai congressisti, veniva riprodotta in forma anastatica la prima pagina del periodico “La lega democratica”, “il giornale che dette
il nome alla lista con la quale le forze popolari, il 27 ottobre 1889, conquista-
552
Una richiesta, quest’ultima, evidentemente legata alla polemica, vivissima in quegli anni, sull’utilizzo della forza pubblica in funzione antioperaia e antisindacale. Una richiesta sicuramente irricevibile dal governo di allora, per ragioni di sicurezza nazionale, ma di grande significato democratico.
553
La Lega nazionale dei comuni democratici, Problemi nuovi e programmi di attività nei dibattiti dei Congressi delle Leghe, Icd mar.-apr. 1961, pp. 83-88.
554
[Didascalia], Icd giu. 1961, p. 176.
158 PARTE II
rono il primo Comune, Imola”554. Ma il richiamo storico più forte era senza
dubbio costituito dalla pubblicazione dell’articolo di Gaetano Salvemini per il
congresso di fondazione dell’Anci nel 1901. Le critiche di Salvemini all’Anci,
simbolizzavano la continuità della funzione di critica e di stimolo verso l’organizzazione dei comuni che i socialisti avevano svolto sin dall’inizio della storia
dell’organizzazione unitaria dei comuni555.
Anche l’Associazione dei comuni, da parte sua, avrebbe partecipato alla riflessione storica sollecitata dalle celebrazioni per il centenario dell’Unità ma, diversamente da come aveva scelto di fare la Lega, separando nettamente i due
momenti, quello storico e quello politico. L’Anci celebrava il proprio 60° anniversario a Parma l’11 ottobre 1961 con la relazione di un giovane, Gabriele De
Rosa, che nella sua ricerca sottolineava il ruolo dei cattolici e di Luigi Sturzo in
particolare556. Ma poi, quasi a sancire la separazione tra i due momenti, i delegati dell’Anci si trasferivano a Venezia dove, dal 12 al 15 ottobre, si svolgeva il
congresso vero e proprio.
Per la Lega, invece, la storia costituiva un momento di riflessione essenziale,
di richiamo alla comprensione della realtà presente. In primo luogo l’interpretazione dei fatti storici sollecitava la critica all’Anci per gli insuccessi nella sua
attività, dovuti al tradimento ed all’abbandono dei principi costitutivi originari, che erano stati invece ripresi e vivificati dalla Lega di oggi. Un così forte accento sulla storia della lotta dei comuni iniziata nel 1901 - se non addirittura
con la riunione del 1879, come ricordava Castagno - serviva quasi a sottolineare l’idea che la battaglia politico-istituzionale dei comuni sarebbe stata lunga. Ma l’idea della continuità della storia del movimento comunale tra l’esperienza della Lega dei comuni socialisti e la Lega dei comuni democratici era viziata da una omissione fondamentale: il fatto che la Lega dei comuni socialisti
fosse stata chiusa nel 1922 per volontà della maggioranza massimalista del Psi
e che lo stesso Partito comunista con la sua condotta rispetto all’organizzazione, avesse contribuito all’idea di una Lega che fosse semplice strumento di partito e quindi, come tale, assolutamente dipendente in tutto e per tutto dal partito stesso.
La tradizione che la Lega del secondo dopoguerra seguiva era quella del riformismo di Caldara e Matteotti, la tradizione di un riformismo che aveva trovato nel movimento comunale la possibilità di esprimere le proprie potenzialità ed attraverso il quale aveva cercato di contribuire all’evoluzione in senso democratico della società e delle istituzioni. Ma le caratteristiche di quella continuità erano molto, molto controverse.
Ad esempio, era in nome della continuità che, a Milano, era stata fatta la
nomina di un sindaco socialista, Antonio Greppi, riconoscendo così “il ruolo fondamentale che il socialismo milanese aveva esercitato in campo amministrativo prima del fascismo, soprattutto con le giunte Caldara e FilippetGaetano Salvemini, L’autonomia comunale e il congresso di Parma del 1901, Icd giu.
1961,pp. 178-182.
556
Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,
1962.
555
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 159
ti”. Lo stesso Partito socialista “non rinnegava questo legame, che anzi esaltò”, ma, come sottolinea Punzo, la vera natura della rivendicazione di questo legame “costituisce un problema di una certa rilevanza”. Il Psi, a Milano,
“era fortemente diviso tra coloro che si consideravano gli eredi del vecchio
riformismo […] e coloro che consideravano, in vario modo, il riformismo
un ramo secco ed una esperienza sorpassata, se non fallimentare”. E se pure
il riconoscimento a livello locale della validità dell’esperienza riformista fosse stata effettiva e non puramente propagandistica, questo non aveva quasi
alcun effetto sul piano nazionale. Come evidenzia Punzo: “vi fu del resto,
anche [allora], nel secondo dopoguerra, come già prima del fascismo, la tendenza tra i socialisti a lasciare che si occupassero di problemi amministrativi coloro che maggiormente credevano all’esistenza di un profondo legame
tra l’azione politica nel paese e nel parlamento e quella negli enti locali.
Questo potrebbe spiegare anche la sordità che il Partito socialista, come gli
altri partiti, ebbe a livello politico nei confronti dello sviluppo dell’autonomia comunale”557.
2.8.3. Le richieste di autonomia locale inascoltate a livello nazionale
Punzo non scioglie la questione sul valore effettivo della rivendicazione della continuità tra il riformismo socialista del periodo liberale e la politica del
Psi del secondo dopoguerra, ma analogamente a quello che lui ha scritto per
il Partito socialista, è possibile affermare che anche nel caso dell’organizzazione degli enti locali della sinistra, quando pure la rivendicazione della continuità tra la politica riformista della Lega dei comuni socialisti e la Lega dei comuni democratici, fosse stata sincera e non strumentale, le possibilità che il significato più profondo dell’esperienza riformista e, quindi, le possibilità che le
richieste di autonomia locale venissero ascoltate sul piano nazionale, erano
pressoché nulle.
Nel caso di Amicare Locatelli, però, l’orgogliosa rivendicazione della continuità da lui compiuta nel 1949 era assolutamente sincera. In quell’anno, nel
rievocare la storia della Lega dei comuni socialisti, aveva accennato solo ai nomi dei riformisti Caldara, Matteotti, Zanardi e Campanozzi. Locatelli e aveva
poi concluso l’articolo riportando una confidenza di Caldara il quale, ormai
alla vigilia della morte, gli avrebbe detto: “che gli rincresceva di non vedere il
gran giorno della liberazione ma era sicuro che la Lega dei Comuni sarebbe risorta e il socialismo avrebbe continuato la sua strada verso la meta luminosa”.
Era questo un importante omaggio ad un grande socialista riformista il cui avvicinamento in tarda età, a Mussolini - che peraltro lo snobbò -, gli era costato l’allontanamento dagli ambienti antifascisti. Per Locatelli il socialismo non
avrebbe potuto essere altro che riformista e la rinascita della Lega, tanto desiderata da Caldara, diveniva niente di meno che un passo in direzione dell’avPunzo, Amministrazione e politica a Palazzo Marino…, cit., pp. 630-1; il corsivo è redazionale.
557
160 PARTE II
vento del socialismo: “L’estremo desiderio del nostro compagno si è avverato:
la nostra Lega è risorta e il Socialismo è in cammino: nessuno, proprio nessuno, lo fermerà”558.
Nel 1949 Locatelli rivendicava, attraverso la storia della Lega, e negli articoli sul suo passato nei comuni dell’Italia liberale559, la continuità del riformismo in nome dell’unità del movimento della sinistra. La verità, la notizia che
erano stati i massimalisti a volere la fine della Lega, lui non la poteva scrivere
allora, perché sarebbe stata molto probabilmente fonte ulteriore di divisione tra
i socialisti e in tutta la sinistra di fronte ad un governo centrale che bisognava
battere. No, non poteva certo essere Locatelli fonte di divisione nella sinistra,
lui che aveva cercato di evitare la scissione del 1921560.
Attraverso il movimento comunale, e più in generale in quello per le autonomie, i socialisti riformisti avevano promosso valori che non erano propri solo del socialismo ma anche dei cattolici di Sturzo, quali erano la promozione
della partecipazione popolare al governo della cosa pubblica e di un’amministrazione diretta allo sviluppo ed alla difesa delle classi più deboli, nel quadro
di una concezione pluralista dell’organizzazione politico-istituzionale ed economica del Paese. Un riformismo che nulla aveva a che fare con l’idea di rivoluzione né con la pratica politica e l’organizzazione delle istituzioni locali dei vari paesi dell’Est europeo che pure continuavano ad essere illustrate come fossero esempi di democrazia. La Lega dei comuni democratici, dal 1961, anche attraverso la discussione ed i primi accenni ad una pratica democratica al proprio
interno, era un’organizzazione che apparteneva alla tradizione riformista italiana, anche se nessuno voleva riconoscerlo apertamente.
2.8.4. La difesa della Costituzione
Il termine “riformismo” non è contenuto nell’articolo nel quale Michele Lanzetta ricorda l’anniversario dell’Anci. Lanzetta cita estesamente l’articolo di Salvemini del 1901 ed esprime un giudizio sfavorevole a proposito dell’Associazione del
periodo liberale che confermava anche per il periodo repubblicano: “Il difetto era
di sistema e di metodo. Mancò infatti il proposito generale ed effettivo di una lotta a fondo; e mancarono conseguentemente le conquiste essenziali […, Ieri] La
vecchia Associazione avrebbe dovuto muoversi per un’azione in certo senso rivoluzionaria e le mancò il coraggio adatto; [Oggi] l’Anci invece è venuta meno al suo
dovere elementare semplice e chiaro, riducendosi così […] a strumento di coper558
Amilcare Locatelli, La prima Lega dei comuni socialisti, Icd dic. 1949, p. 164; ripubblicato in Icd dic. 1957, pp. 3-4. Da segnalare che secondo Locatelli nel 1919 alla Lega aderivano 2000 comuni su 8000 e 25 amministrazioni provinciali su 75.
559
Amilcare Locatelli, Un consiglio comunale di un tempo”. Dal libro dell’on. sen. Locatelli,
sindaco di Binasco, Icd mar.-apr. 1950, p. 118.
560
Amilcare Locatelli, Nei comuni conquistati. Il pensiero sul Congresso, “Avanti!”, 16 gen.
1921, p. 2.
561
Michele Lanzetta, I sessant’anni dell’Anci, Icd, set. 1961, pp. 333-6; ripreso in Corghi, La
Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3)…, cit. p. 10071.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 161
tura di un’azione subdola e sostanzialmente sovversiva contro la Costituzione”561.
La sinistra impegnata nel movimento per le autonomie locali aveva confinato nel passato la rivoluzione, cui anche l’Anci di Sturzo avrebbe dovuto contribuire. In quegli anni l’obiettivo era la salvaguardia della Costituzione e dei
suoi principi fondamentali che per il movimento per le autonomie locali si traduceva, in primo luogo ma non solo, nella salvaguardia del principio costituzionale della promozione delle autonomie locali.
2.8.5. La natura politico-tecnica della Lega
Molte, ampie e complesse erano le relazioni, troppo lungo sarebbe citarle
tutte562, ed erano diversi gli interventi di carattere tecnico svolti nel dibattito563.
Tra questi ultimi si segnala quello di Antonio Cederna, in qualità di consigliere comunale di Roma, Mozione sui Piani urbanistici e sui Piani regolatori dei Comuni italiani564, che preannunciava una significativa apertura di credito della
Lega verso la questione urbanistica565.
Tra gli altri interventi si citano, per alcuni significativi accenni alla natura
della Lega, quelli di Dozza e del presidente della provincia di Pisa Antonino
Maccarrone, nominato segretario della Lega proprio in quel congresso. Il sindaco di Bologna concludeva il suo intervento dichiarando: “Io penso che la nostra Lega non abbia solo una funzione di carattere assistenziale o tecnico, nei
confronti dei nostri comuni: è un’attività questa utile, ma non è l’attività fondamentale. L’attività fondamentale è che la Lega riesca ad esercitare una grande funzione di carattere politico, nel senso di sbloccare certe situazioni che sono bloccate da anni” favoriti in questo proposito dalla sensazione che tra cattolici e socialdemocratici vi erano “spostamenti” significativi566. L’avv. Maccar562
Se ne accenna ad alcune che, come nel caso di quella del sen. Michele Lanzetta, L’ente locale: cardine dell’ordinamento costituzionale nella società italiana, anche solo nel titolo, sottolineano una centralità ed un protagonismo istituzionale degli enti locali riconosciuto solo recentemente dall’ordinamento. L’altra relazione era di Leopoldo Piccardi, Gli enti locali dall’Unità d’Italia alla Costituzione repubblicana.
563
Quello di Franco Berlanda, consigliere provinciale di Torino, Sullo sviluppo urbanistico
dei comuni e la pianificazione regionale; di Aldo Tassoni, membro della giunta provinciale amministrativa di Milano, dedicato a La riforma della finanza esigenza fondamentale degli Enti locali. Tra i dati da lui forniti si citano quelli relativi al 1912-13, quando lo Stato assorbiva il 73
% del “prelevamento tributario globale” ed i comuni il 27%, nel 1961 passati, rispettivamente, all’80% ed al 20%; dal 1938 al 1958 le entrate dello Stato aumentate dell’82%, quelle dei
comuni solo del 60%. Poi si ricorda l’intervento dell’on. Francesco Giorgio Bettiol, di Belluno, Problemi e impegni per la difesa dei montanari per una trasformazione democratica della vita
della montagna.
564
Tutti gli interventi citati sono pubblicati in Atti del terzo congresso nazionale della Lega dei
comuni democratici, Torino 20-30 giugno 1961, numero speciale, Icd lug.-ago 1961.
565
Da segnalare, su questo tema, la pubblicazione di un numero doppio dell’organo della
Lega con articoli, tra gli altri, dell’urbanista Giuseppe Campos Venuti (Problemi di indirizzo
della pianificazione urbanistica) e di Alberto Caracciolo (Aspetti della speculazione edilizia nella
capitale alla fine del’’800), Icd nov.-dic. 1963.
566
Un impegno generale per imporre l’attuazione dell’Ente Regione.
162 PARTE II
rone affermava che il compito della Lega era porre “con decisione il compito di
promuovere, orientare e rendere concreto, tutto il movimento che tende a riformare lo Stato e renderlo effettivamente democratico secondo i profili della
Costituzione repubblicana”567.
2.8.6. La nuova direzione
Al termine dei lavori del congresso veniva nominata la nuova direzione della Lega i cui nomi, e anche questa era una significativa novità, venivano pubblicati: “Presidenza: on. Gino Castagno, on. Ludovico Corrao; on. Giuseppe
Dozza, on. Mauro Ferri, on. Alberto Guidi, dott. Antonino Maccarrone, dott.
Vittorio Martuscelli, avv. Leopoldo Piccardi, on. Bruno Villabruna; Segreteria
generale: avv. Luigi Ciofi degli Atti; sen. Michele Lanzetta568. La nuova direzione, riunitasi il successivo 19 luglio a Roma, a Palazzo Marignoli, chiedeva alle
sezioni provinciali di promuovere riunioni per “popolarizzare” i risultati del
convegno, il rinnovo della mobilitazione per l’attuazione della regione - in particolare quella del Friuli-Venezia Giulia - anche in collegamento con i deliberati della XX assemblea dell’Upi e sempre in stretto contatto con il movimento regionalista. La direzione, infine, chiedeva la partecipazione all’assemblea
dell’Anci di Venezia del 12-15 ottobre dedicata a Le autonomie locali in una politica di sviluppo569.
La nuova atmosfera politica nazionale contribuiva quasi certamente ad
animare anche l’Anci ad una maggiore incisività delle prese di posizione rispetto al Governo. L’assemblea dell’Associazione riunita a Venezia approvava
la modifica dello statuto ed una lunga mozione nella quale si chiedeva il coinvolgimento dei comuni nella politica di sviluppo gestita dal governo, nella
quale erano condensate le conclusioni delle mozioni approvate dai gruppi di
lavoro I voti dei gruppi di lavoro chiedevano la riforma della legge comunale e provinciale, della finanza locale, della normativa sulle aziende municipalizzate, una nuova politica fiscale per le aree fabbricabili, l’istituzione dell’ordinamento regionale, delle regioni autonome del Friuli-Venezia Giulia e della Sardegna. Niente di particolarmente nuovo, era però possibile rinvenire nel
testo una maggiore articolazione e complessità delle richieste e, soprattutto,
un tono meno conciliante con il governo. Nella mozione del gruppo di lavoro relativo alla riforma della legge comunale e provinciale, ad esempio, era
scritto testualmente che: “il progetto di legge dell’on. Scelba non corrisponde alle sopra prospettate esigenze soprattutto in quanto prescinde dalla realtà costituzionale e legislativa della Regione”570. Non a caso, nei mesi successi567
Per un deciso intervento degli Enti locali sulle questioni della sanità. Su questo interessante personaggio cfr. Michele Battini, Antonino Maccarrone. L’autonomia, base della democrazia,
in Elena Fasano Guarini (a cura di), La provincia di Pisa (1865-1990), Bologna, Il mulino,
2004, pp. 323-394.
568
La nuova presidenza e la segreteria generale della Lega dei Comuni.
569
Compiti immediati.
570
I documenti dell’Anci 1946-1992…, vol. I, cit., pp. 41-50.
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 163
vi la Lega chiedeva all’organizzazione di attuare i voti approvati a Venezia forte del fatto che la mozione conclusiva era stata votata “unitariamente”571 e,
quindi, anche con i voti degli amministratori dei comuni socialisti e comunisti.
Luigi Ciofi, Amministrazioni locali e nazionalizzazione dell’energia elettrica, Icd giu.
1962, pp. 171-2.
571
PARTE III
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI
1. Gli anni del centro-sinistra
1.1. Gli sviluppi della municipalizzazione dopo la legge del 1903
L’esistenza di una relazione diretta tra l’affermazione del “municipalismo” e
lo sviluppo delle aziende comunali spiega la sostanziale contemporaneità tra le
prime manifestazioni del movimento comunale e la comparsa dei servizi pubblici municipalizzati, promossi non solo per favorire lo sviluppo ma anche per
rimuovere gli ostacoli allo sviluppo posti dalle imprese private che gestivano i
servizi per i cittadini in regime di monopolio. In particolare su quest’ultimo
punto scriveva Montemartini: “nasce quasi come pubblica funzione del Municipio questa di combattere il monopolio, d’aiutare il consumatore alle prese
collo sfruttamento di un privato imprenditore […] Talché ogni cittadino sarà
tutelato come consumatore contro i pericoli del monopolio, come ogni cittadino ha l’eguale protezione, da parte dello Stato, contro gli assassini od i ladri”572.
Sulla scia delle affermazioni di Montermartini si potrebbe affermare che, in
Italia, la lotta dei comuni contro il monopolio della gestione della cosa pubblica da parte dello Stato e quella contro il monopolio dei servizi urbani da parte
dei privati avevano il medesimo obiettivo: dare una più pronta ed efficace risposta alle esigenze delle collettività cittadine.
Il fascismo non attaccò frontalmente le municipalizzate se non in quanto
considerate espressione dei partiti democratici e dopo i primi anni, particolarmente critici, la situazione si stabilizzò. Furono poche le aziende comunali che
scomparvero, ancor meno le nuove, ma quelle esistenti riuscirono a sopravvivere. Sarebbe stato troppo impopolare, anche per una dittatura come quella fascista, attentare ad una delle più autentiche espressioni dell’identità e dell’orgoglio comunale ora che i municipi erano passati sotto il diretto controllo dei
podestà fascisti. Ma, come ricorda Giuliano Pischel, fu durante il fascismo che
iniziò la produzione della “legislazione occulta” contro le aziende municipalizzate573, così definita da Massimo Severo Giannini, perché pur non riguardandole direttamente andava a limitare fortemente le loro capacità: “ConformeIvi, p.417.
Giuliano Pischel, La municipalizzazione in Italia ieri, oggi, domani, Confederazione della municipalizzazione, Roma, 1965, pp. 228-9.
572
573
166 PARTE III
mente all’uso indigeno la legislazione manifesta serve per la facciata. Quella occulta serve ai detentori del potere effettivo per tenere sotto controllo le organizzazioni municipali”574.
Il ripristino della vita democratica non portò alle autonomie locali il ruolo
e i poteri ad esse attribuiti dalla Costituzione e non fu quindi d’impulso all’espansione del settore, ma almeno, e non fu cosa da poco, consentì nel 1947 alle municipalizzate di ricostituire la propria organizzazione nazionale, la Com575.
Era evidente che la questione delle municipalizzate, al pari di quella dell’autonomia locale, non era legata esclusivamente all’esistenza di un regime democratico, né all’affermazione di quei partiti, come il socialista ed il cattolico, che
più di altri avevano difeso il ruolo dei municipi e promosso l’attività economica comunale nel primo ’900, ma alle scelte delle classi dirigenti riguardo all’assetto politico-istituzionale ed economico del Paese.
È stato così che anche nel caso delle aziende municipali l’influenza esercitata dalle comunità e dai governi locali sulle politiche statali ha continuato a risolversi, sostanzialmente, nella richiesta di concessioni, più o meno di favore,
senza possibilità di intervento e senza responsabilità politiche nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo complessivi, in vista dei quali pure quelle concessioni venivano ufficialmente accordate. Si consolidava così negli anni della
Repubblica un meccanismo perverso avviato nell’Italia liberale che ha spesso
costretto le municipalizzate - analogamente a quanto accadeva per le iniziativa
di più diversa natura promosse dai comuni - ad un’applicazione delle norme
che Giannini, con un’espressione di estrema efficacia, ha definito “sulle frange
della legalità”576.
1.2. La nazionalizzazione dell’energia elettrica
Per quanto riguarda le autonomie locali, fu in questo contesto che venne elaborata e realizzata, nel 1962, la riforma che diede luogo alla nazionalizzazione delle aziende private del settore dell’energia elettrica ed alla costituzione dell’Enel (Ente nazionale per l’energia elettrica, L. 6 dicembre 1962, n. 1643), la prima più importante riforma scaturita dalla prospettiva di governo di centro-sinistra. Fu questa un’ennesima prova che la marginalizzazione delle autonomie locali, promossa
durante il durante regime liberale e sviluppata in quello fascista, venne mantenu574
Massimo Severo Giannini, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende, “La Municipalizzazione. Organo ufficiale della Confederazione della municipalizzazione. Rassegna mensile ed economica dei pubblici servizi” (LM), gen. 1954, p. 49.
575
Assemblea straordinaria delle aziende municipalizzate, AD giu.-lug. 1947, pp. 24-5; Lucio Ciofi degli Atti, Che cos’è la Confederazione delle aziende municipalizzate, AD ago.-set. 1947,
pp. 12-3.
576
“L’istanza storica dell’autonomia comunale – ha scritto Giannini - non ha trovato sbocco, ma solo degli accomodamenti successivi e di compromesso, che stanno sulle frange della legalità”, M. S. Giannini (a cura di), I comuni. Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione. L’ordinamento comunale e provinciale, vol. I, pubblicazioni
dell’Isap, Neri Pozza, Vicenza, 1967, p.46.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 167
ta anche nell’Italia repubblicana, e di quanto fosse ampio e variegato il ventaglio
delle forze che condividevano l’idea di una gestione centralista della gestione complessiva del Paese. La nascita dell’Enel non avveniva nel solco del riformismo che
si era espresso storicamente attraverso il movimento per le autonomie locali.
Venne completamente dimenticato il ruolo svolto dalle aziende elettriche
municipali - dal punto di vista economico la parte più importante dell’intero
settore delle municipalizzate - rispetto ai colossi elettrici privati sia durante il
fascismo sia, soprattutto, dal secondo dopoguerra. In loro assenza le imprese
private avrebbero senza dubbio fatto pagare un prezzo ancora più pesante alla
collettività nazionale se avessero potuto esercitare la loro attività in regime di
assoluto oligopolio, senza l’azione di disturbo delle aziende municipalizzate.
Scriveva a questo proposito Pischel nel 1965: “Per circa un dodicennio, dal
1950 al 1962, data della nazionalizzazione elettrica, esse [le aziende comunali
elettriche] si trovarono sostanzialmente sole a difendere gli interessi degli utenti e della collettività, sia di fronte alla invadenza degli interessi privati di società e gruppi, sia di fronte all’arrendevolezza della burocrazia”577.
La nazionalizzazione del settore elettrico, fortunatamente, non comportò la
scomparsa delle municipalizzate elettriche esistenti - che pure in qualche momento sembrò possibile – ma bloccò l’istituzione di nuove aziende comunali del
settore e, soprattutto, causò una loro ulteriore marginalizzazione sulle “frange
della legalità”. Riporta a questo proposito un testo del 1999: “Le aziende elettriche locali rifiutarono – concretamente – l’autorità dell’Enel e lo stesso Enel si
rese conto della scarsa opportunità della norma [che avrebbe obbligato le municipalizzate alla richiesta di una concessione per l’esercizio della propria attività],
evitando di sollecitarne – per esempio, in sede giudiziale – l’applicazione”578.
Di fatto fu, ancora una volta, la forza politica delle autonomie locali, la storia pluridecennale di aziende che avevano operato nei comuni in nome e per il
benessere dei cittadini ad impedire la cancellazione delle municipalizzate elettriche e, nonostante le difficoltà, durante il periodo repubblicano queste, insieme al settore delle municipalizzate in generale, riuscirono a rafforzarsi anche in
presenza del monopolio dell’Enel. Rimase quindi valida, anche per i decenni
successivi, l’espressione mista di stupore ed ammirazione con la quale Giannini concludeva il suo scritto sulle municipalizzate del 1954 che costituisce uno
dei maggiori riconoscimenti della vitalità e della forza del movimento comunale: “Tuttavia non vi è dubbio che l’esperienza concreta dei servizi municipalizzati si chiude sempre con un bilancio positivo, e ciò ad onta della legislazione vigente. E questo fatto, che si presenta quasi come miracoloso, costituisce
una vivente conferma della bontà dello strumento”579.
Pischel, La municipalizzazione…, cit., p.316.
Giuseppe Caia e Alessandro Lolli, Profili giuridici e normativi, in Piero Bolchini (a cura
di), Storia delle aziende elettriche municipali, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 81; si rinvia a questo volume per un esame più approfondito della questione e della storia della municipalizzate
elettriche in Italia.
579
Giannini, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende…,
cit., p. 64.
577
578
168 PARTE III
1.3. Il movimento delle autonomie locali e l’istituzione dell’Enel
L’istituzione dell’Enel diede origine ad un vasto dibattito che divise il movimento comunale, anche indipendentemente dall’appartenenza politica di ciascuno, tra i difensori della prospettiva di un’unica azienda nazionale e quelli
che, pur appoggiando la nazionalizzazione, chiedevano che le aziende elettriche
municipalizzate continuassero la propria attività.
La Lega e l’Anci si espressero a favore di un’unica azienda nazionale attraverso le rispettive direzioni, gli organi nei quali più forti erano i legami con quei
partiti che a livello nazionale, in modo sostanzialmente unitario, avevano deciso la nascita dell’Enel. Per la Lega il segretario Luigi Ciofi, scriveva che “l’azienda nazionale [doveva] essere unica” mentre le aziende municipalizzate si sarebbero dovute occupare unicamente della distribuzione, rinnovate nelle dimensioni e nelle strutture580. La direzione dell’Anci sostenne una posizione sostanzialmente analoga, esprimendo nel consiglio nazionale svoltosi a Roma il
22 settembre 1962: “il positivo interesse e la piena adesione dei Comuni al
provvedimento di nazionalizzazione dell’energia elettrica” e chiedeva al governo che i provvedimenti relativi all’“Enel nel decentramento della sua organizzazione e nel perseguimento dei suoi compiti, tengano conto delle nuove responsabilità dei comuni, dei quali, in questa particolare prospettiva l’Anci si
conferma interprete e collaboratrice”581.
La pubblicazione di un documento espresso da un’apposita commissione di
studio dell’Anci, pubblicato con rilievo nella rivista della Lega, testimoniava l’esistenza all’interno delle due organizzazione di settori che sostenevano una ben
più decisa difesa delle aziende elettriche municipali analoga a quella espressa
dall’organizzazione delle aziende municipalizzate, la Com.
Nel documento si ricordava che della nazionalizzazione “i comuni possono
essere considerati i precursori con la creazione più che semisecolare delle Aziende Municipalizzate, affermatici del principio del pubblico intervento nel campo dell’energia elettrica”, che le aziende municipalizzate andavano mantenute
perché con la loro storia “hanno ampliamente dimostrato di essere la espressione più concreta delle esigenze di autonomia delle popolazioni e cioè del diritto e della capacità che hanno le singole comunità locali di gestire direttamente i pubblici servizi” e, infine, si esprimevano preoccupazioni in merito all’ampio potere discrezionale attribuito all’Enel riguardo allo svolgimento dell’attività delle municipalizzate582.
Qualche tempo dopo anche la Lega avrebbe ufficialmente posto la questione non solo dell’utilità ma della necessità della continuità della funzione delle
aziende municipalizzate elettriche in un articolo significativamente intitolato
Enel e democrazia, nel quale si sosteneva che la questione dei rapporti tra le
580
Luigi Ciofi, Amministrazioni locali e nazionalizzazione dell’energia elettrica, Icd giu.
1962, pp. 171-2.
581
I documenti dell’Anci 1946-1992…, vol. I, cit., p. 122.
582
Alessandro Agrimi, Problemi dell’Enel e dell’assistenza sanitaria all’esame del Consiglio nazionale dell’Anci, Icd set. 1962, pp. 263-8.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 169
aziende comunali elettriche ed Enel non era un problema tecnico-industriale
ma un problema politico, un problema di democrazia che doveva trovare una
soluzione in Parlamento583.
