La Repubblica - Fondazione Milano

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46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA
DOMENICA 20 MARZO 2011
SPETTACOLI
George Benson, Jim Hall, Mark Knopfler,
Django Reinhardt, Andrés Segovia:
i più grandi musicisti del Novecento
hanno incrociato l’arte che i nostri immigrati
si tramandavano da generazioni. Ora una mostra
TEARDROP 1993
a New York celebra questi “guitar heroes”
che abbandonarono il mandolino per dedicarsi
allo strumento che avrebbe cambiato la musica
È la chitarra
a forma di goccia
realizzata
da James
D’Aquisto
ANGELO AQUARO
I
SUN KING
La chitarra
più famosa
firmata John
Monteleone
NEW YORK
mmaginatevi la scena. Da una parte c’è lui, Andrés Segovia, nato Andrés Torre Segovia Marqués de Salobrena, il più grande chitarrista
classico del Novecento: un mito. Dall’altra
Maccaferri Mario, da Cento, provincia di
Ferrara, emigrato a Parigi, Londra, finalmente New York, che sarà anche liutaio e
imprenditore geniale, però da tempo ha
messo da parte l’ebano e l’arte per inseguire i milioni che gli porta quel materiale che
sta facendo impazzire il mondo: la plastica.
«Ecco, Andrés, ti prego, devi provarla, è bellissima, l’ho realizzata per te». E certo che è
bellissima: ma è di plastica. «Guarda, Andrés, se la suoni soltanto una volta, in con-
certo, è fatta». E certo che sarebbe fatta. Siamo agli inizi degli anni Sessanta e il mercato delle chitarre è alle stelle grazie a quei
quattro ragazzi che si fanno chiamare Beatles. Tutti vogliono strimpellare. E se perfino Segovia poggia le dita divine su una
Maccaferri — sai che botto?
No: Segovia non si azzardò mai. E per i
musicisti di tutto il mondo le chitarre di plastica restarono da allora quello che effettivamente sono: chitarre di plastica. Giocattoli. Peccato? Dipende. Maccaferri Mario è
comunque passato alla storia come l’uomo
che introdusse la plastica negli strumenti
musicali, in primis l’ancia dei fiati, benedetta perfino da Benny Goodman. E poi la
sua avventura è solo un capitolo di quell’irresistibile libro che è la storia degli Stradivari del rock: i continuatori di quella italica
tradizione che dal Settecento arriva ai gior-
Spaghetti
Chitarra
I liutai italiani
che diedero al rock
l’arma perfetta
TRI PORT
Ricorda un mandolino la Tri Port
di John Monteleone che iniziò
proprio come creatore di mandolini
per musicisti folk negli anni Settanta
Repubblica Nazionale
a
DOMENICA 20 MARZO 2011
LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47
JOHN D’ANGELICO
È stato uno dei più grandi costruttori
di chitarre e mandolini del Novecento
‘‘
Bucky Pizzarelli
Mostrai a Les Paul
una chitarra
che D’Angelico aveva
costruito per me:
me la tolse di mano
e me la fece sparire
per un anno!
JAMES D’AQUISTO
Apprendista e “erede” di John
D’Angelico: è morto nel 1995
‘‘
‘‘
‘‘
Steve Miller
D’Aquisto è stato
il più grande costruttore
di chitarre del Ventesimo
secolo: è stato lui
a donarmi la voce
più grande
che io abbia mai avuto
Paul Simon
Conoscevo D’Aquisto
di fama ma non avevo
una sua chitarra:
mi spiegò che avrebbe
costruito per me un tipo
di acustica mai realizzata
Grant Green
Papà mi portò a casa
di D’Aquisto a ritirare
la chitarra. S’innamorò
di quello strumento
e non lo mollò più
per interi giorni
JOHN MONTELEONE
Nato nel 1947, utilizza spesso elementi
ispirati all’Art Déco per i suoi strumenti
‘‘
Mark Knopfler
Ho incontrato
John Monteleone
ed è stato come
incontrare Stradivari
La sua chitarra
suona come un violino
OVAL HOLE
Costruita
per Paul Simon
da James
D’Aquisto
nel 1975
ni nostri. I costruttori di chitarre che
hanno cambiato il suono della musica.
