scarica il PDF

Transcript

scarica il PDF
Strumenti
strumenti cres n.60 – supplemento al n. 482 di manitese – febbraio 2013
spunti di riflessione
03
La Decrescita,
i broccoli e le scale
Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI
in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.
di valerio bini
04
Funzione e
Formazione
docente
tra passato,
presente
(e futuro?)
12 dossier
Cultura
scientifica
e cultura
umanistica
Sguardi complementari
di fronte alle sfide
del presente
60
parole, musiche,
immagini
44
Ripensare la
letteratura e l’identità
(Silvia Camilotti)
a cura di Anna Di Sapio
46
Il paese delle maree
(Amitav Ghosh)
a cura di shara ponti
di gianluca bocchinfuso
08
Quale formazione
è richiesta
dal Ministero
ai docenti di storia
e geografia?
di marina medi
proposte educative
10
Dalle risorse
ai beni comuni
di emanuele vigo
49
Hayao Miyazaki:
il delicato equilibrio
tra natura e téchne
di Stefano Locati
52
Aulò! Aulò! Aulò!
(di Ribka Sibhatu
a cura di Simone Brioni)
La quarta via
(di Kaha Mohamed Aden
e Simone Brioni)
a cura di Laura Morini
55
Le nostre pubblicazioni
Cultura scientifica e cultura umanistica – editoriale
L’importante è partecipare
L’importante non è vincere, ma partecipare. È un proverbio di
uso popolare, citato spesso per rendere meno amara una sconfitta. Una frase consolatoria e dal retrogusto educativo, tipica
dell’allenatore che dà una pacca sulla spalla al suo atleta.
Come dire: hai perso, è vero, ma la cosa più importante è che
c’eri, che hai giocato.
Un’espressione a prima vista innocente, che rischia però di
diventare un luogo comune fuorviante e pericoloso. Non solo
perché non è di particolare sollievo quando ci si trova battuti
in una competizione, ma anche e soprattutto per il fatto che
pone in antitesi il concetto di vittoria e quello di partecipazione,
dandoli per contrapposti.
Così partecipare sembra una cosa da perdenti, un contentino
per i secondi.
Invece il partecipare (dal latino pars, parte, e capere, prendere)
è il prendere parte di tutti i soggetti coinvolti in un’impresa
di comune interesse è un fattore determinante per la buona
riuscita dei processi di cambiamento, a maggior ragione se
complessi e contraddistinti da un’ampia pluralità di giocatori.
La parola partecipazione va molto di moda di questi tempi e
viene spesso utilizzata a sproposito, motivo per cui vale la pena
di fare un po’ di chiarezza intorno al suo significato.
Per prima cosa non è da confondersi con la rappresentanza, caratterizzata dal meccanismo della delega, che sta alla base delle
democrazie chiamate appunto rappresentative. Autorizzare
qualcun altro ad agire per proprio conto non basta. Il voto di per
sé non può essere considerato un esercizio di partecipazione
se non è accompagnato da un coinvolgimento dei cittadini
oltre e a fianco delle istituzioni. Le elezioni sono solo uno dei
momenti in cui si esprimono i diritti e doveri di cittadinanza.
Perderebbero tutto il loro valore se venissero meno il raccordo,
Periodico in pdf
Per ricevere il periodico
in formato pdf scrivi a:
[email protected].
un piccolo gesto che permette
di ridurre la nostra impronta
ecologica quotidiana.
il collegamento e il controllo tra elettori ed eletti.
Sarà forse per questo che un numero sempre maggiore di persone sceglie di non recarsi alle urne?
Il principio vale anche per le tecnologie informatiche, da molti
individuate come mezzo privilegiato per dare vita a nuove
forme di democrazia diretta. La partecipazione non coincide
con la possibilità di esprimere la propria opinione in qualsiasi
momento, se poi questa non ha un peso reale e riconoscibile
nel processo in cui si è coinvolti. La rete è uno strumento dalle
infinite potenzialità, ma non può essere confusa con un fine,
poiché non garantisce da sola ad un cittadino la rilevanza del
suo apporto. Non è sufficiente cliccare mi piace o commentare
un post su un blog per contribuire alla crescita e al cambiamento di una società.
Il senso più profondo e squisitamente politico del prendere parte va cercato oltre i flussi elettorali e i mezzi che ci rendono più
semplice restare in connessione con gli altri esseri umani. Si
identifica nell’agire responsabile delle persone e nella continua
costruzione di una comunità viva, plurale, mobile e informata,
in grado di svolgere una costante funzione di collegamento tra
cittadini e istituzioni.
È nel modo in cui si alimentano le piccole e grandi comunità
che compongono il nostro tessuto sociale, siano esse la scuola,
la famiglia o il luogo di lavoro, che si gioca la partita della
partecipazione. È nella cura dei processi decisionali che si può
intervenire per accrescere il capitale umano e sociale di un’impresa, un ente locale, un’associazione.
Non si tratta di decidere tutti insieme, come pensano erroneamente in molti, ma di dare ad ognuno la possibilità di
incidere, di mettere a disposizione risorse e talenti potendo
contare sulla rilevanza del proprio contributo.
Solo così il gioco diventa davvero a somma positiva per tutti,
sia per chi ha la responsabilità di guidare una comunità (dirigenti, amministratori, sindaci, presidi etc.) che per chi ne fa
parte.
Allora possiamo affermare senza remore che partecipare
conviene, perché:
↘↘ Fa crescere le persone, permettendo ai singoli di aumentare le proprie competenze e le proprie risorse da spendere
nel progetto in cui sono coinvolti;
↘↘ Rende possibile il cambiamento, aiutando a risolvere i
problemi delle comunità e favorendone l’empowerment;
↘↘ Facilita l’innovazione sociale, valorizzando la creatività
dei singoli e il loro senso di appartenenza alla comunità.
Quel vecchio proverbio andrebbe cambiato. L’importante è
partecipare, così si vince.
Giacomo Petitti
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
La decrescita,
i broccoli
e le scale
di Valerio Bini, presidente Mani Tese
Cosa unisce un cristallo di ghiaccio e
un broccolo romanesco? Apparentemente
nulla, e invece questi due prodotti della
natura, pure così diversi, condividono una
stessa proprietà, quella di essere formati da
una struttura che si ripete sempre uguale
a scale diverse. Gli scienziati li chiamano
frattali e sono un fenomeno naturale molto
interessante e utile perché permette di
osservare fenomeni simili in dimensioni
diverse. Ma cosa c’entrano i frattali con la
decrescita? Poco, forse, ma questo fenomeno può essere un utile spunto per analizzare alcuni elementi della prospettiva teorica
della decrescita e alimentare il dibattito su
questo tema, anche alla luce della recente
Conferenza di Venezia.
La decrescita e il locale
Molte delle analisi che sostengono
prospettive di decrescita si fondano su
modelli organizzativi fortemente radicati
nel locale: il programma delle famose “R”,
proposto anche da Serge Latouche, ad
esempio, è fortemente orientato a questa
dimensione, tanto che una di queste “R”
indica proprio la “Rilocalizzazione”, la
necessità di radicare nel locale i processi
sociali e produttivi. Queste pratiche locali
rappresentano un fondamentale punto di
riferimento nella costruzione quotidiana
di un diverso modo di vivere l’economia,
la società e le relazioni con l’ambiente.
Diversi autori, tra i quali lo stesso Latouche,
sembrano dunque vedere in queste forme
organizzative locali la base sulla quale fondare una futura “società della decrescita”.
Il passaggio dalla scala locale a quelle
superiori però non è automatico: non
basta ripetere più volte un’iniziativa che
coinvolge un piccolo gruppo di persone
affinché questa diventi una pratica efficace
di costruzione della società. La società,
potremmo dire, non è un broccolo e non
funziona allo stesso modo se osservia-
mo un gruppo di amici o le relazioni tra
Stati o tra organismi multinazionali. Le
dinamiche che regolano un’interazione
tra persone che si conoscono e che hanno
scelto volontariamente un certo modello di
vita non sono le stesse che si trovano a una
scala più ampia, che coinvolge più persone,
spesso sconosciute e con culture e idee
politiche diverse tra loro.
Del resto, Mani Tese questo lo sa
benissimo: i piccoli progetti di sviluppo che
realizza da quasi 50 anni in tutto il mondo
sono elementi fondamentali della costruzione di un nuovo modello di sviluppo, ma
nessuno ha mai pensato che questa società
rinnovata si potesse costruire attraverso la
semplice somma di una miriade di progetti
locali. Per questo il lavoro di cooperazione
dell’Associazione è sempre stato accompagnato da un forte impegno politico teso
a cambiare in senso democratico le regole
che costruiscono quotidianamente un ordine diseguale.
Il problema è, dunque, riuscire a
coniugare la dimensione delle pratiche
con quella delle politiche. Ma cosa succede
quando passiamo da pratiche di decrescita a politiche di decrescita? Il discorso è
ovviamente molto lungo e controverso e mi
limito a sviluppare alcuni punti che sono
emersi nel dibattito interno a Mani Tese
intorno alla Conferenza di Venezia.
Politiche economiche di decrescita
In un recente numero della rivista di
Banca Etica, Valori, gli Autori hanno provato, forse con qualche eccesso polemico, a
mettere in luce alcune criticità delle teorie
della decrescita nell’ambito delle politiche
economiche. Due punti, molto collegati tra
loro, sembrano essere dominanti, il lavoro
e il welfare. Il ragionamento, in estrema
sintesi, è il seguente: una politica economica di decrescita avrebbe costi sociali enormi
perché non solo lascerebbe a casa molti
lavoratori, ma anche perché la diminuzione delle entrate fiscali generata da questa
riduzione generalizzata delle attività economiche comporterebbe una riduzione dei
servizi che lo stato garantisce ai cittadini:
sanità, istruzione, pensioni, ecc.
Nel settore del lavoro, in particolare,
vediamo in atto quella sorta di contraddizione tra la dimensione locale e quella
più complessiva: se infatti risulta perfettamente comprensibile che una persona o
un gruppo di persone decida di lavorare di
meno e guadagnare di meno per dedicare
più tempo alle relazioni sociali o comunque ad altre attività che corrispondano
meglio alle sue aspirazioni, diverso è il
discorso di una politica economica tesa a
una riduzione sistematica del lavoro e dunque dei redditi individuali. Se applicata in
assenza di una riforma del contesto sociale
e culturale complessivo tale riforma risulterebbe semplicemente in un peggioramento
della vita di milioni di persone. Per questa
ragione i sostenitori della decrescita
insistono molto sulla rivoluzione culturale
che deve accompagnare e fondare quella
economica e politica. E per la stessa ragione la Conferenza di Venezia ha insistito
molto sul concetto di transizione. Ciò che
però mi pare utile sottolineare è che questa
transizione dalle pratiche virtuose alla
società della decrescita non può limitarsi a
una moltiplicazione delle esperienze locali
e richiede una riflessione specifica sull’impatto che un’organizzazione sociale ed economica fondata sui principi di decrescita
avrebbe sulla società nel suo complesso.
Un altro esempio in questo ambito
è dato dalle politiche di welfare. In una
società della decrescita, in assenza di
risorse fiscali tali da garantire un sistema di
assistenza come quello presente, una parte
rilevante dei servizi ora forniti dallo stato
potrebbero essere sostituiti dalle relazioni
di prossimità che si costruiscono alla scala
3
4
Cultura scientifica e cultura umanistica – spunti di riflessione
locale, relazioni potenzialmente più forti in
una ipotetica società nella quale si dedica
meno tempo al lavoro. Ora, premesso che
non tutti i servizi si possono svolgere alla
scala locale, in particolar modo quelli di
una certa specializzazione, quelle preziose
relazioni che si sviluppano alla scala locale
dalla conoscenza reciproca e dall’interazione quotidiana non funzionano allo stesso
modo con persone o gruppi con i quali non
vi è una conoscenza diretta. L’organizzazione, pure perfettibile, dello stato moderno
occidentale, nasce anche per affrontare
questa criticità. Il cosiddetto welfare comunitario funziona ed è una risorsa per molti
servizi che interessano la quotidianità, ma
difficilmente può sostituire l’insieme dei
servizi che lo Stato fornisce ai cittadini,
servizi che andrebbero semmai incrementati e non diminuiti.
tema diventa più complesso perché non vi
sarebbe un’opzione “exit” e, d’altra parte,
la possibilità di manifestare il proprio
dissenso non sarebbe affatto semplice in
comunità locali fondate su relazioni di tipo
personale. Non bisogna dimenticare infatti
che la dimensione comunitaria è anche
quella in cui sono più forti i condizionamenti sugli individui e nella quale è più
difficile far emergere posizioni minoritarie
nelle scelte politiche, nelle pratiche sociali
e culturali, nei comportamenti individuali.
Ancora oggi moltissime persone vivono
la dimensione comunitaria come oppressione e cercano relazioni sociali meno
strette e meno totalizzanti perché le vivono
come esperienze di libertà. La dimensione
locale e comunitaria è una, non l’unica e
nemmeno sempre la migliore dimensione
dell’azione sociale.
Decrescita, diversità e dissenso
Non sempre broccoli:
la ginnastica delle scale
Il tema dei servizi comunitari ci porta
all’ultimo punto al quale vorrei dedicare
attenzione, quello della diversità e del dissenso. La dimensione comunitaria sottesa
alla società della decrescita punta a valorizzare le relazioni di prossimità costruite
dalla condivisione di una stessa cultura e
di uno stesso sistema di valori. Tuttavia,
mentre è probabile (non scontato) che
tale condivisione si realizzi all’interno
di un gruppo di persone che abbia scelto
liberamente di condividere certe scelte, è
piuttosto difficile che tale condivisione si
realizzi sistematicamente in una società
così complessa come quella contemporanea dove si incontrano, si scontrano, si
mescolano o si ignorano tradizioni culturali, politiche e sociali le più diverse. Dando
per scontato che non si voglia costruire una
società segregata, e che queste ipotetiche
comunità debbano essere immaginate
come insiemi aperti, andrebbe comunque
compreso in che modo possono interagire
a una scala superiore a quella comunitaria
gruppi sociali che hanno, per definizione,
progetti diversi sul medesimo territorio.
Accanto a questa dinamica di interazione tra culture diverse, infine, andrebbe a mio parere approfondito il tema
del dissenso individuale. Nel caso di un
gruppo che si costruisce volontariamente
il tema non si pone in modo sostanziale
perché il dissenso interno si esprime
secondo le regole che il gruppo si dà e, in
ultima istanza, con l’uscita del dissenziente dal gruppo in questione. In una società
fondata su un modello comunitario il
Nell’ultimo decennio la riflessione
sulla decrescita ha fatto importanti passi in
avanti, soprattutto nella costruzione di percorsi di sperimentazione di pratiche locali.
Queste pratiche “virtuose” ci indicano una
strada e dei valori da seguire per una possibile transizione, ma nulla ci garantisce
che siano automaticamente applicabili a
scale superiori. In alcuni ambiti potrebbero
esserlo, ad esempio nel caso di certe dinamiche del settore agro-alimentare, in altri
è probabilmente necessaria una riflessione
ulteriore, come nel caso dei servizi sociali
specializzati (ricerca e sanità, ad esempio).
Le pratiche locali ci devono dunque servire
a costruire delle politiche che possano valere a scala più ampia, ma queste politiche
non sempre potranno essere la semplice
ripetizione di ciò che funziona localmente.
Per fare questo ci serve un sovrappiù di
creatività nell’immaginare una società
rinnovata che assuma le istanze della
decrescita proiettandole in un futuro di
libertà, uguaglianza, progresso, cosmopolitismo… I vari movimenti per la decrescita
hanno dimostrato fin dalle origini una
grande creatività e capacità di immaginare
il futuro. Non accontentiamoci dei broccoli.
