agosto 2014

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agosto 2014
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IGA
ora
ASP
“La Quiete”
dret e ledrôs
Anno XI numero 8
Scomençant di
chi
2014
AGOSTO
GNOT DI AVOST
La gnot ‘e jere fluride di stelis
e i prâz di avostans
e nô rimìz te jarbe vive
si sin piardûz tal cîl; o jèrial prât?
Adasi ‘o vin fumât
un spagnolet in doi, e si taseve.
Frute, une gnot compagne
‘e nas ogni mil agn.
Alessandro Secco
Quanno me godo da la loggia mia
quele sere d'agosto tanto belle
ch'er celo troppo carico de stelle
se pija er lusso de buttalle via,
ad ognuna che casca penso spesso
a le speranze che se porta appresso.
Trilussa
LA STELLA CADENTE
Un po’ d’allegria
Il 21 di ‘zenâr a Pavie ‘e jere la sagre di
Sante Gnese. Jacum, cuant ch’a jerin sagris fûr vie, nol mancjave mai cu
la so marcanzie.
Al rivà a Pavie e al si fermà denant de canoniche. Il porton al jere in sfese.
Jacum al jentrà. No jere anime vive: il plevan di sigûr ancjemò in glesie e
la massarie a cjoli il pan. Te cort ‘e jere a sujâ la blancjarie.
Devant, sul prin fîl, in biele mostre, tre cjamesis netis gnovis di trinche.
Jacum nol pensà tant:
“Ve cà nancje ch’a fossin metudis a pueste par che mi mudi”.
E biel svelt al gjavà la sô cjamese sporcje e sbregade e al metè une di
bombasine scure dal plevan. Monte sul cjâr e vie indenant viars la plaze
grande. A mieze strade al cjate il Plevan ch’al tornave cjase.
Il predi ridint: “Mandi Jacum. Cemût vàdie?”
Jacum, serio, tirant jù il cjapiel: “Siôr Plevan” j rispuint,” ’e va di gale.
Pecjât ch’e sedi un pôc scjarsute di cuel !”.
“Tu Jacum, tu ‘nd’às simpri une des tôs…”.
E Jacum pront :
“ No, siôr Plevan, mi displâs, ma cheste volte ‘e je propi une des sôs”.
Tratto integralmente da “Jacum dai ‘zeis” di
Angelo Covazzi- editore Ribis Udine 1995)
Traduzione:
Il 21 gennaio a Pavia di Udine, c’era la sagra di santa Agnese.
Giacomo, quando c’erano sagre , non mancava mai con la sua mercanzia.
Arrivò a Pavia e si fermò davanti alla canonica.
Il portone era socchiuso. Giacomo entrò. Non c’era anima viva: il Parroco
era certamente ancora in chiesa e la perpetua a comperare il pane…
Nel cortile c’era ad asciugare la biancheria.
Davanti, sul primo filo, in bella mostra, tre camice pulite nuove di zecca.
Giacomo non pensò molto:” Ecco , nemmeno fossero state messe perché io
mi possa cambiare”.
E ben svelto si levò la camicia sporca e stracciata e ne indossò una di cotonina scura del Parroco.
Salito sul carro, si avvia verso la piazza grande.
A metà strada trova il Parroco che ritornava a casa.
Il sacerdote ridendo: “Salve,Giacomo. Come va?”
Giacomo, serio, tirando giù il cappello: “Signor Parroco- gli risponde- va
benone. Peccato che sia un po’ stretta di collo!”
“Tu, Giacomo, ne hai sempre una delle tue…”.
E Giacomo pronto:
” No, signor Parroco, mi spiace, ma questa volta è proprio una delle sue”.
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Molto prima dell’alba de lune di Avost, il frastuono
delle ruote dei carri dai i setôrs, svegliava di soprassalto
tutti. Era il momento giusto per tagliare il fieno del
prato naturale stabile.
Il prato naturale era composto da moltissime specie
di vegetali (tra queste la logliella, il scuâl) che fiorivano
dalla primavera all’estate formando una tavolozza di colori
solari.
Tra queste piante vivevano moltissimi insetti che ora sono
quasi scomparsi.
Si incontrava , immobile tanto da ingannare gli occhi più
esperti, la verde mantide religiosa, zupiate sasine,
che mangiava subito dopo l’accoppiamento, il
piccolo maschio. Ci si imbatteva, inoltre, in tanti
tipi di zupets o di grilli che tentavamo di
catturare senza rovinarne le elitre
canterine.
Con un fros di jerbe tentavamo di far uscire il
gri de tane. Nel caso in cui l’insetto fosse
refrattario ad uscire, riempivamo la sua tana con ... la pipì!
Che dire del bellissimo cervo volante dal color blu
metallico, delle farfalle variopinte e des mariutinis,
le coccinelle considerate ancora un portafortuna.
Ecco il sborf, ramarro, lis lisiartis e il topo
campagnolo che con il toporagno, musan, era
preda del falcuç dalla vista acuta e dalle eleganti
parvenze.
Ma ci affascinavano anche la temibile magne il
cjarbon e il madrac e le bisce in genere!
Sul prato, ben nascoste dal fieno, nidificavano le
allodole, odule o odule cjapelote, il fasan, la pernîs
e le prelibate quaglie.
Quando i setôrs si imbattevano in un nido di questi
volatili, non tagliavano l’erba tutt’intorno,
formando, così, tante piccole isolette nel
mare del prato falciato.
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C. I. P.