1.4. Tra l’autonomia dai partiti e l’unità del movimento per le autonomie
locali
Alla fine del 1963 un editoriale del segretario Lanzetta poneva la questione
dell’istituzione delle regioni, per la prima volta, nel contesto dei nuovi equilibri politici nazionali seguiti alla partecipazione al governo del Psi guidato da
Pietro Nenni584. Il titolo, Elusioni non più tollerabili, poteva anche tradursi con
l’espressione o adesso o mai più. L’istituzione delle regioni era compresa nelle dichiarazioni programmatiche del governo “quale condizione di una politica democratica di piano”, era stata reclamata non solo dalla Lega, ma anche da Upi
ed Anci, “la quale ultima aveva parecchio polemizzato col ministro Scelba ed in
genere col Governo sollecitando l’ordinamento regionale”. La DC, però aveva
preferito “mollare” sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica ma continuava
a bloccare le regioni. I motivi della riaffermazione di questo blocco venivano
chiaramente indicati dalla DC attraverso le dichiarazioni dei dirigenti politici e
gli articoli sull’organo di stampa, “Il popolo”: non vi erano ancora le condizioni politiche necessarie e sufficienti. E allora? Scriveva Lanzetta: “Allora tocca a
noi muoverci […] non prenderemo certamente la ‘santa carabina’, né penseremo di poter fare tutto nella Lega […] Dovremo conseguentemente compiere
ogni sforzo di sollecitazione e di coordinamento del nostro lavoro con quello
delle altre Associazioni di Enti ed amministratori – Anci ed Upi in particolare
– nonché con quello dei sindacati, della cooperazione e dei vari organismi democratici”. Le ragioni che “resero necessarie prima del fascismo la nascita della
Lega dei comuni socialisti, ed a fine ’47 la costituzione della nostra Lega” erano sempre più valide585.
Ma, come metteva in evidenza “Il comune democratico”, nemmeno la Lega
era immune da critiche. Se era vero che, come ricordava spesso l’organizzazione degli amministratori della sinistra, l’Anci, nonostante la vicinanza ai partiti
di governo “non è mai riuscita a farsi ascoltare e a farsi prendere sul serio. Meno ancora – ed è facile capire il perché – è riuscita a farsi ascoltare la voce della Lega dei Comuni democratici”.
Italo Taddia, Enel e democrazia, Icd gen. 1964, pp. 38-44.
I Governo Moro (4 dic. 1963 – 2 lug. 1964), coalizione politica DC-Psi-Psdi-Pri.
585
Michele Lanzetta, Elusioni non più tollerabili, Icd nov.-dic. 1963, pp. 1-4. Sempre
Lanzetta, in un altro articolo segnalava in particolare l’inconsistenza delle affermazioni proregionaliste di Aldo Moro, e le parole di un altro democristiano, il giurista Lucifredi che
riconosceva l’impossibilità dell’istituzione delle regioni perché “ “rappresenterebbero focolai di ribellione e forza d’urto, non già contro il predominio burocratico ma contro le istituzioni democratiche”; Michele Lanzetta, Regioni secondo Costituzione, Icd feb. 1963, pp.
43-5.
583
584
170 PARTE III
1.4.1. La rivista apre alla discussione. Nello schieramento autonomistico salta
la distinzione netta tra governo e opposizione
L’articolo del repubblicano Zuccarini, il primo di una serie dedicata alle situazione delle autonomie locali in Europa, partendo dal commento dell’analisi dei rapporti tra enti locali e Stato in diversi paesi dell’Europa occidentale,
commentava che in Italia il vero problema era che quando si passava dagli “ordini del giorno” dei congressi ai fatti concreti, quello che seguivano sia l’Anci
sia la Lega era il “metodo dei ritocchi e degli aggiustamenti alle vecchie leggi e
al sistema vigente”, come nel caso dei segretari comunali. Una nota della redazione in calce all’articolo, che additava a modello l’esempio delle autonomie locali in alcuni paesi europei, sottolineava che da sempre la rivista aveva combattuto per l’attuazione della Costituzione e, quindi, per cambiare radicalmente la
situazione delle autonomie locali in Italia, compresa quella dei segretari comunali rispetto ai quali “abbiamo sostenuto e sosteniamo che essi debbono dipendere dagli Enti locali”586.
Con la pubblicazione dell’articolo di Zuccarini nel 1963 la Lega evidenziava una rinnovata apertura verso personalità non direttamente legate alla sinistra
che si sarebbe sviluppata sempre più negli anni successivi, contemporaneamente all’ampliamento degli orizzonti politici della vita politica nazionale.
Il problema era che la strada delle riforme era molto difficile. Come ben sapeva anche il riformista Sturzo quando disse che: “L’idea delle libertà comunali deve farsi strada penetrando nella coscienza civile del Paese, non con la voce
tronfia del comizio, né con l’ubriacatura della rivolta, ma col perseverante lavoro intellettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elettori
e studiosi”587. Di questo la Lega se ne rendeva conto, anche se non in modo
chiaro ed esplicito. Così, anche se non si arrivava al riesame dei giudizi sull’Anci
di Sturzo,se ne rivalutava, simbolicamente, la figura. Era questo il significato
della pubblicazione nella rivista della Lega di un inserto fotografico nel quale la
fotografia di Luigi Sturzo, era pubblicata accanto a quella di Gaetano Salvemini, nella pagina che precedeva quelle di Rodolfo Morandi ed Antonio Gramsci588.
La fine del periodo più difficile della battaglia della Lega per la promozione
dell’autonomia locale e in difesa delle amministrazioni della sinistra era conclusa. Ne era testimonianza anche il nuovo formato ed il nuovo contenuto dell’organo della Lega che, nel 1964 appariva in un nuovo formato, con inserti fotografici589, ed nuovo sottotitolo: “Il comune democratico. Rivista delle auto586
Oliviero Zuccarini, Gli enti locali in Italia e fuori d’Italia, Icd feb. 1963, pp. 46-8. Su
Zuccarini, esponente storico del partito repubblicano cfr. Federico Paolini, L’ esperienza politica di Oliviero Zuccarini. Un repubblicano fra Mazzini, Mill e Sorel, Venezia, Marsilio, 2003.
587
L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana sociale” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 4; già citato nella Parte prima.
588
Icd dic. 1965.
589
Le fotografie pubblicate erano le più varie: moderni edifici per abitazione, progetti di edifici pubblici, piani regolatori, fotografie aeree di città, manifesti comunali per la mobilitazione
dei cittadini, articoli di giornali relativi a particolari situazioni comunali, ecc.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 171
nomie locali”. L’organo della Lega, sia nell’aspetto, sia nel contenuto, assumeva le caratteristiche di un periodico di studio e di approfondimento, tecnico e
culturale.
Le ragioni che avevano portato ad un così forte deciso mutamento della rivista erano spiegate nell’editoriale di apertura. Per la complessità e la varietà dei
problemi “il metodo della discussione [era] il più adeguato”, anche perché “oggi lo schieramento diciamo così autonomistico non viene più a coincidere con
la tradizionale distinzione fra forze di opposizione e forze di governo, ma su
ogni singolo problema, sulle sue soluzioni non mancano, anche all’interno dei
singoli gruppi e partiti politici, diversi punti di vista, che è bene siano esposti
senza remore sulle colonne della nostra rivista, e che senza remore siano discussi
dai dissenzienti; solo così, crediamo, potremo far valere tutto il rilievo, la forza, il peso degli Enti locali nella costruzione di uno Stato democraticamente articolato”590.
L’apertura della stagione del centro sinistra che, è possibile commentare in
modo forse troppo netto, ma sicuramente efficace, aveva rotto l’illusione che il
centralismo fosse sostenuto solo dalle forze al potere al governo nazionale, aveva dato nuova forza al metodo democratico della discussione, e per dirla con le
parole di Sturzo un metodo che si basava anche sul “perseverante lavoro intellettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elettori e studiosi”.
Nello stesso numero, un articolo del cattolico Aldo Capitini sull’esperienza
dei Centri di orientamento sociale a Perugia nel secondo dopoguerra, di cui
esaltava la funzione di sostegno alla partecipazione democratica dei cittadini al
governo locale591, evidenziava l’ampiezza dell’apertura politica del dibattito
aperto dalla Lega, attraverso la sua rivista. All’apertura politica ne corrispondeva un’altra altrettanto significativa di carattere tecnico. Accanto ai tradizionali
articoli sulle questioni relative agli enti locali ed all’attività delle loro organizzazioni, ne apparivano altri dedicati alla programmazione economica, urbanistica e territoriale, all’agricoltura ed a molte altre, comprese questioni di interesse politico-culturale, come la Resistenza. Riapparivano, infine, gli antichi richiami all’impegno degli iscritti per l’aumento degli abbonamenti, che si sarebbero nuovamente ripetuti, con assiduità, in ogni fascicolo.
1.4.2. La Lega incontra il governo: Nenni e Giolitti
Il 1964 fu l’anno nel quale, per la prima volta nel periodo repubblicano, una
delegazione della Lega incontrò due esponenti socialisti del governo nazionale:
il 23 gennaio il Vicepresidente del consiglio, Pietro Nenni, ed il 1° febbraio il
Ministro del bilancio, Antonio Giolitti. A Nenni la Lega chiese, in particolare,
in attesa dell’istituzione delle regioni, la fine dei controlli sugli enti locali esercitati dal prefetto e dalla Gpa, limitandoli al solo controllo di legittimità e di
merito sotto forma di invito al riesame. A Giolitti vennero poste le questioni
590
591
Ai lettori, Icd gen. 1964, 1-4.
Aldo Capitini, Democrazia diretta e controlli dal basso, Icd gen. 1964, pp. 45-7.
172 PARTE III
del ruolo di regioni ed enti locali nella politica di programmazione economica,
e della finanza locale. Il primo rimandò la questione delle regioni a future, prossime riunioni del Consiglio dei ministri e si dichiarò favorevole all’abolizione
dei controlli ed alla loro modifica in senso costituzionale. Il secondo “ha assicurato che le organizzazioni nazionali degli Enti locali ANCI, UPI, Lega dei comuni, eccetera, saranno consultate dall’ufficio del piano unitamente ai vari istituti di studi regionali esistenti in numerose regioni d’Italia”592. Anche la Lega,
come l’Anci, aveva dunque i suoi incontri con il governo nazionale, ma la presenza nell’esecutivo del Psi non avrebbe garantito alle autonomie locali alcuna
soddisfazione delle loro richieste.
All’iniziativa ai massimi livelli istituzionali la Lega continuava a accompagnare quella a livello locale. Era così che alla promozione della partecipazione
dei cittadini alla politica tributaria comunale degli anni ’40 e ’50 attraverso i
consigli tributari, succedeva all’inizio degli anni ’60, sulla scia dello sviluppo
economico di quegli anni, l’iniziativa della “consulta regionale degli assessori ai
tributi [Crat] dell’Emilia-Romagna”. Il Crat dell’Emilia-Romagna, si era riunito per la prima volta a Carpi nel 1963 “per affrontare i vari e complessi problemi dell’applicazione pratica dell’imposta sugli incrementi di valore delle aree
fabbricabili”, Invim, da poco istituita dal Parlamento e diventò presto protagonista di concrete iniziative sul piano locale e di proposte di stimolo all’Anci affinché promuovesse l’impegno, sul piano locale e su quello nazionale, in particolare, contro l’evasione dell’imposta e per l’impegno di un’azione unitaria dei
comuni593.
1.4.3. L’analisi di Lanzetta sul rapporto della Lega con i partiti della sinistra.
Il IV congresso nazionale
Il 1965 fu l’anno del IV congresso nazionale della Lega, il dibattito fu ancora più ampio di quello del precedente congresso, e venne aperto da un articolo del segretario apparso nell’”Almanacco socialista” nel 1962 a seguito del
III congresso ma, evidentemente, ancora attuale. Il fatto è che la questione affrontata, la “ricerca di una piena e salda autonomia e funzione propria della Lega dei Comuni, Regioni e Province”, come indicato nella breve introduzione al
testo, non poteva non essere ancora all’ordine del giorno.
L’analisi di Lanzetta partiva dalla constatazione dell’urgenza di una “riconsiderazione delle funzioni degli enti locali” sia per ragioni economico-sociali, sia
politiche, necessarie a fronteggiare la sfida posta, contemporaneamente dal “cosiddetto miracolo economico” e dal sottosviluppo. “Il necessario avanzamento
della società – proseguiva Lanzetta – non potrà venire dall’alto […, ma] da
un’azione ampia, coordinata, simultanea e inarrestabile, che convogli quanto vi
è di nuovo partendo dai Comuni”. Analizzando la storia della Lega, il segretario faceva risalire le motivazioni della nascita dell’organizzazione nel 1947 al
592
593
Incontro con il governo, Icd feb. 1964, pp. 10-3.
Armano Sarti, La consulta emiliana dei tributi, Icd giu. 1964, pp. 47-52.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 173
fatto che l’Anci ad un anno dalla fondazione avesse deluso tutte le aspettative,
esattamente come era successo nel periodo liberale. La Lega del 1947 era risorta sulle ceneri della Lega socialista del 1916, e moltissimi erano i vecchi militanti socialisti. Quello che mancò, sempre secondo il segretario, fu invece l’appoggio del Pci il quale, sia perché non ne conosceva “forza e prestigio che poterono resistere al fascismo quando già i sindacati e cooperative erano crollate”,
sia, soprattutto, per la sottovalutazione dell’importanza delle autonomie locali.
Seguiva quindi una ricostruzione delle vicende più recenti della Lega tutta
interna alla logica dell’evoluzione dei partiti della sinistra che impediva, ad
esempio, di vedere l’importanza decisiva della rottura dell’unità dei partiti del
Cln nella nascita della Lega e l’inconsistenza del paragone tra la delusione della direzione del Psi che, nel periodo liberale, avrebbe motivato la nascita della
Lega nel 1916 dopo un decennio di guida liberal-cattolica nell’Anci e l’insoddisfazione dei partiti della sinistra nel 1947 dopo appena un anno di attività
dell’Anci, che avrebbe dovuto essere motivo sufficiente per la ricostituzione della Lega nel periodo repubblicano.
Lanzetta dava poi un’interpretazione politica dell’evoluzione delle istituzioni, ma non era certo solo la forza dei partiti della sinistra a determinare la vita
della Lega. Non erano solo le alleanze politiche a determinare la capacità della
Lega di incidere sulla situazione esistente. Contrariamente a quello che sosteneva Lanzetta, non era solo a causa del fatto che Anci, Upi, Uncem, Anea, Fiaro, e Com avessero tutte “direzioni a maggioranza democristiana [che agivano]
in funzione strumentale di copertura a favore dei governi e del partito di maggioranza […, che] a quattordici anni dall’entrata in vigore della Costituzione
sono ancora in alto mare la riforma finanziaria e l’attuazione dell’ordinamento
regionale, mentre se un minimo di autonoma volontà realizzatrice fosse esistita, all’azione unitaria delle associazioni – legalitarie e costituzionali – nessun
governo e nessuna maggioranza parlamentare avrebbe potuto resistere” 594.
Non sarebbe stata sufficiente nemmeno la coincidenza tra la presenza della
sinistra al governo e nelle istituzioni locali a salvaguardare gli interessi delle autonomie locali. Non era stata forse, proprio in quegli anni, una riforma sostenuta dalla sinistra, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, quella che eliminando l’oligopolio del settore aveva colpito anche una delle manifestazioni più
forti delle autonomie locali quale erano le aziende municipali? Era anche la tendenza statalista dei partiti, ricordata da Zibordi e, in quegli anni, la precarietà
dell’equilibrio politico nazionale ed internazionale a rendere impraticabili mutamenti che potessero mettere in pericolo lo status quo.
Lo stesso Lanzetta metteva in evidenza la strumentalità della sua richiesta di
autonomia e confermava i timori dei partiti di governo sulle vere motivazioni
di questa richiesta quando chiedeva ai partiti della sinistra, ed in particolare a
quello comunista, di potenziare la Lega non tanto per salvaguardare le autonomie locali come valore in sé, ma per il supporto decisivo che questa avrebbe potuto dare, muovendosi con il massimo dell’autonomia, verso comuni obiettivi
politici. Questo perché, nell’interpretazione del segretario, nei primi anni ’60
594
Michele Lanzetta, Funzione e autonomia della Lega, Icd set. 1964, pp. 33-45.
174 PARTE III
la rivoluzione non sarebbe partita dai proletari ma dai comuni. Da queste istituzioni locali sarebbe dovuta iniziare se non proprio la rivoluzione qualcosa che
la ricordava molto da vicino: “Il necessario avanzamento della società [che] non
potrà venire dall’alto […, ma] da un’azione ampia, coordinata, simultanea e
inarrestabile”.
In conclusione l’autonomia dai partiti chiesta da Lanzetta si risolveva nella
cooptazione della Lega - e delle istituzioni locali - nella battaglia politica e partitica nazionale in quanto protagoniste essenziali della battaglia per l’avanzamento della società.
Niente di più distante dalla logica del movimento per le autonomie locali e,
soprattutto, dal riformismo che in quel movimento trovava un campo d’azione
ideale affinché, attraverso l’affermazione della centralità delle funzioni e dei
problemi delle autonomie locali presso le istituzioni e l’opinione pubblica si potesse meglio rispondere ai crescenti bisogni dei cittadini. E per giustificare la
necessità di questa cooptazione il segretario ricostruiva un’esistente continuità
tra la Lega dei riformisti del periodo liberale e quella del periodo repubblicano,
inventandosi anche una mai esistita “forza e prestigio che poterono resistere al
fascismo quando già i sindacati e cooperative erano crollate” 595.
1.4.4. La partecipazione popolare
La Lega avrebbe continuato a basare la propria forza e la propria ragion d’essere in una politica che era l’essenza stessa del riformismo e che veniva perseguita dall’organizzazione senza però averne coscienza dell’importanza. Una politica che allora veniva perseguita in nome del “necessario avanzamento della società” ma la cui validità sarebbe rimasta intatta anche dopo la fine dell’ideale rivoluzionario. Una politica basata sulla valorizzazione complessiva di tutte le autonomie locali nel contesto istituzionale, sull’organizzazione e la difesa delle
amministrazioni e degli amministratori dagli arbitrii delle autorità centrali, sul
sostegno della partecipazione popolare al governo delle istituzioni locali e sulla
centralità dei bisogni dei cittadini e delle comunità locali.
La questione fondamentale alla cui soluzione si chiedeva di contribuire nel
IV congresso era il rapporto con i partiti: “Come armonizzare dunque l’autonomia degli Enti locali con l’autonomia dei partiti? Come realizzare una convergenza autonoma di forze politiche nazionali in una organizzazione come
quella delle Lega, che ha tradizioni salde nel movimento operaio e democratico italiano e ragioni obiettive di presenza e di lotta nella struttura dello Stato e
della società italiana, così come oggi si configurano?”.
L’allargamento della Lega a “gruppi radicali, cristiano-sociali e repubblicani”
e a forze autonomiste e regionaliste avvenuto all’indomani del congresso di Torino, il fatto che la Lega fosse la più forte e strutturata organizzazione degli enti locali, l’unica che “salda in una unione attiva e combattiva, largamente democratica, Comuni, Regioni, Province, Enti minori più vari, gruppi consiliari,
595
ibidem
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 175
eletti ed elettori” erano dati di fatto dai quali sarebbe dovuto partire il dibattito congressuale596.
A partire dal precedente appuntamento congressuale la Lega aveva avviato
una nuova fase della propria storia basata sull’autonomia dai partiti e sulla ricerca dell’unità. Come scriveva Vincenzo Ferreri, il congresso nazionale del
1965, “respinta ormai apertamente la teoria della cinghia di trasmissione, dovrà indicare le vie per perseguire anzitutto gli obiettivi dell’autonomia e dell’unità del nostro movimento”. Rimaneva invece, intatto, un elemento distintivo, proprio dell’organizzazione degli enti locali della sinistra: “il carattere
dell’azione di massa che deve svolgere la Lega e la natura dei rapporti e delle
iniziative che devono essere stabiliti tra Lega-Enti locali-movimento delle masse”597. La continua ricerca del legame con le masse, elemento tipico delle organizzazioni che si richiamavano alla storia del movimento operaio, acquisiva caratteristiche particolari all’interno delle iniziative movimento comunale. Nonostante gli sforzi degli amministratori della sinistra, sarebbe stato impossibile
mobilitare le masse su problemi fondamentali per le istituzioni locali quali, ad
esempio, la riforma dell’ordinamento degli enti locali, o la riforma della finanza locale, come si erano ben resi conto anche i socialisti nel periodo liberale. Ma l’attenzione alle masse – anche trasformata in attenzione verso le comunità, e verso i cittadini - e le modalità di lotta tipiche dei partiti di massa e
del movimento dei lavoratori, quali erano, ad esempio, i grandi congressi e,
soprattutto, le manifestazioni di piazza, sarebbero continuate ad essere, anche
grazie alla Lega, patrimonio vivo dell’intero movimento per le autonomie locali.
1.4.5. Il Congresso di Firenze: un nuovo statuto per un’organizzazione pluralista
Con il numero del gennaio 1965 si apriva la rubrica Dibattito precongressuale, il cui primo articolo, Autocritica e rinnovamento, sulla base di modalità
comuni a quelle utilizzate nei dibattiti di partiti della sinistra in quegli anni –
il riferimento è, in particolare al concetto di autocritica - si analizzava con estrema lucidità di giudizio il futuro dell’organizzazione. L’autore, sottolineando la
fine dei tempi delle strutture semplici “cinghie di trasmissione” tra cittadini e
partito, sulla base delle caratteristiche proprie delle istituzioni locali, sottolineava la necessità del rafforzamento della struttura della Lega, specie periferica
e, soprattutto, di una maggiore autonomia dalle formazioni politiche, tanto da
ricordare in qualche modo la tanto aborrita apoliticità sostenuta dall’Anci. Di
questo si rendeva conto l’autore stesso che poneva la domanda fatidica: “Parlando in questi termini di universalità della battaglia per le autonomie sorge il
problema di avere una organizzazione unica. Certo che tale problema esiste. Ma
anche esso, a mio parere, va visto nel quadro di una evoluzione politica. Oggi
non si può porre l’alternativa o Lega o ANCI, in quanto non esistono le con596
597
I partiti, la Lega, i Comuni, Icd gen. 1965, pp. 1-3.
Vincenzo Ferreri, Organizzazione e iniziativa delle Lega, Icd gen. 1965, pp. 29-34.
176 PARTE III
dizioni politiche generali, mentre appare più reale e possibile il coordinamento
a livello nazionale nelle attività e nelle iniziative tra le due organizzazioni”598.
Nel frattempo, la situazione economica degli enti locali, ed in particolare dei
comuni, si faceva sempre più grave “a causa del blocco della spesa solo per gli
Enti locali”. Il comune di Bologna a cui il governo doveva nove miliardi, “non
ha il denaro per pagare gli impiegati”, quello di Milano era costretto “a ricorrere al capitale privato, anche forestiero”599.
Ma i comuni non avevano bisogno solo di una riforma finanziaria. C’era anche la necessità di vedere ufficialmente riconosciuto il ruolo di protagonisti della realtà socio-economica del territorio nell’ambito della politica di programmazione economica - che scandiva in quegli anni l’intervento economico del
governo nazionale – e sulla base di molti interventi comunali nelle lotte operaie per l’occupazione: “Gli enti locali devono diventare, anche sul terreno economico, dei ‘centri di decisione e di direzione’ ed a questo fine devono dare la
loro opera per la elaborazione, prima, e l’attuazione, poi, della politica di piano
nell’ambito comunale, comprensoriale e regionale per lo sviluppo dell’economia e dei rapporti sociali”600.
Il IV congresso della Lega, svoltosi a Firenze dal 1 al 3 luglio 1965, approvò un nuovo statuto contenente diverse modifiche, volte sostanzialmente a caratterizzare la Lega come organizzazione pluralista, in grado di sollecitare l’adesione non solo di enti, amministratori e politici, ma anche di personalità vicine alle autonomie locali, un’organizzazione “a mezza strada tra la politica e la
tecnica” che, come aveva affermato Piccardi all’inizio dei lavori, si distinguesse
dall’Anci, che aveva maggiori possibilità di dialogo con il Governo e le Istituzioni centrali e “pretese di generalità, quasi di unanimità”601. Nel nuovo statuto, in particolare, veniva irrobustita l’articolazione regionale e locale, veniva
abolita la differenza tra voto consultivo e deliberativo delle diverse categorie di
aderenti alla Lega, in particolare di quelle personalità che, senza essere né amministratori, né consiglieri, erano purtuttavia impegnati nella battaglia autonomistica. A rafforzare l’intensità del dibattito interno provvedeva poi anche
l’istituzione di un nuovo organo della Lega, l’assemblea annuale; venivano attribuiti i poteri deliberativi “al comitato nazionale, cioè all’organismo più ampio e più numeroso”; veniva poi istituita la direzione della Lega che assorbiva i
poteri della presidenza, infine, veniva attribuita la facoltà di adesione ad associazioni autonomistiche con fini simili a quelli della Lega602.
Il congresso approvava una mozione conclusiva, nella quale si richiedeva
l’attuazione della Costituzione, la riforma degli enti locali, quella della finanza
locale, maggiori poteri agli enti locali in materia di esproprio ai fini urbanistiIlario Rosati, Autocritica e rinnovamento, Icd gen. 1965, pp. 35-8.
Verso il Congresso, Icd feb. 1965, pp. 1-3.
600
Gino Castagno, Funzione ed organizzazione della Lega, Icd feb. 1965, pp. 33-40.
601
Avv. Leopoldo Piccardi, in Lega nazionale dei comuni democratici, Le autonomie locali
nella società italiana e nello stato democratico, Atti del IV congresso della Lega dei comuni democratici, regioni, province ed enti minori, Firenze 1-3 luglio 1965, Edizioni Lega nazionale
dei comuni democratici, Roma 1965, pp. 35-40.
602
On. Enzo Santarelli, a nome della Commissione per la modifica dello statuto, ivi, pp. 241-3.
598
599
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 177
ci; e due ordini del giorno, dedicati alla pace, in particolare in Vietnam e Santo Domingo, e per le indennità agli amministratori locali603.
Venivano approvate, infine, delle lunghe, complesse ed articolate “tesi” nelle
quali erano riassunti gli avvenimenti dell’ultimo periodo, tracciata la difficile
condizione delle autonomie locali, richieste riforme della legislazione comunale
e provinciale, della finanza locale, dell’urbanistica, veniva chiesta una politica di
piano e sviluppo democratico, in sostanza “una politica globale delle autonomie”, il rafforzamento della Lega sul piano nazionale ed internazionale604.
1.4.6. Le Assemblee annuali. Il primo corteo di sindaci a Roma per la finanza
locale
Ad appena qualche mese dal IV congresso la Lega organizzava il convegno annuale previsto dallo statuto: l’Assemblea annuale della Lega dei comuni democratici, regioni, province ed enti minori, che si svolgeva a Roma il 25 e 26 ottobre 1965, dedicato, in particolare, all’esame della situazione finanziaria degli enti locali. Nell’ambito dell’iniziativa, una delegazione di sindaci “alcuni dei quali
indossano la sciarpa tricolore”, mossasi in corteo per le vie di Roma, raggiungeva
la Camera dei Deputati dove incontrava i gruppi parlamentari605. Era quello, molto probabilmente, il primo corteo di sindaci che percorreva la capitale. Ancora
una volta le modalità di lotta tipiche del movimento dei lavoratori ispiravano le
iniziative del movimento per le autonomie locali, confermandone l’intreccio.
Nelle risoluzioni finali del congresso si metteva in evidenza “l’eccezionale
gravità della situazione economico-finanziaria degli Enti locali”, si poneva ad
Anci, Upi ed Uncem “l’esigenza prioritaria di una unità e di un coordinamento nell’iniziativa e nell’azione al livello dell’opinione pubblica e delle popolazioni”, si sottolineava, infine, l’urgenza dell’attuazione dell’ordinamento regionale, della riforma della legge comunale e provinciale, la modifica del sistema
dei controlli, la modifica della legge sulle municipalizzate “per consentire l’espansione dell’intervento locale in tutti i settori dei servizi pubblici locali”; una
nuova legge urbanistica che desse al comune maggiori poteri di intervento in
materia606. I messaggi all’assemblea del cattolico pacifista Aldo Capitini, del repubblicano Zuccarini e di Riccardo Bauer, esponente di spicco del Partito d’Azione nel secondo dopoguerra ed allora Presidente della Società Umanitaria di
Milano, sottolineavano l’adesione alle iniziative della Lega di personalità rappresentative di settori politici esterni ai partiti della sinistra607.
Ivi, pp. 263-277.
Ivi, pp. 281-311; rispetto alle relazioni internazionali si ricorda che al congresso parteciparono la Federazione nazionale degli eletti repubblicani dalla Francia; la Conferenza permanente delle città jugoslave; l’Associazione delle città gemellate sovietiche; l’Associazione delle
città gemellate cecoslovacche; Saluti delle delegazioni estere, ivi, pp. 13-22.
605
Notizie ricavate dalle didascalie dell’inserto fotografico del fasc. Icd nov. 1965.
606
Risoluzioni dell’assemblea, Icd nov. 1965, pp. 56-61. Tra i relatori del convegno si ricordano il presidente della Lega, Antonino Maccarrone e il sindaco di Modena, Rubes Triva.
607
Lettere all’Assemblea, Icd nov. 1965, pp. 63-4.
603
604
178 PARTE III
A conferma della gravità della situazione della finanza locale, la rivista della
Lega riproduceva un articolo del “Times” di Londra sulla vertenza fra il comune di Messina e l’Enel che, nel luglio del 1965, a causa del mancato pagamento
delle forniture, aveva deciso di sospendere l’erogazione dell’energia elettrica destinata alla pubblica illuminazione. Il titolo del giornale inglese sottolineava lo
stupore della stampa estera riguardo alla situazione dei comuni italiani: Messina’s
debts highlight ills that beset Italian Local Government. Unpaid Electricity bill puts
out a city’ lights. L’argomento veniva ripreso e commentato dal corrispondente da
Londra de “La Stampa”, riprodotto nello stesso fascicolo, con un titolo altrettanto significativo In Italia esistono 8 mila comuni e quasi tutti sono indebitati608.