Funzione e
Formazione
docente
tra passato,
presente
(e futuro?)
di Gianluca Bocchinfuso
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
avessero tenuto in seria considerazione i
La cosa più grave di tutto l’impianto
bisogni e le esigenze di rinnovamento della
relativo al reclutamento dei docenti –in
atto in Italia dai mesi scorsi– è che lascia in scuola, sicuramente si sarebbero fatti i primi passi in vista di un disegno da complesecondo piano due esigenze fondamentali
per i docenti di domani (e di oggi): il profilo tare in almeno cinque anni. Con i finanziamenti giusti, con scelte adeguate e con
professionale; la formazione permanente.
un’idea di scuola coerente con quella della
Due aspetti che potrebbero cambiare l’imsocietà che si vuole costruire. Invece, si è
pianto della scuola e l’approccio lavorativo
fatto solo un passo formale per riattivare le
di tutto il corpo docente.
procedure di reclutamento –nonostante la
Andiamo per gradi. Di profilo
sovrapposizione con le graduatorie esistenprofessionale docente –e di funzione
ti– lasciando all’orizzonte le questioni che
docente– in Italia si è sempre parlato. Mai,
abbiamo enunciato.
però, con una visione di respiro coerente
Non è un caso che i docenti che abbiacon le richieste della società, a partire dal
mo ascoltato a cornice di questa riflessione
corpo studenti. Infatti, il corpo studenti
–individuati tra quelli che hanno svolto
raramente è stato considerato un insieme
il vecchio Concorso e le SISS e quelli che
a cui dare opportunità concrete. Nel corso
stanno svolgendo il TFA e il nuovo Concordel tempo, è arenata l’idea stessa dell’inso– esprimono tutti le stesse preoccupasegnante che “avrebbe dovuto animare”
questo corpo: sul piano dei contenuti, delle zioni, sottolineando la scarsa importanza
che si dà al ruolo profondo dell’insegnante
competenze, del metodo, della relazione.
e ai diversi livelli di formazione. ParadosIl profilo professionale è giocato ormai su
salmente, così come dieci anni fa SISS e
slogan che si ripetono incessantemente
Concorso si sono intrecciati, creando dei
nello stesso modo, senza andare nel cuore
mostri anche giuridici, oggi, TFA e nuovo
delle questioni, cioè: la meritocrazia e la
Concorso s’intrecciano con tutti i possibili
valutazione periodica dei docenti legate a
problemi del caso.
una nuova organizzazione della settimana
lavorativa (col riconoscimento di 35 ore a
scuola per coprire il lavoro richiesto da una L’esperienza delle SISS
funzione qualificata e qualificante) rimane del vecchio concorso
gono estranee alle organizzazioni sindacali «L’esperienza del corso abilitante –spiega
e agli apparati di governo. Sono tabù su cui
Antonello Schioppa che ha frequenfintamente ci si confronta, senza mai scaltato la SISS per Italiano, Storia e
fire paradossali incoerenze e incompetenze
Geografia nella scuola media e per il
anche dei docenti stessi.
Sostegno– è stata positiva, sul piano
Legato al primo è il secondo punto.
didattico e metodologico, principalLa formazione permanente, infatti, deve
mente per il tirocinio svolto nelle
poggiare su una trasparente funzione
scuole. Il periodo di osservazione, di
docente e su un profilo che contempli
dialogo e infine la preparazione e l’eseun’organizzazione oraria nuova e moderna.
cuzione di una-due lezioni da “calare”
Alcune proposte: lo sviluppo, con progetti
in una classe reale, sotto la superdidattici mirati e con l’utilizzo delle nuove
visione di un docente esperto, sono
tecnologie, di reti di scuole sull’intero
stati utili ed efficaci per comprendere
territorio nazionale che possano anche
le dinamiche della comunicazione
diventare strumento per la formazione/
e della relazione con un gruppo di
autoformazione in servizio; la progettaziostudenti. Purtroppo, sul piano del
ne strategica tra scuole ed enti di formalavoro teorico svolto sui banchi delle
zione con scambi sul territorio nazionale
aule universitarie, l’esperienza non è
ed europeo; l’aggiornamento e la ricerca
stata generalmente altrettanto utile,
anche all’estero con finanziamenti mirati al
soprattutto se paragonata all’enorme
periodo di chiusura delle scuole. Formazionumero di ore di lezione che ci è stata
ne permanente è creazione di situazioni e
proposto. Due anni di lavoro che, in
contesti diversi da un mero reclutamento
termini d’efficacia e utilità, non hanno
iniziale o da corsi mirati solo al riconoscicorrisposto ad altrettanta qualità.
mento di “mezzo punto” al fine di graduaSe gli studi in ambito sociologico e
torie sempre più ingolfate.
pedagogico hanno avuto un senso
Se i governi che si sono succeduti in
–perché hanno toccato punti scoperti
questi anni, prima di avviare un reclutadella mia formazione– spesso, invece,
mento come il TFA e l’aggiornato Concorso,
lo studio di discipline legate alle
materie che avrei insegnato a scuola
sono risultate poco utili, dato che
non si è affrontato quasi mai l’aspetto
metodologico dell’insegnamento,
concentrandosi invece sui contenuti
della materia, come fossero lezioni
“liceali” impartite a gruppi di adolescenti. Più utile è stata l’esperienza del
corso di abilitazione al Sostegno, che
ha privilegiato l’aspetto laboratoriale
permettendomi di calarmi, attraverso
simulazioni più o meno efficaci, in
situazioni reali e concrete, fornendomi conoscenze e spunti di riflessione
utili anche nell’insegnamento delle
mie discipline».
Per Maria Concetta Vono, docente di
Tedesco e abilitata anche per Sostegno, l’esperienza della SISS è stata
«generalmente deludente, sebbene
differenziata per ambiti». «Già a
partire dal test di ingresso (esclusivamente incentrato sulla verifica delle
conoscenze e non delle competenze di
un insegnante) –spiega– si preannunciava la linea seguita dal percorso che,
nell’area generale e dal punto di vista
pedagogico, presentava un carattere
didascalico. Il mio esame di pedagogia,
per esempio, è stato un corso tenuto
da un insegnante di matematica e
consisteva in un test a crocette su conoscenze varie, dalla docimologia alla
statistica. In generale, più stimolanti
e produttivi sono stati i corsi tenuti
da docenti che erano effettivamente
insegnanti di scuola secondaria e non
professori universitari. I migliori, sul
piano metodologico e sull’approccio
didattico, sono stati quelli di Tedesco.
Molto generale, a livello di produzione
di una forma mentis, è stata invece la
preparazione del corso di Sostegno.
É arrivato il momento che si fornisca
ai docenti una solida preparazione
pedagogico-educativa di tipo pratico,
oltre che teorico (quella che è mancata a me), accanto alla già esplorata
metodologia didattica. È quello che
i ragazzi ci chiedono oggi, a tutti i
livelli».
Concetta Casa, docente di Matematica e
Scienze, considera l’esperienza formativa delle SISS molto negativa. «Intanto devo precisare –puntualizza– che
la mia non è stata la SISS articolata su
un biennio ma quella di un anno, alla
quale si accedeva grazie al riconoscimento di un certo numero di anni di
5
6
Cultura scientifica e cultura umanistica – spunti di riflessione
insegnamento. Gli aspetti didattici
e pedagogici che si affrontano nel
tirocinio, nel mio corso non sono stati
minimamente affrontati. I docenti
universitari che hanno tenuto il corso,
hanno affrontato qualsiasi argomento
in maniera nozionistica, ignorando
la profonda valenza della pedagogia e
la sua applicazione all’insegnamento.
Solo due materie erano strettamente
legate alla pedagogia. Per una di
queste, il docente ci ha costretto a
comprare il suo libro; per la seconda,
ci hanno fatto fare una relazione
su un libro a scelta che parlasse di
relazioni su un piano generico e molto
opinabile. Non penso di aver dato un
buon contributo per una riflessione
articolata sulla formazione dei docenti
perché le esperienze negative segnano
e spesso si cerca di rimuoverle. La
scuola, su questi piani, deve prendere
altre direzioni».
Sul piano didattico-metodologico, la SISS
registra un dato di fatto. Sottolinea
Valeria Servadio, docente di Italiano,
Storia e Geografia nella Scuola media:
«ho imparato dal tirocinio nelle
scuole, più che dalle lezioni tenute
dai professori universitari, che si sono
concentrati sul contenuto più che
sull’insegnare ad insegnare. Nelle classi,
ho avuto modo di “imparare facendo”:
per esempio, tenendo una lezione
in classe e osservando colleghi con
esperienza. La mia attenzione si é rivolta soprattutto alla relazione che gli
insegnanti instauravano con gli alunni
e i colleghi e alle metodologie adottate
e adattate alle lezioni. Sono state utili
anche le lezioni tenute dagli insegnanti delle scuole medie e superiori che mi
hanno dato delle linee-guida sulla metodologia e sulla didattica». Parlando
invece di SISS e crescita professionale,
il discorso diventa molto soggettivo.
«La crescita professionale –spiega
la Servadio– avviene tuttora e mi
accompagnerà finché svolgerò questo
lavoro. Questo è il primo aspetto motivazionale che mi spinge a fare ancora
l’insegnante. Nel periodo di tirocinio
nelle scuole ho “fissato” delle lineeguida sul mio metodo di insegnamento e sulla didattica che, nel corso degli
anni, vanno comunque modificandosi
e adattandosi alla realtà sociale ed
educativa in continua trasformazione.
Rispetto al Concorso, trovo che le SISS
*www.carlopetitti.it - [email protected]
abbiano professionalizzato la figura
dell’insegnante. Sono o potrebbero
essere, secondo me, anche alla luce
della mia osservazione del sistema
scolastico finlandese, un percorso
utile, se organizzato con serietà e con
insegnanti preparati. Secondo me,
è importante che ci sia una scuola
per insegnanti, come oggi si cerca di
impiantare con i TFA».
Non sempre è stata data una chiara
coerenza tra percorso della SISS
e realtà scolastica vera e propria.
Valeria Servadio spiega che, dal suo
punto di vista, «c’è stata coerenza tra
l’esperienza del tirocinio e la realtà
scolastica sperimentata. Le lezioni
dei professori universitari non mi
hanno dato un apporto contenutistico
significativo rispetto a quello che già
avevo studiato durante l’Università.
Le lezioni tenute dagli insegnanti
delle scuole medie e superiori sono
state invece utili; ho trovato coerenza
tra quello che loro spiegavano della
realtà della scuola e quello che ho
potuto sperimentare io una volta che
ho iniziato ad insegnare».
Con molta motivazione, Valeria Servadio
avanza alcune proposte sulla scuola
e la formazione: «1) re-introdurrei
le SISS. Proporrei un anno solo di
lezioni improntate sulla metodologia
e la didattica, alternate al tirocinio
nelle scuole; 2) avvierei corsi di formazione e aggiornamento obbligatori
per docenti almeno due volte all’anno
ed esperienze di visita nelle scuole
con i migliori sistemi educativi in
Europa; 3) applicherei la chiamata
diretta dei docenti da parte dei presidi,
i quali dovrebbero tenere conto del
percorso positivo dell’insegnante e dei
meriti: giudizi positivi provenienti dai
presidi delle scuole dove il docente ha
insegnato, giudizi positivi dei genitori
e degli alunni. Sono favorevole ad una
valutazione da parte di tutte queste
componenti sociali. Solo con gli insegnanti migliori si hanno degli studenti
migliori e un paese che cresce».
Ironicamente, spiega Giuseppina Laconca: «avendo frequentato ben tre cicli
di SISS dovrei essere una docente
super competente e super preparata
da ogni punto di vista. Purtroppo,
devo dire che ho capito un po’ gli insegnamenti della SISS solo quando ho
cominciato ad essere dentro un’aula
scolastica.
Ho frequentato il primo biennio della SISS
tra il 2001-2002 per Inglese. Avevo
materie afferenti alla lingua Inglese,
del tutto simili al corso di laurea.
Molto affascinanti ma una ripetizione
di quanto già studiato all’università.
Carente e fumosa l’infarinatura più
propriamente metodologica e didattica che doveva essere lo specifico
del corso SISS. Le materie trasversali
–Psicologia e Pedagogia– le studiavo
per la prima volta e le ho trovate assolutamente interessanti sul piano teorico; anche su questo piano, però, tutto
è stato una trasmissione di contenuti
senza un legame diretto con la classe.
Il tirocinio, in questo primo biennio, è
stato completamente inutile perché
non sono riuscita ad instaurare con la
docente che mi seguiva un rapporto
di scambio vero. Forse non avevo
neppure piena consapevolezza dei
miei bisogni formativi.
Dopo questo primo biennio, ho frequentato
la SISS di Sostegno, teorico anch’esso
come corso, ma quanto meno ho
visitato diverse strutture per differenti
tipologie di handicap. In questo caso,
ho avuto un supervisore competente
e appassionato che ha saputo colmare
le imperfezioni teoriche del corso,
oltre ad una docente tutor durante il
tirocinio molto preparata e disponibile. In questo caso, credo abbia contribuito positivamente anche il fatto che
avevo cominciato ad insegnare.
L’ultimo corso SISS frequentato è stato
quello per conseguire l’abilitazione su
Tedesco. Ho finalmente trovato una
docente che ha saputo mediare le teorie didattiche con la pratica didattica
quotidiana. Questa docente ha organizzato i corsi di metodi e tecniche di
insegnamento della lingua in modo
laboratoriale dove tutti i corsisti erano
chiamati a partecipare attivamente
ad ogni lezione. Finalmente, un corso
che ha saputo darmi spunti di riflessione e un modello di riferimento per
rispondere ai miei bisogni formativi
di neo-docente e stimolare nuove
riflessioni».
La professoressa Laconca, conclude ritenendo indispensabile «l’idea di una
formazione per chi vuole diventare
docente, al pari di qualsiasi professione. Ritengo però che i corsi SISS siano
troppo poco dei percorsi di forma-
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
zione autentica per dare strumenti
e modalità per imparare almeno a
capire con quali attrezzi ogni docente
deve riempire la propria valigetta di
lavoro».
Le aspettative sul TFA e il nuovo
Concorso
Il Tirocinio Formativo Attivo è già
partito in molte università con pezzi di
impianto simili alle vecchie SISS, altri rinnovati e con una copertura finanziaria non
ancora totale per quanto riguarda anche
il ruolo dei tutor, docenti di scuola media
inferiore e superiore distaccati.
Beatrice Saveri, docente di Matematica
e Scienze che sta frequentando da
qualche mese il TFA, afferma subito
che sul piano metodologico-didattico
si aspetta molto poco. «La tendenza
a dare maggior peso ai contenuti di
materia –dice– è un problema evidente per la classe di concorso A059. Le
conoscenze richieste devono abbracciare la vastità delle scienze naturali
e la complessità della matematica: i
docenti si trovano necessariamente
a dovere parlare ancora di contenuti.
Nelle lezioni che ho seguito finora, si
nota davvero lo sforzo che i docenti
fanno, quando affrontano gli argomenti di materia, per cercare di fornire
a noi sia dei contenuti che degli inquadramenti didattici».
La Saveri continua spiegando che «principalmente, grazie alle lezioni di
pedagogia, il TFA ha aperto un
mondo nuovo, a me completamente
sconosciuto: sinceramente ero molto
scettica rispetto a questo corso in
particolare. Mi rendo conto ora che
questa materia di studio ha dato e
dà dei contributi fondamentali alla
professione dell’insegnante. Inoltre,
il TFA potrebbe favorire il dialogo tra
colleghi: se è davvero così importante il confronto e la socializzazione
delle esperienze, si possono sfruttare
questi incontri proprio per creare
delle condizioni di scambio di saperi e
d’azione, di cui tanto stiamo parlando.
