«IO DONNA ANTICA E IL MONDO DELLA TV»

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«IO DONNA ANTICA E IL MONDO DELLA TV»
[L’INTERVISTA]
DI MARIAPIA BONANATE
«IO DONNA ANTICA E IL MONDO DELLA TV»
M
Catena Fiorello, da una grande famiglia di spettacolo
Qui a fianco:
Catena Fiorello.
A destra: il suo libro
e un panorama
di Letojanni
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i sento una donna antica in tutto,
nelle scelte sentimentali, nella
professione, nei rapporti con gli
altri. Coltivo il culto dell’antichità, dei suoi
valori e significati. Non mi piace questa società dell’immagine costruita su parole che
non nascono da sentimenti veri, suonano
vuote e false. Preferisco il nulla o l’isolamento, alla finzione della realtà. Questo me lo ha
insegnato mia nonna, Catena D’Amore, alla
quale ho dedicato, oltre che ai miei genitori,
pilastri della mia vita, Picciridda».
Le parole si posano determinate e leggere
sulla giovane donna che mi sta di fronte e
non ne contrastano la scattante modernità.
La esaltano, dandole uno spessore che viene
da lontano: una figura antica e moderna, per
l’appunto. Catena Fiorello (il nome non facile, ma con il tempo accettato, ereditato dalla nonna; quarant’anni, terza dei
quattro fratelli Fiorello, Rosario, Anna, Giuseppe al quale assomiglia
molto ed è particolarmente legata)
lavora da anni nel mondo dello
spettacolo che ha reso celebre il
suo clan familiare, ma la sua aspirazione è diventare scrittrice. «Per
carattere amo molto, tutto e tutti, per questo sento l’esigenza
di raccontare storie, in particolare quelle viste dalla parte
dei deboli. Voglio far emergere
le vicende di coloro che non
contano nulla ma hanno fatto
con i loro destini la storia. Non
sono un’intellettuale, mi infastidiscono le barriere che gli intellettuali, chiusi nelle loro torri, alzano di fronte alla gente comune. Voglio raccontare storie che
suscitino emozioni e facciano pensare. Non desidero insegnare niente
a nessuno, solo tenere compagnia a
chi legge e aiutarlo a sentirsi meno solo».
Con questi intenti Catena Fiorello ha esordito con il romanzo Picciridda (Baldini Castoldi Dalai) che narra di una bambina di 11
anni, Lucia, ma per tutti soltanto a’picciridda, affidata alla nonna, la Generala, così soprannominata per il carattere battagliero e intransigente che le
«aveva donato
un’aura regale e
misteriosa», una
a “Picciridda”, una storia della Sicilia più profonda
donna sopravvissuta a troppe cose per non
essere obbligata a nascondere tenerezze e
sentimenti. I genitori di Lucia sono emigrati in Germania per assicurare ai figli un futuro che non c’è a Leto, villaggio
di pescatori fra Messina e Catania,
immerso in una Sicilia ancestrale e
maestosa, dove la natura non è ancora stata sconfitta (siamo negli anni Sessanta), dal turismo selvaggio
e dalle ferite ecologiche.
Una storia che l’autrice si portava dentro da tempo e che attinge
ai ricordi d’infanzia, alle estati trascorse a Letojanni, accanto alla
nonna che aveva trasformato la
sua casa in una comunità aperta a tutti, ai
pazzerelli del paese, alle ragazze madri,
agli omosessuali che in quegli anni arrivavano a Taormina e «vivevano la loro condizione con discrezione ed eleganza» ricorda
Catena. E aggiunge: «Mia nonna insieme al
rigore mi ha educata alla tolleranza, a non
meravigliarmi di niente, ad ascoltare senza
giudicare, ad amare le diversità».
Un piccolo mondo antico che rivive nel romanzo con i suoi riti e tradizioni, violenze e
crudeltà, di cui fa traumaticamente le spese
anche la picciridda. Un racconto lieve, anche nei momenti più drammatici, dove la
stessa sofferenza si apre di continuo al respiro del mare, è illuminata da albe e tramonti stupendi che danno speranza e fanno bene al cuore. Un narrare semplice ed essenziale che ha scelto come filo conduttore
le parole di Andrea Camilleri «il pane per
mangiare, il letto per dormire, mani per lavorare, e cuore per soffrire», riuscendo a
comporre un’epica quotidiana che attinge
spesso alla poesia.