1.4.7. Uscire dalla crisi: le regioni e la programmazione
La seconda assemblea annuale si svolse a Roma, a Palazzo Brancaccio, il 2930 settembre 1966 sul tema L’iniziativa e l’unità delle forze autonomistiche per
uscire dalla crisi istituzionale e finanziaria degli enti locali: “Regioni e programmazione”,
Nella relazione per la segreteria, Enzo Santarelli, direttore della rivista, ribadiva l’indipendenza dalle ideologie e dai partiti, l’autonomia dell’organizzazione e l’importanza del richiamo alla Costituzione e, su questa base, rinnovava
l’appello a cattolici, repubblicani e socialdemocratici a collaborare, come già era
avvenuto in passato. Santarelli proponeva la realizzazione di una “Conferenza
delle autonomie locali […, per ] una nuova fase: quella dei rapporti bilaterali e
permanenti con l’Esecutivo, per programmare l’incontro, la contestazione, la
dialettica democratica fra la periferia e il centro”. Anche la Lega, dopo l’Anci che aveva elaborato una richiesta simile per tutto il periodo liberale e, dopo il
fascismo e la guerra, ancora nel 1950 – proponeva un organo deputato ad una
ordinata gestione dei rapporti tra Stato ed autonomie locali609. Nell’ambito del
dialogo e della collaborazione con le altre organizzazioni degli enti locali Santarelli sottolineava che la Lega aveva “una funzione di reale avanguardia autonomistica”610. Una campagna di apertura e di dialogo che avrebbe favorito l’avvicinamento di alcune personalità cattoliche di spicco. A questo proposito vanno ricordati gli articoli dei pacifisti cattolici Capitini, già citato, l’intervista a La
Pira611 in occasione della sua elezione a presidente della Federazione mondiale
delle città gemellate il 15 settembre 1967. Sempre in questo ambito venivano
messi in risalto, sempre rispetto al movimento cattolico, il “distacco di Corghi
e di Albani e la posizione di Ossicini”612.
m. ci., In Italia esistono 8 mila comuni e quasi tutti sono indebitati, “La Stampa”, 10 lug.
1965, ora in Icd nov. 1965.
609
Cfr. Gaspari, I precedenti della Conferenza Stato-Città…, cit., pp. 129-146.
610
Enzo Santarelli, Una Lega più forte e più estesa, Icd nov. 1966, pp. 56-70. La terza assemblea annuale si teneva a Roma il 16-17 novembre 1967; per gli atti cfr. Icd nov.-dic. 1967.
611
Giorgio La Pira, Pace per le città, Icd ott. 1967, pp. 30-3; intervista a cura di Riccardo
Di Corato già pubblicata in “Sette giorni”, 1967, n. 16.
612
Note del mese. Le autonomie e i cattolici, Icd mar. 1968, pp. 1-2.
608
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 179
1.4.8. Una nuova rivista per gli enti locali: “Il potere locale”
Nel 1968, la rivista si rinnovava dal punto di vista grafico, a qualche mese dall’apparizione di un’altra pubblicazione della Lega: “Il potere locale”613.
Come scriveva il segretario Maccarrone sul quindicinale “Con Il potere locale vogliamo realizzare uno strumento che ci colleghi direttamente con gli
amministratori, quotidianamente impegnati nell’amministrazione e nella
lotta per le autonomie, al servizio delle popolazioni; che ci consenta un colloquio continuo ed un dibattito aperto con tutti coloro che si dichiarano
disposti all’impegno e alla lotta per la costruzione di uno Stato democratico”614.
L’anno si apriva con l’approvazione della legge relativa alle norme per l’elezione dei consigli regionali (17 feb. 1968 n. 108), primo passo verso quell’istituzione delle regioni a statuto ordinario che avrebbe costituito la prima
importante novità che avrebbe caratterizzato gli anni ’70, “dopo il lungo periodo di inadempienza costituzionale sembrava aver avviato una nuova nella vita istituzionale del Paese”615. Non fu un caso che, in concomitanza con
quell’importante riforma, ritornassero all’ordine del giorno, tra i tanti altri
problemi, due tra i maggiori nodi irrisolti nei rapporti tra Stato ed autonomie locali: il prefetto ed il segretario comunale. L’eloquente titolo dell’articolo di Enzo Santarelli, della direzione della Lega, La soppressione dei prefetti ed il saggio su I segretari comunali e provinciali, sottolineavano come i due
istituti continuassero ad essere al centro dell’attenzione del movimento per
le autonomie locali. Nel primo caso era solo la Lega a chiederne, semplicemente, la soppressione: “la partecipazione popolare alla vita delle autonomie
va finalizzata contro i prefetti”616. Nel secondo erano tutte le organizzazioni
ad auspicarne la riforma che, secondo Gracili, riprendendo esplicitamente
una proposta avanzata in sede di commissione di studio per l’Assemblea costituente, avrebbe dovuto togliere i segretari comunali e provinciali dal Ministero dell’interno per farne figure indipendenti iscritte ad un albo professionale e soggette ad un “costante aggiornamento professionale (formalmente e sostanzialmente obbligatorio)”, non solo di carattere giuridico ma anche, e in particolare, economico, per meglio rispondere alla sfida della programmazione617; una riforma, questa, che sarebbe stata realizzata, come si vedrà, solo circa trent’anni dopo, a partire dalla riforma dell’ordinamento delle autonomie.
Note del mese, Icd gen. 1968, pp. 1-4.
Antonino Maccarrone, Nuovo impegno, “Il potere locale”, 15 nov. 1967, p. 1.
615
Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., p. 490.
616
Enzo Santarelli, La soppressione dei prefetti, Icd mag. 1968, pp. 15-20.
617
Rino Gracili, I segretari comunali e provinciali, Icd set. 1969, pp. 63-5.
613
614
180 PARTE III
1.5. Il ’68 della Lega: movimento di massa organizzato
1.5.1. Nasce la Lega per le autonomie e i poteri locali
La IV assemblea annuale della Lega si svolse a Bologna il 15-17 novembre
1968, segnata dalla ricerca di una maggiore partecipazione di massa alla vita dell’organizzazione ed in primo luogo degli amministratori, in sintonia con l’atmosfera di un’epoca, appena iniziata, caratterizzata da una forte mobilitazione
studentesca ed operaia. Al termine del suo intervento introduttivo il segretario
Maccarrone affermava: “Si tratta di cambiare strada nel senso di trasformare la
Lega in un’organizzazione di massa e di avanguardia che lotta per le autonomie
locali, per affermare ed esaltare il ruolo degli enti locali. Un movimento organizzato, dunque, che […] apre le sue assemblee di base nei comprensori e nelle
province e le sue articolazioni nelle regioni a tutte le forze politiche, sociali, culturali che vogliono partecipare alla battaglia per le autonomie locali”618.
Lanzetta era invece totalmente contrario ad un cambiamento netto della
struttura della Lega di cui rivendicava il fatto che “è nata a suo tempo come
strumento rivoluzionario di lotta per le autonomie locali” proprio come “la Costituzione fu un fatto eminentemente rivoluzionario, dato che stabiliva tutto un
nuovo ordinamento contrario alla continuazione del vecchio Stato monarchico-fascista”. Lanzetta si dichiarava “nettamente contrario a una ipotesi di una
Lega degli amministratori”, pur sottolineando la necessità di “una organizzazione effettivamente di massa619. Anche Castagno si dichiarava assolutamente
contrario all’ipotesi di Maccarrone e puntava l’attenzione, piuttosto, sulla natura dell’autonomia per la quale la Lega si sarebbe dovuta battere, specie alla
luce dell’esperienza delle regioni autonome che, rispetto ai comuni “diventano
accentratrici e centri di potere assoluti”620.
La svolta avvenne l’anno seguente, con il V congresso, apertosi a Bologna il 28
febbraio 1969. La Lega decise di percorrere la strada indicata dal segretario Maccarrone e divenne “movimento organizzato”. Il documento approvato dal congresso, alla luce del “continuo aggravarsi della crisi degli enti locali” e per il “rilancio della battaglia autonomistica” stabiliva la necessità di “un diretto collegamento coi movimenti di massa che si sviluppano nel paese […] perciò la lotta per
le autonomia degli enti locali deve svilupparsi oggi sia sul terreno istituzionale sia
su quello economico sociale”. La Lega, proseguiva il documento, “vuole suscitare una vasta e unitaria battaglia autonomistica come parte integrante del movimento dei lavoratori per le riforme di struttura, per il potere e per la libertà”621.
La testimonianza del mutamento era nella denominazione e nello statuto: la
Lega diveniva “Lega per le autonomie e i poteri locali”622, lo statuto sottolineaAntonino Maccarrone, La relazione introduttiva, Icd nov 1968, pp. 10-31.
Michele Lanzetta, Continuità della nostra azione, Icd nov. 1968, pp. 32-5.
620
Gino Castagno, Per una Lega di enti, Icd nov. 1968, pp. 52-4.
621
Una nuova Lega per le autonomie e i poteri locali, Icd apr.-mag. 1969, pp. 25-7.
622
“Il comune democratico” diveniva “Organo della Lega per le autonomie e i poteri locali” a partire dal fasc. di giugno del 1969; dal 1970 la periodicità della rivista sarebbe passata da
mensile a bimestrale; nel 1971 sarebbe tornata ad essere mensile e “Il comune democratico” sa618
619
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 181
va le caratteristiche della Lega come movimento, “indipendente dai partiti e dal
governo”, a cui potevano aderire in primo luogo “le associazioni autonomistiche che sorgono localmente” e gli enti locali “che condividono gli scopi della
lega”623. Il segretario nazionale, Antonino Maccarrone veniva confermato624.
1.5.2. La stagione dei movimenti. I rapporti con l’Est europeo
La Lega era pienamente coinvolta nella stagione dei movimenti che, a partire dalla fine degli anni ’60, scuoteva i partiti della sinistra e l’intera società nazionale. Tutto si spiegava attraverso la logica del movimento. Si chiedeva un più
forte intervento del movimento in favore delle autonomie locali, ed un maggiore coinvolgimento della Lega nel movimento; al centro, in ogni caso, c’era il rapporto con le masse operaie e studentesche, non più i cittadini o le istituzioni.
Le stesse cause della persistenza della crisi degli enti locali venivano rinvenute in una insufficiente importanza attribuita dal movimento dei lavoratori e
dai partiti alla questione delle autonomie625, ma anche in un insufficiente coinvolgimento della Lega nel movimento operaio e studentesco626. La storica iniziativa per la promozione dei consigli di quartiere, in questo contesto, era oggetto
di una rinnovata attenzione627.
Proprio però come era avvenuto nei difficilissimi anni del secondo dopoguerra, il tributo all’ideologismo, e al mito della rivoluzione, come allora a
quello del movimento, non impedì alla Lega di continuare ad essere protagonista nella ricerca di soluzioni ai concreti problemi degli enti locali, come quelli
di carattere giuridico-istituzionale, che potevano apparire lontani dalle parole
d’ordine al centro dell’interesse delle assise congressuali. Anche quando più forte era l’attenzione della sinistra al movimento, che portò all’apertura nella rivista di un’apposita rubrica dedicata ai Movimenti di base, accanto alla mobilitazione per la pace e contro la guerra nel Vietnam, non mancarono occasioni di
discussione sui temi ormai classici quali, ad esempio, la riforma del diritto dei
suoli628 ed il sistema dei controlli629.
Rispetto alla politica internazionale a partire dagli anni ‘60 si rinnovarono
i rapporti con i paesi dell’Est europeo, in particolare con la Germania orientale, attraverso la partecipazione ai Colloqui di Dresda, organizzati dal 1962 dal
Comitato internazionale d’iniziativa per i colloqui di Dresda di sindaci e amrebbe divenuto “Rivista delle autonomie locali. A cura della Lega per le autonomie e i poteri
locali” ed avrebbe assunto una nuova veste tipografica, cambiata ancora nel 1972.
623
Il nuovo statuto della Lega, Icd apr.-mag. 1969, pp. 27-9.
624
I nuovi organi dirigenti, Icd apr.-mag. 1969, pp. 30-2.
625
Editoriale. Le autonomie locali agli inizi del ’70, Icd gen.-feb. 1970, pp. 1-9.
626
Corrado Corghi, Verso nuove “stagioni” di lotta, Icd mag.-giu. 1970, pp. 17-22.
627
Raffaele Meo, Renzo Bonazzi, Consigli di quartiere: organi di democrazia diretta, Icd mag.
1972, pp. 20-8.
628
Icd gen.-feb. 1970.
629
Il sistema dei controlli sui comuni, sulle province e sugli altri enti locali nel nuovo ordinamento regionale, Icd nov.-dic. 1970, pp. 1-68.
182 PARTE III
ministratori locali europei. Un documento approvato nel 1971, che aveva
evidentissime finalità di sostegno alle richieste dei Paesi comunisti dell’Est, vedeva al primo punto la sottolineatura del ruolo del comune che “occupa un
posto importante nella vita della società” e si chiudeva con il punto 14 nel
quale si chiedeva ai comuni di “chiedere la ratificazione dei trattati tra l’URSS
e la RFT, tra la Repubblica popolare di Polonia e la RFT, importanti per la pace europea ed agire per il riconoscimento della RDT da parte di tutti gli stati
secondo il diritto internazionale”630. L’autonomia locale italiana era argomento di studio anche nell’Istituto del marxismo-leninismo di Mosca un cui collaboratore, Volodja Bogorad, scriveva un articolo pubblicato anche dall’organo della Lega: La battaglia delle masse lavoratrici italiane per l’autonomia regionale631.
1.6. Gli anni settanta: le regioni, la pace e l’Europa
L’istituzione delle regioni a statuto ordinario nel 1970 ripropose, con forza,
la questione del ruolo delle autonomie locali. Al centro dell’attenzione era il
rapporto che si sarebbe stabilito, in particolare, tra regioni e comuni. Ne “il comune democratico” non si dava spazio alcuno alle illusioni: “Da un lato l’esperienza di questi anni sul rapporto tra Stato e autonomie locali (ed anche all’interno di alcune regioni a statuto speciale), e dall’altro le ambiguità nell’uso del
termine ‘partecipazione’ non inducono a facili ottimismi”632. I Comitati regionali di controllo prendevano il posto delle giunte provinciali amministrative
nell’attività di controllo sugli atti delle autonomie locali633, quando ormai si era
però da tempo conclusa la stagione della repressione e della conflittualità tra
amministrazioni della sinistra ed autorità di governo.
Alla fine del 1972, nel corso dei lavori di preparazione del VI congresso della Lega moriva il segretario Maccarrone634. La commemorazione apparsa sulla
rivista ne ricordava l’impegno e la passione per il lavoro di politico e di amministratore locale, i contatti con l’estero attraverso l’Unione delle città e dei comuni della RDT, con la Conferenza permanente delle città jugoslave, con la Federazione nazionale degli eletti repubblicani della Francia635.
Nel 1972 si svolse il VI congresso della Lega, svoltosi a Perugia il 14-17 dicembre, nel quale svolgeva una relazione il presidente dell’Anci, e sindaco di
Frascati, Guglielmo Boazzelli, il quale ricordava le molteplici iniziative dell’AsVerso il VI colloquio di Dresda, Icd giu. 1971, pp. 60-63.
Icd mag. 1971, pp. 38-49.
632
Alarico Carrassi, Regioni e autonomie locali, Icd lug.-ago. 1970, pp. 21-9.
633
Convegno sul sistema dei controlli sui comuni, sulle province e sugli altri enti locali nel nuovo ordinamento regionale. Numero speciale, Icd, nov.-dic. 1970.
634
Nato a Santa Teresa di Riva (Messina), il 7 novembre 1922, iscritto al Pci dal 1941, partecipò alla Resistenza. Laureatosi in medicina a Pisa, fu capogruppo al consiglio comunale della città tra il 1956 ed il 1964; presidente dell’Amministrazione provinciale di Pisa dal 1951 al
1963, senatore dal 1963 e segretario nazionale della Lega dal 1961.
635
Ricordo di Antonino Maccarrone, Icd ott. 1972, pp. 3-6.
630
631
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 183
sociazione a livello legislativo636. Il congresso approvava un nuovo statuto della
Lega un nuovo consiglio nazionale, e nominava un nuovo segretario nazionale:
Giorgio De Sabbata, del Pci637. Inoltre, facendo seguito ad una iniziativa della
Lega avviata l’anno precedente638 veniva costituito un “Centro di iniziative, ricerche e documentazione (CIRD), che estenda ulteriormente lo spazio di intervento politico, ideale culturale della Lega e offra nello stesso tempo lo strumento di ricerca e di mobilitazione a tutto il movimento delle autonomie”639.
Negli anni ’70 la Lega delle autonomie locali era pienamente coinvolta nell’impegno della sinistra in difesa della democrazia640, come scriveva il segretario
De Sabbata, “all’instaurazione del fascismo in Italia come in Spagna, in Portogallo, in Grecia, sempre si è accompagnata la soppressione delle assemblee elettive locali”, e ancora: “L’affermazione delle autonomie non si può perciò ottenere isolandole dal contesto sociale, separando, cioè, la battaglia per le riforme
istituzionali da quella per le riforme sociali”641. Ma gli anni ’70 erano anche gli
anni dell’impegno internazionale per la democrazia e per la pace, dal Vietnam
al Cile, al Medio Oriente, che nella rivista si rifletteva negli articoli curati da
Corrado Corghi642.
L’apparizione del nome di Umberto Serafini, segretario dell’Aicce (Associazione italiana del Consiglio dei comuni d’Europa), nel consiglio nazionale643
segnava l’inizio di una nuova attenzione verso il processo di unificazione europea644 che avveniva a partire di un’organizzazione comunale europea, qual
era l’Aicce, fino ad allora osteggiata dalla Lega - anche per i sospetti di un suo
collegamento con i servizi segreti degli Usa645 - a vantaggio di un’altra grande
organizzazione comunale internazionale, che si occupava dei gemellaggi, la Fédération mondiale des Villes jumelées (Fmvj), chiaramente schierata a sinistra646.
In particolare per una nuova legge comunale e provinciale, indispensabile dopo l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, che comprendeva la riforma dell’istituto della provincia,
in accordo con l’Upi; per una nuova normativa sui controlli; per la riforma della finanza locale, per la riforma dell’assunzione diretta dei servizi pubblici degli enti locali insieme ad Upi e
Cispel; Guglielmo Boazzelli, Per lo sviluppo delle autonomie, Icd nov. 1972, pp. 34-9.
637
Dai documenti del VI congresso della Lega, Icd dic. 1972, pp. 60-67.
638
All’inizio del 1971 si era scritto di “un Centro-studi che la Lega, faticosamente, ma in
modo fecondo, sta costruendo in questi giorni”; A.B. (Alberto Brasca), Il comune democratico.
Impegno le autonomie, Icd gen.1971, pp. 1-2.
639
Il documento politico del VI congresso, Icd dic. 1972, pp. 3-5.
640
La Lega si impegnava anche su questo fronte pubblicando Fascismo e neofascismo, un volumetto di 64 pagine dedicato al fascismo storico ed al pericolo neofascista degli anni ’70; Pagina pubblicitaria, Icd gen. 1972.
641
Giorgio De Sabbata, Autonomie e sviluppo del paese, Icd gen. 1973, pp. 3-7.
642
Si veda, ad esempio, l’indice dell’annata 1973 de “Il comune democratico”.
643
Dai documenti del VI congresso della Lega, Icd dic. 1972, pp. 60-67; cfr. anche Umberto
Serafini, Per una politica europea defgli enti locali, Icd apr. 1973, pp. 15-20.
644
Su questo argomento, successivamente, cfr. il fascicolo della rivista dedicato a Parlamento europeo. Economia e istituzioni, Icd apr.-mag. 1979.
645
Gaspari, Cities against States?..., cit., pp. 612-3.
646
Cfr. Antoine Vion, Superare i conflitti: il gemellaggio tra città europee dopo la seconda guerra mondiale, in in Dogliani, Gaspari, (a cura di), L’Europa dei comuni…, cit., pp. 249-272.
636
184 PARTE III
Continuava l’impegno specifico della Lega in favore del Mezzogiorno647, lo
sviluppo di rapporti privilegiati con la realtà sociale organizzata in particolare
in Emilia-Romagna, che si estrinsecava in accordi tra enti locali e sindacato, come a Reggio Emilia, dove comune, provincia e la locale federazione provinciale unitaria Cgil-Cisl-Uil si accordavano in materia di tariffe di trasporti, asili nido e tariffe di servizi pubblici648. Continuava, immutato, anche l’impegno per
la riforma della finanza locale649.
Gli anni ’70 erano ancora gli anni dei movimenti, come insisteva anche il
nuovo segretario De Sabbata quando, concludendo i lavori dell’VIII assemblea
dedicata alla questione della finanza locale, chiedeva di “rafforzare il nostro carattere di movimento di massa”, un carattere che la differenziava dall’Anci. La
Lega, infatti, era “associazione di movimento, cosa che l’Anci non è mai stata,
non riesce ad essere e non riuscirà mai ad essere per la sua natura”.
Lo spazio della Lega non era “uno spazio di polemica nei confronti dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia, ma [era] uno spazio di diversificazione”. Il segretario arrivava poi anche a definire i compiti degli organi periferici, impegnati nelle iniziative di carattere regionale, e quelli degli organi
centrali della Lega. Per i secondi vi erano, oltre alla “possibilità di una svolta
generale del paese, compiti che sono assolutamente urgenti”, anche compiti
minori ma “egualmente essenziali come quello dell’indennità di carica agli amministratori”650.
1.6.1. Le grandi manifestazioni della Lega contro la crisi finanziaria delle
autonomie locali
Gli anni ‘70 infine, soprattutto per le autonomie locali, erano quelli della
tragica situazione finanziaria causata, tra l’altro, dal colpevole e gravissimo ritardo con il quale lo Stato versava ai comuni l’ammontare dei trasferimenti
corrispondenti alle imposte locali abolite e dall’assoluta insufficienza di risorse proprie.
La gravità della condizione dei comuni era tale che al termine di un’assemblea nazionale a Roma dedicata ai “problemi della stretta creditizia e, più in generale, della condizione istituzionale e finanziaria degli enti locali”, la Lega organizzava una “sfilata dei gonfaloni dei comuni del Lazio che, nel pomeriggio
Cfr. Atti della III assemblea meridionale della Lega per le autonomie e i poteri locali, Reggio
Calabria 23-24 giugno 1973, Icd lug.-ago. 1973; Atti della IV assemblea meridionale della Lega
(Taranto 18-19 dicembre 1976). “Per lo sviluppo del Mezzogiorno e per il superamento della crisi
del Paese”. Gestione democratica della lgge 183, riconversione industriale e risanamento della finanza pubblica, Icd nov.-dic. 1976.
648
Documento di intesa sindacato-comune-provincia a Reggio Emilia, Icd set. 1974, pp. 86-92.
649
Atti della VIII assemblea annuale della Lega per le autonomie e i poteri locali sul tema: “un
diverso bilancio dello Stato collegato con una finanza regionale e locale efficiente e democratica, nella piena realizzazione del sistema delle autonomie, obiettivo necessario di un forte movimento democratico per superare la crisi economica e politica del nostro Paese”, Roma 8-9 ottobre 1973, Icd
nov.-dic. 1973.
650
Giorgio De Sabbata, Conclusioni, ivi, pp. 113-7.
647
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 185
del 26 giugno, portati per le vie del centro di Roma hanno accompagnato le
delegazioni di amministratori al Senato, alla Camera dei Deputati e alla Presidenza del consiglio”651. De Sabbata polemizzava con il presidente della Banca
d’Italia, Guido Carli, e accusava il Governo della situazione cui erano costretti,
in particolare, i grandi comuni652; accuse rinnovate nelle successive assemblee
della Lega dello stesso 1974653 e del 1975654.
Il buon successo del corteo del 26 giugno aveva effetto su tutte le organizzazioni del movimento. Nell’ottobre 1974 i consigli nazionali di Anci ed Upi,
con alcuni presidenti in rappresentanza delle regioni, “considerata la gravità
della situazione delle istituzioni locali e regionali [decidevano] di indire una
‘Giornata nazionale delle regioni e delle autonomie’” per il successivo 12 novembre, giorno nel quale i consigli regionali, provinciali e comunali si sarebbero dovuti riunire per chiedere il “rinnovamento e [il] risanamento della vita democratica e della pubblica amministrazione”. Nella stessa occasione veniva stabilito anche di “assumere quanto prima la decisione di convocare a Roma una
manifestazione unitaria”655.
La “Giornata nazionale delle regioni e delle autonomie” del 12 novembre,
secondo quanto riportato da “Il potere locale” aveva successo nonostante “le
manovre dei dirigenti dc”656, ma era evidente che l’opposizione del più grande
partito nazionale aveva privato l’iniziativa del respiro unitario che avrebbe avuto avere.
Luigi Ladaga, La comunità nazionale investita della grave crisi degli enti locali, Ipl giu.
1974, p. 1.
652
Il segretario denunciava i concreti effetti della riduzione delle risorse a disposizione delle autonomie locali, quali il ritardato pagamento delle retribuzioni al personale da parte del comune di Venezia, le operazioni urgenti ed eccezionali a cui era dovuto ricorrere il comune di
Bologna sempre per pagare gli stipendi al personale, ricordava che i comuni di Roma e Milano si erano invece rivolti direttamente al governatore della Banca d’Italia per avere anticipi in
modo da far fronte alle spese correnti; Giorgio De Sabbata, Relazione, in Atti del convegno nazionale sul tema: Autonomie, finanza e credito. Roma, 24-25 giugno 1974, Icd, lug.-ago. 1974.
In occasione del consiglio nazionale svoltosi in quegli stessi giorni veniva approvata, tra l’altro, la costituzione di un Ufficio di segreteria diretto da Walter Anello, che avrebbe svolto la
mansione per circa venticinque anni. Era così garantita una continuità della struttura particolarmente utile per superare le difficoltà dovute alla doppia carica dei due segretari nazionali ed
ai relativi cambi cui questa era soggetta.
653
Documento finale della IX assemblea della Lega, Icd ott. 1974, pp. 113-4.
654
Nelle conclusioni della X assemblea, svoltasi a Roma, il segretario affermava la funzione
informatrice e formatrice dell’organizzazione: “La Lega conferma il suo carattere non di semplice associazione di enti, ma di movimento di forze autonomiste, di sede di confronto per raggiungere necessarie ed opportune intese sui problemi principali, e anche di guida per la battaglia per l’affermazione dei principi autonomistici della Costituzione. La battaglia va condotta
con tutti gli strumenti democratici a disposizione dal seminario di ricerca, al corso di studio,
alla pubblicazione periodica, alla ricerca individuale, all’editoria democratica, alla manifestazione di massa, all’assemblea provinciale e regionale, al contatto e all’azione comune con i sindacati, alla presenza dei gonfaloni nelle manifestazioni per le riforme” Giorgio De Sabbata,
Conclusioni, in Atti della X assemblea nazionale sul tema: comuni, province e regioni per superare
la crisi del Paese. Roma, Teatro Eliseo, 2-3 dicembre 1975, Icd nov.-dic. 1975, pp. 132-141.
655
Il 12 novembre giornata nazionale delle autonomie, Ipl 20 ott. 1974, p. 1.
656
Unità del movimento per uscire dalla crisi, Ipl 30 ott.-10 nov. 1974, p. 1.
651
186 PARTE III
La marcia indietro della DC e, di conseguenza di Anci ed Upi, non induceva però la Lega a recedere dall’idea di una grande manifestazione di amministratori che si svolgeva a Roma nella mattinata del 18 febbraio 1975, preparata in modo accurato657. Una grande forza per cambiare, “Il potere locale” dava il
resoconto dell’evento con questo titolo sovrapposto ad una foto della folla dei
manifestanti riuniti sotto il palco. Partecipavano al corteo che percorreva il centro di Roma da Piazza della Repubblica a Piazza Santi Apostoli attraverso Via
Nazionale, migliaia di amministratori comunali e provinciali e varie delegazioni regionali, il cui lungo elenco era pubblicato nella rivista. Inviavano la loro
“solidale adesione” i segretari del Pci, Enrico Berlinguer, e del Psi, Francesco De
Martino; Anci ed Upi, invece, si limitavano all’invio di un semplice telegramma di “saluto” ai partecipanti.
Il segretario della Lega nel suo discorso sottolineava la gravissima situazione
delle autonomie locali e le difficoltà del movimento a procedere unitariamente, ma anche l’importanza storica della manifestazione:
“La drammatica realtà e la crescente coscienza autonomista non possono essere fermate o ingabbiate da veti, per quanto autorevoli siano […] in più di cento anni di unità nazionale è la prima volta che le autonomie locali rivolgono in
questa forma un appello al Paese”.
Al termine della manifestazione veniva inviata una petizione al Parlamento
ed il segretario De Sabbata inviava una lettera al Presidente del consiglio dei
ministri Aldo Moro658.
Particolarmente importante in quegli anni fu la pubblicazione nel 1976 della relazione della Commissione Giannini sull’attuazione della legge 22 luglio
1975 n. 382 in virtù della quale “il Governo veniva delegato ad emanare, entro un anno, i decreti legislativi necessari a regolare il completamento dell’ordinamento regionale”659”. Il testo integrale del documento veniva pubblicato
nel fascicolo di aprile de “Il comune democratico”660, nel numero successivo apparivano commenti a cura di importanti giuristi, politici ed amministratori; tra
questi lo stesso Giannini e quindi, Franco Bassanini, Guido Neppi Modona,
Franco Levi, Sabino Cassese, Giuliano Amato, Valerio Onida.
L’intervento più polemico nei confronti della relazione era senza dubbio
quello del segretario che chiedeva, inequivocabilmente Più spazio agli Enti locali! De Sabbata contestava il fatto che: “Di fronte alla possibilità di conferire funzioni agli enti locali nelle materie di competenza regionale e anche in altre materie, la Commissione ha avanzato proposte minime che corrispondo ad una ogNe danno testimonianza i fascicoli de “Il potere locale” che precedevano l’evento: Appello delle autonomie per la manifestazione di Roma, Ipl 31 gen. 1975, p. 1; 18 febbraio a Roma. Manifestazione nazionale delle autonomie organizzata dalla Lega nazionale, Ipl 15 feb. 1975, p. 1.
658
Si succedevano sul palco della manifestazione Aldo Aniasi, sindaco socialista di Milano;
un rappresentante della segreteria della Federazione Cgil, Cisl, Uil; Renato Zangheri, sindaco
comunista di Bologna; Nicola Capria, deputato socialista dell’Assemblea regionale siciliana;
Fausta Giani Cecchini vice sindaco di Pisa e componente della presidenza dell’Udi; “Il potere
locale” 28 feb. 1975, pp. 2-7.
659
Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., p. 493.
660
La Legge 382 sull’ordinamento regionale: i lavori della Commissione Giannini, Icd apr. 1975.