L’osservazione, inoltre, sarà importantissima. Credo si possono trarre molti
spunti per riflettere su come noi stessi
affrontiamo la classe».
Sul piano professionale, spiega la professoressa Saveri, «voglio precisare che,
lavorando in una scuola sperimentale, l’approccio che ho avuto è stato
diverso da quello di altre colleghe. Mi
rendo conto che la frase “ma a cosa mi
serve tutto questo?” è molto frequente
tra i colleghi: traspare così un abisso
tra il percorso TFA e la realtà scolastica che ogni giorno affrontano. Io
credo che un atteggiamento positivo
nei confronti delle proposte di questo
TFA, che comunque siamo chiamati a
fare, sia il modo migliore per trovare
(o creare) coerenza in tutto questo».
Elisa Casalbordino, docente di Tecnologia,
allarga il discorso su un piano generale. «Spontaneamente, vorrei esplicitare non solo il mio punto di vista ma
una panoramica di molti colleghi che,
come me, stanno vivendo in prima
persona questo momento particolare. Parlo dei docenti non abilitati
inseriti da molti anni nel mondo della
scuola. Penso che entrambi i percorsi
di accesso al mondo della scuola,
TFA e nuovo Concorso, offrano solo
aspettative basate su una questione di
sicurezza lavorativa e non formativa.
Dal mio punto di vista, la questione
della formazione viene poco presa in
considerazione perché siamo già inseriti nel mondo della scuola. Pertanto,
si parla di autoformazione quotidiana
e che a molti colleghi basta. Il TFA e
il nuovo Concorso rimangono solo un
bypass».
«Mi ritengo fortunata –spiega la Casalbordino– perché ho avuto l’opportunità di lavorare in una scuola in cui
sono sottoposta a continue prove di
riflessione e verifica del mio percorso
in riferimento alla figura professionale di docente. Solo grazie a questo
contesto di lavoro ho capito cosa vuol
dire formazione e perché è importante
nel percorso di un docente. Per ora, la
priorità è di prepararmi in base alle
modalità richieste dal sistema ministeriale (inglese compreso), escludendo i bisogni formativi di docente
(metodologie didattiche, TIC, DSA)».
«Il TFA, sul piano didattico-metodologico,
potrebbe dare delle linee-guida in relazione alla didattica per le discipline
che insegno. Mi piacerebbe confrontarmi sui metodi e i contesti diversi di
apprendimento in relazione agli stili
dei ragazzi; sui disturbi dell’apprendimento, sul riconoscimento del mio
stile di insegnamento; sull’utilizzo
delle nuove tecnologie; sull’apertura
di Tecnologia come materia verso la
società. Per quanto riguarda il Concorso, le aspettative sono solo relative
ad un accesso al mondo della scuola e
non ad un percorso di formazione. Per
entrambi i percorsi, l’unica formazione che ho avuto indirettamente è stata
quella di riprendere a studiare per la
preparazione ad una prova di verifica.
Importante è stato sostenere le prove
stesse».
Giuseppina Sessa è docente di Matematica e Scienze e frequenta il TFA. «Sul
piano didattico-metodologico –dice–
mi aspetto di colmare tutte le mie
lacune in Scienze dell’educazione,
mai affrontate in modo organico. Mi
aspetto di acquisire definitivamente
una forma mentale laboratoriale per
l’insegnamento delle mie discipline.
La crescita professionale subirà uno
di quei “salti” formativi di cui parlano
alcuni testi: conoscenza delle discipline d’insegnamento; acquisizione di
conoscenza e consapevolezza del ruolo dell’insegnante; approfondimento
dell’insegnamento come professione;
acquisizione di metodologie didattiche e habitus riflessivo.
Già dalle prime settimane del TFA, è emersa una continua riflessione fra TFA e
realtà scolastica, molto stimolante per
chi vuole sperimentare ciò di cui si
parla in Università.
Per quanto riguarda il Concorso, a parte
l’approfondimento disciplinare e contenutistico, per me è un tentativo di
accesso alla scuola. La parte formativa
è lasciata ai singoli e non è quindi
guidata».
Conclusioni
Questi colloqui mettono a nudo lo
scoperto che la scuola ha sulla formazione
didattico-metodologica. Si sta puntando
solo sul compromesso per superare il precariato –che difficilmente avverrà senza un
piano di assunzioni dalle attuale graduatorie per evitare altre code– e “dare un posto”
di lavoro ai docenti, stremati da anni di
insicurezza. Sui neolaureati l’investimento
è inesistente così come non esiste un investimento sulla formazione permanente e
sul profilo professionale docente.
Punti rimasti anche orfani di una degna discussione e rappresentanza politica
e ideale.
7
Cultura scientifica e cultura umanistica – spunti di riflessione
Quale
formazione
è richiesta dal
Ministero ai
docenti di storia
e geografia?
di Marina Medi
Le prove di accesso al tirocinio formativo attivo,
che si sono svolte nell’estate 2012, avevano, secondo
un Decreto del Ministero, lo scopo di “verificare le conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento di ciascuna classe di concorso e le competenze
linguistiche di lingua italiana.” Dovevano essere quindi
un primo strumento di selezione, perché è evidente
che un insegnante deve sapersi esprimere in italiano e
deve conoscere la propria materia, anche se sappiamo
che conoscere un argomento non significa di per sé
saperlo insegnare. La vera competenza dell’insegnante,
infatti, è quella dell’insegnamento, cioè la capacità di
progettare e guidare un gruppo di allievi in un percorso
di conoscenza in modo da sviluppare in loro competenze disciplinari e di cittadinanza.
In ogni caso le domande delle prove d’accesso al
TFA avrebbero potuto dare l’indicazione delle competenze disciplinari richieste a un insegnante e quindi,
in ultima analisi, potevano servire per definire gli assi
portanti di ciascuna disciplina e le finalità che essa
svolge nella formazione degli studenti.
In un corso di preparazione alla prova di accesso
a cura del CIDI di Milano a cui ho partecipato come
formatrice per le classi di materie letterarie nelle scuole
superiori di I e II grado, ho cercato di mettere in luce
i nuclei fondanti della storia e della geografia (per es.
fatto storico, modello di spiegazione, fonte, rapporto
causa-effetto ecc.) e ho insistito sul ruolo formativo
di queste due materie in quanto strumenti per la conoscenza del presente. Ecco alcune domande che alla
fine ho posto ai corsisti, secondo il modello previsto
dalla prova di accesso:
LE RISPOSTE ESATTE:
Primo blocco: A2 | B2 | C2 | D3 | E2 | F1 | G3 | H4 | I4 | L3
| M3 | N4. Nel secondo blocco, proposto dal Ministero, la
risposta esatta è SEMPRE la prima.
8
A. Un fatto storico è
1. un avvenimento avvenuto
nel passato
2. un aspetto dell’esperienza
umana del passato oggetto
dello studio dello storico
3. un avvenimento del
passato che ha prodotto
conseguenze profonde nel
corso della storia
4. un fatto umano del passato
debitamente testimoniato
da fonti attendibili
B. Quale di questi imperi ha avuto
la durata più breve?
1. Impero cinese
2. Impero incaico
3. Impero romano
4. Impero etiope
C. Nel modello di spiegazione della
conquista dell’America, quale di
questi fatti non è utilizzabile perché
è falso?
1. La fine della reconquista
2. Il miglioramento delle
condizioni climatiche
nella seconda metà del
Quattrocento
3. Il desiderio di una nuova
Crociata
4. Il miglioramento delle
tecniche di navigazione
D. Quali tra questi popoli aveva un
modello di civiltà diverso da quello
dei Greci del periodo classico?
1. Fenici
2. Etruschi
3. Romani
4. Maya
E. Quale tra le seguenti fonti è poco
interessante per lo studio del boom
economico in Italia?
1. Censimenti della popolazione
2. Dichiarazioni di uomini
politici dell’epoca
3. Manifesti pubblicitari e
inserti pubblicitari sulle
riviste dell’epoca
4. Film della commedia
all’italiana
F. Segna la affermazione non vera.
L’introduzione delle armi da fuoco
nell’Europa del Cinquecento:
1. rafforza il ruolo dell’aristocrazia
2. modifica l’architettura
difensiva delle città
3. rende i sovrani dipendenti
dai banchieri
4. favorisce lo sviluppo di
conoscenze matematiche
e fisiche
G. Tra queste operazioni del geografo, qual è la prima che svolge?
1. Interpretare tracce
2. Rappresentare spazi
3. Osservare
4. Descrivere
H. Quale di queste frasi non è vera?
1. Gli ambienti influiscono
sulle popolazioni che li
abitano
2. Le popolazioni trasformano gli ambienti in cui
vivono
3. Qualunque ambiente
abitato risponde ai bisogni
comuni all’umanità
4. Gli uomini possono trasformare a loro piacimento
l’ambiente in cui vivono
I. Quale di queste frontiere non è
particolarmente calda in questi
anni?
1. USA-Messico
2. Cipro-Turchia
3. Sudan4. Nicaragua-Honduras
L. Per quale di questi temi non è
indispensabile un approccio geostorico-sociale?
1. L’organizzazione politicoamministrativa dello stato
italiano
2. I confini tra italia e slovenia
3. La rappresentazione cartografica dell’area c a milano
4. La concessione della cittadinanza ai minori stranieri
nati in italia
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Queste sono invece un
esempio delle domande che
sono state poi effettivamente
date alla prova:
A. Nel quadro delle guerre napoleoniche la battaglia di Ulm fu
combattuta nel:
1. 1805
2. 1803
3. 1809
4. 1810
B. Quando si svolse, in Cina, la
“Lunga Marcia”:
1. 1934-1935
2. 1936-1937
3. 1943-1944
4. 1938-1939
M. Quali di questi aspetti caratterizza il cittadino?
1. Identità
2. Diritti
3. Proprietà
4. Partecipazione
N. Quale di queste affermazioni
non è vera? L’Italia:
1. ha votato la Convenzione
Internazionale sui diritti
dell’Infanzia
2. ha ratificato la Convenzione Internazionale sui
diritti dell’Infanzia
3. ha emesso disposizioni per
applicare la Convenzione
Internazionale sui diritti
dell’Infanzia
4. non ha ancora emesso
disposizioni per applicare
la Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia
C. L’anno della morte di Caio
Gracco, dichiarato nemico pubblico
dal Senato:
1. 121 a.C.
2. 112 a.C.
3. 78 a.C.
4. 223 a.C.
D. Fu sconfitto nella battaglia di
Teutoburgo:
1. Publio Quintilio Varo
2. Lucio Munazio Plauto
3. Marco Emilio Lepido
4. Gneo Domizio Corbulone
E. Federico Barbarossa e i rappresentanti della Lega Lombarda
sottoscrissero nel 1183 la pace di:
1. Costanza
2. Basilea
3. Ratisbona
4. Torino
F. Alla morte di Cavour, divenne
Presidente del Consiglio dei ministri, il 12 giugno 1861:
1. Bettino Ricasoli
2. Urbano Rattazzi
3. Marco Minghetti
4. Alfonso La Marmora
G. Giuseppe Mazzini fondò la
“Giovane Europa” nel:
1. 1834
2. 1835
3. 1836
4. 1833
H. E’ il lago più esteso d’Europa:
1. Ladoga
2. Saimaa
3. Balaton
4. Onega
I. La città di Porto Fuad si trova in:
1. Egitto
2. Giordania
3. Marocco
4. Turchia
L. Di quale stato è capitale
Kampala:
1. Uganda
2. Nigeria
3. Mali
4. Ciad
M. Non confina con la repubblica
dello Zambia:
1. Kenya
2. Angola
3. Tanzania
4. Malawi
N. Non confina con
il Colorado (USA):
1. Tennessee
2. Utah
3. Arizona
4. Nuovo Messico
Come si può notare, il
carattere delle domande del
Ministero è esclusivamente
nozionistico, nel senso che
da una parte richiede solo
di aver memorizzato date,
nomi o avvenimenti senza
nessun impegno di riflessione,
dall’altra non presuppone che
l’informazione abbia significato
per comprendere un evento del
passato in funzione del presente o un aspetto del paesaggio
in relazione a un problema del
nostro mondo.
È questa l’idea di storia e
geografia che ha il Ministero?
È questa la formazione storica
e geografica che richiede ai
docenti? Ci si meraviglia poi se
gli studenti sono poco motivati
allo studio?
Certo questo tipo di quiz
è servito a decimare gran parte
dei candidati. Forse era uno dei
risultati che si voleva ottenere.
Peccato però che i candidati
abbiano perso tempo e anche
soldi per cercare di superare
questa prova, che è stata un
insulto al loro desiderio di acquisire una vera professionalità.
9
10
Cultura scientifica e cultura umanistica – spunti di riflessione
Dalle risorse
ai beni comuni
di Emanuele Vigo, animatore Mani Tese
Negli ultimi cinquant’anni l’accentuarsi della visione economicista dello sviluppo
e le conseguenti politiche economiche
volte sempre più alla mercificazione di ogni
risorsa disponibile sul pianeta (comprese
quelle indispensabili per la sopravvivenza) e allo sfruttamento di queste in modo
esponenziale, ha reso ormai ineludibile la
questione di quale differente modello economico, sociale e politico di gestione delle
risorse possa garantire il futuro del pianeta
e dei suoi abitanti, soprattutto in relazione
all’utilizzo di terre coltivabili, acqua dolce,
foreste e altre risorse basilari.
Il percorso “Dalle risorse ai beni comuni”
rappresenta, idealmente, il secondo passo
di un cammino di formazione e azione
più ampio che comincia con il corso per
insegnanti, presentato sul numero scorso
di Strumenti a pag. 10, passa per l’intervento degli animatori di Mani Tese nelle
classi e ha uno dei suoi esiti, possibili e
auspicati, nella partecipazione delle classi
al concorso grafico “L’asta della Terra” (vedi
IV di copertina). Questi tre momenti
formativi sono pensati e strutturati per
poter essere proposti e affrontati anche
in maniera indipendente, ma l’esperienza dimostra che l’efficacia di un lavoro
integrato insegnante-animatore-studente
è significativamente maggiore.
Destinatari e durata
Il percorso è progettato per la scuola
secondaria di secondo grado, in particolare
per gli studenti del triennio, ed è articolato
su tre laboratori tematici della durata di
due ore ciascuno, naturalmente con un certo grado di flessibilità in base alle esigenze
degli insegnanti e al livello di approfondimento richiesto.
Tre laboratori per tre filoni
di riflessione
Risorse e sviluppo: il nostro pianeta è
ricco di risorse naturali (terra, acqua, foreste, minerali etc.) che l’uomo ha imparato
via via ad utilizzare. Nel corso della storia
l’avvento del sistema mercantile prima e di
quello industriale poi hanno radicalmente
trasformato questo utilizzo in sfruttamento intensivo nella convinzione che la Terra
fosse in realtà un giacimento inesauribile
di risorse dal quale attingere all’infinito.
Parallelamente a ciò, però, economisti,
filosofi e scienziati hanno cominciato ad
interrogarsi sulla plausibilità di tale sfruttamento all’interno di un pianeta che per
sua stessa natura è invece finito e limitato.
Nella prima parte del nostro viaggio ideale
dal concetto di risorse a quello di beni
comuni cercheremo quindi di costruire un
quadro d’insieme della situazione attuale e
del sovra-utilizzo delle risorse rispetto alla
capacità di rigenerazione del pianeta.
