Conclusioni e Prospettive dal Convegno

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Conclusioni e Prospettive dal Convegno
CONVEGNO DIOCESANO
"Parrocchia missionaria per una Chiesa in uscita"
(Mileto - Cattedrale 23 -25 settembre 2015)
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
"Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò
che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata,
ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la
comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il
centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve
santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la
forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li
accolga, senza un orizzonte di senso e di vita". (E.G., n. 49)
Queste di Papa Francesco sono parole sofferte e dure che suonano per tutti noi come una
sfida ad uscire con coraggio allo scoperto per dare volto e senso alla nostra fede, che sta rischiando
di essere poco significativa e poco risolutiva per noi e per gli altri.
Occorre osare, occorre "uscire"; occorre che la Chiesa riprenda il suo stile missionario, ci ha
ricordato Mons. Galantino nella sua relazione il primo giorno.
Carissimi, abbiamo vissuto tre giorni intensi e partecipati: grazie ai sacerdoti, grazie a tutti
voi, grazie ai coordinatori dei Laboratori, grazie al Coro e a D. Vincenzo, grazie a D. Latorre, grazie
alla Segreteria che ha lavorato nell'estate per consentire e facilitare lo svolgimento del nostro
Convegno, grazie a D. Mimmo per averci ospitato in Cattedrale e a D. Sicari per i locali del
Seminario.
Il mio augurio è che le istanze del Convegno arrivino nelle Parrocchie col contributo di tutti
voi delegati perchè solo così possiamo intraprendere un cammino cosciente e serio "in uscita" senza
che rimangano belle parole. E' il rischio che si corre con i Convegni se restano solo celebrativi.
Il futuro della Chiesa, della nostra Chiesa non lo costruiremo se manteniamo un
atteggiamento di autodifesa, ma se ci poniamo a servizio della Parola di Verità. Ci viene chiesto di
essere una Chiesa che non ha paura delle "periferie", ma si rimbocca le maniche per trasformarle e
portarle a redenzione.
Per questo c'è bisogno di coraggio, senza paura di osare "il nuovo" ripartendo dalla
"Parrocchia in stile missionario", che ha voglia di partire, che sa guardare al futuro con gli occhi e
col cuore di Dio a cui importa primariamente non di farsi un nome e di salvare le posizioni, ma di
salvare i propri figli. Occorre, quindi, non blindare il cuore e scacciare l'accidia che paralizza
l'entusiasmo.
In questi giorni, anche stimolati dai Laboratori, abbiamo cercato di capire meglio le misure
occorrenti e le risposte da dare nelle e con le nostre comunità parrocchiali bene animate, ma
bisognose di scosse risolute e calibrate per raggiungere gli obiettivi che non devono essere
preconfezionati ed impaccati, ma in grado di metterci sempre in gioco senza la paura di essere soli.
Il Signore non ci lascia soli.
Mons. Galantino ci ha offerto l'immagine della "tenda da campo" come esperienza concreta
con cui misurarci: vivere cioè la dimensione della parrocchia portandoci dietro un "bagaglio
leggero" per la libertà di movimento e senza il bavaglio delle cose intoccabili perchè "si è fatto
sempre così". E' necessario al contrario riscoprire il volto di un popolo che si muove nel deserto del
mondo, che cammina "dentro" la storia per trasformare tutto in "luogo di Dio" e quindi in luogo più
abitabile per l'uomo.
Per ottenere questo occorre "uscire", non pensare più che la Parrocchia oggi possa
continuare ad identificarsi con la "fontana del villaggio", a cui un tempo tutti guardavamo come ad
un riferimento essenziale. Quella fontana è rimasta ormai con esile filo di acqua che non riesce a
soddisfare più la sete della gente. La parrocchia potrà continuare ad essere "cellula della comunità"
a patto che diventa capace di riformarsi e confrontarsi costantemente con le povertà delle periferie
per essere, come si esprime Papa Francesco, "la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi
figli e delle sue figlie". (E.G., n. 28)
Una parrocchia troppo lontana dalla realtà della gente, che non si fa "compagna di viaggio"
sull'esempio di Gesù che si affianca ai discepoli di Emmaus, ai quali ridà coraggio aprendo loro il
cuore e l'orizzonte nuovo della speranza, una parrocchia astratta è come il sale che ha perso il suo
sapore e quindi è destinato ad essere rigettato e calpestato dagli uomini.
La Parrocchia per non rischiare questo e per riprendere mordente deve uscire dalla pigrizia
mentale e dalla freddezza del cuore per presentarsi a tutti come:
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comunità che "ama": una comunità cioè che esperimenta la misericordia al suo interno, vive
lo stile dell'accoglienza, non si frattura, esercita il coraggio della profezia;
comunità che "serve": una comunità cioè che smette di essere "stazione di servizi di culto"
per trasformarsi in "famiglia di famiglie", in comunità "in missione", e non più comunità
chiusa e per pochi;
comunità che "annuncia e celebra" i misteri di Dio: una comunità cioè che ascolta Dio, cura
la spiritualità evangelica, trova nel giorno del Signore la sua forza e la sua vitalità per "uscire
senza smarrirsi per strada". "Senza domenica non possiamo vivere" (i martiri di Abitene).