657
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 187
gettiva sottovalutazione del ruolo degli enti locali”, e ancora: “la proposta normativa considera talmente preferibile determinare un obbligo di delega, anziché
un’attribuzione diretta [dallo Stato a comuni e province] da sottovalutare completamente l’attrito che si crea, l’inevitabile lentezza che si determina con il doppio passaggio prima alla regione e poi all’ente locale”. Il segretario quindi concludeva reclamando non solo una maggiore attenzione verso gli enti locali, ma
anche, e sempre in nome dell’efficienza dei servizi forniti ai cittadini, la riforma
della legge comunale e provinciale e quella complessiva dei ministeri661.
Sempre nel corso del 1976 l’on. Pietro Conti662, del Pci, diveniva il nuovo
segretario della Lega e Luigi Ladaga, del Psi, veniva nominato segretario nazionale aggiunto663.
1.6.2. Il DPR 616 e il rapporto con i partiti
Nel 1977 la Lega dibatteva sulla natura e la funzione dei comprensori664, denunciava lo stravolgimento delle conclusioni della Commissione Giannini in
merito alle competenze regionali665, discuteva della riforma sanitaria666. Proponeva, in particolare, un bilancio positivo della legge 8 aprile 1976, n. 278, sul
decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione del
comune che aveva portato alla creazione dei consigli di quartiere o di circoscrizione, una norma che dava veste giuridica alle iniziative di decentramento promosse dal comune di Bologna sin dalla seconda metà dagli anni ’50. L’obiettivo era: “irrobustire, contro ogni tentativo di reazione e di disgregazione, il tessuto sociale con la pratica quotidiana della democrazia, e per realizzare un nuovo rapporto tra cittadini e il governo della città e dello Stato” 667
Il DPR del 24 luglio 1977, n. 616 veniva definito Una svolta per le autonomie
e per la struttura dello Stato668. Il provvedimento era destinato “a regolare il completamento dell’ordinamento regionale [...] Si apriva così un’ulteriore fase dell’attuazione delle regioni [..., alleggerendo] le pubbliche amministrazioni centrali
[per] consentirne il ridimensionamento organizzativo”669. A discutere del decreto
616 alla tavola rotonda organizzata da “Il comune democratico”, non venivano
Giorgio De Sabbata, Più spazio agli Enti locali!, Icd mag. 1976, pp. 18-22.
Conti, primo presidente della Regione Umbria, parlamentare del Pci per tre legislature dal
1976 al 1987, morì il 7 set. 1988; È morto Pietro Conti, , “Il potere locale” (Ipl) set. 1988, p. 3.
663
Cfr. Atti della IV assemblea meridionale della Lega (Taranto 18-19 dicembre 1976)…, cit.
De Sabbata, divenuto senatore, continuava a ricoprire la carica di direttore de “Il comune democratico” fino al numero di marzo-aprile del 1977, da quello successivo direttore del mensile diveniva Lucio Luzzatto, già esponente della Lega nel secondo dopoguerra.
664
Argomenti sul tema: comprensori e riforma del governo locale, Icd gen.-feb. 1977; Il dibattito sull’ente intermedio: materiale di lavoro, Icd nov. 1977.
665
Schema di decreto Morlino e relazione Giannini a raffronto. Materiali di lavoro per l’attuazione della legge 382, Icd mar.-apr. 1977.
666
Riforma sanitaria, Icd ott. 1977.
667
Walter Anello, Le armi della democrazia, Icd mag. 1977, pp. 3-5.
668
Dopo il decreto 616. Tavola rotonda, Icd dic. 1977, p. 7.
669
Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., pp. 493-4.
661
662
188 PARTE III
chiamati amministratori o dirigenti dello Stato, o cariche istituzionali che, molto probabilmente, meglio sarebbero state in grado di descrivere l’impatto del decreto nel concreto funzionamento delle amministrazioni locali, regionali od in
quella nazionale, ma esponenti di partito, segnale evidente dell’assoluta centralità dei partiti nella vita delle istituzioni locali. Così, sotto la guida del nuovo direttore della rivista, Lucio Luzzatto, discutevano dell’attuazione del decreto 616
Aldo Aniasi del Psi, Alberto Ciampaglia del Psdi, Franco Compasso del Pli, Armando Cossutta del Pci, Carlo Di Re del Pri, Nicola Signorello della Dc.
Nonostante l’influenza dei partiti sulla Lega, come su tutte le organizzazioni delle autonomie locali queste godevano, comunque, di un’autonomia significativa, almeno per quanto riguarda l’Anci. Stando ad una ricerca di Bruno
Dente del 1984, e quindi successiva al periodo in esame, ma la cui sostanza era
quasi certamente valida anche per la fine degli anni ’70, sembrerebbe possibile
affermare che le istanze fondamentali del movimento comunale, maggiori risorse finanziarie e maggiore autonomia, si sovrapponevano ma non si erano
identificate e ridotte del tutto ad elementi strumentali della più ampia battaglia
politica dei partiti per la conquista del potere.
Scrive a questo proposito Dente nell’introduzione alla ricerca Isap del 1984
sulle relazioni centro-periferia: “una delle ipotesi avanzate [...] vedeva le associazioni [degli enti locali] come un cavallo di Troia per un’ulteriore presenza dei
partiti politici nella relazione tra enti autonomi territoriali ed amministrazioni
regionali e locali; le risultanze della ricerca paiono piuttosto confortare l’ipotesi inversa, secondo la quale sono i partiti, soprattutto in Parlamento [...] ad essere utilizzati dalle associazioni come strumento per strappare ulteriori miglioramenti a quanto concordato con il Ministero del tesoro”670.
1.6.3. La centralità della questione della finanza locale: gli incontri di Viareggio
Nel frattempo gli irrisolti problemi delle autonomie locali, in particolare quello della finanza locale, si aggravavano. A partire dagli anni ’70 l’appuntamento
annuale del convegno di Viareggio promosso dall’Anci divenne il luogo privilegiato dell’unità d’azione del movimento per le autonomie locali. Agli incontri partecipavano naturalmente anche gli amministratori della Lega che rivendicò il ruolo fondamentale svolto nell’evoluzione dell’incontro che “ha superato una concezione frantumata della finanza locale, staccata persino dalla finanza regionale e in
fin dei conti un po’ corporativa”. Il problema era che se nel dibattito la Lega aveva un ruolo essenziale, mancava poi, da parte dell’Anci, la capacità di tradurre
quell’elaborazione in una concreta azione politico-istituzionale671.
670
Bruno Dente, Soggetti e poteri, in Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica (Isap),
Le relazioni centro-periferia, Archivio nuova serie, n.2, I vol., Milano, Giuffrè 1984, pp. 29-30.
671
Giorgio De Sabbata, Relazione, in Atti della VIII assemblea annuale della Lega per le autonomie e i poteri locali sul tema: “Un diverso bilancio dello Stato collegato a una finanza regionale e locale efficiente e democratica, nella piena realizzazione del sistema delle autonomie, obiettivo
necessario di un forte movimento democratico per superare la crisi economica e politica del nostro
Paese”, Roma 8-9 ottobre 1973, Icd nov.-dic. 1973, pp. 10-26.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 189
Nel 1977 seguente vennero finalmente varati i provvedimenti per il risanamento della finanza locale: i cosiddetti decreti Stammati 1 e 2 (decreto legge 17
gennaio 1977 n. 2 convertito dalla legge 17 marzo 1977 n. 62, e decreto legge
29 dicembre 1977 n. 946, convertito dalla legge 27 febbraio 1978 n. 43). Con
il primo venivano consolidati i debiti a breve termine assunti dagli enti locali
con il sistema bancario ponendo a carico dello Stato le relative rate di ammortamento, limitando la possibilità di contrarre nuovi debiti a breve; di contro
venne stabilito, per tutti gli enti locali, il blocco delle assunzioni. Con il secondo decreto gli enti locali venivano obbligati a deliberare in pareggio i propri bilanci. Venivano fissati i limiti di crescita, veniva sancito l’obbligo dell’aumento
dei tributi locali e delle tariffe dei servizi pubblici, veniva assunto dal bilancio
statale il finanziamento delle spese correnti degli enti locali al netto delle entrate. Le risorse continuavano ad essere garantite dai trasferimenti erariali - fissati con la cosiddetta “entrata storica”, in base alla quale l’ente locale riceveva
somme proporzionate alle spese sostenute fino ad allora - e dai mutui della Cassa depositi e prestiti (dipendente dal Ministero del tesoro) destinati a coprire il
deficit di bilancio672.
Il provvedimento avrebbe dovuto essere limitato al 1978, in attesa della riforma della finanza locale. Ma così non fu. Con queste misure si esaltava il ruolo dell’amministrazione statale, attenuando, corrispondentemente, la responsabilità degli amministratori locali, che potevano scaricare agevolmente sullo Stato sia le colpe in merito alla difficile situazione finanziaria, sia il relativo giudizio negativo dei propri cittadini673.
Nonostante un certo aumento dell’autonomia impositiva delle province, e
soprattutto dei comuni674, dall’inizio degli anni ’80 sino alla fine del decennio
tali enti si trovavano in crisi, economica ed istituzionale.
La presidenza di Camillo Ripamonti nell’Anci, nella seconda metà degli anni ‘70, anche attraverso gli incontri annuali degli assessori comunali alle finanze a Viareggio, riuscì a rafforzare l’Anci come organo rappresentativo degli interessi dei comuni e ad imporre sempre più all’attenzione del Governo le questioni di interesse comunale. Con il passare degli anni l’appuntamento di Viareggio divenne sempre più centrale nella vita del movimento per le autonomie
locali, occasione di confronto tra amministratori locali e governo, e con carattere sempre più unitario, in particolare all’indomani dell’emanazione dei decreti Stammati.
Nel convegno di Viareggio del 1-3 ottobre 1978 Ripamonti sottolineava la
crescente importanza nel dialogo tra governo ed autonomie non solo nell’appuntamento di Viareggio ma anche nell’Anci stessa e rivendicava, con orgoglio
che: “Le Amministrazioni locali hanno saputo reggere l’urto della crisi che ha
investito il Paese, garantendo di fronte alla diffusa inefficienza delle istituzioni
centrali, la continuità dei servizi e delle condizioni di vita civile delle comunità”, sottolineando l’assoluta mancanza di alcuna copertura finanziaria in seguiMarongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., pp. 296-7
Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, p. 143.
674
Cfr. Marongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., pp. 313-7.
672
673
190 PARTE III
to al decentramento delle funzioni ai comuni operato dal decreto 616, ed anzi
in concomitanza con il blocco delle assunzioni per gli enti locali675.
1.6.4. Nella produzione editoriale della Lega anche una guida per il “Regno di
Babilonia”
Alla fine degli anni ’70 la Lega manifestava la propria grande vitalità anche
attraverso una notevole attività editoriale della propria casa editrice “Edizioni
delle autonomie” che si evidenziava specie nelle occasioni congressuali, quando
si cercava di ricordare agli amministratori la necessità di una adeguata preparazione tecnica e politica al loro ruolo. Così, ad esempio, in occasione dell’VIII
congresso nazionale si proponeva un’offerta speciale per l’acquisto - oltre che di
un filmato di 50 minuti, La costituzione e/è noi dal prezzo di un milione, scontato per l’occasione del 50% - di volumi raggruppati per materie: Urbanistica,
Attuazione del D.P.R. 616/77, Mostra, Democrazia e partecipazione, Autonomie
locali. C’era anche una collana Biblioteca autonomie676 che comprendeva, tra
l’altro, una Guida per le autonomie locali 1979677 curata da Sabino Cassese.
La Guida, pubblicata dal 1973, inizialmente venne proposta come uno dei
due volumi, indivisibili, della Agenda per le autonomie locali congiuntamente alla più conosciuta Agenda da tavolo, edita dalla Lega dal 1960. L’affidamento
della Guida a Cassese avvenne a partire dall’edizione del 1978, l’anno successivo all’emanazione del decreto 616 e, non a caso, la manchette pubblicitaria riportava in bella evidenza, accanto alla copertina nella nuova veste editoriale, la
dicitura “Il primo commento organico del DPR 616 materia per materia”678.
Nell’edizione del 1981 la Guida diveniva Annuario 1981 delle autonomie locali. Come chiariva lo stesso curatore nella Presentazione: “Non si tratta solo di
un cambiamento di nome. Già negli anni scorsi, questa pubblicazione presentava un bilancio delle esperienze politiche, legislative, giurisprudenziali e scientifiche, anno per anno. Quest’anno il disegno è completato con un panorama
delle ricerche e un elenco delle leggi nazionali e regionali. L’Annuario diviene,
così, uno strumento che consente l’aggiornamento sulle novità dell’ultimo anno, (dall’ottobre 1979 al settembre 1980) settore per settore […] Si è cercato
di tener ferme le voci (che sono ora 66, più le 5 rassegne finali), per assicurare,
come negli altri anni, che, allineandosi una accanto all’altra le varie annate,
questa opera consentisse di ricostruire l’evoluzione dei diversi istituti nel tempo”. L’affidamento della Guida ad una personalità del calibro di Cassese e lo
sviluppo dell’iniziativa evidenziano la crescente importanza della funzione di
Camillo Ripamonti, Il nuovo assetto finanziario e istituzionale delle autonomie locali, Icd
ago.-set. 1978, pp. 13-25
676
Manchette pubblicitaria in Icd apr.-mag. 1979, p. 46.
677
Guida per le autonomie locali 1973-1980, Roma, Edizioni della Lega per le autonomie e
i poteri locali [successivamente Edizioni delle autonomie], 1973-1980; Annuario delle autonomie locali 1981-1996, Roma, Edizioni delle autonomie, 1981-1996.
678
Molto significativamente, quell’anno, l’Agenda da tavolo, venne offerta insieme alla Guida, a mo’ di omaggio.
675
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 191
supporto alla concreta attività delle autonomie locali svolta dalla Lega per rispondere alle crescenti esigenze degli amministratori.
A partire dall’edizione del 1987, venivano stampate nell’Agenda autonomie
le Pagine blu, che riportavano indirizzi, telefoni e nominativi delle autonomie
locali in Italia; dall’edizione del 1993 il nuovo servizio appariva in volume autonomo, anche se sempre allegato, insieme all’Agenda da tavolo, al più importante Annuario679.
Se nel 1960 la Lega offriva alle autonomie locali qualche pubblicazione di
carattere tecnico su problemi specifici e si poteva permettere di vendere loro,
come ulteriore ausilio, una semplice Agenda da tavolo; se all’inizio degli anni
’70, periodo di ribollente ideologismo, accanto alla solita Agenda venivano offerti molti testi di impostazione politica; alla fine di quello stesso decennio era
divenuto indispensabile affidare la Guida, l’Annuario, alla direzione di un competente giurista che coordinava l’opera di numerosi studiosi per permettere ad
amministratori e tecnici degli enti locali di seguire, voce per voce, gli innumerevoli cambiamenti avvenuti nell’amministrazione locale. Come osservava ancora Cassese nel 1981 all’inizio della già citata sua Presentazione:
“Nel decennio che si è chiuso, si è avviata l’esperienza regionale e sono stati
compiuti i trasferimenti statali al nuovo istituto. I compiti successivi impegneranno l’attività di gestione delle dirigenze locali e regionali. Rimane, però, incompleto l’edificio da due parti. Quella delle strutture centrali, del cui riordino
il legislatore parla dal 1968, senza che nulla di concreto si sia visto. E quella delle strutture locali, per le quali il primo progetto generale di riforma risale al
1961, senza seguiti concreti.
In mezzo, c’è una realtà dimenticata sulla quale bisogna richiamare l’attenzione: l’amministrazione statale decentrata. Nove dei venti ministeri hanno apparati decentrati (spesso più di uno) […] Basta questa breve descrizione, per
comprendere che siamo nel regno di Babilonia e che quest’apparato è fatto più
per confondere che per aiutare il cittadino”680.
2. Gli anni ‘80
2.1. Il congresso di Firenze del 1980
Dal 25 al 27 gennaio 1980 si svolse a Firenze l’VIII congresso nazionale della Lega. All’ordine del giorno vi era la questione della riforma della finanza locale ed il conseguente blocco delle assunzioni (limitato ai comuni superiori a
50.000 abitanti); l’attività delle Regioni che, a dieci anni dall’istituzione, meritava una riflessione particolare specie “dopo la brutale accusa di neocentralismo
che essi perseguirebbero in modo indiscriminato nei confronti dei Comuni”; la
questione del Mezzogiorno e, infine, la pace, tornata all’ordine del giorno doIpl nov. 1992, p. 69.
Sabino Cassese, Presentazione, in Idem (diretto da), Annuario 1981 delle autonomie locali, Roma, Edizioni delle autonomie, 1981.
679
680
192 PARTE III
po l’invasione sovietica dell’Afganistan, duramente condannata681. Veniva modificato lo statuto eliminando la previsione di un’assemblea annuale.
In occasione del congresso venne eletto il nuovo segretario, Dante Stefani,
sen. del Pci, ed il nuovo segretario nazionale aggiunto, Renzo Santini, del Psi,
vicepresidente della Regione Emilia-Romagna682.
Il nuovo segretario illustrava in un’intervista compiti e prospettive dell’organizzazione che, come sottolineava: “in origine nasce come momento di tutela dei comuni fatti oggetto di varie attenzioni da parte di organismi del governo centrale, primo fra tutti il Ministero degli Interni. Successivamente, si passa ad una fase di incentivazione dello sviluppo delle autonomie, che trova il suo
momento più alto nell’attuazione delle Regioni […] in questo contesto si attua
uno sviluppo della Lega nell’ambito di un processo di attuazione dell’ordinamento regionale che corre il rischio di non costituire quel momento di sviluppo di una riforma generale dello Stato che da più parti si aspettava”683.
Erano ormai lontani i tempi della dura contrapposizione delle autonomie
locali, e particolarmente di quelle amministrate dalla sinistra, con il Ministro
dell’interno ed i prefetti, sia dal punto di vista istituzionale, sia da quello politico. Anche se la mancanza delle grandi riforme, come quella della Pubblica
amministrazione nazionale e, soprattutto, quella di comuni e province faceva
scrivere a Cassese in quegli anni: “siamo nel regno di Babilonia”, era innegabile che all’inizio degli anni ’80, l’istituzione delle regioni e le pur insufficienti riforme avevano contribuito all’affermazione del ruolo delle autonomie locali.
Dal punto di vista politico poi, il successo delle sinistre nelle elezioni amministrative locali negli anni ’70 e, in particolare negli anni ‘80, rafforzava la presenza di Pci e Psi nelle amministrazioni locali e di conseguenza, come si vedrà
oltre, anche nell’Anci.
2.1.1. Ruolo e compiti della Lega. I costi dell’impegno editoriale
La prima relazione di Stefani al consiglio nazionale, alla fine del 1980, fu
particolarmente importante. Il nuovo segretario prendeva posizione su tutti i
principali argomenti che riguardavano le autonomie locali e l’organizzazione: la
riforma dell’ordinamento locale, il ruolo ed i compiti della Lega. A questo proposito Stefani ricordava i due compiti essenziali della Lega, la “assistenza legislativa ad amministratori e Comuni contro le prevaricazioni centralistiche” e la
“informazione e documentazione sui temi dello sviluppo di nuove esperienze
amministrative e della battaglia unitaria autonomistica”. Non vi era alcuna con681
L’impegno per la pace dei comuni della sinistra si sarebbe sviluppato anche sucessivamente. Il 9-12 ottobre 1986, si teneva a Perugia la terza conferenza degli enti locali denuclearizzati; Enzo Coli, A Perugia la terza conferenza degli enti locali denuclearizzati, Ipl nov. 1986,
pp. 15-19.
682
Gli organi dirigenti della Lega dopo l’VIII congresso, Icd mar. 1980, pp. 86-7.
683
Compiti e prospettive della Lega intervista al Segretario nazionale, Dante Stefani, Icd mar.
1980, pp. 3-9.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 193
correnza con le altre organizzazioni “’sindacali’ degli enti locali”, Anci, Upi,
Uncem, Cispel, ma ammoniva che: “la Lega vive solo se è capace di suscitare
un grande impegno politico e culturale delle forze di sinistra, laiche e democratiche”. Chiedeva a questo proposito l’impegno dell’organizzazione per “il
miglioramento della qualità della vita delle popolazioni amministrate”, per l’attuazione della riforma sanitaria, in favore del Mezzogiorno, “lo sviluppo delle
forme di partecipazione democratica”, per la riforma della finanza locale. Riguardo alla politica internazionale, nel quadro delle difficoltà crescenti nei rapporti est-ovest, prospettava “una presenza più attiva ed organica delle autonomie all’interno degli organismi internazionali, il Consiglio d’Europa, l’Associazione dei comuni d’Europa”, due organi ai quali la Lega aveva dedicato fino ad
allora un’attenzione molto limitata, anche se, in particolare verso la seconda,
negli ultimi anni crescente. Da allora, effettivamente, l’interesse della Lega verso l’Europa occidentale, i paesi e le organizzazioni degli enti locali dell’ovest si
accrebbe di molto, senza per questo dimenticare il tradizionale interesse verso
le autonomie locali dell’Europa del socialismo reale ed un più ampio interesse
verso le città e le organizzazioni arabe684.
Quello che veniva messo in risalto alla fine della relazione era che lo sforzo
editoriale – quello attraverso il quale la Lega aveva risposto alle crescenti esigenze politiche e, via via, soprattutto tecniche delle amministrazioni della sinistra, e non solo di esse - era stato molto probabilmente troppo forte e le conseguenze finanziarie stavano pesando in modo insopportabile sulle esigue risorse della Lega. Era questa la sintesi del 14° e del 15° punto della relazione del
segretario. Per questo l’organizzazione aveva deciso di costituire “sul piano nazionale il Centro iniziative ricerche documentazione per le autonomie locali
[Cirdal] che deve compitamente decollare attraverso la realizzazione di Seminari e Corsi tecnici di aggiornamento sia per amministratori di carattere elettivo che per funzionari”. La sempre più spinta complessità dell’attività amministrativa locale, rendeva quindi necessario l’apertura di un Centro di documentazione, o per dirla con un linguaggio più moderno, di una Scuola di formazione per amministratori e funzionari delle autonomie locali.
Tutto questo per il futuro. Intanto, però, bisognava ripianare i debiti fatti
con un’attività editoriale attraverso la quale, fino ad allora, si era tentato non
solo di informare ma anche di svolgere quell’opera di formazione politica e tecnica di funzionari ed amministratori che ora si sentiva il bisogno di organizzare sistematicamente nel Cirdal che, teoricamente, doveva essere già stato avviato nel 1972685.
Lo spazio per una vera ristrutturazione dell’attività editoriale era però molto ristretto. La direzione della Lega, infatti, nonostante i dubbi posti qualche mese prima dal direttore de “Il comune democratico”, Lucio Luzzatto, sull’utilità di avere
due riviste, e di risolverne le relative difficoltà editoriali – economiche e di conteCfr. Jean Marie Bressand, Orente arabo-mussulmano e occidente, Icd lug.-ago. 1983, pp.
105-114; L’organizzaione delle città arabe, Icd mag.-giu. 1983, pp. 130-1.
685
Si tratta del già citato “Centro di iniziative, ricerche e documentazione (CIRD)”, Il documento politico del VI congresso, Icd dic. 1972, pp. 3-5.
684
194 PARTE III
nuto686 -, aveva deciso di continuare ad avere due organi di stampa propri, il “Potere locale”, quindicinale, e “Il corriere democratico”, mensile, e di sviluppare la Guida. Salvati i due organi della Lega, ed il gioiello curato da Cassese, la Guida, la stretta si sarebbe dovuta limitare alle nuove pubblicazioni. Nel frattempo Stefani procedeva alla riduzione dei debiti: “Siamo impegnati a ridurre del 50% la sua [della Edizioni delle autonomie] esposizione bancaria, ampliando le dimensioni del suo carattere societario chiamando a farne parte un gruppo di Leghe regionali”687.
Il segretario non le citava ma, evidentemente, le Leghe regionali chiamate a
contribuire a coprire il buco nella casse della Lega nazionali non potevano che
essere, in primo luogo quelle dell’Emilia-Romagna, della Toscana, dell’Umbria
e delle Marche, dove più forti erano le amministrazione locali della sinistra, ma
le strutture regionali non si sarebbero limitate a pagare i debiti. Nel gennaio del
1981 si annunciava una nuova collana della Edizioni delle autonomie: “Progetto salute”688, a febbraio era la volta di un bimestrale regionale: “Regione e governo locale. Bimestrale di documentazione giuridica della Regione Emilia-Romagna”, sempre edito dalla Edizioni delle autonomie689. E nel 1984 appariva ne “Il
Comune democratico” la pubblicità di una nuova collana della casa editrice della Lega: Strumenti. Collana diretta dalla Provincia di Bologna, con ben 7 titoli690.
2.3. La ripresa della ricerca dell’unità del movimento
Il 3 febbraio 1981, si svolgeva presso il Campidoglio una manifestazione
congiunta Lega-Upi-Cispel sui problemi della finanza locale, al termine gli amministratori si recavano presso la Commissione Finanza del Senato691. Erano ormai passati sei anni dalla vittoria delle sinistre nelle elezioni locali, erano lontanissimi i tempi dell’isolamento della Lega. In quel momento, se c’era chi poteva lamentare un certo isolamento, era proprio l’Anci: il Campidoglio era guidato da una giunta capeggiata dal comunista Luigi Petroselli; alla testa dell’Upi c’era il socialista Gianvito Mastroleo, presidente della provincia di Bari; alla
testa della Cispel c’era il comunista Armando Sarti.
Alla fine del 1981 un Documento del gruppo di lavoro per l’organizzazione in preparazione della conferenza nazionale di Pesaro ribadiva le citate affermazioni del segretario in occasione del consiglio nazionale rafforzando le note sulla natura della
Lega: “La Lega deve valorizzare quel carattere di associazione di movimento, capace di aderire alla complessità della situazione italiana in modo più duttile e arti686
Lucio Luzzatto, Seminario sull’editoria della Lega. Relazione sul Comune democratico, Icd
lug. 1980, pp. 83-9.
687
Consiglio nazionale della Lega. Relazione del segretario nazionale sen. Dante Stefani, Icd
dic. 1980, pp.15-35.
688
Una nuova collana delle Edizioni delle autonomie: “Progetto salute”, Icd gen. 1981, pp. 91-4.
689
Pagina pubblicitaria, Icd feb. 1981, p. 22.
690
“Le ‘Edizioni delle autonomie’ presentano ad amministratori e studiosi di autonomie locali una nuova collana – STRUMENTI – che tratta di concrete esperienze di ricerca e di programmazione effettuate dalla Provincia di Bologna”.Icd gen.-feb. 1984, p. 44.
691
Una manifestazione della Lega per la soluzione dei problemi della finanza locale, Icd feb.
1981, pp. 19-21.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 195
colato degli stessi partiti, e di organizzazione aperta a uno schieramento ampio e
unitario di tutte le forze realmente autonomiste”. L’obiettivo fondamentale da raggiungere era, comunque, lo stesso: “Sta proprio nell’impegno che nazionalmente
e regionalmente l’organizzazione saprà profondere che si potranno risolvere le tante difficoltà ancora presenti nella Lega e insieme sanare la situazione finanziaria”692.
Delineata la natura della Lega, l’obiettivo che si delineava successivamente
era, ancora, l’unità del movimento. Nel novembre del 1981, nella sua relazione alla Conferenza nazionale di Pesaro, Dante Stefani proponeva di avviare un
“processo con l’ipotesi di un patto di consultazione, per una specie di tavolo di
lavoro comune, permanente, con l’Anci, con l’Upi, con i Presidenti delle regioni, la loro consulta, con l’Aicce, con la Cispel, con le comunità montane,
con le stesse associazioni degli amministratori cui hanno dato vita il Partito socialista e la Democrazia cristiana”693.
Sempre a Pesaro, relativamente alla struttura dell’organizzazione, veniva decisa l’attribuzione alla casa editrice Edizioni delle autonomie dei costosi compiti editoriali e di continuare a mantenere due periodici, “Il comune democratico” e “Il potere locale”, verificandone costi e compatibilità694.
2.3.1. Giannini e Cassese, continuano a collaborare con la Lega
L’accentuazione del carattere giuridico-istituzionale della storica rivista della Lega, divenuta bimestrale695, veniva messa in risalto dall’attribuzione a Massimo Severo Giannini dalla presidenza del “Comitato di garanti” a cui veniva
attribuito “il compito di contribuire alla elaborazione del programma” della rivista affinché questa rimanesse “importante punto di riferimento per tutti coloro che si battono per l’attuazione del dettato costituzionale”696. All’inizio de692
Documento del gruppo di lavoro per l’organizzazione in preparazione della conferenza nazionale di Pesaro, Icd ott. 1981, pp. 99-106.
693
Un strategia per il rinnovamento. Sintesi della relazione del segretario nazionale sen. Dante
Stefani, Ipl nov.-dic. 1981, pp. 4-7.
694
A Pesaro era stata presa in esame anche l’attività editoriale di cui era stata tracciata una
breve storia. Sorta nel 1977, la casa editrice della Lega, aveva pubblicato 33 titoli nel primo
biennio, 23 nel 1979, 46 nel 1980, 49 fino all’ottobre 1981. Il fatturato di 348 milioni nel
1978, era passato a 543 l’anno successivo, 64 nel 1980 e 711 fino all’ottobre 1981. Quattro
erano le collane: “Istituzioni e programmazione”, “Amministrare l’urbanistica”, “Come fare” e
“Progetto salute”; dal 1978 si era poi sviluppata una vera e propria “editoria di servizio” per amministratori e tecnici del governo locale che aveva via via aumentato il proprio peso in termini
di titoli e fatturato, passato dal 12,6% del 1979, al al 49% del 1981; la pubblicazione di maggior rilievo in questo ambito era, naturalmente, l’Annuario; Editoria ed informazione. Sintesi
della relazione di Luigi Ladaga, Ipl nov.-dic., pp. 7-8.
695
La rivista della Lega, “Il comune democratico”, dal gennaio 1982 diveniva bimestrale e
passava alla direzione del sen. del Pci Enzo Modica, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali e del segretario nazionale aggiunto, il socialista Santini.
696
Sen. Dante Stefani, Editoriale, Icd gen,-feb. 1982, pp. 3-4; la nuova direzione ed il “Comitato dei garanti” sarebbero apparsi in II di copertina dal numero successivo, il n. 3 mag.-giu.