Nonostante sia sempre più evidente
come questo tipo di impostazione verso
una crescita continua ed esponenziale sia
oggettivamente in contrasto con le regole
fisiche e biologiche del nostro pianeta, non
altrettanto evidenti sono le soluzioni e i
provvedimenti da adottare per preservare
la sopravvivenza della terra e degli esseri
viventi che la popolano.
Un brevissimo e divertente video
animato sarà il nostro punto di partenza.
La discussione guidata coi ragazzi
prenderà spunto da poche, ma fondamentali domande:
↘↘ Quali sono le risorse del nostro
pianeta? (alcune sono facilmente
intuibili come l’acqua dolce, altre
meno conosciute come il coltan usato
per i componenti elettronici dei nostri
moderni computer e telefonini e per i
cui giacimenti, in Africa in particolare,
si finanziano e combattono guerre
sanguinose)
↘↘ Quante sono le risorse? Sono davvero
infinite? (cercheremo di quantificare
le principali per avere un quadro il
più oggettivo possibile della situazione, analizzeremo poi quali siano
rigenerabili e quali no e le differenti
prospettive future presentate dagli
scienziati) –Introduzione del concetto di Overshoot Day e di Impronta
ecologica
↘↘ Dove si trovano? (La collocazione geografica è utile per decostruire alcuni
miti come ad esempio quello della
povertà intrinseca dei paesi africani)
↘↘ Chi le utilizza? (altro punto centrale
dal momento che la questione della
proprietà delle risorse porta con sé
tutta una serie di conseguenze devastanti dal punto di vista economico,
sociale e politico)
Ragionando coi ragazzi sulle risposte
saremo pronti per il nostro gioco cooperativo chiamato “La torre”.
Il gioco si propone di rendere gli studenti
protagonisti di un tentativo di crescita
“infinita”: dovranno infatti costruire una
torre di mattoncini di legno quanto più
alta possibile, scegliendo con cura quali
mattoncini mettere in cima alla torre e,
soprattutto, da dove prelevarli. Evidentemente la torre non potrà salire più di tanto
sia per questioni di equilibrio (i mattoncini
saranno prelevati necessariamente dal
centro o dalla base…), sia perché il numero
dei mattoncini è comunque fissato e anche
riuscendo a disporli in una perfetta pila da
uno la torre risulterà finita.
Il debriefing del gioco sarà un importante momento di riflessione sul concetto
di limite e sulle sue implicazioni nel ripensare il nostro futuro: quali sono gli aspetti
positivi e negativi dell’essere limitati?
Come possiamo affrontare i limiti oggettivi
della crescita umana? Limiti “facili” e limiti
“difficili”: quali troviamo facili da accettare e
quali ci risultano insopportabili?
Il nostro sistema di produzione-consumo:
Qual è la storia del cibo che mangiamo,
degli oggetti che utilizziamo, dei vestiti che
indossiamo? Chi sono gli attori del processo di produzione? Queste due domande,
spesso sottovalutate, sono tuttavia cruciali
per comprendere un processo in cui ogni
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
scelta influisce sull’ ambiente in cui viviamo e su tutti gli aspetti della vita umana:
sociali, politici, economici. Ogni attore
influenza ed è a sua volta influenzato dal
processo stesso. Essere attori consapevoli
rappresenta un prerequisito fondamentale
per diventare sempre meno consumatori e
sempre più responsabili.
Due momenti di lavoro diviso per
gruppi rappresentano il fulcro del nostro
secondo laboratorio.
Il primo è incentrato sulla visione
guidata del documentario animato “La
storia delle cose”. Il video riprende parte
dei concetti visti nel primo laboratorio ed
introduce il discorso sul nostro sistema
economico: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. La visione del video viene fermata nel momento in cui la narratrice
comincia a parlare degli attori economici.
A questo punto viene proposto il
secondo momento di lavoro: l’analisi del
testo della canzone “Un’altra via d’uscita”
di Daniele Sepe. Il pezzo raggae, musicalmente vivace e accattivante, tratteggia
le figure principali del nostro sistema di
produzione e consumo. Ai ragazzi il compito di scegliere gli attori che preferiscono
e crearne la carta d’identità su cartelloni
secondo il seguente schema:
↘↘ Chi è?
↘↘ Quale ruolo ha?
↘↘ Aspetti positivi/negativi
↘↘ Nel sistema guadagna o perde?
Alla fine di questa fase i cartelloni
vengono appesi fisicamente sulla slide incompleta del video ed abbiamo ricostruito
così il nostro sistema economico con i suoi
attori e i suoi squilibri. Siamo pronti alla
discussione guidata che cercherà di tenere
conto della vastità e della complessità del
tema privilegiando, fin dove possibile, gli
aspetti che maggiormente incontrano la curiosità e la partecipazione dei ragazzi. Alla
fine di questo secondo incontro avremo introdotto il concetto del ruolo del consumatore (attivo/passivo) e di un diverso modo
di consumare, usando cioè il proprio senso
critico nella scelta, ma soprattutto imparando a ridurre i consumi e di conseguenza
la propria impronta ecologica. Manca
l’ultimo tassello del nostro puzzle.
Stili di vita e beni comuni: il nostro stile di vita alimenta una produzione sempre
più aggressiva sulle risorse del pianeta per
poter soddisfare un consumo di beni sem-
pre crescente. L’economia attuale sta via
via trasformando le risorse (terre coltivabili,
risorse idriche etc.) stesse in una merce
che può essere comprata e venduta come
qualsiasi altra sul mercato globale.
La domanda ineludibile diventa
quindi: quali cambiamenti sono necessari
per preservare il ciclo di rigenerazione
delle risorse, l’ambiente e quindi, in ultima
analisi, la nostra stessa esistenza?
dispongono sul lato opposto dell’aula sulla
stessa linea di partenza. Si parte al “via” e
ci si ferma allo “stop” dell’animatore. Il
gioco si conclude solo in due modi:
↘↘ Obiettivo individuale: un giocatore ha
il numero esatto di tessere stabilite
dall’animatore (variabile in base al
numero dei partecipanti)
↘↘ Obiettivo collettivo: ogni partecipante
ha almeno una tessera-risorsa
Il nostro terzo ed ultimo laboratorio
comincia con un riepilogo dei concetti
chiave visti nell’intero percorso. Le slide
sul diverso impatto ecologico dei vari paesi
sono un ottimo spunto di riflessione sul
nostro stile di vita. Quali sono le attività
più impattanti? Sono attività che ci coinvolgono in prima persona? Sono aspetti
irrinunciabili del nostro quotidiano?
Alcuni esempi sotto forma di diapositive
possono avviare la discussione tra i ragazzi
utilizzando il gioco del termometro che
permette di esprimere il proprio accordo/
disaccordo (motivandolo successivamente) posizionandosi sulla linea di un immaginario termometro. Questa discussione è
sempre molto aperta e deve essere guidata
con cura dall’animatore perché gli aspetti
legati agli stili di vita possono davvero
portare la discussione ovunque!
Il nodo centrale però resta la riflessione sul legame tra individuale e globale e su
come incidere in prima persona sia a livello
locale che internazionale nei processi di
cambiamento in direzione di un sistema
economico, sociale e politico più giusto ed
equilibrato.
L’attività di restituzione in questo caso
sarà il “gioco del bersaglio” in cui i ragazzi
saranno invitati a scegliere quali siano
le azioni possibili per un cambiamento
positivo dal cerchio centrale dell’ “IO” via
via ad allontanarsi verso la comunità locale,
il proprio paese e il contesto internazionale.
Sarà interessante notare sia quali azioni
siano considerate realizzabili, sia in quale
cerchio del bersaglio vengano collocate.
Una delle regole sarà la possibilità che
un’azione ricada su diversi cerchi.
Rispetto al tema dei beni comuni e
dopo aver brevemente ripreso il discorso
sulle risorse sarà la volta del “Gioco delle
risorse”: questo gioco ha una componente
fortemente dinamica (bisogna correre!) ma
è fondamentalmente un gioco di strategia.
L’animatore dispone infatti di un certo
numero di tessere-risorse che colloca su
un tavolo distante dai giocatori i quali si
La peculiarità di questo gioco risiede
nel fatto che i partecipanti non possono
accordarsi fra loro ma devono intuire la
strategia durante il gioco. E soprattutto il
gioco è truccato!
Le tessere-risorsa infatti non sono
inizialmente sufficienti al raggiungimento
degli obiettivi, ma sono di poco inferiori.
L’animatore però “rigenera” (cioè
aggiunge da un sacchetto) un numero di
tessere-risorsa doppio rispetto a quelle che
vengono lasciate sul tavolo, senza mai però
superare il numero iniziale. Naturalmente
al primo giro tutti cercano di accaparrarsi
tutte le tessere possibili. Un tavolo vuoto
significa però rigenerazione zero...quindi il
gioco ricomincia dall’inizio e nessuno vince.
A questo punto i più intuitivi provano
a lasciare qualche tessera sul tavolo e osservano le azioni dell’animatore. Appurato
che vengono aggiunte delle tessere se
non si svuota il tavolo, scatta la fase della
cooperazione in cui (infrangendo un po’ la
regola del silenzio...) si cerca di far sì che
l’animatore rigeneri quante più tessere
possibili affinché uno degli obiettivi del
gioco sia finalmente conseguibile.
Il debriefing di questo gioco viene
guidato dall’animatore sulle ragioni delle
differenti scelte e strategie e infine sull’unico modo in cui questo gioco può diventare
fattibile: attraverso almeno una fase di
cooperazione e di gestione partecipata
delle tessere-risorsa.
Eccoci al concetto di bene comune
che verrà poi allargato anche a quei beni
come il tempo, la cultura, gli spazi pubblici,
che più difficilmente vengono percepiti
come patrimonio della comunità.
Il percorso avrà quindi stimolato delle
riflessioni e probabilmente mille dubbi,
come è giusto che sia in un lavoro formativo che non pretende di fornire ricette per
cambiare il mondo, ma spunti di pensiero
critico rispetto ad un esistente oggettivamente inadeguato a garantire un futuro al
pianeta e ai suoi abitanti.
11
12
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Dossier
dossier cres – febbraio 2013
13 Scienziati e umanisti:
incomprensioni
e aperture
di anna di sapio
18 Rapporti e confini tra
“scientifico” e “umanistico”
Quale umanità
per il futuro?
di Piera Hermann
Cultura scientifica
e cultura umanistica
Sguardi complementari di fronte
alle sfide del presente
20 Sul metodo
scientifico
di marina medi
22 Due culture,
molte geografie
di giorgio botta
25 La letteratura
e la scienza
di Giovanna Cipollari
28 Dalle culture
agli immaginari.
Spunti per un’educazione
alla sostenibilità
di Elena Camino
33 Bioetica: dibattito
aperto tra scienza
e società
di Anna marta Rollier
37 Metti una sfera
a cena
di Antonio Rodia
39 Fragili equilibri…
tra scienza e poesia
di Pietro Olla
41 Bibliografia
Desideriamo dedicare questo dossier ad Anna Amati,
ispiratrice e colonna portante del Cres fin dalla sua
nascita, più di venti anni fa.
Anna ci ha regalato negli
anni idee, consigli, articoli, libri con competenza,
impegno e l’entusiasmo di
una ventenne e ha saputo
combattere con tenacia gli
acciacchi che ultimamente
impedivano alle sue gambe,
non alla sua mente, di seguire la sua voglia di mondo.
L’intreccio tra cultura umanistica e scientifica era per
lei qualcosa di vivo e vitale;
nella sua ricca biblioteca i
romanzi delle più disparate
letterature si accompagnavano ai testi di geografia
su civiltà vicine e lontane
mentre le opere più attuali
di biologia stavano accanto
ai saggi filosofici e alle riflessioni religiose.
Sicuramente anche questa
volta ci avrebbe offerto piste
di lavoro e chiavi di lettura
stimolanti e originali per
trovare il bandolo di una
matassa aggrovigliata.
LA CASA CAPOVOLTA
IN UNA GOCCIA
Giulia Crecchi
I.C. “Franco Sacchetti”
Scuola Secondaria 1° grado
San Miniato (PI)
Il tema della cultura scientifica
era già stato affrontato da
Strumenti, con un taglio più
didattico, nel dossier “Sapere
scientifico e scuola” del numero
47. Chi fosse interessato lo può
scaricare dal sito www.manitese.
it/materiale/vetrina/strumenti/
strumenti_47.pdf
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Scatti di scienza:
gli studenti
fotografano la
scienza
di Bruno Manelli, Antonella Testa,
Diletta Zannelli
Quanta scienza ci può essere in una
fotografia? Quali processi cognitivi
si possono innescare cogliendo uno
scatto di scienza o osservando una
fotografia?
Queste e altre sono le domande/
ipotesi di sperimentazione alla
base del Progetto “Scatti di
scienza” –giunto alla V edizione–
promosso da Scienza under 18 e
dall’Università degli Studi di Milano,
in collaborazione con il Museo
di Fotografia Contemporanea.
L’obiettivo è sperimentare la valenza
educativa e didattica dell’immagine
scientifica, esplorando le dinamiche
che si innescano con la realizzazione
dell’immagine e durante/dopo la sua
fruizione.
Gli studenti sono invitati a osservare
soggetti, esperimenti, ambienti con
occhio nuovo e scattare fotografie
scientifiche assecondando la propria
curiosità, fantasia e capacità di
osservazione. Motivazioni, ipotesi
esplicative, esperienze e sensazioni
sono raccolte nella scheda di
accompagnamento allo scatto.
Dal 2009 centinaia di ragazzi di ogni
ordine di scuola hanno documentato
esperimenti o colto la bellezza
di un fenomeno naturale; hanno
“immaginato” e preparato la fotografia
prima dello scatto oppure hanno
osservato contenuti inattesi in uno
scatto fortuito.
Ogni anno i giovani autori presentano
al pubblico una selezione delle foto,
in un workshop a Vedere la Scienza
Festival a Milano, con il commento
di docenti e esperti di fotografia. Le
foto animano, poi, una mostra che
partecipa alle manifestazioni di
Scienza Under 18 in varie città e sono
pubblicate in un libretto.
info: [email protected]
Le foto che accompagnano questo
dossier fanno parte del progetto
“Scatti di Scienza”.
Scienziati e umanisti:
incomprensioni
e aperture
di anna di sapio
un tema ricorrente
Nel settembre 2012 sull’inserto culturale del Sole 24 Ore compare un articolo dello scrittore inglese David Lodge dal
titolo “La letteratura torna al futuro”. In
quest’articolo Lodge1 ricorda che non ha
senso contrapporre scienza e letteratura
perché entrambe offrono chiavi di lettura,
e a volte convergono in romanzieri come
Ian McEwan o Richard Powers.
Non è la prima volta che la Domenica del Sole 24 Ore affronta il tema della
diffidenza, della mancanza di comunicazione, del disinteresse reciproco tra
scienze e discipline umanistiche, in articoli che poi vengono ripresi da vari siti
web.2 L’impressione è che ultimamente
articoli di questo genere siano più
frequenti, che la questione del rapporto
tra i saperi sia ancora attuale.
Il dibattito infatti non è nuovo, ma
a una sua ripresa può aver contribuito,
almeno in Italia, la riedizione nel 2005
del testo di Charles P. Snow, Le due
culture3 pubblicato nel 1963. Il testo di
1. D. Lodge, La letteratura ritorna al futuro,
Il Sole 24Ore, 2 settembre 2012, p. 1.; D.
Galateria, David Lodge: solo arte e scienza ci
salvano dal pensiero mitico, “La Repubblica”
16/11/2011.