Su questi fondamenti ci proiettiamo verso il futuro puntando su una Parrocchia a vocazione
"popolare", una parrocchia-popolo di Dio che si realizza coinvolgendo tutti i fedeli e non solo i
pochi generosi, meritevoli ma insufficienti. Il Parroco del resto non può e non deve fare tutto da
solo.
E' per questo che nella luce di una ecclesiologia di Comunione, di Corresponsabilità e di
Collaborazione (le famose tre "C" del Convegno di Verona), occorre rifondare e rilanciare gli
Organismi ecclesiali di partecipazione (Consigli Pastorale e Affari Economici, che sono sostanziali
e non coreografici), il servizio di Carità, l'Associazionismo cattolico in tutte le sue etichette.
Abbiamo ascoltato il Prof. Matteo Truffelli, presidente nazionale dell'Azione Cattolica, che
ci ha fatto gustare la meraviglia ed il valore delle aggregazioni laicali nella Chiesa "in uscita", i cui
percorsi formativi non devono perdere "il contatto con la realtà tanto ricca della parrocchia"
sforzandosi di integrarsi "con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare" (E.G., n.
29).
Siamo chiamati ad un vero atto di coraggio senza piagnistei e nostalgie. Anche in questo
dobbiamo sentirci "in uscita" per guardare, per esempio, alla situazione delle nostre parrocchie e
capire se possono rispondere a queste nuove esigenze missionarie a cui ci richiama la Chiesa e Papa
Francesco. Per una popolazione di scarsi 150 mila abitanti, per esempio, abbiamo in diocesi 133
parrocchie: la più numerosa della Calabria, ove si consideri che Cosenza-Bisignano ne ha 128 per
358 mila abitanti; Reggio Calabria-Bova 121 per 280 mila abitanti; Catanzaro-Squillace 123 per
253 mila abitanti. La sproporzione, come si vede, è enorme e questo non può che rendere più
difficile e disarticolato un lavoro pastorale organico che si proietta verso il futuro. C'è da
aggiungere inoltre che delle nostre 133 parrocchie ben 84 sono al di sotto di 1000 abitanti e 52
hanno meno di 500 abitanti. Entrando più nel particolare: 9 parrocchie hanno meno di 100 abitanti;
7 fino a 200 abitanti; 18 fino a 300 abitanti; 18 fino a 500 abitanti; 32 fino a 1000 abitanti.
Non sembra che ci sia dispersione di risorse umane? Che vivacità pastorale "missionaria" si
può svolgere in una situazione come questa? Che tipo di pastorale organica si può impostare? Mi
chiedo, allora, se non sia arrivato il momento di affrontare serenamente e coraggiosamente il
problema studiando soluzioni meno campanilistiche e pastoralmente più proficue, senza ovviamente
mortificare il servizio ecclesiale alle piccole comunità esistenti. Ma non possiamo nemmeno
preoccuparci solo del culto e delle messe da celebrare!
Nel passato è stata tentata l'esperienza delle "Unità pastorali", ma con scarso esito forse
perchè poco convinta, o forse perchè è venuta meno la concreta disponibilità degli operatori,
facendo prevalere un senso di primogenitura e di autoreferenzialità che ha fatto morire sul nascere il
progetto. E se ci riprovassimo chiarendoci meglio le idee, magari confrontandoci con qualche
esperienza meglio riuscita altrove e con un maggiore coinvolgimento di voi laici?
Concludo. Ci rendiamo tutti conto che un nuovo stile di Parrocchia in un contesto culturale
pluralista e spesso ambiguo come il nostro, per quanto esigito, resta un traguardo di non facile
approdo. Come si diceva, il tempo della Parrocchia "fontana del villaggio" è finito e, per di più,
dare oggi risposte precise e convincenti in un mondo di pensiero debole e di rapporti sociali
cosiddetti "liquidi" impone a tutti e ad un pastore avveduto del gregge di procedere con prudenza,
ma con coraggio, partendo dal presupposto che se la Parrocchia è una realtà imprescindibile nella
Chiesa e nella società, resta, comunque, il dovere di pensarla per il futuro facendo necessariamente i
conti con l'oggi e con le sfide delle "periferie esistenziali".
E' questa scelta di "abitare" nelle periferie, questo tuffarsi "nel mondo senza essere del
mondo" che può rendere la comunità cristiana lievito di freschezza e messaggio di bellezza capace
di riempire i cuori degli uomini, anche quelli distanti, di speranza e di amore. Quando Papa
Francesco dice "sogno una Chiesa povera per i poveri", di fatto le apre la strada di un
attraversamento della storia per fermarsi a curare le ferite e a riscaldare il cuore dei sofferenti nel
corpo e nello spirito.
Il Signore e la Madonna ci illuminino e ci guidino in questo cammino difficile, ma
certamente bello perchè ci consente di mettere a frutto le nostre risorse spirituali più genuine a
servizio della comunità dei credenti e ponendo le premesse di una Chiesa sempre più attenta ai
"segni dei tempi". Grazie a tutti.
Mileto 25 settembre 2015
+ Luigi Renzo