1982, da quello stesso nuomero al sottotitolo si aggiungevano le regioni e mutava in “Rivista
delle autonomie locali e delle regioni”.
196 PARTE III
gli anni ’80, dunque, due dei maestri della giurisprudenza italiana, Giannini e
Cassese, collaboravano, contemporaneamente, all’organizzazione delle autonomie locali della sinistra. Del “Comitato di consulenza” della rivista, presieduto
da Giannini, avrebbero fatto parte Enzo Cheli, Mario Leone, Fabio Roversi
Monaco, Dante Stefani, Maurizio Valenzi e Ugo Vetere697.
2.3.2. Tentativi per un coordinamento unitario delle associazioni delle autonomie
Il 12 luglio 1982 si riunivano a Bologna l’Anci, l’Upi, l’Uncem, la Cispel, la
Lega e anche l’Anael, l’organizzazione degli amministratori democristiani, per
“ottenere un provvedimento immediato di riforma della finanza locale, nel tentativo di evitare per il 1983 il ripetersi della ormai abituale abnorme situazione
di incertezza, di confusione e di conflittualità tra il governo e gli enti locali sulla entità dei trasferimenti e le norme per compilare i bilanci”. Come scriveva il
segretario: “per la prima volta si è realizzato un convegno promosso unitariamente dall’insieme del movimento autonomistico degli enti locali. È una novità che va nella direzione del coordinamento del lavoro delle associazioni da noi
auspicato più volte e sulla quale occorre fare una più attenta riflessione”. La Lega, concludeva Stefani, era disponibile a proseguire il percorso di collaborazione: “Essa deve sempre più caratterizzarsi come organizzazione unitaria di lotta
per l’attuazione dello stato delle autonomie, per una migliore qualità della vita, per un ampio sviluppo delle forme di democrazia e di partecipazione popolare, impegnata in un’opera di sviluppo e di rafforzamento e di adeguamento
dei propri strumenti per corrispondere alle esigenze degli amministratori e della promozione di una più diffusa e approfondita cultura autonomista”. Era in
nome di una migliore qualità della vita dei cittadini, delle esigenze degli amministratori e della promozione di una più diffusa e approfondita cultura autonomista che era possibile un’azione comune delle organizzazioni del movimento per
le autonomie locali. La Lega, concludeva Stefani, dimostrava concretamente la
propria volontà unitaria con le manifestazioni come quella di Bologna e, “sul
piano culturale, [con] l’Annuario delle autonomie e la nuova edizione de ‘Il comune democratico’”698.
2.3.3. Il congresso di Bologna del 1984: una modificazione strutturale della
Lega
Il IX congresso della Lega si svolse a Bologna dal 1° al 3 marzo del 1984, nel
pieno di quella che il segretario Stefani nella sua relazione preparatoria all’appuntamento definiva come la “diffusa […] consapevolezza e la preoccupazione
per l’estendersi del senso di distacco fra cittadini e istituzioni e di sentimenti di
sfiducia nell’operato dello Stato”, e la crisi del “processo di decentramento au697
698
Comitato di consulenza, Icd mag.giu. 1982, II di copertina.
Dante Stefani, Assise di Bologna: l’impegno delle autonomie, Icd lug.-ago. 1982, pp. 99-104.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 197
tonomistico arrivato con le Regioni”. L’obiettivo era definire “l’apporto del sistema delle Autonomie locali e regionali al rinnovamento del Paese”. Un apporto che sembrava facilitato dalla “definitivamente superata vecchia diatriba
fra Anci e Lega. Le due Associazioni [infatti] hanno saputo dimostrare di non
essere in antagonismo, ma anzi di avere ognuna compiti specifici complementari”, anche se, teneva a sottolineare il segretario, rimaneva intatto lo storico legame dell’organizzazione con le forze della sinistra. Stefani, infine, ribadiva il
doppia funzione della Lega, politica, “per il confronto delle esperienze” e tecnica, “per la formazione e qualificazione degli eletti”, con una significativa – per
quanto implicita - accentuazione di quella tecnica699. D’altra parte era indubitabile che delle due funzioni quella che meno aveva avuto successo era quella
politica, come sottolineava il documento preparatorio al Congresso nel quale
era scritto che: “visti i risultati a cui si è pervenuti, bisogna constatare realisticamente che la tensione del movimento autonomista non è stata identica per
tutti e non è stata sufficiente”. Con l’espressione finale “non è stata identica per
tutti e non è stata sufficiente” si salvava, ma solo implicitamente, dal fallimento
l’opera della Lega e la condanna veniva attribuita ad Anci ed Upi, ma la circostanza veniva comunque rilevata.
Così come veniva rilevato il rallentamento del processo di decentramento,
causato dalle difficoltà del processo di attuazione del decentramento democratico dello Stato e dalle difficoltà economiche complessive. Il decentramento fin
qui attuato ava causato lo squilibrio fra “entrate” e “funzioni”, ed il mancato
sviluppo delle riforme aveva causato pericoli di vuoto legislativo, e difficoltà del
movimento autonomista. Al primo posto tra queste difficoltà c’era il “fenomeno del neo-centralismo regionale, ricalcato su vecchi modelli centralistici centrali”. Una denuncia chiara e determinata come mai era stata fatta fino ad allora che evidenziava l’illusione di un movimento autonomista che avrebbe dovuto sostenere, contemporaneamente, le ragioni di autonomie locali e regioni. Per
quanto riguarda i rapporti con le altre organizzazioni delle autonomie locali, la
Lega sosteneva “la proposta di una forma permanente di consultazione fra le
varie organizzazioni degli Enti locali e con la stessa Conferenza dei Presidenti
delle Regioni”. A poco meno di un anno dalla istituzione della Conferenza Stato-Regioni (D.P.C.M. 12 ottobre 1983) - ed a quasi ventanni dalla proposta di
Santarelli del 1966 - la Lega chiedeva la costituzione di un organo di raccordo
tra la Conferenza delle regioni e le organizzazioni delle autonomie locali che risolvesse le questioni tra istituzioni regionali e locali attraverso un confronto paritario.
Il congresso doveva sancire la “modificazione strutturale” della Lega e prepararla alle sfide degli anni successivi. Per quanto riguarda l’ambito interno gli
argomenti sui quali concentrare l’attenzione erano: qualità della vita delle popolazioni, casa, assistenza, servizi; partecipazione; occupazione e sviluppo; piccoli comuni; Mezzogiorno; criminalità organizzata. Relativamente all’attività
internazionale la Lega si sarebbe dovuta impegnare per la pace, il disarmo, la
Dante Stefani, Crescita e rinnovamento delle autonomie locali per lo sviluppo del paese, Icd
gen.-feb. 1984, pp. 3-6.
699
198 PARTE III
fame nel mondo; avrebbe dovuto rafforzare il proprio ruolo nelle organizzazioni internazionali come la Fmvj, sostenere l’Aicce.
Strumenti ed attività istituzionali della Lega dovevano essere potenziati, e
questo riguardava in primo luogo il Cirdal, per la formazione e consulenze di
carattere giuridico, fiscale e finanziario. Per quanto riguarda l’attività editoriale
veniva deciso, tra l’altro, di pubblicare una guida dell’amministratore locale in
vista delle elezioni amministrative del 1985.
Veniva proposta, infine, la semplificazione del nome della Lega che diveniva
“Lega delle autonomie locali” ed il ripristino della previsione nello statuto di
un’assemblea annuale, abrogata nel precedente congresso di Firenze700.
Il segretario, nella relazione svolta al congresso, confermava le affermazioni
sviluppate nella relazione preparatoria, con una interessante sottolineatura della
necessità di lavorare “per il recupero di immagine, della credibilità e dell’impegno delle autonomie”, per rilanciare “nei confronti dei cittadini il valore di un
potere locale che rappresenti le radici dello Stato”. Era anche per questo obiettivo che si chiedeva di rafforzare il “Comitato di intesa tra tutte le associazioni nazionali formatosi nei mesi scorsi” sostenuto dalla Lega e, a proposito dell’attività editoriale - evidentemente quella maggiormente impegnativa dal punto di vista finanziario - il segretario chiedeva di verificare “se esistono le condizioni con
le altre associazioni delle autonomie per una azione editoriale congiunta”701.
2.4. Il difficile rapporto con l‘Anci. La Lega organizza gli incontri di Viareggio
La volontà della Lega di costruire una linea comune del “movimento autonomistico degli enti locali” si evidenziava anche nella decisione di proseguire la
tradizione degli incontri di Viareggio sulla finanza locale. Avviato nel 1963, il
Convegno di Viareggio divenne a partire del 1967702 un appuntamento via via
sempre più importante, in occasione del quale gli amministratori locali si confrontavano tra loro e con il governo. Divenuto una sorta di assemblea annuale
dell’Anci, alla quale partecipavano con sempre maggiore rilievo anche i rappresentanti della Lega all’inizio degli anni ’80, in concomitanza con l’affidamento della presidenza al sen. Riccardo Triglia, l’Associazione dei comuni, decise di
non promuoverne più l’organizzazione. Dal 1984 fu quindi la Lega a prendere
il posto dell’Anci accanto al comune di Viareggio, continuando così “l’ormai
tradizionale Convegno sulla Finanza locale” come sottolineava l’editoriale che
ne ricordava lo svolgimento dall’11 al 13 ottobre 1984703. Era probabilmente
questo il primo, significativo, segnale dello spostamento della competizione tra
Anci e Lega dall’ambito politico a quello tecnico.
700
Documento preparatorio per il IX congresso nazionale della Lega, Icd gen.-feb. 1984, pp.
17-43.
701
Dante Stefani, Relazione al IX congresso nazionale della Lega delle autonomie, Icd mar.-apr.
1984, pp. 3-20.
702
Nel 1967, dopo un’interruzione, si era svolto il III convegno della serie.
703
Il convegno di Viareggio. La finanza locale e la legge finanziaria 1985, Icd lug.-ago. 1984,
pp. 3-7.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 199
2.4.1. Lega/Anci: dalla competizione politica a quella tecnica
La sfida Anci-Lega comunque, non sarebbe cessata. Da quel momento la
competizione tra le due strutture dal punto di vista ideologico si sarebbe via via
stemperata per cessare, sostanzialmente, nei primi anni ‘90 e si sarebbe spostata sulla capacità di fornire concreti servizi agli amministratori e di rispondere ai
bisogni dei cittadini. Non era quindi certo un caso se tra le iniziative che il segretario Stefani chiedeva di sviluppare al IX congresso vi erano l’istituzione del
difensore civico, la carta dei diritti del malato, e “la carta dei diritti dell’utente
proposta dalla Cispel”704.
L’accresciuta importanza della funzione di supporto alla funzione di governo svolta dagli amministratori locali era evidentissima nell’evoluzione dell’Anci durante la presidenza Triglia. Tra il 1982 ed il 1992, grazie a Triglia, l’Anci
sviluppava molto la propria funzione di servizio ai comuni anche avvalendosi,
dal 1986, di un nuovo segretario Lucio D’Ubaldo, un giovane democristiano
che sostituiva Giovanni Santo, in carica per ventanni. I principali obiettivi politico-istituzionali sarebbero rimasti gli stessi degli anni e dei decenni precedenti - la riforma delle autonomie locali e la loro autonomia impositiva e finanziaria – ma grazie al presidente piemontese l’organizzazione ebbe una struttura più forte ed un deciso radicamento territoriale che la mise in grado di competere con la Lega sul piano tecnico-istituzionale. Il presidente dell’Anci incoraggiò la nascita di Anci regionali e rafforzò la struttura dell’organizzazione per
garantire ai comuni un’adeguata consulenza finanziaria, amministrativa e sindacale, rispetto ai lavoratori comunali e ricoprì anche le cariche di vicepresidente e poi presidente dell’organizzazione internazionale dei comuni, la Union
Internationale des Villes - International Union of Local Autorithies, primo italiano a raggiungere i vertici del movimento comunale internazionale.
Nel 1986 Triglia avviò la pubblicazione della Guida normativa per l’amministrazione locale, a cura del segretario comunale Fiorenzo Narducci, che si affiancò
prima e si sostituì poi all’Annuario delle autonomie locali pubblicato dalla Lega.
Dal 1997, infatti, cessata la pubblicazione dell’Annuario curato da Cassese, la
Guida normativa è divenuta, per sinteticità e completezza, uno strumento unico
a disposizione di tecnici ed amministratori comunali, nel pur ricco mercato della pubblicistica di supporto all’attività amministrativa delle autonomie locali.
L’anno seguente alla pubblicazione della prima Guida normativa, nel 1987, il
presidente dell’Anci promosse la rete telematica Ancitel, che realizzò sul modello di
quella dell’Unioncamere705, anche con un l’appoggio del Ministero dell’interno706.
704
Dante Stefani, Relazione al IX congresso nazionale della Lega delle autonomie, Icd mar.-apr.
1984, pp. 3-20.
705
Si ringrazia per questa informazione il sen. Riccardo Triglia.
706
L’organizzazione, infatti, firmò un apposito protocollo d’intesa con il Viminale che stabiliva una convenzione tra le due parti in base alla quale Ancitel poteva fornire agli “enti locali agli enti ed uffici interessati” notizie, dati e documentazione del Ministero relativa a normativa, studi, dati statistici della più varia natura in cambio di “una corretta utilizzazione e trasmissione dei dati forniti dal Ministero dell’interno” ed alla fornitura “in comodato fino a 120
terminali videostampanti […] destinati alle prefetture ed agli uffici del Ministero”; Servizi per
200 PARTE III
L’espansione dell’attività di supporto tecnico-amministrativo e delle stesse
organizzazioni nella seconda metà degli anni ‘80 aveva un definitivo riconoscimento della sicurezza e della stabilità delle entrate che, per quanto riguarda la
Lega, era particolarmente importante. Era infatti nel 1987, con l’approvazione
del DPR del 31 agosto 1987, n. 359, Provvedimenti urgenti per la finanza locale che la Lega, seppur non nominata ufficialmente, vedeva riconosciuta - al pari delle altre organizzazioni, che da anni ne usufruivano - la possibilità di riscuotere i contributi dagli enti associati attraverso appositi ruoli affidati ai concessionari del servizio nazionale di riscossione, con l’obbligo di garantire adeguate forme di pubblicità al proprio bilancio sul piano nazionale707. Con questa norma si ufficializzava la fine, ormai avvenuta da tempo nei fatti, degli interventi censori dei prefetti contro le delibere di iscrizione alla Lega che aveva,
così la garanzia di una regolare contribuzione708 da parte degli associati.
2.5. La Lega e la nuova sfida dell’unità del movimento per le autonomie locali
Il muro del conflitto ideologico che divideva la Lega dalle altre organizzazioni del movimento per le autonomie locali cadde, sostanzialmente, nei primi
anni ‘80, e quindi prima della caduta del Muro di Berlino che nel 1989 segnò
l’inizio della fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Le vittorie
ottenute dei partiti della sinistra nelle elezioni locali, a partire dal 1975, avevano mutato gli equilibri politici nelle principali organizzazioni del movimento
per le autonomie locali, prima nelle mani della Democrazia cristiana. Nel 1976
era stato eletto presidente dell’Upi il socialista Franco Ravà, presidente della
Provincia di Firenze. Dieci anni dopo, nel 1986, l’Unione venne guidata da un
altro presidente della provincia di Firenze, ma questa volta comunista: Alberto
Brasca.
Caduta la pregiudiziale ideologica, lo spirito unitario della Lega, insito nella struttura stessa dell’organizzazione, che raggruppa senza distinzioni comuni,
province e comunità montane, si rafforzava e spingeva l’associazione a farsi decisa promotrice di un processo di unificazione, sul piano orizzontale, tra le diverse organizzazioni delle autonomie locali, e di coordinamento, sul piano veri comuni. Roma, 27 maggio 1987, in I documenti dell’Anci…, vol. II, pp. 290-1; una nuova convenzione veniva firmata ancora nel 1991, Attività di servizi. Roma, 11 marzo 1991, in I documenti dell’Anci…, vol. III, pp. 251-2.
707
Nell’art. 27 era riconosciuta tale possibilità ad Anci, Upi, Aicce, Uncem, Cispel ed alle
“altre associazioni degli enti locali e delle loro aziende con carattere nazionale e dell’Unione italiana della camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”; il DPR era convertito
nella legge n. 440 del 29 ottobre 1987, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge
31 agosto 1987, n. 359, recante provvedimenti urgenti per la finanza locale, (GU 31 ott. 1987,
n. 255). La norma è ora ricompresa nel Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (art. 270) del 2000.
708
L’iscrizione ai ruoli eliminava rischi di ritardi o dimenticanze nel pagamento delle quote associative da parte degli enti locali; rimaneva salva, naturalmente, la possibilità di recesso
dell’ente locale.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 201
ticale, tra queste e le regioni, per mezzo della Conferenza dei Presidenti delle
Regioni, per regolare i rapporti, sempre più complessi, tra autonomie locali e
regioni.
Era questo un processo che evidenziava, per l’ennesima volta, la capacità
progettuale di cui la Lega è portatrice come organizzazione di carattere spiccatamente politico rispetto alle altre strutture del movimento. Il progetto di Stefani del 1984, infatti, sottolineava nuovamente l’esistenza nel movimento per
le autonomie locali del bisogno di un organo di raccordo complessivo tra autonomie locali, regioni e Stato, bisogno che si era manifestato in forma ricorrente nella storia del movimento e che sarebbe stato soddisfatto nella seconda
metà degli anni ’90 con l’istituzione della Conferenza unificata. Da sottolineare il fatto che, in linea con l’impostazione politica data alla questione dell’autonomia locale, propria della Lega, Stefani suggeriva “una forma permanente di
consultazione fra le varie organizzazioni degli Enti locali e con la stessa Conferenza dei Presidenti delle Regioni”, non tra istituzioni.
Un’impostazione non-istituzionale dei rapporti tra autonomie locali e regioni, e di conseguenza tra queste e lo Stato, che la Lega, pur inconsapevolmente, condivideva con la posizione espressa da due tra i maggiori maestri del
diritto, Massimo Severo Giannini e Roberto Lucifredi. Questa era l’espressione
particolarmente efficace con la quale nel 1960 Lucifredi, riprendendo sostanzialmente le posizioni di Giannini in materia, riassumeva la sua posizione contraria alla storica proposta dell’Anci di costituire un Consiglio superiore dei comuni per regolare i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali: “La mia perplessità nasce essenzialmente dal timore di aumentare la selva selvaggia e sovrabbondante dei nostri organismi amministrativi con una pianta in più, le cui
rigogliose ramificazioni forse contribuirebbero a rendere ancora più intricata la
selva, senza rendere apprezzabilmente più respirabile l’aria circostante”709.
2.5.1. 1986: Il settantesimo anniversario della fondazione
La celebrazione del settantesimo anniversario della fondazione delle Lega,
avvenuta a Bologna il 13 dicembre 1986 nella sala del consiglio comunale di
Palazzo D’Accursio, era occasione di interessanti riflessioni sul ruolo politico ed
istituzionale della Lega nella storia nazionale, pur con evidenti finalità politiche
e, soprattutto, di polemica partitica. Un’occasione comunque importante per
gli spunti che fornisce per capire come la classe politica di quegli anni interpretava la propria funzione in relazione ai fatti storici. Com’era avvenuto in
precedenti celebrazioni, le considerazioni sulle vicende complessive dell’organizzazione si basavano, tutte, sull’errata presunzione di una sostanziale continuità storica della Lega tra periodo liberale e repubblicano, interrotta solo dalla violenza fascista e non invece, come fu nella realtà, da una miope decisione
assunta nel 1922 dalla direzione massimalista del Psi.
Istituzione del Consiglio superiore degli enti locali. 3) Relazione dell’On. Prof. Avv. Roberto
Lucifredi, in “Notiziario Anci”, n.6-7, giu.-lug.1960, pp.VII-IX.
709
202 PARTE III
Per Corghi la diversità tra la Lega del periodo liberale e quella della Repubblica era dovuto soprattutto al “contesto” - principalmente dalla Costituzione
quindi - che rendeva improponibile il riferimento ad un partito e favoriva, invece, “una prospettiva aperta a tutte le forze politiche che si battono perché la
Repubblica sia fondata sulle Autonomie”. “Una prospettiva aperta” che, sempre secondo Corghi, aveva favorito l’azione comune di “uomini di diversa matrice politica e culturale […] per riaffermare i valori autonomistici quando essi
venivano in vario modo deviati dal potere centrale”710.
Il segretario, Stefani, riassumeva brevemente la storia della Lega in pochi
tratti: la Lega del periodo liberale “una vita breve fatta di slanci, di fervore ideale, di forte iniziativa, ma anche assai travagliata”, “le divisioni al suo interno fra
riformisti e massimalisti, la scissione fra socialisti e comunisti”, la fine voluta
dal fascismo. Quindi la rinascita nel 1947, i durissimi anni ’40 e ’50, quelli de
“il reato di essere sindaco”, poi gli anni ’60 e ’70 nei quali “si va delineando la
Lega di oggi, protagonista di un ampio movimento politico e culturale autonomista” e ancora gli anni della nascita dell’ordinamento regionale e dell’avvio
del processo di decentramento. Per arrivare agli anni ’80, dell’intollerabile ritardo della riforma della legge comunale e provinciale e della finanza locale che
rendeva necessario “l’11° decreto annuale per disciplinare i bilanci dei comuni
e delle province”. Gli anni delle mancate riforme che sarebbero state indispensabili per superare le difficoltà più forti della vita degli enti locali, “a partire da
quelle forme associative per i piccoli comuni”.
Stefani ribadiva, infine, quella che può essere definita come la sfida dell’unità portandola sul terreno della ricerca storica. Il segretario denunciava che “la
storia delle Autonomie è parte integrante della storia del nostro paese, [ma]
troppo spesso trascurata e sottovalutata dalla ricerca storica” ed annunciava la
decisione della ‘Lega’ di intraprendere il lavoro per costituire un ‘archivio storico delle autonomie’, per il recupero, la conoscenza, lo studio e la valorizzazione
di un patrimonio ricchissimo ed unico”711. Una proposta, mai attuata, suggerita dalla concomitanza delle celebrazioni della fondazione di Anci e Lega che ricordavano, rispettivamente, l’85° ed il 70° anniversario.
2.5.2. L’elogio della “doppiezza” e la difesa dell’autonomia
Un intervento molto interessante era quello di Giuliano Amato, all’epoca Sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri nel secondo Governo Craxi, la cui presenza sottolineava l’importanza che il Partito socialista di Bettino
Craxi tributava all’organizzazione delle autonomie locali della sinistra712. Amato
Corrado Corghi, Settanta anni!, Icd gen.-apr. 1987, pp. 3-7.
Dante Stefani, Le autonomie oggi e domani, Icd gen.-apr. 1987, pp. 9-14.
712
È comunque necessario ricordare, a testimonianza dell’importanza assunta dall’Anci in
quegli anni, che al congresso di Padova dell’Anci che si era svolto un paio di mesi prima, erano intervenuti, per il governo, oltre al Presidente Craxi, il Ministro dell’interno, Oscar Luigi
Scalfaro e il Sottosegretario al Tesoro Carlo Fracanzani; Paola Poeta, I comuni, il governo del territorio, le nuove infrastrutture civili, Ipl nov. 1986, pp. 7-14.
710
711
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 203
ripercorreva la storia della Lega con uno spirito opposto a quello affermato negli
interventi di Corghi e Stefani ricordando che la “lega socialista dei comuni fu, a
suo tempo, un fattore di divisione”. Il sottosegretario, quindi, sosteneva la necessità di cercare lo “specifico” della Lega delle origini e ricordava che la battaglia per
l’autonomia, nella storia d’Italia, era stata anche una battaglia conservatrice. Sottolineava, a questo proposito, i fini profondamente diversi dell’autonomia chiesta dai cattolici di Murri e di quella voluta dai socialisti di Costa, per i quali il comune era “particolarmente pertinente alla trasformazione socialista della società
di allora”. Ricordava che la Lega dei comuni era nata proprio perché i socialisti
volevano distinguersi da quelli che volevano l’autonomia come “uno strumento
di integrazione al pari di altri”, per sostenere invece, “il comune contro lo Stato”.
Amato affermava ancora che “lo specifico” socialista riguardo ai comuni era
una caratteristica che era “sempre stata vista come critica: doppiezza. Una sorta di provvidenziale doppiezza” che, per l’esponente socialista era evidentemente positiva. Grazie alla doppiezza fu possibile “il riformismo come azione di
quotidiano miglioramento delle condizioni dei ceti popolari, [ma] attraverso
una immaginazione del comune come strumento che serve per creare un’altra
società”. La stessa doppiezza, sottolineava, che permetteva ai socialisti di lavorare concretamente nelle cooperative, senza abbandonare la prospettiva di una
società socialista.
Ma quello che era rimasto più vivo del passato, secondo Amato, era purtroppo il pericoloso concetto del “comune contro lo Stato”, in parte giustificato dai ritardi nelle riforme di cui soffrivano gli enti locali. Il pericolo era che le
giuste lamentele contro le colpe dello Stato portassero alla sovrapposizione dell’autonomismo di Murri, conservatore, con quello di Costa, progressista, e si
arrivasse ad un autonomismo che fosse “un indistinto canto a difesa delle autonomie”. Portava quindi ad esempio la questione dei piccoli comuni: “non è
possibile che sia un’istituzione forte di una democrazia forte, un’istituzione locale che non abbia caratteristiche strutturali idonee ad essere forte”. “Io credo
– concludeva Amato – che il comune sia uno strumento e non un fine e voglio
che sia costruito, apprezzato e conformato in modo tale da essere ancora oggi
uno strumento di progresso e se deve cambiare […] è bene che cambi”, perché
quelli che dovevano essere tutelati erano i bisogni della comunità che non potevano essere soddisfatti da comuni troppo piccoli. Per questo la riforma delle
autonomie era prioritaria per il governo713.
L’intervento di Amato deve essere letto alla luce della battaglia e della polemica partitica di quegli anni. Mentre il Partito comunista a partire dagli anni
’70, dall’opposizione, era impegnato a costruire una prospettiva di collaborazione con i cattolici, il Psi di Amato sottolineava orgogliosamente la propria
identità sia nei confronti del maggiore partito di opposizione, il Pci, sia nei
confronti del maggiore partito nazionale, la DC, con il quale era al governo, sostenendo la prospettiva di uno Stato e di un Presidente del consiglio più forte.
In questo quadro era evidente che il Psi considerava con estrema diffidenza la
politica della Lega che, da un lato, perseguiva una strategia unitaria riguardo al
713
Giuliano Amato, Democrazia ed efficienza, Icd gen.-apr. 1987, pp. 23-30.
204 PARTE III
movimento per le autonomie locali e, dall’altro, difendeva a spada tratta il principio dell’autonomia locale. In particolare era forte lo scontro sul principio dell’autonomia locale. Il sottosegretario Amato riproponeva all’attenzione della
Lega, anche se con toni decisamente meno polemici, gli stessi elementi posti
dal Presidente del consiglio Bettino Craxi alla IX assemblea congressuale dell’Anci che si era svolta a Padova ad ottobre di quello stesso anno. A Padova il
Presidente Craxi, aveva posto il problema di una complessiva revisione delle
istituzioni di governo del territorio, a partire, in particolare, dai comuni714.
Era Zangheri, comunista di Imola ed ex-sindaco di Bologna che rispondeva
all’intervento di Amato. Il sindaco reclamava innanzitutto la necessità di riforme per gli enti locali, ricordava, insieme, la Lega dei comuni socialisti, il leggendario sindaco socialista di Bologna Zanardi, Murri e Sturzo, e ancora l’Anci, organizzazione unitaria dei comuni, della quale, sottolineava, un altro grande sindaco di Bologna, Dozza, era stato protagonista. Ricordava le iniziative di
Costa, sindaco della sua Imola e ancora la Costituzione e la “Repubblica fondata sulle autonomie”. Affermava il valore intrinseco delle autonomie locali
quali “antidoto all’accentramento politico, economico, ma anche culturale, ma
anche televisivo, ma anche dell’informazione”. Comuni e province, oltreché
soddisfare i bisogni delle comunità dovevano “dare un senso alla comunità locale, un senso di appartenenza alla comunità locale”, la riforma, concludeva
Zangheri, doveva riguardare certamente le autonomie locali, ma anche la Presidenza del consiglio, lo Stato e il Parlamento715.
La risposta ad Amato non poteva essere più chiara. La strategia dell’unità del
movimento per le autonomie locali era fissata, e se era bene pensare alla riforma dei comuni, bisognava fare riferimento ad essi, soprattutto come fondamento di democrazia. E nello stesso tempo, insieme alla riforma delle autonomie locali, sottolineava Zangheri, era indispensabile provvedere alla riforma
delle massime istituzioni nazionali, Stato e Parlamento compresi.
2.6. Il malessere delle autonomie locali
Alla fine degli anni ‘80, gli anni che precedettero la riforma delle autonomie
locali, cresceva l’insofferenza della società nazionale nei confronti delle istituzioni ed il malessere delle autonomie locali per la mancanza sia di una riforma
complessiva dell’ordinamento che le riguardava, sia della finanza locale. Nel
1987, a distanza di dieci anni dalla Riforma Stammati, tutto era ancora come
prima. Scriveva Giuseppe Falcone ne “Il comune democratico”: “È fallita l’amministrazione centrale dello Stato, anche nella espressione più alta: Governo e
Parlamento, perché in dieci anni non è riuscita a varare una riforma organica
delle prime cellule di uno Stato: Comuni e Province, e ha continuato per provvedimenti tampone […] È fallita l’amministrazione regionale, incapace di trovare una propria identità e un proprio fine, in eterno conflitto da una parte con
714
715
Poeta, I comuni, il governo del territorio..., cit.
Renato Zangheri, Nuove prospettive per le autonomie, Icd gen.-apr. 1987, pp. 31-36.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 205
l’amministrazione centrale e dall’altra con le autonomie locali […] Sono fallite
le stesse autonomie locali sia nella loro individualità che nelle loro associazioni,
altrettanto incapaci di perseguire un disegno obiettivo”716.