2. A. Massarenti, Così l’Italia azzoppò la
scienza, Il Sole 24Ore, 17 aprile 2011,
pp. 2-3; Bruno Arpaia, Non due ma mille
culture, Il Sole 24Ore, 10 luglio 2011, p.
33; B.Garavelli, Sapere umanistico e sapere
scientifico, 24 marzo 2009, www.treccani.it/
scuola/tesine/letteratura_e_scienza/garavelli.
html; L.Nicotra, Humanae litterae, humanae
scientiae, “Notizie in...Controluce” anno XI,
nn. 4/5 (2002); tanto per citarne qualcuno.
3. C. P. Snow, Le due culture, a cura di
A.Lanni, con interventi di G.Giorello, G.
O. Longo, P. Odifreddi, I libri di Reset,
Marsilio,Venezia 2005.
Snow, fisico e romanziere, innesca un
acceso dibattito e una serie di polemiche che convincono sempre più l’autore
di aver toccato un nervo sensibile: tra
la cultura letteraria e quella scientifica
si è creata una barriera, ma la mancata
o scarsa comunicazione tra questi due
mondi è un male che ostacola la soluzione dei problemi del mondo.
“Molte volte mi sono trovato presente a riunioni di persone reputate di
elevata cultura, secondo i criteri della
cultura tradizionale, che si sono precipitate a dichiarare di non poter credere che gli scienziati fossero così privi
di cultura letteraria. Un paio di volte
mi sono irritato e ho chiesto alla compagnia quanti di loro se la sentivano
di spiegare che cos’è la seconda legge
della termodinamica. La risposta era
fredda: ed era altresì negativa. Eppure
chiedevo qualcosa che è press’a poco
l’equivalente scientifico di «Avete
letto un’opera di Shakespeare?».
Credo ora che se avessi fatto una
domanda ancor più semplice – per
esempio, «Che cosa intendete per
massa, o per accelerazione», e cioè
l’equivalente scientifico di: «Sapete
leggere?» - non più di una su dieci di
quelle persone di elevata cultura si
sarebbe accorta che stavo parlando
lo stesso linguaggio. Così il grande
edificio della fisica moderna diventa
sempre più alto e la maggioranza delle
persone più intelligenti del mondo
occidentale ne capiscono quanto ne
avrebbero capito i loro antenati dell’età neolitica.”
Il saggio-denuncia di Snow, non
privo di limiti e di contraddizioni, ha
avuto il merito di mostrare la spaccatura venutasi a creare tra le due culture,
mentre nei secoli precedenti la fusione
delle discipline era un dato di fatto. “Il
13
14
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
fecondo rapporto tra umanesimo e
scienze si è in parte arenato attorno alla
fine dell’Ottocento, ma –scrive Remo
Bodei– in precedenza è stato molto
intenso4. Attualmente ogni disciplina
risulta specialistica e presenta al suo interno tante diramazioni; data la crescita
esponenziale dei diversi saperi non
sarebbe più possibile oggi un Leonardo
da Vinci (architetto, pittore, anatomista,
scrittore, poeta, musicista), in cui si
fondono discipline diverse.
Lacan a Julia Kristeva, Bruno Latour,
Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Féliz
Guattari) si appropriano di concetti fisici
e matematici, senza peraltro capirli, per
costruire ipotesi filosofiche alla moda.
D’altronde oggi le cose sono più
complicate di un tempo, fino all’Ottocento una persona colta aveva un’idea
dell’Universo che non si discostava poi
troppo da quella di uno scienziato, ma
oggi quanti di noi –si chiede Leonardo
Colombati–“possono in buona fede
sostenere di sapere quali leggi della
cosa è cambiato oggi
fisica ci tengono appesi al firmamento
Cinquanta anni dopo la pubblio cosa succede nelle sinapsi del nostro
cazione del saggio-denuncia di Snow
cervello? Tutto questo ci è ignoto; e
come stanno le cose? Esiste ancora
tutto questo ignoto ci sembra così ricco
questa spaccatura, e in quali termini,
e affascinante da risultare una minaccia
o nel frattempo è venuta a crearsi una
alla nostra immaginazione così come
qualche mediazione?
una macchina a vapore doveva preoccuIl tema proposto da Snow sembra
pare un luddista.”6
Certo, qualche passo avanti
ancora presente nel panorama culturarispetto all’epoca di Snow è stato fatto
le, anche la divisione tra i due saperi
–sostiene Bruno Arpaia– ma il problema
sembra persistere. Molto è accaduto in
persiste: per essere considerati colti
questo mezzo secolo –scrive Giuseppe
nelle nostre società occorre conoscere
O. Longo– sia sul versante tecnoscientifico che su quello sociopolitico, e alcune Dante, Velàsquez o Aristotele, mentre
“l’ignoranza su Einstein, Heisenberg o
considerazioni e previsioni di Snow si
Darwin non viene ritenuta rilevante per
sono rivelate errate, comunque è utile
definirci tali, quasi che la scienza non
riprendere alcuni problemi di fondo da
lui proposti.
Per David Calef5 la frattura tra le
due culture non si è affatto ricomposta,
“Solo la letteratura ci fa capire
ha solo assunto una fisionomia diversa.
l’esperienza umana: questo serve
In un articolo su “Nuovi Argomenti” del
anche agli esperti di biologia e
2007 riporta alcuni episodi come la befviceversa”
fa perpetrata dal fisico Alan Sokal ai dandavid Lodge
ni della rivista accademica “Social Text”
per denunciare lo scarso controllo di
qualità diffuso nelle riviste umanistiche
e il declino di rigore intellettuale di alcusia a pieno titolo ‘cultura’ (...) Questo
ni circoli delle humanities accademiche
è vero in tutto il mondo, ma in Italia è
americane e auspicare il ristabilimento
peggio, molto peggio.”7
di un corretto rapporto tra scienza e
La divisione tra cultura scientifica
filosofia. Il caso Sokal scatena un acceso
e cultura umanistica –concordano molti
dibattito e ha grande risonanza anche
analisti– appartiene alla nostra storia e
in Europa. In seguito Sokal e il fisico
risale agli inizi del ‘900 con l’affermarsi
belga Jean Bricmont scrivono Imposture
del neoidealismo di Benedetto Croce e
intellettuali per polemizzare contro la
Giovanni Gentile, il cui pensiero segnesuperficialità con cui molti maîtres à
rà il modello culturale nazionale.
penser contemporanei (si va da Jacques
Nel 1907 il grande matematico
Federigo Enriques, uomo di ampie
4. R. Bodei, Incroci, in Terza cultura. Idee per
un futuro sostenibile, a cura di V. Lingiardi e N.
Vassallo, Il Saggiatore, Milano 2012, p. 52.
5. D. Calef, Le due culture. Conflitti e armonie,
E = mc2 Scrittori e scienze, “Nuovi argomenti”,
n. 39/2007, pp. 32-53.
6. Colombati, Introduzione, E = mc2 Scrittori e
scienze, cit.p.27.
7. Arpaia, Non due ma mille culture, Il Sole 24
Ore, Domenica 10/07/2011, pp. 33-4.
vedute, fonda assieme a un chimico,
un medico, un biologo-zoologo e un
ingegnere la rivista “Scientia” che
auspica il superamento delle divisioni
disciplinari e intende realizzare nuove
forme di circolazione delle conoscenze.
Accolgono l’invito studiosi di diverse
nazioni tra cui Einstein, Lorentz, Freud,
Russell, Carnap, Heisemberg, Poincaré.
Come presidente della Società filosofica
italiana Enriques tende a rilanciare una
rinnovata alleanza tra la scienza e la
filosofia, ma viene attaccato da Croce e
Gentile che lo bollano di incompetenza in campo filosofico e lo invitano “a
parlare solo della sua materia, cioè di
matematica, un sapere non per veri
filosofi”8. Da questo scontro Enriques
esce sconfitto mentre Croce e Gentile
diventano i punti di riferimento culturale, sono loro a “dare alla cultura italiana,
alla sua organizzazione e riproduzione, soprattutto attraverso l’istruzione
superiore, un’impronta che assume
carattere ‘istituzionale’ (…) che ancora
oggi portiamo in eredità.”9
terza cultura
Nel 2011 appare un volume curato
da uno psichiatra e una filosofa intitolato Terza cultura. Idee per un futuro
sostenibile 10 in cui, sulla scia di Edge
di John Brockman11, ottanta tra scrittori, scienziati, filosofi, psicologi, artisti
rispondono alla domanda: quale terza
cultura in Italia?
Riaffiora in alcune risposte il risentimento verso gli umanisti: “Il vezzo di
8. A. Massarenti, Così l’Italia azzoppò la
scienza, cit.; v. anche V. Gallina, Un professore
di matematica che si diletta di filosofia,
20/04/2011 in www.educationduepuntozero.
it/curricoli-e-saperi/professore-matematicache-si-diletta-filosofia-408434706.shtml.
9. F. De Anna, Saperi umanistici e
saperi scientifici?, 04/05/2011 in www.
educationduepuntozero.it/curricoli-e-saperi/
deanna11-409640316.shtml
10. V. Lingiardi, N. Vassallo, Terza cultura.
Idee per un futuro sostenibile, op. cit.
11. v. box a fianco: John Brockman Edge e Terza
cultura; v. anche la tesi di D. Rodino, Costruire
una superstar: John Brockman e la rivoluzione
dell’editoria, Master in comunicazione della
scienza, 2009, al sito digitallibrary.sissa.it/
bitstream/handle/1963/6226/Rodino.pdf?…1
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
John Brockman:
Edge e Terza cultura
È uno dei più noti agenti letterari,
specializzato nella letteratura scientifica: ha
tra i suoi clienti diversi famosi scienziati (tra
cui molti premi Nobel) e divulgatori scientifici.
Partendo da una riflessione sul libro di Charles
P. Snow nel 1995 scrive La terza cultura. Le
nuove rivoluzioni scientifiche in cui spiega che
l’intellettuale tradizionale è in declino, perché
non basta più avere un background storico,
filosofico, politico per esprimere il nostro
tempo. La terza cultura è quella alimentata da
scienziati e pensatori che con il loro lavoro di
ricerca e divulgazione esprimono il significato
più profondo della vita umana e che hanno la
capacità di trasmetterla a un vasto pubblico.
Sono loro i nuovi intellettuali.
Nel 1998 crea Edge (www.edge.org) una
specie di club virtuale, un luogo di incontro
tra scienziati e intellettuali di discipline
diverse, il cui scopo è quello di promuovere la
discussione su temi culturali importanti. Con il
progetto The World Question Center ogni anno
Brockman pone una domanda a un gruppo
ristretto di scienziati o personaggi in vista,
raccoglie le risposte e confeziona un libro.
Sicuramente Brockman ha rivoluzionato la
circolazione delle idee scientifiche negli ultimi
decenni ed è diventato l’agente più richiesto
da chiunque voglia scrivere di scienza, ma
non mancano perplessità sul suo operato. C’è
chi gli rimprovera di affidare al solo scienziato
la capacità di intendere il reale, chi come
Bruno Arpaia lo definisce un “gran filibustiere
intelligente”, chi si chiede se davvero prospetta
un’unificazione del sapere o semplicemente
opera un ribaltamento tra letteratura e scienza,
oppure se dietro il suo discorso non si celi
un’idea di cultura consumistica.
Sulla scia di Edge anche in Italia si è costituita
Terza cultura, il primo passo di un progetto più
ampio con l’ambizione di creare una comunità
italiana, che, attraverso una pluralità di
strumenti, si confronti, discuta, si contamini,
allo scopo di diffondere la ricerca fra tutti gli
strati della società. Terza cultura. Idee per un
futuro sostenibile, il libro curato da Vittorio
Lingiardi e Nicla Vassallo, nello spirito di Edge,
vuole offrire una prima ricognizione della
volontà di innovazione della cultura italiana.
esibire la propria ignoranza in fatto di
scienza resta uno degli esercizi preferiti
di certa intellighenzia nostrana. Le pagine culturali dei quotidiani si contorcono
da anni in una palude di controversie
letterarie insignificanti, di revisionismi
storici di maniera, di cannibalismi
incrociati. Mentre là fuori succede di
tutto, loro si citano e si controcitano
voluttuosamente.”12
Alcuni sostengono che la contaminazione tra le due culture è già in atto,
se mai è preoccupante la progressiva
emarginazione della cultura dai media,
in particolare la televisione. Secondo
Remo Bodei oggi i rapporti tra scienze
umane e scienze matematiche, fisiche e
naturali “si stanno rinsaldando e seguono nuovi percorsi”, il problema grave
in Italia riguarda invece lo stato della
ricerca e dell’università, e la difficoltà di
far arrivare i risultati della ricerca a un
pubblico infantilizzato dai media. Altri
denunciano le carenze dell’educazione
scientifica nella scuola, la scarsità, in
Italia, di bravi e seri divulgatori.
Il momento delicato che stiamo
vivendo –sostiene Jacopo Romoli– ci
pone di fronte a sfide straordinarie (crisi
climatiche, crisi alimentari, esaurimento
delle fonti energetiche) per cui abbiamo
bisogno non di una scienza chiusa e neppure di una filosofia e conoscenza umanistica che non si misura con la scienza,
ma di prospettive integrate e ampie per
riflettere sui grandi temi del futuro.
Chiara Saraceno nota che la
famiglia, oggetto dei suoi studi, è “un
ambito privilegiato non solo di diverse
specializzazioni disciplinari, ma anche
di dialogo e del confronto tra discipline.” Di famiglia si occupano tanto gli
storici e i demografi quanto economisti,
sociologi, psicologi, psicoanalisti, pedagogisti, scienziati della politica, giuristi
e filosofi. Per non parlare di romanzieri
come Thomas Mann, drammaturghi
come Henrik Ibsen, registi come Ingmar
Bergman che “hanno fornito rappresentazioni della famiglia borghese tra
le più affascinanti e acute.”. Inoltre gli
sviluppi della medicina e della procreazione assistita hanno posto nuove
domande a giuristi, sociologi, psicologi
circa il significato della filiazione e su
12. Le citazioni di questo paragrafo sono
tratte tutte da V. Lingiardi, N. Vassallo, Terza
cultura, op. cit., pp. 185; 54; 197; 210-11; 94.
come essa si costruisce.
Per Chiara De Cesari la terza
cultura può essere un terreno fertile di
potenzialità, ma anche ambiguo e pieno
di trabocchetti. Quella di Brockman le
sembra una pratica del sapere mercificata: se un libro non vende e non
diventa un bestseller appare destinato
ad essere messo da parte come cultura
tradizionale ormai decrepita. “Mentre
la divisione disciplinare e la compartimentalizzazione del sapere permangono, purtroppo un certo scientismo
un po’ spicciolo, economicistico è oggi
dominante dentro l’università e si porta
dietro la brutta idea che la conoscenza
se non è utile, se non è funzionale a un
progetto definito nel concreto immediato, non serve più. (...) È questa idea
di cultura fashion e consumistica che
a volte rischia di profilarsi dietro al
discorso della terza cultura.”
non solo conflitti
Da quanto detto finora appare
chiaro che la separazione tra le due
culture persiste, ma nello stesso tempo
esistono vari tentativi per superarla. Vi
sono studiosi, provenienti dai due campi, che superano il confine della propria
disciplina per avventurarsi nel campo
opposto; contemporaneamente è in
atto un fenomeno di convergenza fra le
scienze naturali, in particolare biologia
e neuroscienze, con le scienze umane
(filosofia, storia, immaginario).
