MISCELLANEA

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MISCELLANEA
MISCELLANEA
INGLESORUM
La medesima cosa può essere detta in più modi o in più lingue e
— a volte — una delle lingue risulta più efficace di altre. Sin qui:
nulla di nuovo, ma può affiorare la tentazione di nobilitare un
concetto semplicemente esprimendolo in una lingua diversa. Noi
avvocati lo sappiamo bene perché — almeno sino a qualche tempo
fa — usavamo il latino.
Dire che di un certo argomento si è trattato a sufficienza
esprime un concetto chiaro, ma dire et de hoc satis fa scendere la
decisione di non parlarne più da un'altezza maggiore e le attribuisce
nobiltà, profondità, suggestione.
L'uso del latino diffonde un'aura di cultura, sicché una frase
fatta, un concetto trito e banale, diviene una perla di saggezza (per
esempio: prior tempore, potior jure (1) suona molto meglio di: « chi
prima arriva, meglio alloggia »).
Ma il latino è un po' in disuso perché lo si studia e lo si conosce
sempre meno (persino la Chiesa cattolica, che ne è la maggiore
utilizzatrice, va dismettendolo) e per le nuove generazioni diviene
difficile usare quell'idioma per ottenere i benéfici effetti di cui
abbiamo detto.
Ecco che, provvidenzialmente, compare l'inglese, lingua
sempre più diffusa, sempre più nota, che ha ormai preso il
sopravvento nella « farcitura » delle nostre frasi.
Non mi riferisco ad espressioni intraducibili (sport, golf, tennis,
poker, bridge) o da tempo recepite nei nostri dizionari (computer,
stop, film, software, identikit) quanto a quelle che — del tutto
inutilmente, direbbe uno sciovinista della lingua italiana —
1
Il latinista (avvocato) Claudio Lanza sostiene l'erroneità del maccheronico prior in
tempore, potior in jure, forse più efficace dal punto di vista comunicativo, ma sintatticamente
scorretto trattandosi — dice — di complemento di limitazione, che non richiedere preposizioni, ma
il solo ablativo.
sostituiscono analoghe espressioni del nostro linguaggio. E così ecco
che « controllo » diviene check, « ritorno » si trasforma in feed back,
« assemblea » assurge a convention.
Chiunque può convenire che è più signorile trattare l'entità del
fee anziché di un volgare « compenso », che un briefing è ben altro
rispetto a una semplice « riunione preliminare », che brain trust
sembra più intelligente di un modesto « consiglio di esperti », che un
break è più interruttivo di una pausa e che un kit è ben più completo
di un semplice equipaggiamento.
Il maggior fastidio me lo dànno quelli che inzeppano le loro
frasi di locuzioni inglesi, spesso con pronunzia non proprio
oxfordiana, col risultato di rendere quasi incomprensibile quel che
dicono, e questo potrebbe non essere una disgrazia, ma soprattutto di
rendere imbarazzante rispondere senza una uguale messe di
idiomatismi anglicizzanti (che cosa ho mai potuto scrivere!).
Terribili sono i pubblicitari, peggio gli informatici.
Se uno dei primi vi spiega che « ... essere marketing oriented
non significa necessariamente ignorare il feed back che ci deriva
dalla rete di solution partners dirette a delimitare il target per
accelerare il processo di deployement del service di maintenence ....
», uno dei secondi affermerà senza tema di smentita che « ... la
release che utilizza il network virtuale nella e-governance di un
software applicativo del browser dell'extranet non può prescindere
dal system management per ottimizzare la configuration... ».
Che cosa vogliano dire proprio non lo so. Osservo solo che, se
prima dovevamo subire il latinorum di don Abbondio, ora ci
propinano l'inglesorum della Bovisa: okkei, okkei, okkei.
Guido Salvadori del Prato