Dopo un infruttuoso incontro con il Presidente del consiglio Craxi con
l’Anci, l’Associazione, insieme ad Upi ed Uncem e con l’appoggio di Lega e Cispel, proclamava per il 2 febbraio 1987 una manifestazione di protesta di tutti
i consigli comunali d’Italia e per il successivo giorno 11 una manifestazione di
sindaci in Campidoglio, nel corso della quale intervenivano i presidenti di Anci, Upi ed Uncem, e il presidente della Regione Lazio, Montali, che portava il
saluto della Conferenza dei presidenti delle regioni. Quello stesso giorno il presidente Triglia veniva ricevuto dal Presidente della Repubblica, Giuseppe Cossiga, al quale leggeva un messaggio di tutte le organizzazioni che avevano promosso la manifestazione e dell’Aiccre717.
L’anno seguente, la minaccia terroristica che arrivava a colpire il mondo delle autonomie locali con l’assassinio dello storico delle istituzioni e senatore della DC Roberto Ruffilli a Forlì, il 16 aprile 1988, a dieci anni dall’assassinio di
Aldo Moro.
L’impegno in ambito politico-istituzionale per ottenere le grandi riforme di
cui le autonomie locali avevano bisogno718 si accompagnava ad un rinnovato
sforzo per il consolidamento della collaborazione con tecnici comunali ed
esperti. Dal 1988 il tradizionale appuntamento di Viareggio promosso dalla
Lega e dal comune, veniva organizzato, oltre che con la collaborazione di Cispel ed Uncem, anche con quella dei “rappresentanti dell’Associazione dei segretari comunali e provinciali, dei dirigenti di ragioneria, rappresentanti del
coordinamento nazionale dei Coreco […] dirigenti ministeriali”719. Tra i tecnici comunali cui la Lega chiedeva il contributo, quelli che senza dubbio parteciparono con maggiore intensità furono i segretari comunali che, da allora,
furono regolarmente presenti nel dibattito sulle riforme ospitato da “Il potere
locale”, in particolare in occasione degli incontri di Viareggio. L’alleanza della
Lega con i tecnici comunali aveva un significato strategico: nella sfida dell’unità la Lega, più piccola dell’Anci, cercava l’accordo con il maggior numero
possibile di componenti l’ampio e variegato movimento per le autonomie locali720.
Giuseppe Falcone, La finanza di investimento, Icd mag.-ago. 1987, pp. 3-8.
Paola Poeta, La protesta delle fasce tricolori, Ipl gen.-feb. 1987, pp. 8-14.
718
Un’attività che si esprimeva anche attraverso la realizzazione di vari convegni, come quello del 5 luglio 1988, tenutosi presso la Sala del Cenacolo, della Camera dei Deputati, dedicato a Quali riforme per una nuova fase costituente delle autonomie, Ipl lug.-ago 1988, pp. 4-14.
719
Prima riunione su Viareggio, Ipl mar.-1988; Speciale Viareggio, Ipl set. 1989.
720
Tra gli articoli pubblicati nella rivista: Segretari comunali. Un contributo alla definizione
di una legge di principi, Ipl ott. 1988, p. 64 ; Segretari comunali e provinciali. Definire presto principi, ruolo e funzioni. Assemblea nazionale, Ipl mar. 1989, pp. 54-55; Mario Pazzaglia (seg. gen.
prov. di Firenze), Alla dirigenza non servono parole magiche, Ipl set. 1989, pp. 58-63; Carlo Paolini (seg. com. Colle Val d’Elsa), Note sulla proposta di riforma dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali, Ipl ott. 1989, pp. 66-72.
716
717
206 PARTE III
2.6.1 La segreteria Gualandi
Il 23 maggio 1988 l’on. Enrico Gualandi, da tempo condirettore de “Il potere locale”, su indicazione del Consiglio nazionale, sostituiva Dante Stefani come segretario nazionale della Lega721, a Gualandi si affiancava poi, con la carica di segretario nazionale aggiunto, l’avv. Claudio Simonelli722, che era anche
direttore della rivista. Gualandi rilanciava subito la sfida dell’unità del movimento proponendo “una assemblea nazionale delle autonomie locali con la partecipazione di tutte le associazioni che le rappresentano”, anche per promuovere il dibattito sul disegno di legge sull’ordinamento delle autonomie locali in
discussione nel Parlamento723. E ancora la questione veniva ripresa nel documento conclusivo del convegno di Viareggio nel quale si proponeva: “Un coordinamento nazionale e regionale delle Organizzazioni delle autonomie, per
valutare l’opportunità di iniziative comunali”, si rilanciava l’idea di una “Assemblea nazionale delle autonomie locali e regionali, per dibattere e contribuire a definire una organica riforma dell’ordinamento” e, infine, “il ritorno unitario di tutte le associazioni autonomistiche a Viareggio”724.
Il documento conclusivo del X congresso della Lega, svoltosi a Perugia il 2628 aprile 1989, rinnovava le proposte di raccordo tra le organizzazioni delle autonomie locali, il progetto “di una Conferenza nazionale permanente dei poteri locali e regionali”, di “organi permanenti” nelle Camere e nei Consigli regionali di “filtro e verifica di compatibilità” di norme riguardanti regioni ed autonomie locali insieme ad un richiamo all’impegno delle autonomie locali al vicino appuntamento elettorale per l’elezione del Parlamento europeo725. Così
anche il documento conclusivo di Viareggio ’89726 e ‘90727.
2.6.2. Il rafforzamento dell’impegno tecnico-amministrativo
In quegli stessi anni non veniva meno nella Lega l’attività tecnico-amministrativa di supporto agli amministratori locali. Il 25-27 giugno 1987 la Lega organizzava a Ferrara, insieme al comune, la prima di una serie di Conferenze nazionali degli assessori della cultura”728, a cui seguiva la costituzione di una ConEletto il nuovo segretario della Lega, Ipl mag. 1988, p. 3.
Direzione della Lega. Eletta la nuova segreteria, Ipl giu. 1988, pp. 4-5.
723
Perché proponiamo una assemblea nazionale delle autonomie locali con la partecipazione di
tutte le associazioni che le rappresentano, Ipl set. 1988, pp. 6-7.
724
Documento conclusivo, Ipl ott. 1988, pp. 72-3.
725
Documento conclusivo approvato al X congresso, Ipl mag. 1989, pp. 56-7.
Nel congresso della Lega quel che restava del legame con i Paesi socialisti veniva riaffermato dalla presenza di un delegato della Conferenza permanente delle città e comuni jugoslavi, Dušan Kologiera, sindaco di Korcûla e del “delegato sovietico rappresentante di un’associazione che raggruppa le città gemellate dell’Unione sovietica”; Incontro con le delegazioni straniere, Ipl mag. 1989, p. 53.
726
Documento conclusivo approvato dalla Convenzione di Viareggio ’89, Ipl ott. 1989, pp. 74-5.
727
Documento conclusivo approvato dalla Convenzione di Viareggio, Ipl nov. 1990, pp. 50-1.
728
Speciale città e cultura, Ipl ott. 1987, pp. 40-63; la seconda si svolgeva due anni dopo,
sempre a Ferrara, dal 29 giugno al 1° luglio 1989, Speciale cultura, Ipl lug.-ago. 1989; la terza
il 18-20 giugno 1992, Conferenze per la cultura, Ipl ago-set. 1992.
721
722
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 207
sulta nazionale degli enti locali per la cultura729. Nel 1990 si svolgeva a Ravenna
il convegno nazionale Gli enti locali per l’ambiente730.
Nel 1988 la Lega pubblicava il Manuale della amministrazione locale, con la
prefazione di Massimo Severo Giannini731; il 2 febbraio 1989 nella sede di Roma del Cinsedo, ancora Giannini presentava l’Annuario delle autonomie 1989
curato da Cassese, definito da Luigi Ladaga, presidente delle Edizioni delle autonomie, “la nostra più importante pubblicazione”732.
Nel dicembre 1989, qualche mese prima della riforma dell’ordinamento
delle autonomie locali, le Edizioni delle autonomie pubblicavano il primo fascicolo della rivista mensile “Prime note”. Si accresceva così, anche con quello
uno strumento di supporto , l’attività tecnico-amministrativa di supporto della Lega agli amministratori ed ai tecnici locali733. Due anni prima, nel 1987,
erano cessate le pubblicazioni de “Il comune democratico”734 che, dopo aver
perso la funzione di rivista dell’organizzazione passando ad essere bimestrale dal
1982, era poi divenuto quadrimestrale dal 1986. Niente meglio della fine della storica rivista della Lega - che nel titolo rievocava “Il comune socialista”, organo della Lega nata nel 1916 - poteva rendere l’idea della progressiva affermazione della funzione tecnico-amministrativa rispetto a quella politico-istituzionale nell’attività dell’organizzazione.
Una funzione di servizio alle autonomie locali che si sarebbe ulteriormente
sviluppata a seguito delle riforme dell’ordinamento degli enti locali a partire dagli anni ‘90. L’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento delle autonomie
locali nel 1990, infatti, obbligava la Lega ad un importante sforzo editoriale per
rispondere alle richieste delle amministrazioni locali di strumenti interpretativi
della nuova legislazione. Nell’autunno del 1990 apparivano La riforma delle autonomie locali, a cura della redazione di “Prime note”735. Particolarmente significativo era lo sforzo per coadiuvare gli amministratori nella redazione delle
norme di autogoverno. La Lega pubblicava una Guida ragionata all’elaborazione degli Statuti e dei regolamenti736.
Giorgio Morales, Consulta nazionale degli enti locali per la cultura, Ipl mar. 1988, pp. 12-3.
Speciale ambiente, Ipl gen.-feb 1990, pp. 14-62.
731
Manuale della amministrazione locale, prefazione di Massimo Severo Giannini, Roma,
Edizioni delle autonomie; come riportava la recensione ne “Il potere locale”, si trattava di un
volume di 520 pagine, realizzato con il contributo di con 37 autori; Ipl nov.-dic. 1988, p. 47.
732
Presentato da Sabino Cassese e Massimo Severo Giannini l’Annuario ’89, Ipl gen.-feb. 1989,
p. 43.
733
Era questo un nuovo frutto della collaborazione da poco aperta dalla Lega con un gruppo di segretari comunali, diretti da Antonino Saja, che ebbero, da parte loro, la possibilità di
mettere a disposizione del mondo delle autonomie le proprie competenze.
734
L’ultimo numero consultato è il 2, mag.-ago. 1987.
735
Ipl set.-ott. 1990, p. 43; La riforma delle autonomie locali, a cura della redazione di “Prime note”, Roma, Edizioni delle autonomie, 1990; Lega delle autonomie locali.
736
Lega delle autonomie locali, Guida ragionata all’elaborazione degli Statuti e dei regolamenti, a cura di Domenico Davoli, Claudio Ceino, Walter Anello, Roma, Edizioni delle autonomie, 1990.
Nel quadro di questo sforzo editoriale si ricorda l’iniziativa delle casa editrice Edizioni delle autonomie, che pubblicizzava con una lettera agli amministratori il proprio volume La re729
730
208 PARTE III
Alla fine del 1990, all’indomani della riforma, l’organizzazione costituiva la
società Lega servizi & consulenza, per fornire servizi telematici, operativi e consulenza agli enti locali737, in particolare nell’ambito dell’attività di formazione
del personale738. Nel 1992 la società offriva servizi anche alle province per la redazione del Piano territoriale di coordinamento, di loro competenza, previsto
dalla legge 142/90739.
3. Gli anni ’90: le riforme
Mentre il Parlamento dibatteva della riforma dell’ordinamento degli enti locali i risultati delle elezioni amministrative del 6-7 maggio 1990 registravano il
primo, importante cambiamento nella geografia politica delle amministrazioni
locali. Il 20% di astensioni, voti nulli ed in bianco, l’affermazione nel nord della Lega Lombarda e di formazioni ad essa vicine, la perdita di consensi del Pci
e della DC, che però riusciva almeno a bilanciare l’emorragia di voti con un aumento nell’Italia del Sud, sollecitavano l’organizzazione a riaffermare, ancora,
l’urgenza della riforma delle autonomie locali e dello Stato, questa volta anche
con accenti drammatici: “Ogni ulteriore ritardo ed incapacità a riformare lo
Stato e le Autonomie locali comporterà l’accelerazione di un processo di disgregazione, che è già in atto, e seri pericoli per l’avvenire della democrazia italiana”740.
La questione dell’autonomia, da decenni accantonata dal governo nazionale, in nome di superiori e più urgenti interessi, era clamorosamente balzata sulla scena politica, insieme a quella della riforma della Pubblica amministrazione
e dello Stato. Venne così avviato un profondo mutamento della Pubblica Amministrazione che partì dall’amministrazione locale e, non a caso, coincise con
un altrettanto profondo mutamento degli equilibri politico–istituzionali indazione dello Statuto, a cura della Lega, della redazione di “Prime note” e del Censis. “Non uno
statuto fotocopiato – specificava la lettera – ma uno strumento che mette in grado gli amministratori di compiere le loro scelte autonomamente: questo è l’unico modo per cogliere davvero la storica opportunità di realizzare il disegno autonomista contenuto nella legge 142/90”
Lettera della Edizioni delle autonomie, datata “Roma, dicembre 1990” indirizzata “Agli amministratori locali italiani”; Ipl gen. 1991, pp. 10-11.
737
Ipl nov. 1990, pp. 52-8.
738
L’attività si svolgeva anche in collaborazione con i segretari comunali e provinciali e dimostrava quanto fossero ampie le possibilità di fornire attività di sevizio alle autonomie locali,
specie dopo la riforma; Cfr. Walter Anello (direttore dell’Ufficio di segreteria della Lega delle
autonomie), L’attività di formazione e servizio della Lega, Ipl gen,-feb. 1992, pp. 34-5; Antonino Saja (Segretario Unione segretari comunali e prov. e responsabile per la formazione della Lega servizi & consulenza), Scelte metodologiche per l’attività formativa di amministratori e dirigenti, ivi, pp. 35-8; sulla Lega servizi cfr. ivi, pp. 34-46.
Si segnala che, sempre nell’ambito della formazione, Anci e Formez avevano firmato una convenzione alla fine del 1987; Servizi per i comuni, in I documenti dell’Anci…, vol. II, pp. 294-6.
739
Un nuovo servizio della Lega servizi & consulenze, Ipl nov. 1992, pp. 21-22.
740
Enrico Gualandi, O si riformano le istituzioni per garantire credibilità ed efficienza, o perde tutto il sistema democratico, Ipl mag. 1990, pp. 5-6.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 209
staurati a partire della fine della seconda guerra mondiale, fino a quel momento rimasti sostanzialmente intatti.
La lunga stagione delle riforme iniziava nel 1990 con due leggi, la n. 142
dell’8 giugno 1990, Ordinamento delle Autonomie locali e la n. 241 del 7
agosto 1990, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi, a sottolineare il legame tra la
democratizzazione delle istituzioni, presupposto del decentramento, e la democratizzazione della pubblica amministrazione, su cui si basa la possibilità dell’accesso e del controllo da parte dei cittadini dei processi amministrativi.
Il 1990 era, nei termini utilizzati da Cassese, l’Annus mirabilis della legislazione amministrativa italiana741, nel quale la Lega aveva l’occasione di rilanciare la sfida per l’unità del movimento.
3.1. Per una Conferenza nazionale delle autonomie
Questa volta era in nome dell’urgenza dell’applicazione della riforma che la
Lega chiedeva “la convocazione di una ‘Conferenza nazionale delle autonomie’
– promossa dal Governo e dal Parlamento, con la partecipazione di Regioni e
di tutte le associazioni autonomiste”742. La proposta di un tavolo di lavoro comune con tutte le associazioni delle autonomie e della ricerca di un futuro unitario743, veniva ripresentata in occasione dell’XI congresso nazionale che si svolgeva a Siena il 28-30 novembre 1991744.
All’ennesimo richiamo all’unità della Lega rispondeva positivamente il presidente dell’Anci, Triglia: “Già dall’assemblea di Catania formulai l’invito a ricercare un accordo più stretto tra le attuali organizzazioni, anche nella prospettiva di una qualche riforma unitaria. Oggi questa esigenza è ancora più viva e
più forte e ci deve vedere impegnati in un graduale processo, per favorire la costruzione di un adeguato consenso di tutte le parti”745. Era evidente che la necessità di un fronte comune per organizzare le iniziative per l’applicazione della
riforma aveva spinto almeno la principale delle organizzazioni del movimento
per le autonomie, l’Anci, ad accettare la sfida dell’unità. Alla sostanziale apertura dell’Anci, confermata dal segretario, Lucio D’Ubaldo746, e condivisa dall’Uncem, corrispondeva quella più incerta della Cispel e quella sostanzialmen741
Recensione. Annus mirabilis, Ipl feb.-mar. 1991, p. 63; dalla recensione dell’Annuario
1991 delle autonomie locali, diretto da Sabino Cassese.
742
Claudio Simonelli, Ritardi nei tempi di attuazione, urge una Conferenza nazionale delle
autonomie, Ipl gen. 1991, p. 5.
743
Enrico Gualandi, Proponiamo un tavolo di lavoro comune con tutte le associazioni delle autonomie, Ipl nov. 1991, p. 5; Claudio Simonelli, La natura della nostra associazione ci dà gli strumenti per la ricerca di un futuro unitario; ivi, p. 4.
744
XI congresso nazionale, Ipl nov. 1991; idem, dic. 1991.
745
Messaggio del presidente dell’Anci sen. Riccardo Triglia, Ipl dic. 1991, pp. 18-9.
746
Lucio D’Ubaldo, Una federazione delle associazioni degli enti locali: un tema per i prossimi congressi, Ipl gen.-feb. 1992, p. 15
210 PARTE III
te contraria dell’Upi, espressa dal segretario747 mitigata appena dalla posizione
del presidente Brasca748.
L’avvenuta riforma dell’ordinamento non aveva assolutamente fatto passare
in secondo piano la questione della finanza locale, rimasta ancora insoluta.
L’impegno della Lega nella materia si manifestava in occasione dell’appuntamento per il Convegno nazionale sulla finanza locale, che sostituiva, da allora,
quello tradizionale di Viareggio, il primo dei quali si volgeva a Modena il 1213 settembre 1991749.
3.2. I sindaci si mobilitano
Sabato 30 maggio 1992, 150 sindaci della Toscana facevano sciopero e si recavano con i rispettivi gonfaloni “in corteo come ufficiali di governo, per la città di Firenze fino a Palazzo Vecchio, dove abbiamo incontrato i parlamentari”. Come affermava il sindaco di Campi Bisenzio Adriano Chini: “I comuni chiedono innanzitutto responsabilità diretta: amministrativa, decisionale, gestionale. Vogliamo decidere noi le linee progettuali e programmatiche, rifiutiamo che persino le spese postali, come attualmente avviene, siano decise dal Governo centrale”750. Il successivo
due luglio un migliaio di sindaci di tutta Italia si riuniva a Roma, in Campidoglio,
chiedendo maggiori responsabilità, autonomia finanziaria e l’elezione diretta del
sindaco751 una proposta, questa sostenuta anche dal consiglio nazionale della Lega
svoltosi in quelle settimane752. Ancora nel 1992, il 15 e 16 ottobre, la Lega e il Consiglio regionale della Valle d’Aosta organizzavano congiuntamente a Saint Vincent
il convegno Per una riforma regionalista e autonomista dello Stato, “premessa per il
rilancio di un rinnovato movimento regionalista ed autonomista”753. Evidente tentativo di armonizzare le aspirazioni riformatrici delle autonomie locali, non certo
soddisfatte della riforma del 1990, e quelle delle regioni, in un periodo nel quale le
richieste secessioniste sostenute in particolare dalla Lega Nord avrebbero potuto isolare le autonomie locali dal ventilato processo di riforma costituzionale.
747
La Cispel proponeva la costituzione di due distinti organismi, una federazione di tutte
le realtà erogatrici di servizi, comprese le aziende sanitarie, ed un’ altra comprendente le organizzazioni di tipo politico e tecnico-amministrativo. Il segretario dell’Upi, Camillo Moser, aveva espresso la sua preoccupazione per questa possibilità e chiedeva, invece, la costituzione di uffici e servizi comuni; Federazione, Confederazione o separati in casa?, Ipl dic. 1991, p. 42.
748
Crisi di rappresentanza e cultura autonomistica: è tempo di cambiare. Colloquio con Alberto Brasca, presidente dell’Upi, Ipl gen.-feb. 1992, pp. 16-9.
749
Modena: convegno nazionale sulla finanza, Ipl set.-ott. 1991; il secondo si teneva il 22-23
settembre 1992, Speciale. Modena: convegno annuale sulla finanza locale, Ipl ott. 1992.
750
Intervista. Responsabilità amministrativa, gestionale, riforma elettorale e autonomia finanziaria, Ipl giu.-lug. 1992, pp. 8-10.
751
P.P. (Paola Poeta), I sindaci sono arrivati a Roma, Ipl giu.-lug. 1992, p. 9.
752
Consiglio nazionale. Le proposte per il programma di governo: nuovo stato regionalista; riforma dei sistemi elettorali; riforma della finanza locale e regionale nel contesto di nuovi assetti istituzionali, Ipl giu.-lug. 1992, pp. 18-20.
753
Enrico Gualandi, Una risposta forte sia al centralismo che alla divisione dello Stato, Ipl gen.
1993, p. 5.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 211
3.4. I sindaci protagonisti del movimento per le autonomie locali
Una nuova Lega cercava di affermarsi definitivamente e poteva/doveva misurarsi con il resto del movimento per le autonomie locali senza temere più alcuna
accusa di partigianeria politica, ma senza nemmeno potersi affidare alla forza di
grandi partiti popolari di massa, che ormai non avevano più la forza degli anni
precedenti. Così scriveva Paola Poeta, redattore capo della rivista della Lega che,
non ricoprendo incarichi politici nell’organizzazione, poteva essere più esplicita:
“O la Lega delle autonomie, forte della sua natura trasversale tenta, con un nuovo
gruppo dirigente, nazionale e locale, di vincere questa sfida, o dovrà ‘accontentarsi’
di essere l’ala ‘illuminata’ delle sinistre, o peggio, dovrà inglobarsi in un indefinito
‘rassemblement’ associazionistico”. L’elettorato aveva fatto le proprie scelte, l’Italia
non era la Gran Bretagna, il paese della pacifica alternanza, ma poteva avvicinarsi
“ai cugini francesi, che conservano due blocchi con tante anime dentro”754.
La Lega, si poteva concludere seguendo la traccia di questa analisi, doveva
rinnovarsi di conseguenza, a cominciare dal gruppo dirigente.
La legge per l’elezione diretta di sindaco e presidente della provincia755
aveva effetti positivi sull’intero sistema delle autonomie locali, perché non
solo garantiva alle amministrazioni – e soprattutto a quelle provinciali, fino
ad allora particolarmente instabili - quella saldezza che era l’esplicito obiettivo dell’iniziativa sfociata nell’approvazione della legge, ma dava risalto alle figure di sindaco e presidente della provincia accrescendone, contemporaneamente, forza e credibilità non solo rispetto a regione e governo, ma anche, e
soprattutto, rispetto ad una disorientata opinione pubblica. L’approvazione
della legge, che veniva accolta con favore dalla Lega756, stimolava il dibattito
su nuove e sempre più necessarie riforme del sistema delle autonomie locali.
L’organizzazione rilanciava la riforma regionale757, riproponeva quella sulla figura dei segretari comunali e provinciali758; in occasione dell’appuntamento
Paola Poeta, Un voto più libero che pone a tutti problemi di scelte e di coordinamento, Ipl
nov.-dic. 1992, pp. 7-8.
755
Legge 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del
consiglio comunale e del consiglio provinciale; sugli effetti della legge cfr. Luciano Randelli, Sindaci e miti, Bologna, Il Mulino, 1997.
756
Enrico Gualandi, Elezione diretta del sindaco: novità per cittadini e istituzioni, Ipl apr.
1993, pp. 7-9.
Nell’ambito della funzione di servizio agli amministratori la Lega pubblicava un volume
sulla nuova norma nella collana Come fare: Alberto Fossati (a cura di), Il nuovo ordinamento degli enti locali dopo le leggi 142/90 e 81/93, Roma, Edizioni delle autonomie, 1993; successivamente Carlo Paolini, Antonio Saja (a cura di), Manuale degli enti locali. Organizzazione, competenze, atti, procedure e strumentazioni della nuova amministrazione locale, prefazione di Francesco Rutelli, coordinamento per la Lega delle autonomie locali Walter Anello, Roma, Edizioni delle autonomie, 1996.
757
Pier Luigi Bersani (Segretario regionale Pds Emilia-Romagna), Per un progetto di regionalismo: la proposta del Pds dell’Emilia Romagna, Ipl apr. 1993, pp. 23-6.
758
Gianni Bechelli (sindaco di Scandicci), Figura e funzioni del segretario comunale e lo scoglio dei controlli, Ipl mag. 1993, p. 29; Segretari: un nuovo status per un nuovo profilo professionale, Ipl giu.-lug. 1993, p. 26; Il nuovo ordinamento dei segretari comunali e provinciali, Ipl nov.dic. 1993, pp. 14-5.
754
212 PARTE III
di Modena del 1993 presentava una proposta di legge per la riforma della finanza locale759.
3.4.1. La prima marcia dei sindaci eletti dai cittadini
Il protagonismo dei sindaci sarebbe divenuto, da allora, una costante nel dibattito politico-istituzionale del Paese ed avrebbe avuto notevoli effetti, naturalmente, anche sul movimento per le autonomie locali. Il 2 giugno 1993 la Lega organizzava una manifestazione nazionale di sindaci in Campidoglio, in
concomitanza con il 47° anniversario della Repubblica, per protestare contro i
tagli del Governo a danno dei bilanci delle autonomie locali760, in aperta violazione della legge 142/90761. Il documento veniva presentato ai gruppi parlamentari, congiuntamente, dalla Lega e dai sindaci762, sindaci dei quali veniva riconosciuto, quindi, il protagonismo.
L’organizzazione riproponeva, anche nel nuovo contesto, la sfida dell’unità al
nuovo presidente dell’Anci eletto nel 1992, Pietro Padula, a cui Gualandi, dalle colonne de “Il potere locale”, rivolgeva un preciso richiamo Attendiamo ancora risposte alle nostre proposte unitarie763.
3.4.2. L’incarico al sindaco Rutelli della guida del processo di unificazione
La politica della Lega per la nuova fase politico-istituzionale veniva illustrata da Gualandi in occasione della Conferenza programmatica ed organizzativa
che si svolgeva a Pisa il 14-15 luglio 1994. All’ordine del giorno, al primo posto, c’era La repubblica delle autonomie. Modifiche alla Costituzione e modello federale, subito dopo le grandi riforme legislative c’era la questione finanziaria,
Prima valutazione sul programma e sul documento di programmazione economica
e finanziaria ’95-’97 del Governo, infine, Costruire una Confederazione tra tutte
le associazioni delle autonomie locali764.
Al termine del suo intervento Gualandi riassumeva gli sviluppi dell’iniziativa unitaria della Lega, a partire da una recente riunione di tutte le associazioni convocata dal presidente dell’Anci, Padula, nella quale era stata accolta
la proposta di “istituire un collegamento stabile interassociativo, capace di rappresentare un momento autorevole ed unitario delle esigenze comuni al mondo delle autonomie”. Nella riunione era stato poi deciso di proporre al sindaSpeciale Modena, Ipl ott. 1993, pp. 22-56
I tagli vennero effettuati con il decreto legge del 22 maggio 1993 n. 155.
761
Enrico Gualandi, I sindaci protestano contro la politica autoassolutoria dello Stato centralista, Ipl giu.-lug. 1993, pp. 6-7.
762
Documento presentato dalla Lega e dai sindaci ai gruppi parlamentari, Ipl giu.-lug. 1993,
pp. 8-9.
763
Enrico Gualandi, Attendiamo ancora risposte alle nostre proposte unitarie, Ipl ott. 1993, pp.
11-2.
764
Ipl mag.-giu. 1994, p. 37.
759
760
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 213
co di Roma, Francesco Rutelli, che aveva accettato, di presiedere un apposito
tavolo di coordinamento tra le associazioni, Anci, Upi, Uncem, Aiccre, Cispel
e Lega765.
Rutelli, nella lettera inviata ai partecipanti alla Conferenza, dopo avere sottolineato che “il movimento delle autonomie territoriali sta attraversando in
questi mesi una fase di passaggio di grande interesse e delicatezza”, riaffermava
l’accettazione della proposta offertagli “per dar vita ad un efficace coordinamento” delle organizzazioni delle autonomie locali766.
L’affidamento al sindaco di Roma dell’incarico di guidare il movimento all’unità non deve stupire. I sindaci eletti nel 1993 non avevano tardato a comprendere l’eccezionale importanza del proprio ruolo in un momento tanto critico come quello della prima metà degli anni ’90.
Il 10 e 11 dicembre 1994 si svolgeva a Roma la Convenzione dei sindaci democratici che “lanciava una sfida al Governo in vista dell’appuntamento elettorale amministrativo di giugno”. Si parlava apertamente di un “partito dei sindaci”, anche se gli interessati, a partire da Rutelli, smentivano767.
Con l’incarico affidato al sindaco della capitale le organizzazioni del movimento - ed in primo luogo la Lega che era stata la prima a porre la sfida dell’unità – conseguivano un duplice risultato. In primo luogo la partecipazione dei
nuovi sindaci eletti direttamente dai cittadini rafforzava il movimento per le
autonomie locali permettendo a questo di intervenire, con maggiore potere
contrattuale, all’elaborazione di quella che si riteneva l’ormai prossima riforma
dello Stato. In secondo luogo, i sindaci - attraverso Rutelli - in quanto figure
organiche al movimento, esterne però alla logica delle diverse strutture, avrebbero potuto condurre con maggiore efficacia le organizzazioni delle autonomie
locali al difficile traguardo dell’unità.
Ma il “partito dei sindaci”, che meglio si sarebbe dovuto definire il partito
dei sindaci delle grandi città avrebbe preferito muoversi diversamente.
3.5. Il movimento per le autonomie locali e il “partito dei sindaci delle grandi
città”
Il 9 novembre 1995, a 12 giorni dallo svolgimento dell’assemblea nazionale
dell’Anci che lo aveva eletto presidente768, Enzo Bianco, sindaco di Catania, capeggiava una manifestazione pubblica di centinaia di sindaci ed amministratori locali769. Dopo una riunione svoltasi in Campidoglio gli amministratori mar765
Enrico Gualandi, È tempo di definire una proposta di federalismo, Ipl lug.-ago 1994, pp.
4-11.