Eric B. Kandel, neuroscienziato,
premio Nobel per la medicina 2000,
ha pubblicato L’età dell’inconscio. Arte,
mente e cervello dalla Grande Vienna ai
nostri giorni 13 in cui esamina i punti di
contatto tra psicoanalisi, neurobiologia,
letteratura e arte a partire dalla cultura
viennese di inizio Novecento. Kandel si
concentra su cinque personaggi (Freud,
Schnitzler, Klimt, Kokoschka e Schiele)
e il fermento culturale della Vienna
dell’epoca, nei cui salotti si discutevano
idee che avrebbero segnato una svolta
nella psicologia, nella neurobiologia,
nella letteratura, nell’arte. Il dialogo tra
scienza ed arte –sostiene Kandel– può
13. E. R. Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente
e cervello dalla Grande Vienna ai nostri giorni,
Raffaello Cortina, Milano, 2012, v. anche P.
Zanuttini, Un Nobel racconta di quando arte e
scienza si incontrarono a Vienna, Il Venerdì di
Repubblica, 2 novembre 2012, pp. 72-5
15
16
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
ampliare la nostra visione e fornirci
nuove intuizioni tanto sulla natura
quanto sulla creatività dell’arte.
L’astrofisico Roger Malina, del
Massachussets Institute of Technology,
crede fermamente nell’incontro delle
due culture, in particolare nella collaborazione tra scienziati e artisti. Quando
si affrontano problemi molto difficili,
come quelli cui ci troviamo di fronte noi
oggi, –dice in un’intervista– spesso è
nelle aree interdisciplinari che si verificano importanti progressi scientifici,
non all’interno delle vecchie discipline
e riporta l’esperienza del sound artista
David Dunn e dello scienziato della
complessità James Crutchfield, che hanno collaborato nell’ambito della “ecologia acustica”. Partendo dall’interesse
del musicista per il suono che emettono
gli alberi durante la loro crescita, hanno
lavorato assieme producendo non solo
interessanti scoperte scientifiche, ma
anche una musica molto suggestiva.14
Malina fa parte anche dell’IMERA
(Istituto Mediterraneo di Ricerche
Avanzate)15, il cui obiettivo è di stimolare degli scambi che oltrepassino i
limiti disciplinari. Interessante anche
la collaborazione tra giovani ricercatori
e ricercatori senior. Qui un cineasta
come Harold Vasselin sta lavorando con
una climatologa, con neuroscienziati
e nanoscienziati, mentre il fisico Jim
Gimzewski lavora sia con artisti che
filosofi. Penso –aggiunge Malina– che le
arti e le scienze umane debbano essere
protagoniste della sfida con la quale le
varie crisi ci portano a confrontarci.
Vittorio Gallese, docente di neurofisiologia all’Università di Parma, fa parte
del gruppo di scienziati che ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio,
scoperta che pone una base fisiologica
all’empatia. Gallese è uno scienziato con
un’ampia apertura culturale, con un interesse particolare per le forme dell’immaginario (poesia, narrativa, teatro, arti
plastiche e figurative, architettura).
In un lungo colloquio con Remo
14. T. De Feo, La sfida dell’Open Observatory.
Roger Malina and the New Leonardos, www.
digicult.it/it/digimag/issue-053/openobservatory-challenge-roger-malina-and-thenew-leonardos/.
15. www.imera.fr.
Ceserani,16 Gallese racconta di essere
stato lui, nel suo gruppo, a iniziare un
dialogo con la filosofia pubblicando un
lavoro nel 1998 insieme al filosofo statunitense Alvin Goldman sul rapporto
tra neuroni specchio e Simulation Theory of mind reading. Si tiene in stretto
contatto con il Dipartimento di filosofia
del proprio ateneo, anche se –aggiunge–
c’è sempre qualche collega che storce
la bocca perché non capisce l’utilità di
queste “contaminazioni”. Corpo e azione
nell’esperienza estetica. Una prospettiva
neuroscientifica, è un lungo e articolato
saggio, pubblicato come Postfazione
a Mente e bellezza. Arte, creatività e
innovazione, di Ugo Morelli, docente
di psicologia della creatività. Scrive
Gallese:
“Oggi le neuroscienze hanno la potenzialità di illuminare, seppure da un
diverso angolo prospettico, la natura
estetica della condizione umana (…) le
intuizioni artistiche ci fanno comprendere molto della natura umana, spesso
molto di più rispetto all’orientamento
un’opera d’arte. Se condividessi questa preoccupazione dedicherei il mio
tempo ad altro. Al contrario, è proprio
il convincimento che la prospettiva
neuroscientifica consenta un’ulteriore valorizzazione della dimensione
distintiva e straordinaria dell’arte
e dell’esperienza estetica che mi
convince che ci stiamo muovendo in
una direzione potenzialmente gravida
di risultati interessanti per chiunque
sia interessato a meglio comprendere
chi siamo.”17
una critica dall’interno
Non mancano voci critiche all’interno di ciascuno dei due campi. Richard
Lewontin, uno dei maggiori studiosi
mondiali di genetica, con Biologia come
ideologia. La dottrina del DNA e Il sogno
del genoma umano e altre illusioni della
scienza18 affronta in termini accessibili
a tutti, il problema del senso generale
della ricerca scientifica e dell’ideologia implicita nella scienza biologica.
La scienza –sostiene– è “un’attività
“L’immaginazione è più importante della conoscenza.
La conoscenza è limitata mentre l’immaginazione abbraccia il mondo,
stimolando il progresso e facendo nascere l’evoluzione”
albert einstein
oggettivante tipico dell’approccio
scientifico. Essere umani significa
divenire capaci di interrogarsi su
chi siamo. Da sempre la creatività
artistica ha espresso nella forma più
elevata questa capacità. Taluni temono che affrontare queste tematiche con
l’armamentario prosaico della scienza
possa in qualche modo sminuire, se
non addirittura distruggere la magia
che ci invade quando contempliamo
16. La lunga intervista di Ceserani a Gallese,
può essere scaricata dal sito www.unipr.
it/arpa/mirror/pubs/pdffiles/Gallese/2012/
unibo_rivistaonline.pdf; v. anche Neuroni
specchio: il “futuribile” dell’apprendimento,
intervista a Vittorio Gallese a cura di Cinzia
Mion, “Rivista dell’istruzione”, 6/2010 pp. 7579 in www.andis.it/it/documenti_nazionali/
RI6-2010-Gallese-Mion-def.pdf, in cui si
parla delle ricadute didattiche della scoperta
dei neuroni specchio.
produttiva umana che richiede tempo e
denaro e dunque è guidata e diretta da
quelle forze che nel mondo esercitano
il controllo sul denaro e sul tempo.”. Il
sapere scientifico non può fingere di
essere autonomo e fuori della mischia,
ma deve assumere un atteggiamento di
riflessione critica.
Una critica serrata e documentata
viene rivolta al “determinismo biologico” secondo il quale le caratteristiche
(fisiche, psichiche, morali, comporta17. U. Morelli, Mente e bellezza. Arte, creatività
e innovazione, Umberto Allemandi editore,
Torino, 2010; il saggio di Gallese si trova anche
al link www.unipr.it/arpa/mirror/pubs/pdffiles/
Gallese/2010/mente_bellezza_2010.pdf.
18. R. Lewontin, Biologia come ideologia. La
dottrina del DNA, Bollati Boringhieri,Torino
1993; Il sogno del genoma umano e altre illusioni
della scienza, Laterza, Roma-Bari, 2002.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
mentali) di un individuo, ma anche le
attitudini o le tendenze, sono dovute a
fattori biologici innati, quindi le differenze socioeconomiche non sono che
un riflesso delle differenze biologiche
ereditate dai genitori. In questo modo
si finisce per legittimare l’ordinamento
gerarchico della società come diretta
conseguenza di differenze biologiche;
questa ideologia ha delle chiare implicazioni politiche. Siamo in presenza di
una vera “genomania” che fa “del DNA
un feticcio.”
Di volta in volta Lewontin mette a
fuoco quelli che sono i temi centrali del
nostro tempo, dall’ingegneria genetica
all’uso delle statistiche in sociologia, dai
risvolti legati al Progetto Genoma Umano a quello della clonazione, dai test per
misurare l’intelligenza alle applicazioni
forensi della tecnologia del DNA.
Albero Oliverio, docente di psicobiologia e psicofarmacologia, nel suo
Dove ci porta la scienza19 affronta in
modo divulgativo alcuni nodi problematici, alcune questioni che vedono fronti
contrapposti di fautori e oppositori come, ad esempio, nel dibattito sugli Ogm,
ma anche la possibilità di una scienza
solidale. Oliverio aiuta il lettore a riflettere sul significato e la funzione della
scienza e dello scienziato, sul ruolo
della tecnologia, sul peso dell’economia
nella ricerca. Gli sviluppi della biologia
molecolare, dell’ingegneria genetica,
della biologia della riproduzione e
delle neuroscienze hanno trasformato il
mondo in cui viviamo e suscitato anche
timori e proteste. Si pensi alle discussioni scaturite da problemi collegati alla
fecondazione artificiale, agli Ogm, alle
cellule staminali, alla clonazione, agli
studi sul cervello umano, questioni che
sollevano dubbi e dissensi soprattutto
di carattere etico, ma i tempi lenti delle
riflessioni etiche mal si accordano con i
tempi rapidi della scienza.
La scienza moderna è sempre più
specialistica, settoriale e parcellizzata
per cui i giovani scienziati “rischiano
di produrre i mattoni di un edificio, ma
di ignorarne le caratteristiche d’insieme”. Il sistema ricerca è una macchina
complessa con tempi e modi sempre
più competitivi, caratterizzata da un
linguaggio sempre più specialistico che
19. A.Oliverio, Dove ci porta la scienza,
Laterza, Roma-Bari, 2003.
crea una barriera tra mondo degli scien- nel mondo attuale non serve –sostiene
ziati e quello dei non addetti ai lavori.
Claudio Giunta docente di letteratura
Diminuiscono i finanziamenti pubblici
italiana all’università di Trento– porsi in
alla ricerca, questo comporta una forte
una situazione di difesa limitandosi al
competizione per accaparrarsi i fondi,
“piagnisteo” o ad inalberare l’ “orgoglio
crea una corsa verso la privatizzazione,
dell’umanista”.21 La marginalizzazione
probabilmente è irreversibile visto che
spinge alcuni scienziati a mettersi in
proprio creando imprese piccole (talvol- la tradizione occidentale, egemone fino
a qualche generazione fa, ora diventa
ta grandi) e entrando così nella logica
una delle tante tessere del mosaico
del profitto. Il settore biotecnologico è
culturale mondiale, ma l’insegnamento
quotato alla borsa valori di New York,
dei classici “va difeso e migliorato nella
Londra e Francoforte “il che sancisce lo
stretto intreccio che si è venuto a creare scuola e nell’università, perché è una
parte fondamentale della nostra cultura
tra scienza e tecnologia e il predominio
della ricerca applicata o ‘applicabile’ su nazionale: è quanto di meglio abbiamo
da offrire al mondo, è un patrimonio che
quella pura.”20
Altri aspetti della scienza e della
è affidato soprattutto alla nostra custotecnologia su cui si può discutere in
dia”, va però ripensato il modo in cui
modo critico –secondo Oliverio– riguar- insegnarli oggi, a scuola e all’università.
dano la fiducia quasi fideistica nella
Il grande ambito disciplinare delle
possibilità della scienza di trasformare
scienze umane –ricorda il latinista e
la realtà sempre per il meglio; il confilologo Giovanni Guastella dell’univercetto di universalità delle spiegazioni
sità di Siena22– per quasi due secoli ha
goduto di una autorità indiscussa e ha
scientifiche che non tiene conto di altre
formato intere classi dirigenti, ma oggi
chiavi di lettura della realtà, proprie di
altre culture; lo scollamento tra la scien- è fatta oggetto di molte critiche. Che
fare di fronte alla perdita di autorevoza come è praticata nei paesi ricchi e i
lezza e prestigio del mondo umanistico?
problemi dei paesi poveri; la sfida della
Occorre lottare per affermare le proprie
complessità con cui “la scienza deve
ragioni –sostiene Guastella– senza
confrontarsi e su cui hanno giustamenpretendere che vengano accolte perché
te richiamato l’attenzione, anche se
sono “evidentemente” giuste. Occorre
in modo non sempre condivisibile, i
movimenti di contestazione nei riguardi affrontare il tema, complesso, della
riconfigurazione dell’intero sistema
della scienza.”.
educativo. Il sistema di accesso al sapeIl testo di Martha Nussbaum Non
re sta cambiando, molte delle funzioni
per profitto. Perché le democrazie hanno
tradizionalmente svolte da scuola e
bisogno della cultura umanistica uscito
università potrebbero, in teoria, essere
in Italia nel 2011 ha ricevuto un disvolte dal canale informatico in modo
screto successo, ma anche critiche non
più veloce, mirato ed economico; in teosolo sul versante scientifico ma anche
ria, perché il canale informatico non dà
su quello umanistico. In generale, le si
rimprovera di riproporre la divisione tra garanzie di affidabilità che di solito si
pretendono dalle fonti della conoscenle due culture, si esprime il timore di
za. Si è passati dalla centralità della
una rinnovata pretesa egemonica delle
biblioteca alla delocazzizazione del
humanities sulle scienze, con consecyberspazio e in questo nuovo contesto
guenze negative per l’Italia che già
tecnologico e informativo è necessaria
soffre di un deficit di cultura scientifica.
un’interazione organica tra canali tradiDi fronte alla innegabile marginalizzionali e canali tecnologici, una sinergia
zazione delle discipline umanistiche
20. V. anche Y. Castelfranchi, Quando il dato non
c’è. Comunità scientifica (e società) di fronte al
bivio della disclosure, SISSA, Trieste, jcom.sissa.
it/archive/03/02/F030201/jcom0302(2004)
F01_it.pdf; V. Pellegrini, La bolla speculativa
delle scienze, www.claudiogiunta.it/author/
vittorio-pellegrini/; E. Lombardi Vallauro, Come
i soldi strozzano la ricerca scientifica, “il Mulino”
n. 6/03, pp. 1171-74.
21. C. Giunta, Ripensare l’umanesimo, “Il Sole
24 ore, Domenica 16 ottobre 2011; Piagnistei,
www.claudiogiunta.it/2012/04/piagnistei/.
22. G. Guastella, Le Humanities e il futuro della
memoria culturale in www.claudiogiunta.it/
wp-content/.../Guastella-Le-Humanities…pdf;
Scienze umane e memoria culturale “il Mulino”
n. 4/12, pp. 626-636.
17
18
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
costruttiva fra i luoghi tradizionali della
formazione e quelli immateriali del web,
cercando di adeguare i tempi lenti della
cultura umanistica all’accelerazione che
le nuove tecnologie imprimono ai flussi
dell’informazione.