George Benson, Jim Hall, Mark
Knopfler e Grant Green, Steve Miller e
Paul Simon, Bucky Pizzarelli, Charlie
Christian e Django Reinhardt — per
non parlare appunto di Segovia. I più
grandi chitarristi del Novecento, dal
jazz al rock, hanno incrociato la manifattura italiana. O meglio: italo-americana. Fino alla santa triade dei liutai di
New York: D’Angelico, D’Aquisto e
Monteleone. Le tre “J”: John, Jimmy e
ancora John. Merito del genio tricolore
o del solito stellone?
Gli americani non lo dicono perché
— loro sì — son brava gente. Ma questa
storia degli italiani che hanno costruito
i suoni più belli d’America — e a cui il
Metropolitan di New York dedica la mostra intitolata mica per niente “Guitar
Heroes” — in fondo nasce da una truffa.
È la fine dell’Ottocento quando gli Spanish Students invadono gli States tutti
vestiti come tante comparse della Carmen incantando al suono delle loro
“bandurria”. È una febbre. E quando la
tournée finisce gli spagnoli lasciano un
vuoto che qualcuno sente l’obbligo di
colmare. I napoletani non hanno mai
visto una “bandurria”: ma il mandolino
può andare bene lo stesso, no? Così al
formidabile gruppo di Ignacio Martin si
sostituiscono pian piano caterve di Antonio, Domenico, Pasquale. Tutti lì col
loro bel mandolino e tutti addobbati da
Fiera di Siviglia — anche se nati e cresciuti a Piedigrotta prima di imbarcarsi
per Lamerica.
Qui la leggenda si fa storia. Il boom del
mandolino porta al riconoscimento del
primo made in Italy con la straordinaria
ascesa di Angelo Mannello, il liutaio
partito con le pezze al sedere da Morcone, Benevento, e incoronato all’Esposizione universale di St. Louis, 1904. Ma
sono le tre “J” a imprimere per sempre il
marchio dell’italianità alle chitarre made in Usa. Anche qui, manco a farlo apposta, partiamo ancora da un piccolo
plagio. John D’Angelico, classe 1905, figlio di un sarto di Little Italy, comincia
ovviamente costruendo mandolini. E
quando la moda passa — gli americani
si sono buttati su quel banjo che meglio
riecheggia la loro tradizione western —
pensa di darsi alle chitarre. Ma perché
non provarne una col fondo bombato
da mandolino?
L’idea è geniale per l’acustica: ma
non certo originale. John ruba l’intuizione di un certo Orville Gibson da Kalamazoo, Michigan, e il suo primo modello sembra davvero la copia carbone
dell’L-5, la rivoluzionaria chitarra dell’ora mitica Gibson. Tant’è. In breve l’italiano riesce a imporre il suo nome e al
negozietto di Kenmare Street, laggiù a
Little Italy, si affacciano tutti i grandi che
affollano i fumosi locali jazz di New
York. Un giorno si affaccia anche un ragazzino, James D’Aquisto detto Jimmy:
la seconda “J”. Che non solo alla sua
morte raccoglie i suoi clienti e il suo negozietto: lancia, anche lui, una linea di
chitarre che si chiamano Advance, Centura, e cambiano per sempre il design
dell’electric guitar. E qui entra in scena
l’ultima “J”, John Monteleone, lo Stradivari dei nostri giorni che rilancia — e
tecnologicamente aggiorna — l’arte appresa non solo dall’amico D’Aquisto
ma anche dall’ormai novantenne Maccaferri: sì, quello che voleva far suonare
la chitarra di plastica a Segovia. Il ciclo si
chiude ma la leggenda dei Guitar Heroes, si spera, continua: scommettiamo
che prima o poi lo troviamo un altro italiano che — truffa o non truffa — riesce
a tenere l’America sulle corde?
ADVANCE
È l’ultimo modello
creato da D’Aquisto
nel 1994:
particolare
per colore e design
TEARDROP 1957
È la prima chitarra dalla inusuale
forma di lacrima firmata da John
D’Angelico, poi imitata negli anni
Novanta da James D’Aquisto
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