Il messaggio del sindaco di Roma Francesco Rutelli, Ipl lug.-ago. 1994, p. 16.
Paola Poeta, La lunga marcia per l’alternativa di governo parte dai comuni, Ipl dic. 1994,
pp. 6-7; Nando Morra (Segretario della Lega delle autonomie di Napoli), Federalismo e autonomia, il nuovo soggetto politico è il partito dei sindaci?, Ipl dic. 1994, pp. 4-5.
768
Il sindaco di Catania, Enzo Bianco, veniva eletto presidente nella XII assemblea generale dell’Anci svoltasi a Sorrento il 25-28 ottobre 1995.
769
Cfr. E. Bianco, Ci attende un percorso impegnativo, “Anci Rivista” (AR) nov. 1995, pp. 9-10.
766
767
214 PARTE III
ciavano lungo via del Corso770 fino a Palazzo Chigi, dove incontravano il Presidente del consiglio dei ministri, Lamberto Dini, ed i presidenti di Camera e Senato. “Noi, Sindaci e Consiglieri comunali”, riporta il documento ufficiale approvato nella riunione in Campidoglio, “avvertiamo oggi una grande responsabilità dinanzi al Paese. I Comuni rappresentano una fondamentale risorsa democratica – di legittimazione, credibilità e stabilità – per far fronte al difficile
travaglio politico e istituzionale del Paese”771.
I sindaci chiedevano poi, tra l’altro, di: “Istituire una Conferenza permanente Stato-Città per la determinazione delle materie attualmente di competenza statale da trasferire ai comuni” con un obiettivo che il presidente Bianco
individuava chiaramente: “Ora, in un forte spirito unitario, dobbiamo fare dell’Anci un forte soggetto politico-istituzionale in grado di imporre un serio e vigoroso percorso di riforma”772. L’Anci rinnovava così l’esigenza di una sede istituzionale di confronto tra Governo ed autonomie locali manifestata per la prima volta nel 1906: si andava verso la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali (Csc)773.
3.5.1. Il rilancio della sfida dell’unità
Il 3 e 4 giugno 1996 si svolgeva a Pesaro il XII congresso della Lega delle autonomie locali, in un clima di grandi attese. Era passata solo qualche settimana dalla costituzione del Governo di Romano Prodi nell’appena iniziata XIII
legislatura. La relazione introduttiva del segretario esprimeva tutte le speranze
di un sistema che aveva atteso per decenni le riforme che era ormai certo potessero attuarsi. Gualandi parlava di “lotta al centralismo nazionale” e al “neocentralismo regionale”, faceva riferimento al “federalismo cooperativo” citato
nel programma del Presidente del consiglio Prodi. Interveniva nel dibattito sulla riforma costituzionale chiedendo di “addivenire ad una sola Camera dei Deputati meno pletorica, eletta a suffragio universale con sistema elettorale a doppio turno”, alla costituzione di una Camera o Senato delle autonomie locali nominata dalle regioni e dagli enti locali. Auspicava “una strategia unitaria per le
autonomie locali e regionali” e, subito, “segnali immediati”, come la riforma
della finanza locale.
Il segretario ricordava una precedente proposta della Lega per la costituzione di un “Ministro o un Sottosegretario alle autonomie territoriali presso la
Presidenza del Consiglio” e non presso il Ministero dell’interno, per innovare
la prassi di un’autonomia locale legata ai prefetti. Esprimeva le forti perplessità
della Lega sulla proposta dell’istituzione di un Conferenza Stato-città per la de770
“Senza bloccare il traffico della capitale”, riporta l’organo dell’Anci, a sottolineare il pieno rispetto della legalità dell’iniziativa; P.M., La marcia dei sindaci, AR nov. 1995, p. 11.
771
Appello di Roma. Dichiarazione dei sindaci. Campidoglio, Sala Giulio Cesare, 9 novembre
1995, AR nov. 1995, p. 12.
772
Bianco, Ci attende un percorso impegnativo…, cit.; il corsivo è redazionale.
773
Francesco Pizzetti, Verso la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, AR feb.1996,
pp.9-12.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 215
ludente prova dell’analoga Conferenza Stato-regioni, “per il pericolo di un eccessivo spostamento dell’asse sulle grandi città”, perché credeva opportuno un
coordinamento fra Stato, regioni ed enti locali “come sistemi coordinati” e non
spezzettati. Ricordava, ancora, la necessità di “un patto federativo fra tutte le associazioni autonomiste”, per arrivare entro l’anno ad una “Federazione unitaria”774.
Il documento conclusivo del congresso, dopo aver approvato la relazione di
Gualandi, con “la riaffermazione dell’impegno unitario e, insieme, della specificità della Lega”, auspicava l’apertura della “stagione delle riforme istituzionali e del rinnovamento dello Stato, in senso federalista ed autonomista”775.
A Pesaro, infine, la Lega approvava un nuovo statuto e rinnovava parzialmente la propria dirigenza, con l’elezione a presidente di Giuliano Barbolini,
sindaco di Modena, del Partito democratico della sinistra (Pds), e la conferma
a segretario di Gualandi776.
3.5.2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali
Qualche settimana dopo l’appuntamento di Pesaro il Presidente del consiglio Prodi accoglieva la richiesta dell’istituzione di un organo ufficiale di raccordo Stato-comunità locali, presentata “fin dai primissimi giorni successivi alla formazione del governo”, dai presidenti dell’Anci e dell’Upi, Enzo Bianco e
Marcello Panettoni777. Veniva così varato il Dpcm 2 luglio 1996, “Istituzione
della Conferenza Stato-città e autonomie locali”, il cui testo veniva sostanzialmente confermato dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, attraverso il
quale l’attività della Conferenza Stato-città veniva inserita in quella più ampia
della Conferenza Unificata, costituita dalla stessa Csc e dalla Conferenza StatoRegioni e province autonome di Trento e Bolzano, riorganizzata in virtù di
quello stesso provvedimento.
Con l’istituzione della Conferenza Stato-città l’Anci e l’Upi, e soprattutto i
sindaci delle grandi città, riuscivano a capitalizzare opportunamente il prestigio
acquisito in un periodo di fortissima crisi dei partiti e delle istituzioni nazionali. Una capitalizzazione resa possibile anche grazie al fatto che, in quel periodo, era stato essenziale per il Governo Prodi ottenere la loro adesione ed il loro coinvolgimento al processo di riforma dello Stato da esso intrapreso, non ultimo, per bilanciare le spinte secessioniste della Lega Nord di Umberto Bossi.
Erano, quindi, anche esigenze e necessità di equilibri di politica nazionale a
determinare la nascita della Csc, esigenze e necessità che si ripercuotevano sul
movimento per le autonomie locali. Hanno rilevato Walter Anello e Giovanni
774
Enrico Gualandi, Un programma di lavoro per la nostra Associazione, Ipl mar.-giu. 1996,
pp. 7-14.
775
Documento conclusivo. Approvato alla conclusione del XII congresso nazionale, Ipl mar.-giu.
1996, p. 29.
776
Organi della Lega delle autonomie locali, Ipl mar.-giu. 1996, p. 31
777
Francesco Pizzetti, La Conferenza Stato-Città e Autonomie locali, “Giornale di Diritto amministrativo”, n.7, 1997, p. 668.
216 PARTE III
Caprio, che la scelta di demandare ad Anci ed Upi “il compito della designazione dei rappresentanti [nella Conferenza] si è di fatto risolta in una spartizione tra componenti partitiche che non poteva tener conto dell’universo del
sistema autonomistico e delle diverse specificità. Basta guardare le designazioni
[…] per rendersi conto che esse hanno soddisfatto solo l’esigenza di alcuni sindaci di grandi città, il grado più o meno rappresentativo di questa o quella realtà locale e soprattutto la logica di appartenenza partitica”.
Veniva poi sottolineata l’esclusione della Lega che aveva portato anche all’estromissione di dalla Csc di qualche “centinaio di comuni che aderiscono alla
Lega delle autonomie locali ma non all’Anci e che vedono esclusa dalla Conferenza la loro associazione senza un reale motivo, visto che lo statuto della Lega
delle autonomie locali associa gli enti non su base ideologica” ma su un programma autonomista ed aveva organi democraticamente eletti778.
3.5.3. Tra divisioni e spinte all’unità
Nel pieno della gestazione delle proposte che si sarebbero poi tradotte nella
riforma del titolo V della Costituzione779 il movimento per le autonomie locali
viveva un periodo di profonde divisioni. Era proprio per ovviare a rivalità vecchie e nuove in un momento tanto importante della storia delle autonomie locali – come di quella nazionale - che la Lega rilanciava la sfida dell’unità.
Anci e Lega allo sprint finale per l’alleanza, era questo il titolo apparso ne “Il
Sole 24Ore” del 7 luglio 1997 nel quale si rendeva noto il progetto per la nascita di “una ‘super confederazione’” tra Lega, Anci, Upi, Uncem, Aiccre e Cispel, non a caso proprio durante i lavori della Commissione bicamerale e all’indomani delle dichiarazioni di un relatore della stessa Commissione, Francesco D’Onofrio, il quale aveva individuato “una delle cause della affievolita scelta federalista compiuta dalla Commissione Bicamerale” nella “disarticolazione
delle posizioni espresse dalle regioni, dall’Anci e dall’Upi e la conseguente mancanza di una forte pressione unitaria del sistema delle autonomie locali”. Parte
essenziale del processo che avrebbe dovuto portare alla super confederazione era
“il rapporto con le forze politiche”e, in questo ambito, il giornale segnalava che
il Pds, partito di appartenenza di gran parte dei sindaci aderenti alla Lega, aveva dovuto rinviare “un’importante riunione alle Botteghe oscure” che aveva come ordine del giorno “l’integrazione tra le due associazioni a causa dell’assenza
dei sindaci ‘rossi’ dell’Anci”. L’iniziativa sarebbe dovuta proseguire nel corso
dell’autunno successivo, in occasione dello svolgimento, in particolare, dei congressi nazionali di Anci e Lega780.
778
Walter Anello e Giovanni Caprio, I difficili rapporti tra centro e periferia. Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-città-autonmie locali e Conferenza unificata, in “Le istituzioni del
federalismo. Regione e governo locale. Bimestrale di studi giuridici e politici della Regione
Emilia Romagna”, gen,-feb. 1988, pp. 47-61.
779
Legge costituzionale 18 ott. 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
780
R. Gal., Anci e Lega allo sprint finale per l’alleanza, “Il Sole 24Ore”, 7 lug. 1997.
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 217
Qualche giorno più tardi, su “Italia Oggi”, un articolo dava notizia dell’assoluta opposizione dei sindaci di Forza Italia - espressa dal sindaco di Giaveno,
Osvaldo Napoli - alla prospettiva dell’unificazione tra le diverse organizzazioni
del movimento autonomista, che veniva interpretata come una sorta di tentativo di politicizzazione dell’Anci, in primo luogo, e di tutto il movimento781.
Se era comprensibile la contrarietà dei sindaci del partito Forza Italia, minoranza nell’Anci, ad un processo che li avrebbe visti divenire ancor più marginali in una grande organizzazione nella quale la presenza di partiti di centrosinistra sarebbe stata rafforzata dagli amministratori delle Lega, rimane da capire quanta parte avevano nell’insuccesso del tentativo i sindaci “‘rossi’” dell’Associazione per i quali, quasi certamente, l’essere sindaci di grandi città, perfettamente rappresentati dall’Anci, era evidentemente molto più importante di
una ormai molto affievolita obbedienza al partito. Paradossalmente, l’affiliazione partitica da una parte e, dall’altra, la forza delle ragioni delle grandi città all’interno del movimento comunale782 - rispetto a partiti e movimenti politici
più deboli - contribuiscono a spiegare le difficoltà sulla strada della “‘super-confederazione’” descritta dal “Sole 24Ore”.
3.6. “Costruire il federalismo per rafforzare la partecipazione”
Il XIII congresso nazionale della Lega si svolgeva a Napoli il 13 e 14 dicembre 2000, nel quale veniva eletto come nuovo presidente Oriano Giovanelli,
sindaco di Pesaro, dei Democratici di sinistra (DS), ed assumevano l’incarico di
direttore e vicedirettore, rispettivamente, Loreto Del Cimmuto e Moreno Gentili. Nella sua relazione il presidente uscente, Barbolini, insisteva su una visione federalista dello Stato di tipo non negoziale e contrattuale ma autonomo e
solidale, un federalismo cooperativo tra le diverse istituzioni territoriali “che si
integrano in una visione di sistema, tenute insieme dal principio di sussidiarietà”. Riguardo al ruolo delle organizzazioni delle autonomie locali nel processo
riformatore in atto evidenziava il peso della “identificazione semplicistica ed
omologante del movimento autonomista con i sindaci delle grandi città, oscurando la realtà ricca e differenziata dei piccoli e medi comuni[...] una realtà che
la Lega delle autonomie vuole sempre più rappresentare ed interpretare, dentro
il movimento autonomista”783.
All’impegno per il rilancio della riforma dello Stato, a cui la Lega forniva il
proprio contributo progettuale, si accompagnava quello per la “costituzione di
un soggetto unico della rappresentanza delle Autonomie locali”. L’insuccesso
della sfida dell’unità posta dalla Lega, veniva individuato in primo luogo in
m. tr., Forza Italia accusa “L’Ulivo fagocita l’Anci”, “Italia Oggi, 11 lug. 1997.
In questo senso la nomina a presidente dell’Anci nel gennaio del 2000 di Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, del partito dei Democratici di sinistra (DS), in sostituzione di Enzo Bianco, sanciva l’ascesa alla guida dell’Associazione sia della sinistra, sia dei grandi comuni.
783
Lega delle autonomie locali. XIII Congresso nazionale, Documentazione. Relazione introduttiva di Giuliano Barbolini, Presidente Lega nazionale autonomie locali e sindaco di Modena, dattiloscritto, s.l., s.d.
781
782
218 PARTE III
un’Anci caratterizzata dalla “forte visibilità dei sindaci delle grandi città [...] La
confederazione, nella proposta della Lega, è una sorta di ‘Confautonomie’, dove l’integrazione verticale e orizzontale delle diverse realtà federate, senza negare la specificità singola, garantisce una operatività generale”784.
Tra gli interventi svolti al congresso risalta, per il tentativo di attualizzare l’eredità storica rappresentata dalla Lega, quello di Luigi Massa, vicepresidente
nazionale. Massa individuava nella valorizzazione delle due caratteristiche storiche peculiari della Lega, quelle che la caratterizzavano rispetto alle altre, la direzione verso la quale avrebbe dovuto indirizzare le proprie energie. In primo
luogo la “trasversalità istituzionale. Al suo interno convivono tutti i diversi livelli degli enti territoriali: comuni, comunità montane, consorzi, province, regioni”, quindi il riferimento originario al socialismo di Matteotti, divenuto una
“radice culturale legata al movimento autonomista e solidarista che oggi si riconosce maggioritariamente, seppur non esclusivamente e spesso criticamente,
nello schieramento di centrosinistra”.
I principi ispiratori della fondazione, trasformati in trasversalità e solidarismo, insieme ad autonomia dai partiti785 e dal fascino del “grande potere mediatico dei sindaci dei centri maggiori”, cui era invece soggetta l’Anci, dovevano guidare la Lega nel “processo di unificazione delle rappresentanze [che permetterebbe loro, ...] di assumere un peso maggiore e, insieme, un’attenzione
più pregnante dei diversi interessi in gioco”786.
784
Lega delle autonomie locali. XIII Congresso nazionale, Documentazione. Le tesi per il XIII
congresso nazionale della Lega delle autonomie locali. Napoli 13-14 dicembre 2000, dattiloscritto,
s.l., s.d.
785
A questo proposito però Massa rivendicava una sorta di immunità storica della Lega “da
ingerenze dirette dai partiti”, tutta però da dimostrare rispetto al passato, e invece molto probabile in anni più recenti, per via della crisi dei partiti di massa sviluppatasi, in particolare, negli anni ‘90.
786
Luigi Massa, Per un rilancio della Lega delle autonomie locali. Contributo al confronto congressuale, dattiloscritto, s.l., s.d.
POSTFAZIONE
Una nuova idea di governo del Paese
Cosa vuol dire essere Legautonomie a novant’anni dalla nascita e all’inizio
di un secolo che si presenta così diverso da quello che l’ha preceduto che pure
non ha scherzato in quanto a novità rispetto al passato? Mi viene in mente che
forse è già tutto scritto nel nome. Il nostro è davvero un bel nome, è evoluto,
si è modificato, modellato sui cambiamenti ma tutto sommato è rimasto intriso della storia vissuta della associazione e dei sui aderenti.
“Lega” rimanda al riformismo socialista degli albori, all’autorganizzarsi, alle
lotte per i diritti, alla necessità di avere al centro del proprio operare le persone
nella loro dimensione reale, al fatto che se le cose non vanno bisogna pur far
qualcosa e non rimandare tutto a ciò che avverrà, unirsi, aiutarsi mutualisticamente, darsi forza, darsi gambe e idee, scoprire che si può alzare la testa solo se
si supera l’illusione di farlo da soli, essere radicati alla realtà nella sua diversità,
essere società il che non significa non riconoscere l’importanza di farsi governo
delle istituzioni, manifestare in concreto la propria libertà.
È senza dubbio originale e intrigante il fatto che si sia ritenuto necessario,
novant’anni, fa che oltre a dar vita alle tante e diverse “leghe”espressioni di un
movimento “sociale” si sia ritenuto necessario dar vita ad una “lega” espressione di un movimento “istituzionale”, sottolineo movimento, di comuni e province.
Il termine “locali”, presente nel vecchio nome, non si è perso per strada ma
certo si è attenuato nella sua centralità e una ragione c’è: il riferimento al locale al territorio non si è certo perso, anzi semmai si è rafforzato, ma quel “locali” rischiava di essere troppo riduttivo, troppo municipalista, quando le autonomie che oggi occupano la scena sono tante e tutte necessariamente volte all’idea di non essere subalterne a qualcosa o a qualcuno ma padrone del proprio
destino e responsabili, verso se stesse e verso uno spazio comune. Autonomia è
responsabilità.
Proprio nel processo di governo del territorio locale le autonomie che
concorrono al suo esito sono andate modificandosi e aumentando. Certo comuni e province rimangono dall’origine ad oggi il grosso della rappresentanza della “Lega” e così vogliamo che sia anche nel futuro. Ma non si può non
vedere la ricchezza di altre autonomie, dall’entrata in scena delle Regioni, delle Comunità Montane, delle Unioni dei Comuni agli Enti Parco, alle Autonomie Funzionali, all’autonomia delle Università e per questo alla ricerca di
un maggiore radicamento territoriale, alle tante Fondazioni bancarie, culturali e sociali.
Chi può dire che ognuna di queste autonomie non concorra da sola e nelle
relazione con le altre a determinare il governo di un territorio, il suo destino e
quello dei cittadini che vi vivono?
220 POSTFAZIONE
Ecco allora che “Legautonomie” acquista sempre più un altro significato:
quello della ricerca, del bisogno di fare sistema fra le diverse autonomie che caratterizzano il governo del territorio affinché al centro del loro agire vi sia non
tanto l’affermazione di una funzione o di una presenza, ma politiche concrete
che hanno bisogno proprio del concorso delle diverse autonomie per essere attuate efficacemente.
Qui c’è la vera modernità della funzione della Lega, mettere a fuoco politiche e percorsi operativi che sostanzino la funzione del “sistema delle autonomie
regionali e locali”.
In questo senso il significato di “movimento” delle autonomie non è più solo quello di un’azione contro i soprusi e le invadenze di vecchi e nuovi centralismi, ma anche quello di movimento nel e per il territorio per affermare una
logica di sistema, un movimento che è fatto di soggetti, di obiettivi, strumenti
spesso nuovi.
Mi spiego meglio, la storia del movimento delle autonomie locali è una storia ricca, a volte commovente, che aveva al centro uno Stato centrale non solo
invadente ma speso arrogante e qualche volta discriminatorio a partire dalle
composizioni politiche dei governi locali. Penso alle Giunte prefettizie che bocciavano i bilanci di previsione, che determinavano la vita e la sopravvivenza delle giunte comunali, dei consigli comunali, il successo o l’insuccesso di questo o
quel sindaco. Penso alle leggi finanziarie, ai rapporti con i ministeri. Oggi tutto questo è cambiato, c’è la Costituzione della Repubblica Italiana che rappresenta una cornice solida dentro cui operare, ciò non di meno la lotta del movimento delle autonomie contro il centralismo continua ad essere attuale e qualche volta si arricchisce di nuovi contenuti quando è chiamato a fronteggiare
quello di tipo nuovo, delle regionali.
Ma se il movimento si limitasse ad avere questi obiettivi sarebbe miope, unilaterale, riduttivo. Come non vedere che uno dei suo grandi compiti è proprio
quello di svilupparsi nei territori, di varcare i confini municipalisti, di interloquire con le altre istituzioni locali, di fare appunto sistema per dare forza alle
comunità locali, dare risposte a chi vi vive e lavora, proiettare i territori in una
nuova dimensione che non è più solo regionale o nazionale ma è globale. E per
fare questo il movimento deve avere al centro non tanto le funzioni e le competenze, le istituzioni o la società, ma le politiche, gli obiettivi, e le azioni per
realizzarli. Se non riesce a fare questo il movimento delle autonomie vedrà la
pagliuzza nell’occhio altrui ma non vedrà la trave nel proprio.
Non basta ancora. All’inizio degli anni ’90 sotto la spinta di un vento riformatore che investe la pubblica amministrazione e quella locale in particolare, i
cittadini cominciarono ad essere chiamati utenti, clienti. Qualcuno si adombrò
leggendovi una deriva aziendalista, non senza qualche ragione. Ma non era del
tutto così. Come lì dobbiamo chiamare i cittadini che comprano servizi primari
da aziende, anche se a totale controllo pubblico ma che appunto sono aziende?
Come lo dobbiamo chiamare il cittadino che paga delle tariffe aspettandosi in
cambio servizi accessibili, di quantità sufficiente, di qualità ottimale? Chiamiamoli cittadini e basta, però il problema di rendere conto a loro, di stabilire con
loro un rapporto diverso, di riconoscerli non solo come destinatari dei servizi
POSTFAZIONE 221
ma come portatori di aspettative in quanto diretti contribuenti dei servizi stessi rimane.
Si afferma dunque la necessità di riconoscere le domande di diritti che sembrano esulare dai servizi offerti dalle istituzioni locali, ma che chiedono di essere sostenuti e che voglioni avere nelle istituzioni locali degli interlocutori sensibili: parlo dei movimenti ambientalisti, quelli per i diritti civili, la giustizia,
quelli attenti alle gravi contraddizioni del mondo che magari danno vita ad
esperienze di solidarietà internazionale, quelli per la salute, quelli per i diritti
degli altri esseri viventi non umani ecc.
Credo che una associazione come la Lega debba interpretare la sua funzione di movimento delle autonomie anche come azione che raccordi i “portatori
di diritti vecchi e nuovi” alle istituzioni, e quindi non si chiuda alla sola rappresentanza delle istituzioni stesse che altrimenti rischiano di vedersi come statiche mentre proprio la loro dimensione locale ne fa una realtà sempre in divenire dove l’azione va spesso al di là delle competenze proprio perché aperta ad
un rapporto assolutamente unico e irripetibile con gli umori della società.
Legautonomie può cimentarsi con questa nuova dimensione del movimento.
Le sue caratteristiche principali che se si vuole possono essere state un punto di debolezza nel momento in cui la funzione delle associazioni rappresentative degli enti locali si giocava tutta nelle relazioni con il governo centrale e con
il Parlamento, in questo nuovo scenario non solo sono attuali ma sono un vero punto di forza.
Mi riferisco principalmente alla propensione della Lega a rappresentare tutto il sistema delle autonomie e al suo lavorare non tanto in funzione “sindacale” di questo o quel livello istituzionale ma per politiche. Basta ricordare che è
dal lavoro della Lega che ha preso le mosse il forum delle “città sicure”, che
sempre dalla Lega è partita l’idea di andare verso un coordinamento delle città
medie per sottolineare una forte specificità tutta italiana e poi il grande lavoro
sulle politiche di welfare e in particolare sulla applicazione della legge
328/2000, l’attenzione al ruolo degli Enti Parco, la promozione delle esperienze di Pianificazione strategica e della associazione delle città che ne hanno
introdotto l’uso, le nuove forme di rendicontazione come bilancio partecipato
e il bilancio sociale, ed è nella Lega che ha trovato attenzione la nuova realtà dei
direttori generali dei comuni e delle province, e così via.
L’altro punto di forza del modo di essere della Lega è il suo essere federalista a partire da sé, l’autonomia delle Leghe regionali, la loro presenza in tutto
il paese e quindi un radicamento forte con il territorio non come conseguenza
di una articolazione periferica di una struttura nazionale, ma, all’opposto, come realtà indipendenti che concorrono a farsi realtà nazionale.
Ma per interpretare il ruolo nuovo che ci attende queste caratteristiche da
sole non basteranno, occorrerà introdurre delle innovazioni coerenti e rafforzare la parte scientifica del contributo della lega alle politiche territoriali.
Una innovazione significativa può essere quella di cambiare radicalmente il
modo di lavorare delle Leghe regionali e di quella nazionale passando dall’elaborazione di politiche che prendono le mosse dalle esperienze virtuose degli enti locali o dalle competenze interne alle leghe al lavoro per forum. Voglio dire
222 POSTFAZIONE
che individuato un tema prioritario su cui impegnarsi, fare in modo che le proposte scaturiscano da forum aperti alle associazioni, alle università, ai centri studi,a singole competenze che nella società su quel tema già agiscono superando
una dimensione della elaborazione solo istituzionale che non sempre riesce ad
esprimere tutta la ricchezza di conoscenza e di mobilitazione che si può e si deve mettere insieme, dando concretamente atto che le politiche per le autonomie locali e delle autonomie locali sono sempre più il frutto del concorso di
soggetti diversi.
La storia della Lega, come emerge anche da questo libro, è anche storia di
appartenenza politica, o meglio di collocazione dentro ad un filone politico pur
senza venire mai meno alla propria autonomia. È una realtà che non si può né
si deve occultare. In origine la vicinanza al Partito Socialista, dopo la seconda
guerra mondiale a tutta la sinistra e in particolare al Partito Comunista Italiano. Una vicinanza che ha finito per arricchire l’elaborazione politica della sinistra italiana su un tema, il ruolo delle autonomie locali, non certo centrale nella cultura prevalentemente nazionale e statalista della sinistra stessa, una vicinanza che ha mantenuto accesa, anche in momenti dove a prevalere erano
orientamenti diversi, quel riformismo proprio della esperienza di governo di
migliaia di amministratori locali e che certo ha avuto un ruolo nell’evitare l’assimilazione della storia ad esempio del PCI a quella di altri partiti comunisti
europei, ne ha favorito una transizione meno traumatica verso la sinistra europea e ancora oggi rappresenta un patrimonio politico culturale che segna la
forza della sinistra e di tutto il centro sinistra.
Ad onor del vero questo non ha impedito alla Lega, che è e rimane una associazione di enti locali, di avere adesioni anche da parte di Comuni o Province amministrate da forze politiche di orientamento diverso e a volte anche radicalmente diverso.
Fatto sta che non è possibile aprire una nuova pagina della storia della Lega senza affrontare le necessarie conseguenze del cambiamento in atto in tutte le componenti politiche e culturali della sinistra italiana a partire dall’incontro delle culture riformiste di diversa matrice conseguenti alla fine della “prima repubblica”.
Negli anni novanta del secolo scorso, con il crescere del profilo costituzionale delle autonomie locali e delle regioni, con il formarsi di sedi sempre più
importanti di concertazione fra il governo centrale e il sistema delle autonomie,
se è possibile Anci, Upi, Uncem e la nuova conferenza delle regioni hanno
vieppiù rafforzato il loro profilo istituzionale, limitando sempre più il loro carattere di associazioni del “movimento delle autonomie”. In questo scenario
tratteggiato molto sommariamente si è posto il problema di che fine dovessero
fare le associazioni e in particolare la Lega. Sono gli anni in cui si è fatta avanti l’idea di una evoluzione delle quattro associazioni storiche in una federazione unitaria e all’interno di essa della riconversione della Lega in fondazione o
centro studi. Parallelamente sia nel centro destra che nel centro sinistra durante la legislatura parlamentare 1996/2001 si è fatta viva l’idea di dare vita ad associazioni di tendenza degli amministratori locali, sottolineo degli amministratori e non degli enti, la differenza è sostanziale.
POSTFAZIONE 223
Pur essendo un progetto che aveva una sua indubbia forza e coerenza, l’evoluzione dei fatti è stata diversa e sarebbe lungo qui raccontare le non sempre
nobili ragioni che hanno fatto naufragare questa idea.
La Lega era pronta ad affrontare una sua radicale trasformazione, ma, come
dicemmo nel nostro congresso di Napoli nel 2000, rivendicando un rapporto
di pari dignità con le altre associazioni. E così a partire da quello stesso congresso abbiamo ribadito la nostra presenza il nostro essere in campo aperti agli
sviluppi di quel progetto, che ancora in diverse occasioni pubbliche e documenti tornammo a riproporre sempre più da soli.
Alla luce della evoluzione del ruolo delle autonomie, della natura dei problemi del paese, delle aspettative dei cittadini e delle imprese e per le cose precedentemente dette, oggi siamo più convinti che mai della necessità di esserci e
non avvertiamo in questo alcun conflitto di ruolo con le altre tre associazioni.
Ma il nodo della relazione con la nostra storia politica e con l’evoluzione delle forze politiche che oggettivamente sono state il nostro riferimento rimane da
affrontare.
Ecco allora la necessità di elaborare un percorso che sciolga correttamente e
realisticamente questo nodo.
Si tratta, a mio parere, di agire su due fronti:
Il primo è quello che in modo sempre più netto e chiaro la Lega sia riconoscibile e quindi legittimata dalla sua capacità, che deve rafforzare sul campo, di
rappresentare il complesso del sistema delle autonomie, di essere Lega di rappresentanza istituzionale ma anche di movimento, di enti locali ma sempre di
più di comunità locali/territoriali. Quindi in questo senso una Lega che conferma nettamente la sua autonomia dai partiti.