Le scienze umane così come le
conosciamo si sono costituite nell’Ottocento attorno a un progetto culturale
nazionalistico inadeguato in un mondo
ormai globalizzato, ci sarebbe bisogno
di un progetto culturale adeguato alla
nuova realtà sociopolitica, un progetto unitario in cui possa riconoscersi
l’ambito disciplinare, vasto e disomogeneo, come quello delle scienze
umane, un progetto che partisse da una
domanda: “quale memoria intendiamo
porre alla base del nostro rapporto col
presente e col futuro?”. Non si tratta
di privilegiare il presente rispetto al
passato, come vorrebbe la cultura di
massa, che ha perso la profondità di
senso storico, ma spetta alle istituzioni culturali di rimodulare la memoria
culturale, di selezionare e archiviare i
contenuti divenuti accessori. È già avvenuto in altre epoche, ad esempio nel
Settecento, con la Querelle des anciens
et des modernes. Come? Ripensando i
canoni delle discipline “senza perdere
di vista l’orizzonte generale dei processi
evolutivi cui la produzione artistica e
scientifica è andata soggetta nel corso
dei secoli. E senza nemmeno perdere
di vista quell’orizzonte della cultura
condivisa che (…) le strutture formative
devono continuare ad avere, per non
disgregarsi e non disperdere la base
stessa di una memoria collettiva. (…) si
dovrebbe avere il coraggio di affrontare
una serie di scelte radicali, che tengano
conto delle nuove priorità culturali. L’esatto opposto, cioè, del modo ipocrita
con cui sono stati di recente riformulati
i programmi ministeriali delle singole
discipline scolastiche, che conservano
intatti i canoni preesistenti e li integrano ulteriormente, facendone dei contenitori insensatamente ipertrofici, privi
della più vaga parvenza di sostenibilità.”
Rapporti e confini
tra “scientifico” e “umanistico”
Quale umanità
per il futuro?
di piera hermann
un problema a diversi livelli:
livello antropologico
volutamente stereotipata). Mio padre,
uomo di mondo e ben scolarizzato,
Niki Vendola ha reso quasi popoancora negli anni ‘60-’70 amava dire
lare l’uso della parola “narrazione”. In
“per carità non fatemi vedere dei conti
essa si cela, in realtà, un concetto non
(oppure “non fatemi cambiare una
facile: quando si racconta (si narra)
lampadina”) perché io non ne capisco
una storia non si trasferisce in parole,
niente!” Non era del tutto vero, ma
immagini o altro la realtà tutta. Si
esprimeva, in un modo un po’ snob
scelgono invece in essa elementi tra i
l’idea che queste cose (la matematica,
quali viene stabilita una relazione. E’
la tecnica...) si potevano anche lasciare
l’operazione mentale semplice, sponad altri, senza vergogna, perché la vera
tanea, quotidiana oppure formalizzata
Cultura, quella nobile e ineludibile per
o addirittura metafisica, con la quale
un pensiero raffinato, era della filosofia,
sempre e da sempre diamo senso,
della letteratura, dell’arte... E molti altri,
significato alla realtà. E’ l’uomo che dà
allora, erano come mio padre! Infatti lo
senso alla realtà. E la realtà muta e le
stereotipo culturale del tempo, in Italia,
scelte e le relazioni mutano con essa
era il primato della Cultura Umanistica
sia nel tempo che nello spazio. Da quesu quella Scientifica.
sto deriva l’affascinante e infinitamente
Ma le cose andavano da un’altra
complesso nascere, crescere, convivere, parte. La scienza e la tecnica si sono
contaminarsi e anche morire di Culture
prese una bella rivincita arrivando
(o “narrazioni” appunto) che vanno da
a connotare, nella vulgata corrente,
quelle individuali a quelle collettive,
il primato stesso dell’Occidente sul
vuoi di popoli, vuoi di generazioni. E
resto del mondo (ma senza arrivare a
perché le Culture, le“narrazioni” o
coinvolgere veramente la nostra Scuola,
i paradigmi (che di queste sono in
come vedremo più avanti, lasciandoci
qualche modo gli elementi strutturanti) così tra incongruità e contraddizioni,
muoiono o vengono progressivamente
tra canoni disciplinari bloccati e realtà
abbandonate? Accade quando l’ingaloppante).
sensato scorrere della realtà e la lettura
La riflessione culturale occidentale
che se ne dà divergono in modo non
però si è andata via via strutturando inpiù conciliabile. Non possiamo infatti
torno alla consapevolezza che l’oggetto
vivere chiusi nel nostro pensiero e nel
delle discipline umanistiche e di quelle
nostro immaginario. Basti l’esempio del scientifiche è sempre lo stesso: la realtà
problema ambientale: era inesistente
di cui siamo parte. E che diversi sono
nella nostra mente, nel nostro vivere e
invece i metodi e i linguaggi con cui la
sentire fino ad alcuni decenni fa e oggi
leggiamo e la narriamo. Da qui l’idea
si propone, spesso brutalmente, come
che solo un approccio complesso possa
orizzonte totalizzante!
avvicinarci a capire chi siamo, come
Ma anche all’interno di uno stesso
viviamo e se e come vivremo.
universo di senso le narrazioni sono
Vivace infatti è stata la volontà
e sono state plurime e variamente
di esprimere la più recente cultura
vincenti le une sulle altre. Penso qui
scientifica e tecnologica anche con la
alla cultura occidentale (intesa per
letteratura, il cinema e l’arte.
praticità di discorso in una accezione
Ma il compito è diventato sempre
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
più difficile. Già il Novecento aveva
percepito che la scienza ci forniva una
lettura del mondo sempre più lontana
dalla percezione comune, dal senso
comune e dalla millenaria cultura
comune1. Oggi poi la tecnologia, con
la sua potenza prima inimmaginabile2,
permette addirittura che le più ardite
ipotesi del formalismo matematico,
massima astrazione del pensiero
scientifico, possano risultare “vere” o
“false”. Chi ne capisce pensi ad esempio
al bosone di Higgs.
Io, invece (degna figlia di mio padre?) sarei vilmente tentata di pensare
quanto sarebbe bello continuare a non
sapere niente di queste cose e così non
essere travolta dalla vertigine di un
mondo (di cui però noi stessi siamo fatti!) che nulla ha a che fare con i nostri
sensi, i nostri sentimenti, il nostro stesso corpo percepito. Cosa significherà
tutto questo per l’uomo comune, legato
carnalmente al proprio minimo tempo,
che resta lineare e fuggevole, al proprio
minacciato spazio fisico, così spesso
misconosciuto in nome di altri “spazi”,
ai suoi sentimenti e emozioni, che, al
di là di tutto, spesso sottomettono così
potentemente calcolo e ragione? In
parole più asciutte: quale sarà l’uomo
di domani e la sua “narrazione”? Veramente nessuno lo sa.
Ma Giuseppe Longo, scienziato e
letterato, dice invece (cito a memoria):
“unire le due visioni è difficilissimo ma
non bisogna arrendersi e comunque la
letteratura, l’arte e la ricerca scientifica
offrono narrazioni alternative, ma, credo,
legate tra loro nel profondo, dell’uomo e
della natura e sono entrambe tentativi di
dare un senso a noi e a noi nel mondo”.
livello sociologico
scolastico
Tutto quanto detto fin’ora può sembrare una questione teorica che in nulla
c’entra con la vita di tutti i giorni della
1. Lo spazio è insieme curvo e piatto, i
corpuscoli sono onde e le onde sono
corpuscoli, c’è la materia e c’è l’antimateria…
cose di noi del tutto incomprensibili a noi
stessi!
2. Possiamo fotografare singoli neuroni
(sic!) e risonanze e scansioni permettono
di guardare anche le nostre emozioni sullo
schermo di un computer ecc. ecc. …
CACCIA
AL TESORO
NELL'“ORTO
RITROVATO”
Classe 2 A
Scuola Primaria
di via Moscati,
Milano
scuola, degli insegnanti e studenti. Ma
proprio non è così. Il problema della
ricomposizione del sapere (sia pure
senza toccare le vette più alte della
ricerca nella fisica o nella biologia) è
di importanza fondamentale nella formazione culturale che in molti ambiti
continua ad andare nella direzione
opposta.
Ho detto che la cultura tecnicoscientifica resta inserita nella scuola
italiana quasi come un corpo estraneo in una matrice che resta ancora
fondamentalmente storico-letteraria e
verbale. Lo si vede non tanto nei suoi
contenuti quanto nella sua struttura e
nei suoi metodi. Progettazione e ricerca
quasi assenti (e qui ovviamente non
parliamo solo di scienze), spazio povero o nullo per la creatività e per tutti i
linguaggi non verbali, metodi e oggetti
di valutazione e verifica . Anche i nuovi
media restano per i più solo un nuovo
strumento per apprendere secondo i
vecchi schemi di sempre (in fondo, solo
nuove e più ambigue enciclopedie o
nuove lavagne più vivaci) e non come
nuovo modo per usare la mente e le
relazioni.
Eppure da anni Morin, Ceruti e altri
pedagogisti hanno portato nella scuola
l’idea di complessità e di nuovi paradigmi3. Si ripete che la sola formazione
disciplinare, formalizzata e totalmente
avulsa dalla realtà, è un apprendimento
sterile che può dare solo conoscenze,
ma non quelle competenze necessarie
per affrontare il compito che si presenterà ai ragazzi che oggi sono tra i
banchi: sperimentare un nuovo modello
di individuo, di relazioni e di società che
sia capace di avere futuro.
Anche nelle famiglie, oggi che il
presente è così incerto, si discute molto
di quale sia la cultura più utile per i figli
affinché possano avere più opportunità.
3. Basti solo guardare le date degli scritti
fondamentali del sociologo francese Edgard
Morin, oppure quelle del nostro Mauro Ceruti.
19
20
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Sul metodo
di marina medi
In anni recenti sono state nettamente
superiori le iscrizioni ai licei e, tra questi, il valore più indiscusso era quello
del classico. Gli istituti tecnici erano
per quelli non all’altezza del liceo. Per
non parlare delle scuole d’arte e, in
generale, del posto della manualità
nella formazione in Italia. Oggi invece,
data la crisi, ci si dice che gli indirizzi
tecnico scientifici e le lingue straniere
sono i più importanti per essere concorrenziali (e che “l’Arte e la Cultura non si
mangiano”). E, per chi non può farcela,
è meglio imparare un mestiere, senza
perdersi nella scuola.
Come porci di fronte a idee così
contraddittorie? Possiamo trascurare le
radici, la gioia della cultura, dell’educazione all’arte in nome di un futuro tutto
tecnologico che di queste cose non
avrebbe bisogno? O dobbiamo rimanere rivolti al passato, ancorati all’espressione, al pensiero, ma senza “visione”
del presente e quindi senza capacità
progettuale di fronte a un mondo che,
comunque, non potrà sopravvivere
senza alte competenze scientifiche e
tecnologiche (perché il problema, in
vista di auspicati nuovi stili di vita, non
sarà la rinuncia alla tecnologia, ma
la capacità di scegliere dove e quale
tecnologia volere)?
livello scolastico-didattico
Quello appena enunciato potrebbe
superficialmente sembrare un problema
insolubile, ma in realtà è solo un problema posto male. Il punto, infatti, non
è quale indirizzo di studi privilegiare
per i nostri figli. Per questo il criterio,
oggi più che mai, dovrebbe essere
quello delle attitudini4. Il punto invece,
ancora una volta!, è quale sarà l’approccio pedagogico-didattico all’interno di
4. Scagli la prima pietra l’insegnante che ,
volente o nolente, non ha stilato giudizi di
orientamento al termine della scuola media
seguendo i criteri più sopra citati dove le
uniche attitudini realmente considerate sono
quella verbale e, qualche volta, matematica!
ogni tipo di indirizzo. Se l’epistemologia delle discipline, implicita e spesso
inconsapevole nella insegnamento a
scuola5, resterà la stessa, ferma ai primi
del ‘900; se lo scopo dell’insegnante
continuerà ad essere solo la conoscenza formalizzata delle discipline, non se
ne esce. E la nostra scuola, ricordiamolo, è strutturata oggi totalmente sulla
distinzione delle discipline.
Noi del CRES lo diciamo da sempre:
didattica per progetti, laboratori di
ricerca, approccio interdisciplinare e
transdisciplinare sono la condizione per
un insegnamento finalmente per temi e
problemi e per filoni, dove il presente
sia la domanda su cui far confluire
le discipline, ma su cui, anche, far
sbocciare consapevolezza, interessi,
passioni, coinvolgimento e far scoprire attitudini e capacità.
Volendo chiudere con una citazione mi piace riportare le parole non di
un pedagogista o insegnante, ma di un
noto psicologo e psichiatra , Gustavo
Pietropolli Charmet6:
“E’ necessario che le singole discipline
che attualmente dominano la scena della
scuola con i loro programmi indipendenti
riconoscano la necessità di ricomporre
la conoscenza, superino la frammentazione dell’attuale didattica e si integrino
in un nuovo quadro di insieme”.
5. La visione che separa l’Uomo dalla Natura
(fatta di animali, piante e quant’altro e, sì,
anche il corpo umano); l’idea che la storia è
solo la trasmissione di un racconto difficile
e soprattutto noioso che si deve imparare
e ripetere perché...perché la scuola così
vuole; la mancanza di qualsiasi educazione
alla tecnologia; l’idea che il laboratorio sia
solo per le materie scientifiche: sono solo
esempi del risultato residuo (non solo per
l’infanzia!) di una didattica su cui contenuti
anche a volte pregevoli di alcuni manuali non
riescono ad avere la meglio. Mutatis mutandis,
possiamo dire che il mezzo (struttura,
manuali ecc.) è il solo messaggio che arriva!
6. Corriere della Sera 1/9/2012
la certezza nel metodo
A partire dalla formulazione di
Galileo Galilei, metodo scientifico è la
modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della
realtà oggettiva, affidabile, verificabile
e condivisibile. Esso si basa su quattro
elementi fondanti: l’osservazione di un
fenomeno di cui si vuole cercare le cause, la formulazione di ipotesi di spiegazione, la realizzazione di esperimenti per
verificare queste ipotesi, la definizione
di una teoria generale.
In base a questa definizione il metodo scientifico sembra essere applicabile
solo ai fenomeni naturali e non a quelli
umani perché i primi si ripetono in modo
uguale e possono essere quindi verificati
da esperimenti.
Ma alla fine dell’Ottocento nacque
l’idea che la distinzione tra le scienze
non dipendesse dall’oggetto di studio ma
dal metodo, uno proprio delle scienze
naturali ed un altro delle altre scienze.
Così Windelband distinse le scienze in
nomotetiche (dal greco nómos e thetikós:
«che stabilisce leggi») e idiografiche (dal
greco ídios e graphikós: «che descrive
il particolare»), ma affermò anche che
entrambe mirano alla formazione di concetti e alla spiegazione di cose e eventi.
I concetti scientifici mirano alla generalizzazione (“leggi”), mentre i concetti
storici si riferiscono agli eventi individuali in quanto essi incarnano i “valori”
costitutivi di una determinata civiltà e
sono proprio questi valori che indirizzano la conoscenza storica. Secondo
Rickert, conoscere significa esprimere
un giudizio di valore, ma questo non è
soggettivo, quanto piuttosto una valutazione che approva/riprova in base ad
un “riferimento oggettivo” ai valori quali
essenze eterne.
Secondo questa interpretazione la
differenza tra le scienze della natura e le
scienze dello spirito non dipende quindi
dalla specificità dell’oggetto di studio:
uno stesso fenomeno può essere studiato sia cogliendone la similarità rispetto
ad altri fenomeni (prospettiva nomotetica), sia sottolineandone l’individualità
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
scientifico
Frontespizio de Il Saggiatore di Galileo
Galilei, realizzato per l’edizione pubblicata
nel 1623 dall’Accademia dei Lincei a Roma.
e l’irripetibilità (prospettiva idiografica).
La realtà diviene “natura” se la si considera in riferimento all’universale, ovvero
se viene osservata come il ripetersi di
fenomeni nel tempo, individuando leggi
generali che spiegano la connessione tra
fenomeni. La realtà diviene “storia” se la
si considera in riguardo al particolare e
all’individuale, ovvero se viene osservata nella sua singolarità ed irripetibilità e
nel suo significato culturale.