Perché Catena Fiorello ha voluto le parole dello scrittore siciliano ad apertura del libro? «Esprimono il mio odio per il super-
fluo, il mio amore per la sostanza delle cose, per la semplicità del quotidiano che ci
fa percepire il gusto dell’eternità. Tutto
può cambiare da un momento all’altro, siamo circondati dalla precarietà, dall’imperscrutabile, dall’ineluttabile, dobbiamo accettare i nostri limiti. Oggi viviamo come se tutto
fosse possibile, non guardiamo
più in su delle nostre teste, corriamo incoscienti, al riparo di sicurezze che non esistono. E siamo terribilmente infelici. Mia nonna dinanzi ai fatti della vita diceva:
“Dio ha voluto così”, solo Lui sa
le ragioni di quanto accade. Non
erano parole banali, ma una rassegnazione
ispirata da un’intelligenza emotiva che giungeva da una saggezza antica.
«Anch’io credo in Dio, ho un rapporto intenso, quasi morboso, con la Madonna, non
mi chieda perché. I miei genitori mi hanno
lasciata molto libera, eppure sento di avere una fede profonda che mi dice con chiarezza ciò che è bene e ciò che è male, mi dice
che ci sono cose sopra di noi che non sono
opera dell’uomo».
Anche la picciridda impara che c’è un ordine precostituito che Dio ci ha assegnato e
dobbiamo rispettare. Questo pensiero l’aiuta a superare la convivenza con la nonna,
amata e rifiutata, il dolore di sentirsi «figlia
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Anch’io credo in Dio,
ho un rapporto intenso,
quasi morboso, con la
Madonna, non mi
chieda perché
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della gallina nera», in continua perdita nei
confronti degli altri bambini, ad affrontare
con serenità il mistero della vita e della morte.
«Sì, la mia picciridda, pur straziata dalla
partenza dei genitori e da un’infanzia faticosa, non si rassegna, cerca di uscire dal buco
nero in cui vive, magari sognando di comprare un comò per riporvi la biancheria, di esse-
Il libro sta avendo successo
grazie al passaparola tra
i lettori conquistati dalla storia
“
”
L’unico dispiacere
è il silenzio della
critica. Tutto perché
mi chiamo Fiorello
e faccio televisione,
non sono abbastanza
intellettuale
Catena Fiorello con la madre
Sarina e il fratello Rosario
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re un giorno come i turisti che non puzzano di povertà e si fanno ogni sera la doccia. Non si arrende perché vive, al contrario
dei ragazzi di oggi, in simbiosi con la natura.
Appena può corre sulla spiaggia e con i piedi nella sabbia (n.d.r: un leitmotif, quasi una
nota musicale, che ritorna spesso nel racconto) per pochi minuti non si sente più infelice.
Anche quando le viene strappata brutalmente l’innocenza dell’infanzia, riesce a trovare
nella monotonia di un’esistenza aspra momenti di poesia e di speranza».
Sono tanti i mali di vivere che la picciridda
incontra nella sua iniziazione alla vita sotto
lo sguardo severo della nonna che non le risparmia punizioni e tumpulata (schiaffo),
che l’ama di nascosto ma per difenderla compirà un gesto d’amore estremo. C’è la sua
condizione di figlia d’immigrati, che piange
perché le manca la voce della mamma, l’ottimismo del padre «stregato dalla serenità».
Il dramma dell’immigrazione è un peso
sul cuore di Catena: «È stata il buco nero della nostra società. L’ho raccontata mettendomi anche dalla parte di chi rimaneva in patria e doveva pagarne i prezzi, le donne, i
bambini, i familiari. I nostri emigranti sono
eroi sconosciuti. Hanno subito ogni genere di umiliazioni, di sofferenze, di violenze, che li hanno uccisi moralmente giorno
dopo giorno. Non hanno mai ricevuto trofei né attestati. Per questo vorrei dare a tutte
queste persone una medaglia al valore, come
agli eroi di guerra. Non c’è differenza. Il
dramma oggi continua con chi arriva dal
Sud del mondo e si porta appresso storie che
nessuno scriverà mai. È la medesima giostra
che fa salire altre razze, ieri noi, oggi loro».
Picciridda è un romanzo di donne che
con coraggio e tenacia portano il mondo sulle spalle. «Non volevo scrivere una storia
di donne, ma poi mi sono accorta che la
realtà quotidiana è nelle loro mani. Sono
loro che davanti al dolore non scappano
mai, perché nascono con una sensibilità
istintiva nei confronti della
sofferenza. L’uomo rifiuta il
dolore, sia fisico sia morale,
ne ha paura, e per questo spesso è un fallito».
Picciridda sta ottenendo un
buon successo, è iniziato il passa parola fra i lettori conquistati da una storia forte ed
emozionante. Catena Fiorello
è soddisfatta, ha raggiunto il
suo scopo: comunicare con le
persone attraverso sentimenti
veri. «L’unico dispiacere è il silenzio della critica che non si è
fatta viva né per stroncare il romanzo, né per approvarlo.
Tutto questo perché mi chiamo Fiorello e faccio televisione, quindi non sono abbastanza intellettuale».
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