Il secondo è quello di mettere a frutto il suo essere oggettivamente dentro ad
un filone di pensiero riformista e quindi realtà capace di offrire a partiti sempre
più in difficoltà nell’elaborazione di politiche e programmi coerenti, una sponda, un luogo, che utilmente possono mettere a frutto per rafforzare la propria
cultura di governo, per formare classe dirigente, per favorire davvero l’incontro
di culture riformiste di matrice diversa ma che già nella prova del governo dei
territori ogni giorno dimostrano di saper andare oltre le appartenenze.
Legautonomie può raccogliere così il meglio della propria storia e riproporla per rappresentare una vera risorsa per un lavoro concreto, colto, avanzato per
una nuova idea di governo del paese dove diritti, opportunità, sviluppo, servizi siano altrettanti fronti in cui si afferma l’idea forza dell’autogoverno, della responsabilità e della sussidiarietà.
❉
❉
❉
Alla conclusione di un lavoro come questo, che traccia la storia e il profilo
di una associazione come la Lega delle autonomie, con novant’anni di cultura
e di movimento, ci si accorge di tutte le cose che non sono state citate, soprattutto quelle relative ad un passato più recente, che sfugge al giudizio perché la
vicinanza rende meno nitide le forme e più incerto l’occhio dello storico. E allora ecco che si cerca di rimediare ricordando, un pò alla rinfusa, quelle intui-
224 POSTFAZIONE
zioni che si sono trasformate in iniziative politiche e poi trasformate in azioni
di governo quotidiano e in interventi legislativi. Ecco quindi il lavoro fatto a
favore dei piccoli comuni, in particolare quelli rurali ed emarginati, tra gli anni ottanta e novanta; o l’insistere sulle politiche per la sicurezza urbana intese,
non solo come azione di contrasto, ma come interventi di welfare locale, di inclusione, di qualità dell’amministrazione e dei servizi; o ancora la riflessione sul
ruolo delle città medie come soggetti catalizzatori e promotori di sviluppo locale e oggi protagoniste dei progetti di pianificazione strategia. Solo questo
adesso, prima dell’ok alla stampa, ci viene da dire ma poi, subito dopo, altro
ancora salirà alla mente.
Infine un auspicio, che questo libro possa accendere nuove curiosità e interessi nei giovani che si affacciano alla vita politica e amministrativa, e sollecitare nei più anziani il recupero, la valorizzazione e la condivisione di memorie,
documenti, storie vissute.
Oriano Giovanelli
Presidente di Legautonomie
225
INDICE DEI NOMI
A
Adorno; 71
Agnelli; 29
Agrimi; 168
Aimo; 21; 27; 28; 55; 64;
65; 189
Albani; 178
Allegato; 141
Amato; 186; 202; 203; 204
Amorth; 22
Andreini; 85
Andreoli; 79
Anello; 185; 187; 207;
208; 211; 215; 216
Angelini; 45
Aniasi; 186; 188
Arbizzani; 109
Ardy; 70; 71
B
Bacci; 59
Baldissara; 99; 100; 101;
108; 111; 112
Ballini; 73; 74
Baratono; 58; 59
Barbalace; 30
Barbolini; 215; 217
Battini; 162
Bauer; 177
Bechelli; 211
Bedeschi; 11; 21; 42; 43;
44; 156
Beghi; 49
Belardinelli; 11; 21
Berlinguer; 186
Bersani; 211
Bertelli; 76
Besati; 70
Betti; 45; 53
Bettiol; 161
Bianco; 213; 214; 215; 217
Bigaran; 51
Bisconti; 93; 111
Bissolati; 30
Boazzelli; 182; 183
Bogiankino; 49; 57
Bogorad; 182
Bolchini; 167
Bonazzi; 109; 181
Bonfantini; 49
Bordiga; 55
Bossi; 215
Bourjol; 146
Bracci; 104
Brasca; 183; 200; 210
Bressand; 193
Broccoli; 45
Brunelli; 45; 49
Bubbio; 123
Buzzi; 66
C
Cadeddu; 95
Caia; 167
Calafati; 138
Calandra; 156
Caldara; 18; 25; 30; 32;
36; 37; 38; 40; 41; 45;
47; 48; 51; 52; 54; 56;
58; 62; 65; 77; 96; 97;
158; 159
Calza Bini; 70
Campanozzi; 39; 40; 44;
45; 46; 47; 49; 159
Campos Venuti; 161
Candeloro; 55
Caperle; 17; 26
Capitini; 171; 177; 178
Caprio; 216
Caracciolo; 161
Cardaci; 79
Carli; 185
Carpano; 93
Carrassi; 182
Casalini; 28; 37; 40; 41;
45; 58; 64
Cassese; 51; 95; 96; 186;
190; 191; 192; 194;
195; 196; 199; 207;
209
Castagno; 156; 158; 162;
176; 180
Castronovo; 30
Cavalieri; 104; 106
Cederna; 161
Cerchiari; 76
Cevolotto; 93
Cheli; 196
Chiaramello; 142
Chiaramonte; 11; 22; 29;
30; 32; 36; 39; 43
Chini; 210
Chruscëv; 143
Ciampaglia; 188
Ciani; 127
Ciofi; 118; 136; 137; 152;
162; 163; 166; 168
Ciofi degli Atti; 136
Cirmeni; 77
Ciufolini; 116
Coccopalmerio; 84
Colacchi; 92
Coli; 192
Colitto; 132
Colombo; 13
Compasso; 188
Conti; 130; 187
Cooke; 116
226
Coppa; 140
Corassori; 129
Corato; 178
Corbellini; 155
Corghi; 10; 14; 15; 16;
21; 34; 40; 161; 178;
181; 183; 202; 203
Corrao; 162
Corsi; 26; 27; 28; 62
Cossiga; 205
Cossutta; 188
Costa; 15; 16; 19; 35;
203; 204
Craxi; 104; 202; 204; 205
Cremaschi; 128
Crisafulli; 126; 130
Crispi; 14
Crispo; 77; 79
D
D’Albergo; 156
D’Auria; 96; 99
D’Ubaldo; 199; 209
Dario Franco; 66
Davoli; 156; 207
de Florentiis; 104
De Gasperi; 84; 85
De Lucia; 156
De Maria; 54
De Martino; 186
De Rosa; 9; 11; 22; 27;
42; 158
De Sabbata; 183; 184;
185; 186; 187; 188
De Simone; 92
Degl’Innocenti; 38
Del Cimmuto; 217
Della Porta; 129
Demar; 80
Dente; 188
Depretis; 15
Di Re; 188
Dimitrov; 115
Dini; 214
Dirotti; 82
Dogliani; 53; 69; 78; 95;
153; 183
Domenici; 217
Donatini; 76; 77
D’Onofrio; 216
Doria Pamphilj; 79
Dorigo; 17
Dozza; 90; 93; 100; 104;
111; 115; 127; 128;
129; 141; 146; 161;
162; 204
Dugoni; 45
E
Einaudi; 30; 45; 63; 130;
143
Engels; 115
Enzo Modica; 156; 195
Erba; 156
F
Fabiani; 93
Facchini; 81; 123
Falcone; 204; 205
Fanfani; 107
Farinacci; 66
Fasano Guarini; 162
Fazi; 14; 17
Fedeli; 111
Ferrari; 141
Ferraris; 13
Ferrarotti; 156
Ferreri; 175
Ferri; 162
Filippetti; 54; 56; 58; 159
Fioritto; 62
Fontana; 68; 82
Fortunati; 100; 121
Fossati; 211
Fracanzani; 202
Franceschelli; 90; 110;
115; 128; 130; 134
Franceschi; 130; 131; 132
Franco; 29; 30; 31; 45; 51;
68; 69; 71; 73; 82; 129;
138; 156; 161; 186
Furlan; 38; 50
G
Galasso; 30
Garbagnati; 89
Garruccio; 62
Gaspari; 1; 10; 14; 20; 23;
24; 25; 27; 31; 51; 69;
75; 77; 78; 79; 83; 95;
105; 109; 111; 121;
126; 138; 141; 153;
178; 183
Gasparini; 82
Gasparotto; 93
Gelasio Adamoli; 104
Gelmini; 127
Gema; 57; 61
Gentili; 217
Gentiloni; 34
Ghedini; 66
Ghislandi; 116; 117; 119;
130; 135
Giacobelli; 111
Giannini; 51; 91; 94; 95;
96; 97; 99; 106; 111;
121; 122; 123; 124;
132; 133; 141; 142;
143; 165; 166; 167;
186; 187; 195; 201;
207
Gigliotti; 89
Gilardoni; 24; 45; 69; 77
Giolitti; 24; 29; 61; 86;
171
Giordani; 53
Giovanelli; 217
Giovannucci; 104
Giovenco; 77
Giusti; 25; 45; 77; 79
227
Gnudi; 53
Gonzales; 54
Gracili; 179
Gramsci; 55; 170
Granati; 61
Grazi; 93
Graziadei; 32; 45; 49
Greppi; 23; 29; 30; 82;
104; 120; 121; 158
Grezzi; 82
Guadagnino; 45
Gualandi; 206; 208; 209;
210; 211; 212; 213;
214; 215
Guerra; 43; 79; 91; 97;
99; 111; 120
Guidelli; 76
Guidi; 162
H
Herriot; 152
J
Jaeger; 83; 86; 104; 116
K
Kologiera; 206
L
L’Huillier; 152; 153
La Pira; 178
La Torre; 111
Ladaga; 185; 187; 195; 207
Laghi; 18
Lanzetta; 42; 43; 132;
133; 146; 152; 154;
160; 161; 162; 169;
172; 173; 174; 180
Laurelli; 153
Lazzari; 31; 38; 39; 47;
48; 49; 52; 65
Lazzeroni; 145
Leghissa; 81; 82; 83; 84;
87; 112; 128
Lenin; 115
Leone; 196
Levi; 59; 186
Lincoln; 116
Lo Sardo; 62
Locatelli; 57; 82; 104;
159; 160
Lolli; 36; 37; 39; 167
Lotti; 73; 74
Lucarini; 28; 39; 40; 43
Lucca; 30; 45; 76
Lucifredi; 169; 201
Lusignoli; 54
Luzzatto; 107; 117; 122;
126; 127; 130; 132;
141; 142; 187; 188;
193; 194
M
Maccarrone; 161; 162; 177;
179; 180; 181; 182
Macrelli; 142
Maffi; 45
Malaguti; 142
Malatesta; 36; 37; 47; 48;
49; 50; 65
Mammucari; 45
Manacorda; 15
Marangoni; 36; 37; 45
Maraviglia; 69
Marino; 82; 129; 159
Mariotti; 18; 19; 20
Maroi; 77
Marongiu; 14; 100; 189
Martino; 18
Martuscelli; 141; 142;
162
Marzi; 62
Massa; 52; 53; 76; 218
Mastroleo; 194
Matteotti; 32; 45; 57; 58;
59; 60; 61; 62; 97;
100; 158; 159; 218
Matteucci; 141
Mazzanti Pepe; 13; 17
Mazzini; 170
Mazzoli; 45
Meda; 27; 30; 37; 39; 97
Melis; 43; 45; 70; 95;
179; 186; 187
Menotti Luppi; 45; 58
Merlin; 139
Merloni; 30; 39; 40; 45;
130; 131; 135
Micheli; 22
Miglioli; 93
Mill; 170
Minguzzi; 45
Minio; 145
Modigliani; 45; 62
Molé; 141
Montagnani; 82; 85; 87;
89; 91; 100; 101; 102;
104; 107; 116; 141
Montemartini; 9; 20; 25;
35; 36; 45; 165
Morales; 207
Morandi; 170
Morlino; 187
Moro; 169; 186; 205
Morra; 213
Mortara; 31
Murri; 203; 204
Mussi; 18; 19; 34
Mussolini; 66; 68; 71; 86;
159
N
Napoli; 20; 30; 89; 113;
133; 213; 217; 218
Narducci; 199
Nathan; 30; 35; 97
228
Negarville; 93
Nenni; 61; 104; 129; 143;
169; 171
Neppi Modona; 186
Neri Serneri; 74
Niccolini; 22; 23; 25
Nicotera; 126
Nuti; 79
O
Olivetti; 94; 95; 155
Onida; 186
Onofri; 38; 61; 109
Orefici; 25
Ossicini; 178
Osti; 89; 118; 135
Poeta; 202; 204; 205;
210; 211; 213
Ponziani; 54
Porcellini; 141
Portalupi; 45
Prandi; 108
Preti; 140
Procioni; 90
Prodi; 214; 215
Puca; 66
Pucci; 44; 45
Punzo; 30; 36; 38; 39; 43;
47; 48; 54; 56; 82; 159
Q
Quintieri; 79
Quitieri; 111
P
R
Padula; 212
Pajetta; 87
Palla; 54
Pallotta; 117; 135
Panettoni; 215
Panizzi; 45
Paolini; 139; 170; 205;
211
Paone; 79
Parpagnoli; 45
Parri; 87
Pazzaglia; 205
Pedone; 62; 63
Pelloux; 18
Pertini; 109
Petrillo; 82
Petroselli; 194
Piccardi; 161; 162; 176
Pieraccini; 145
Pinzani; 143
Pironti; 45
Pischel; 165; 167
Pistoja; 45
Pizzetti; 214; 215
Ragionieri; 16; 39; 63; 64;
80; 87; 94
Ravà; 200
Rebecchini; 122
Reiter; 129
Ribaldi; 62
Rienzi; 77
Rinaldi; 111
Ripamonti; 189; 190
Rizzo; 107
Rosati; 176
Rossi; 66; 68; 73; 74; 142
Rossi Doria; 77
Rotelli; 15; 16; 19; 54; 68;
69; 73; 77; 100; 101
Roveda; 79
Roversi Monaco; 196
Rudinì; 14
Ruffilli; 9; 11; 17; 19; 42;
79; 205
Rugge; 51
Ruini; 30; 31
Rutelli; 211; 212; 213
S
Sabatini; 37; 39; 41; 45
Saja; 207; 208; 211
Salandra; 29
Salizzoni; 145
Salvemini; 19; 20; 81;
158; 160; 170
Salzano; 156
Samoggia; 45
Sánchez de Juan; 69
Santambrogio; 85
Santarelli; 176; 178; 179;
197
Santini; 76; 192; 195
Santo; 155; 177; 199
Saragat; 77; 92; 104; 143
Sarti; 172; 194
Scalfaro; 202
Scalpelli; 82
Scelba; 86; 92; 98; 106;
128; 129; 130; 137;
138; 141; 142; 162; 169
Schanzer; 45
Schiavi; 33; 54; 58; 77
Schininà; 23
Scoccimarro; 93
Segni; 107; 133
Sella; 14
Seppilli; 154
Serafini; 183
Sereni; 146
Serpieri; 31
Serrati; 62
Sichel; 30; 37; 38; 39; 41;
43; 45; 47; 49; 96
Signorello; 188
Signorini; 56
Simonelli; 206; 209
Soglia; 45
Sorel; 170
Soveria Mannelli; 11; 22;
29; 86
Spalazzi; 112
Spezzano; 140; 141; 142;
143; 144; 146; 147;
149; 150; 151; 152
229
Stalin; 115; 137; 143
Stammati; 189; 204
Starabba; 14
Stefani; 69; 192; 194;
195; 196; 197; 198;
199; 201; 202; 203;
206
Strobbe; 156
Sturzo; 9; 11; 20; 22; 24;
27; 28; 29; 30; 31; 32;
34; 36; 37; 39; 40; 41;
42; 43; 45; 55; 65; 66;
69; 92; 97; 137; 158;
160; 161; 170; 171;
204
Suardo; 68
T
Taddia; 169
Tambroni; 107
Tanasesco; 116
Tarello; 93
Targetti; 107; 141
Tasca; 56
Tassoni; 110; 161
Taurasi; 84; 87
Terracini; 55; 141; 145; 146
Teso; 60
Testa; 70
Todeschini; 49
Togliatti; 94; 107; 128;
129; 137; 143
Tonetti; 107
Tosatti; 129; 131
Treves; 34; 45; 49; 50; 53;
54
Triglia; 198; 199; 205;
209
Triva; 140; 177
Troccoli; 156
Troilo; 86; 87; 90; 91
Turati; 45; 49; 54; 62;
131
Turchi; 79; 91; 93; 97; 98;
99; 102; 103; 104;
107; 108; 111; 112;
113; 117; 120; 121;
122; 123; 125; 134;
136; 137; 141; 142
V
Vacis; 139
Valenzi; 196
Valeri; 62
Vanoni; 121
Venanzi; 85
Venino; 68
Venturini; 81; 84
Vergnanini; 30; 44; 45
Vetere; 196
Veyrat; 20
Vicard; 77; 79; 111; 124;
155
Vighi; 108; 109; 125
Vion; 153; 183
Viviani; 141
W
Waldeck; 152; 153
Z
Zadra; 82
Zanardi; 33; 34; 38; 39; 44;
45; 49; 50; 53; 54; 57;
61; 62; 141; 159; 204
Zanella; 37; 41
Zangheri; 30; 186; 204
Zibordi; 20; 27; 28; 34;
35; 39; 173
Zoli; 107; 145
Zuccarini; 170; 177
Zucconi; 70; 71
231
INDICE ANALITICO
PREFAZIONE
4
PREMESSA
1. Il movimento per le autonomie locali: un ruolo politico-istituzionale
e tecnico-amministrativo
2. Dalla natura politica e dalla trasversalità le capacità di stimolo della
Lega
9
9
10
PARTE I
DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE ALLA FINE
DURANTE L’ASCESA DEL FASCISMO
1. GLI ALBORI DEL MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE LOLOCALI ALLA FINE DELL’‘800: DALL’ASSOCIAZIONISMO DEI
LAVORATORI A QUELLO DELLE AUTONOMIE LOCALI
13
1.1. I lavoratori alla conquista dei comuni
1.2. Adattare il programma socialista alla realtà dell’istituzione locale
1.3. I primi convegni dei sindaci eletti dai consigli
1.4. La fondazione dell’Anci
1.5. La primavera municipale in Italia
15
16
17
18
20
2. IL MOVIMENTO SOCIALISTA E L’AFFERMAZIONE DELLA
MAGGIORANZA LIBERALE E CATTOLICA NELL’ANCI
2.1. L’autonomia comunale dal terreno politico a quello istituzionale
e tecnico-amministrativo
2.2. Le nuove organizzazioni del movimento per le autonomie locali
2.2.1. L’Unione delle province d’Italia, l’Unione statistica delle città
italiane e la Federazione delle aziende municipalizzate italiane
2.3. L’esigenza di una associazione “che si muovesse più agilmente e con
spirito pugnace”
22
22
23
23
25
232
2.4. Il “comune moderno” nella strategia di cattolici e socialisti
2.5. L’evoluzione dell’Anci
2.5.1. La collaborazione dell’Anci di Sturzo con Lega delle cooperative, riformisti e radicali
26
3. LA NASCITA DELLA LEGA DEI COMUNI SOCIALISTI NEL 1916
3.1. Il congresso degli amministratori locali socialisti a Bologna:
16-17 gennaio 1916
3.2. Il distacco degli amministratori socialisti dall’Anci
3.2.1. I socialisti e la questione dei rapporti con lo Stato
3.2.2. Il dibattito tra riformisti e massimalisti e l’uscita dall’Anci
3.2.3. La risposta dell’Anci
3.2.4. Caldara: Anci e Lega due organizzazioni con vocazioni diverse
e un obiettivo comune
3.3. Statuto e rivista della Lega
3.3.1. Le critiche di Sturzo ed il dolore di Caldara
3.3.2. Le interpretazioni della nascita della Lega dei comuni socialisti
31
4. L’ATTIVITÀ DELLA LEGA NEL PERIODO LIBERALE
43
4.1. La mobilitazione bellica e i comuni socialisti
4.2. I principali settori di intervento
4.3. La Lega tra riformismo e massimalismo
4.4. La seconda Assemblea generale della Lega
4.5. Dall’utopia socialista all’amministrazione locale
4.5.1. Zanardi e l’Ente comunale di consumo
4.5.2. La repressione prefettizia
43
45
47
49
50
50
52
5. L’AVVENTO DEL FASCISMO, LE FRATTURE NEL PSI E LA
FINE DELLA LEGA
53
5.1. L’assalto fascista allo Stato comincia dai comuni socialisti: Bologna
e Milano
5.2. Comuni e province tentano di resistere alla violenza fascista
5.3. Le divisioni all’interno della Lega e la fondazione del Partito
comunista
5.4. La linea intransigente contro il Psi
28
31
33
34
35
37
37
39
40
41
53
54
55
56
233
5.5. Il terzo ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti
5.5.1. La questione dei tributi locali posta da Matteotti
5.5.2 La reazione degli agrari
5.5.3. I sindaci socialisti “finanziano” i propri comuni: l’esempio
di Zanardi e Matteotti
5.6. Il XIX Congresso nazionale del Psi, l’espulsione dei riformisti e la
fine della Lega
5.6.1. Lo scioglimento della Lega
5.6.2. Un bilancio della “rinascita comunale”
5.7. La fine dell’Anci e dell’Upi
5.7.1. L’inutile tentativo dell’Anci di ingraziarsi il fascismo.
La clandestinità istituzionale dell’Upi
5.8. Dalla questione comunale alla questione urbanistica, e la sconfitta
dei tecnici municipali
57
58
60
61
62
62
64
65
67
70
PARTE II
DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO
SCONTRO
1. LA RINASCITA DELLA LEGA: LE RAGIONI DELLA
FONDAZIONE DELLA LEGA DEI COMUNI DEMOCRATICI
1.1. La Resistenza e la rifondazione dello Stato su basi autonomistiche
1.1.1. Il ruolo di Firenze e della Toscana
1.2. La rifondazione dell’Upi
1.3. La rifondazione dell’Anci
1.3.1. L’assemblea istitutiva
1.4. Alle origini della fondazione della Lega: “Il Comune democratico”
e “L’Amministratore democratico”
1.4.1. Il ruolo della sinistra all’interno dell’Anci
1.4.2. “Il Comune democratico”
1.4.3. La volontà di cambiamento nelle pagine della rivista
1.5. Le motivazioni politiche della rinascita della Lega
1.5.1. Le prime avvisaglie dell’offensiva di Scelba contro i comuni
democratici
1.5.2. “L’amministratore democratico”
1.6. La rifondazione della Lega dei comuni
1.6.1. Comuni e province di sinistra nella strategia di opposizione
al governo
73
73
74
75
77
79
80
80
82
84
85
86
87
90
91
234
1.6.2. Continuità e differenza tra le aggressioni fasciste nel ’20 e ’21
e quelle del periodo repubblicano
1.6.3. Il congresso di rifondazione della Lega
1.7. Due organizzazioni di uno stesso movimento per le autonomie locali: le ragioni di Massimo Severo Giannini
1.7.1. La compatibilità tra Anci e Lega
1.7.2. La polemica tra Guerra (Anci) e Turchi (Lega)
1.7.3. La convergenza sulla finanza locale
2. LA LEGA DEI COMUNI DEMOCRATICI NEGLI ANNI DELLA
CONTRAPPOSIZIONE E DELLO SCONTRO
2.1. Il comune è un “organismo politico”
2.1.1. Le funzioni e i compiti della Lega
2.2. La ripresa dopo i risultati del 18 aprile 1948
2.2.1. Lo statuto del 1948
2.2.2. Il successo nella difesa delle province, e della legalità, contro
l’offensiva del Ministero dell’interno
2.2.3. “La caccia al sindaco” dopo l’attentato a Togliatti
2.2.4. I segretari comunali ed il rapporto con gli amministratori di sinistra
2.2.5. Il punto sullo stato dell’organizzazione
2.3. Una sola e “nuova” rivista per la Lega nazionale dei comuni democratici
2.3.1. L’orizzonte internazionale della nuova rivista: per la pace e per
i paesi dell’Est europeo
2.3.2. La nuova centralità delle amministrazioni comunali
2.3.3. La nuova Lega in Parlamento e nella realtà locale
2.4. Una nuova Lega e una nuova Anci
2.4.1. L’evoluzione dei rapporti tra le due organizzazioni
2.4.2 Il linguaggio comune dei sindaci
2.4.3. Battaglie comuni contro provvedimenti governativi
2.4.4. Giannini per il movimento delle autonomie locali e per la Lega
2.5. La difesa delle amministrazioni della sinistra e dei bisogni dei cittadini
2.5.1. Le difficoltà di una nuova classe dirigente nei comuni di sinistra
2.5.2. Lo scioglimento dei consigli comunali e l’imperizia dei prefetti
2. 5.3. Le tipologie dei più gravi provvedimenti contro le autonomie
locali
2.5.4. “Il reato di essere sindaco”
2.5.5. Solidarietà degli amministratori di sinistra con i lavoratori
uccisi dalla polizia nelle lotte del dopoguerra
92
93
94
95
97
99
100
101
101
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119
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124
124
125
126
127
129
235
2.5.6. La repressione delle amministrazioni di sinistra
2.5.7. L’opposizione all’ostruzionismo prefettizio: l’attività di Giannini
2.6. Gli anni ‘50
2.6.1. La Lega dei comuni democratici, province e enti minori
2.6.2. La mobilitazione contro la “legge truffa” del ‘53 ed il
centralismo del Pci
2.6.3. La vocazione unitaria della Lega
2.6.4. La fondazione dell’Uncem e il problema delle imprese
idroelettriche
2.6.5. La tragedia del Vajont. La battaglia politica contro lo
strapotere dell’industria elettrica
2.6.6. Il convegno di Bologna del 1954: la battaglia per l’attuazione
della Costituzione
2.6.7. La sinistra italiana e il comunismo sovietico. Le misure contro
“le forze totalitarie”
2.6.8. I problemi della municipalizzazione
2.7. Il rilancio della Lega alla vigilia dell’esperienza dei governi di centrosinistra
2.7.1. Il primo congresso nazionale della Lega, Firenze 1958
2.7.2. Bilancio di un decennio di attività
2.7.3. Le campagne sul diritto di voto e per i comuni montani
2.7.4. Le questioni organizzative
2.7.5. La natura della Lega ed il rapporto con le altre organizzazioni
2.7.6. Le prospettive politiche
2.7.7. La battaglia per la pace e le relazioni internazionali
2.7.8. Lo statuto
2.7.9. La Lega e l’Anci rafforzano le proprie strutture e l’attività
tecnico-amministrativa
2.8. Una moderna organizzazione riformista per la trasformazione
democratica dello Stato
2.8.1. Il congresso di Torino nel centenario dell’Unità d’Italia
2.8.2. La critica all’Anci e la riflessione sulla continuità del socialismo
riformista nella storia del movimento comunale
2.8.3. Le richieste di autonomia locale inascoltate a livello nazionale
2.8.4. La difesa della Costituzione
2.8.5. La natura politico-tecnica della Lega
2.8.6. La nuova direzione
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PARTE III
DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI
1. GLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA
1.1. Gli sviluppi della municipalizzazione dopo la legge del 1903
1.2. La nazionalizzazione dell’energia elettrica
1.3. Il movimento delle autonomie locali e l’istituzione dell’Enel
1.4. Tra l’autonomia dai partiti e l’unità del movimento per le autonomie
locali
1.4.1. La rivista apre alla discussione. Nello schieramento
autonomistico salta la distinzione netta tra governo e opposizione
1.4.2. La Lega incontra il governo: Nenni e Giolitti
1.4.3. L’analisi di Lanzetta sul rapporto della Lega con i partiti della
sinistra. Il IV congresso nazionale
1.4.4. La partecipazione popolare
1.4.5. Il Congresso di Firenze: un nuovo statuto per un’organizzazione
pluralista
1.4.6. Le Assemblee annuali. Il primo corteo di sindaci a Roma per
la finanza locale
1.4.7. Uscire dalla crisi: le regioni e la programmazione
1.4.8. Una nuova rivista per gli enti locali: “Il potere locale”
1.5. Il ’68 della Lega: movimento di massa organizzato
1.5.1. Nasce la Lega per le autonomie e i poteri locali
1.5.2. La stagione dei movimenti. I rapporti con l’Est europeo
1.6. Gli anni settanta: le regioni, la pace e l’Europa
1.6.1. Le grandi manifestazioni della Lega contro la crisi finanziaria
delle autonomie locali
1.6.2. Il DPR 616 e il rapporto con i partiti
1.6.3. La centralità della questione della finanza locale: gli incontri
di Viareggio
1.6.4. Nella produzione editoriale della Lega anche una guida per il
“Regno di Babilonia”
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2. GLI ANNI ‘80
2.1. Il congresso di Firenze del 1980
2.1.1. Ruolo e compiti della Lega. I costi dell’impegno editoriale
2.3. La ripresa della ricerca dell’unità del movimento
2.3.1. Giannini e Cassese, continuano a collaborare con la Lega
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2.3.2. Tentativi per un coordinamento unitario delle associazioni
delle autonomie
2.3.3. Il congresso di Bologna del 1984: una modificazione strutturale della Lega
2.4. Il difficile rapporto con l‘Anci. La Lega organizza gli incontri di
Viareggio
2.4.1. Lega/Anci: dalla competizione politica a quella tecnica
2.5. La Lega e la nuova sfida dell’unità del movimento per le autonomie
locali
2.5.1. 1986: Il settantesimo anniversario della fondazione
2.5.2. L’elogio della “doppiezza” e la difesa dell’autonomia
2.6. Il malessere delle autonomie locali
2.6.1 La segreteria Gualandi
2.6.2. Il rafforzamento dell’impegno tecnico-amministrativo
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3. GLI ANNI ’90: LE RIFORME
3.1. Per una Conferenza nazionale delle autonomie
3.2. I sindaci si mobilitano
3.4. I sindaci protagonisti del movimento per le autonomie locali
3.4.1. La prima marcia dei sindaci eletti dai cittadini
3.4.2. L’incarico al sindaco Rutelli della guida del processo di unificazione
3.5. Il movimento per le autonomie locali e il “partito dei sindaci delle
grandi città”
3.5.1. Il rilancio della sfida dell’unità
3.5.2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali
3.5.3. Tra divisioni e spinte all’unità
3.6. “Costruire il federalismo per rafforzare la partecipazione”
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POSTFAZIONE
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Indice dei nomi
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Indice analitico
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EDIZIONI ALISEI s.a.s. di Bruno Puglielli
Via Poggio Catino 15, 00199 Roma
06.86.06.418 – [email protected]
Copertina di Francesco Graziosi
Finito di stampare nel mese di giugno 2006
Stampa: Abilgraph Roma
Edizione fuori commercio realizzata per Legautonomie