(storica). In altre parole si suppone
che ad un certo fenomeno “singolare”
(causa) segue un altro fenomeno (effetto), secondo una regola di probabilità
che è determinabile e, nel caso ideale,
formulabile in termini quantitativi. La
sociologia comprendente, per esempio, è
una scienza generalizzante, che elabora
concetti univocamente definiti, sommamente astratti e relativamente vuoti e
che ricerca regole generali del divenire.
la crisi delle certezze
Nell’ambito delle scienze naturali
si è visto come gli elementi del metodo
(osservazione, ipotesi, sperimentazione,
teoria) non fossero sempre applicabili.
La fiducia nel carattere di certezza della
scienza, che era il proposito cartesiano
fatto proprio nell’Ottocento dal positivismo, cominciò via via a declinare per
molte ragioni.
↘↘Non sempre è possibile riprodurre
sperimentalmente delle osservazioni
naturali. Ad esempio, in alcune scienze, come l’astronomia o la meteorologia, non è possibile riprodurre molti
dei fenomeni osservati e allora si
ricorre ad osservazioni e simulazioni
digitali. L’evoluzionismo per essere
verificato direttamente richiederebbe
tempi d’osservazione talmente lunghi
(milioni di anni) da non essere riproducibili in laboratorio. In biologia
e medicina molte leggi sono di tipo
probabilistico e non possono essere
espresse con una formula matematica; quindi, per riconoscere la scientificità di un discorso medico, si ricorre
ad un controllo empirico basato sulla
ripetibilità, statisticamente significativa, delle osservazioni da parte di
altri ricercatori.
↘↘Albert Einstein formulò la teoria della
relatività partendo non da esperimenti o da osservazioni empiriche, ma basandosi su ragionamenti matematici e
analisi razionali compiuti a tavolino.
↘↘Il Principio di Indeterminazione, alla
base della meccanica quantistica,
sancisce il sostanziale indeterminismo comportamentale delle entità
Ma nel corso del Novecento questa
distinzione tra due possibili metodi
scientifici è stata messa in discussione
e la fiducia stessa nel metodo scientifico
come strumento per leggere e comprendere la realtà è andata in crisi.
Lo sviluppo delle scienze sociali è
servito a fare chiarezza sul suo impianto
metodologico.
La differenza epistemologica fra
scienze naturali e sociali consiste nel
fatto che la realtà sociale non può essere
semplicemente osservata, ma necessita
di interpretazione; il metodo per interpretarla è quello della comprensione.
Comprendere significa cogliere l’intenzionalità dell’agire umano, attraverso il
senso soggettivo attribuito dall’individuo al proprio comportamento.
Ciò nonostante l’oggettività delle
scienze sociali è garantita dalla validità
delle procedure interne alla ricerca, ovvero dal metodo che contempla il ricorso
alle imputazioni causali e alla valutatività, e dalla possibilità di confrontare
la singola azione con le azioni possibili
costruite concettualmente (tipi ideali).
Secondo Max Weber, obiettivo delle
scienze sociali è comprendere il significato interno all’azione. Esiste quindi una
sola scienza perché unico è il criterio di
scientificità delle diverse scienze, quello
della spiegazione causale. Nel caso
dei fenomeni sociali, la spiegazione di
rapporti causali avviene tra fenomeni
individuali, singolari, ma sulla base di
regole generali basate sull’esperienza
appartenenti al mondo subatomico,
che quindi non sono osservabili e
sono sottratte totalmente ai criteri
della fisica classica.
↘↘Karl Popper ha sostenuto che non si
può attingere con sicurezza il sapere
dalla realtà esterna in maniera induttiva, al riparo dalle deformazioni del
nostro pensiero. C’è infatti sempre il
rischio della soggettività dell’interpretazione, che può venire falsata
da un preconcetto o da una nostra
chiave di lettura. L’osservazione non
è mai neutra, ma è sempre intrisa di
teoria, di quella teoria che, appunto, si vorrebbe mettere alla prova.
Secondo Popper, la teoria precede
sempre l’osservazione: anche in ogni
approccio presunto “empirico”, la
mente umana tende inconsciamente
a sovrapporre i propri schemi mentali,
con le proprie categorizzazioni, alla
realtà osservata.
↘↘Ancora secondo Popper una teoria
può essere sottoposta a controlli
efficaci e dirsi scientifica solo se
formulata a priori in forma deduttiva.
La peculiarità del metodo scientifico
consiste nella possibilità di falsificarla, non nella presunzione di “verificarla”. La scienza è sempre congetturale
e si può avere certezza solo del falso.
Gli esperimenti empirici non possono
mai “verificare” una teoria, possono
al massimo smentirla.
21
22
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Due culture,
molte geografie
di Giorgio Botta, ordinario di Geografia, Università degli Studi di Milano
geografia e storia
A chi si accosta alla Geografia, è
riecheggiato talvolta, come una sorta di
richiamo, Geographia ancilla historiae.
Sulle prime, il significato di questa
frase può ragionevolmente apparire negativo, e qualcuno ha voluto accogliere
questa interpretazione, rimarcando la
sudditanza della Geografia, confinata
unicamente a funzione passiva di
supporto degli eventi storici, altrimenti
non ubicabili, privi del loro spazio e
luoghi, perciò indefiniti e irriconoscibili.
Altri, forse più ragionevolmente, hanno
invece individuato il primato della
Geografia nel dare ai fatti della Storia
un dove, a individuare i luoghi dell’accaduto, con tutto il loro portato di valore.
Fatti che così caratterizzati dai luoghi,
non verranno fagocitati dalla contemporaneità, e inesorabilmente destinati
all’oblio.A suffragio di questa tesi, Daniello Bartoli, padre gesuita, letterato e
storiografo del 1600, in una sua opera,
darà una sintetica ed efficace interpretazione:
“...quanto all’ Historia, ella, senza
la Geografia è come orba: così tutta
al buio non sa a qual parte della Terra
si volgere per rinvenire il dove de’
fatti, che suo mestiero è far palesi al
mondo...”.1
Ma proprio di seguito a questa
affermazione sul “primato” della
Geografia, ecco che il nostro Autore
completa e tempera le sue stesse considerazioni sulla Storia, per certi versi
comode perché “esatte”, concluse, con
altre considerazioni che ci guidano al
meno “esatto” e più scomodo processo
cognitivo del sapere:
“Cieca dunque è l’Historia, se a
veder la Terra, le manca il lume della
Geografia. Altresì la Geografia, se
l’historia non le dà che parlare, da sé
1. Daniello Bartoli, La Geografia trasportata al
Morale, Introduzione, Venezia 1666.
sola è mutola; e come tale, null’altro
fa, che accennare col dito il seco nome
dè luoghi, ch’è il quanto, e il tutto
del saper suo. Hor facciasi che con il
cambievol servigio, si prestino, l’una
gli occhi l’altra”.2
Risulta qui evidente la funzione
di una materia in relazione a un’altra –ognuna con le sue peculiarità, per
comprenderne reciprocamente ruoli
e significati. È quasi impensabile, per
comprendere a fondo le cognizioni e le
relazioni reciproche tra entità culturali,
che non si debba ricorrere al sostegno
e ai lumi di altri, di numerosi altri
saperi.
Si può ben comprendere quale
attenzione abbia richiamato un breve
trattato, poco più di una cinquantina di
pagine, che Charles P. Snow pubblica
alla fine degli anni Cinquanta in Gran
Bretagna, intitolato Le due culture. Il
tono del saggio è discorsivo, ma Snow
verrà criticato da taluni suoi contemporanei inglesi per essere scaduto in una
prosa giornalistica. Il grande successo
riscosso da Snow è invece da ricercare
nell’aver portato alla luce questa frattura che fin dall’Ottocento in Occidente
ha visto lo Scienziato e l’Umanista
assumere ruoli specifici, diremmo oggi
“professionali”.
Certamente a Snow va riconosciuta
la grande finalità della sua “pubblicazione”, nel significato pregnante del
termine: l’avere cioè reso pubblico,
palese lo iato che si protrae da tempi
remoti e caratterizza fortemente, come
una sorta di peccato originale, anche
la nostra contemporaneità, tra cultura
tecnico-scientifica e cultura umanisticoletteraria. Una criticità svelata, dunque,
e tuttavia attuale, tanto che ancora oggi
“l’abisso di reciproca incomprensione”,
come dice Snow, persiste.
2. Daniello Bartoli, op, cit., Introduzione,
Venezia 1666
SPECCHIO RIFLESSO
Emilia Crespi, Gilda Marcato
Liceo Socio Psico Pedagogico
“Marie Curie”, Tradate (Va)
Proseguiamo con le parole, dotte e
chiarissime, con le quali il filosofo Ludovico Geymonat, inizia la prefazione
dell’opera di Snow, nell’edizione italiana del 1964, portando il suo fondamentale contributo all’acceso dibattito:
“Nessuno può essere, oggi, così
cieco da non rendersi conto che l’esistenza di due culture, tanto diverse
e lontane l’una dall’altra quanto la
cultura letterario-umanistica e quella
scientifico-tecnica, costituisce un
grave motivo di crisi della nostra
civiltà; essa vi segna una frattura che
si inasprisce di giorno in giorno, e
minaccia di trasformarsi in un vero
muro di incomprensione, più profondo
e nefasto di ogni altra suddivisione”.3
Critico nei confronti di Snow, e
non solo per questioni formali, sarà
pure l’autorevole filosofo Giulio Preti
(1911-1972), che tuttavia difende energicamente l’impresa di Snow, indicando
come pregio indiscutibile della sua
opera l’indurci a considerare e com3. Charles P. Snow, Le due culture, prefazione
di Ludovico Geymonat, Feltrinelli, Milano
1964, prefazione, p. VII.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
prendere le Lettere e le Scienze, nella
profondità e vastità del loro valore, ma
soprattutto nella loro reciprocità, per
la comprensione della nostra storia
culturale. Un’operazione, questa, che ci
vede invece ancora troppo indifferenti
e insicuri. Scrive al proposito Preti:
”L’opposizione è tra due “forme”. Forme
mentali [...] due diverse scale di valori,
due diverse nozioni di “verità”, due
diverse strutture del discorso”.4
Il curatore dell’edizione del
2005, Alessandro Lanni, proprio sulla
questione delle Lettere e delle Scienze,
conclude con il pensiero di Preti:”Prima
che i letterati e gli scienziati [...] esistono le lettere e le scienze ed è a queste
che dovremmo rivolgere l’interesse per
capire fino in fondo il problema posto
da Snow”.5
Altri Colleghi, curatori del presente
dossier, hanno il compito e la compe4. Si veda al proposito: Charles P. Snow, Le
due culture, interventi di Giulio Giorello,
Giuseppe O. Longo, Piergiorgio Odifreddi, a
cura di Alessandro Lanni, Marsilio, Venezia
2005, p. 10.
5. Charles P. Snow, op.cit., p.11.
tenza per presentare la figura di Snow e
il rovello delle “due culture”.
Noi che partecipiamo al discorso proponendo di seguito alcune considerazioni
più specifiche e dedicate alla Geografia,
vogliamo tuttavia concludere queste
note riferite allo scrittore britannico e
al suo saggio, con una citazione tratta
dall’opera più importante dell’illustre
matematico inglese Godfrey Harrold
Hardy (1877-1947), grande amico di
Snow, personaggio che caratterizza
l’universo culturale britannico nei primi
cinquant’anni del Novecento, proprio
quell’universo che indurrà Snow a
produrre il suo saggio:
“Una sedia, una stella non assomigliano minimamente a quello che
poi vengono a rappresentare: quanto
più noi ci pensiamo,tanto più soffusi
diventano i loro contorni nell’alone di
sensazioni che li ravvolge. Invece “2”
o “317” non hanno nulla a che vedere
con le sensazioni...317 è un numero
primo, non perché noi pensiamo così,
o perché la nostra mente è conformata
in un certo modo...ma perché la realtà
matematica è così costruita”.6
Hardy, che qui scrive nel 1940, pone fermamente in evidenza i due fronti:
quello matematico e il mondo degli oggetti che producono sensazioni. Ma volendo dare seguito all’esemplificazione
di Hardy, proprio nel solco delle “due
culture”, ci piace ricordare che la sedia
esiste grazie a calcoli matematici per
costruirla e renderla salda per reggere
un corpo, e la matematica, come è noto,
ci permette di conoscere gran parte
della volta celeste e delle sue leggi.
Le culture sono due, ma quante e quali
relazioni producono per la comprensione dell’Universo!
6. Godfrey H. Hardy, L’apologie d’un
mathématicien, postface de C. P. Snow, Bellin,
Paris, 1985, p. 48. La traduzione è di chi
scrive.
geo-grafia da sempre
Geo-grafia significa “scrittura della
Terra”, cioè “ segni della Terra”.
Questo brevissimo chiarimento tributa
già una maggiore dignità che la corrente intitolazione scolastica della materia, “Geografia”, fin troppo mal trattata
nell’ambito dei programmi scolastici
e dell’insegnamento, ha raramente
conosciuto.
Geo-grafia, Geo-grafie più esattamente, perché numerosi sono gli indirizzi
geografici da indagare per comprendere i problemi dei territori e delle
popolazioni.
Ogni termine proprio della Geografia è, pur nella sua generalità, noto
e usato correntemente per comunicare
uno stato, una condizione, una precarietà, ecc. Spazio, suolo, territorio,
luogo, paesaggio, ambiente, natura,
viaggio, popolazione, città, campagna
ecc. sono forme concettuali, fisiche
e linguistiche che appartengono alla
nostra vita corrente, ma che stanno a
rappresentare nel contempo, categorie
oggetto di studio della Geografia.
Siamo geografi da sempre, perché da
sempre siamo naturali fruitori di queste
entità.
Ulisse racconta la sua odissea con
la descrizione delle terre e dei mari
che visita, e a noi piace quel ‘racconto’
proprio perché proiettiamo in quelle
avventure le nostre attese. Mutano i
paesaggi, mutano le modalità di apprendere gli insegnamenti e di redigere
i resoconti di viaggio, ma la spinta della
curiosità, l’elemento forse più significativo del viaggio, si va perpetuando nei
secoli. Dai tempi di Ulisse, appunto.
Ci limiteremo qui a qualche riferimento specifico. Il Paesaggio è uno dei
capitoli più importanti della materia,
proprio perché rappresenta, come
pochi altri, il settore più ampio, dove
si possono osservare varietà di oggetti
e di problemi, individuando la correla-
23
24
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
zione di ciascuno di essi. È un campo
che modernamente studiato, esige
interdisciplinarità, multidisciplinarietà.
È importante da parte degli studiosi sapersi muovere con la propria competenza, valutando contestualmente l’utilità
di altre competenze per completare il
quadro della ricerca.
I primi documenti pienamente
attendibili del Paesaggio sono prodotti
nell’arco di tutta la sua vita, da un
personaggio illustre, Alexander von
Humboldt (1769-1859), padre fondatore, unitamente a Carl Ritter, della
Geografia accademica presso l’Università di Berlino. I suoi resoconti sono
rigorose comparazioni di paesaggi
osservati in diverse parte del mondo. Di
quei paesaggi, Humboldt ha proceduto
a una catalogazione dei dettagli di
ordine fisico. Come si può comprendere,
si trattava di una concezione di “paesaggio” assai diversa da quella attuale,
ma che già dagli inizi del Novecento
andava mutando, come ogni elemento
culturale, influenzato dalle correnti
filosofiche della sua epoca.
Oggi, il Paesaggio continua a
rappresentare un particolare e fondamentale oggetto di studio del geografo,
ancorché non si possa dire che l’interpretazione di questa entità sia univocamente intesa dai geografi contemporanei, italiani e stranieri.
Il concetto di paesaggio per noi di
riferimento è quello che discende dagli
studi di Lucio Gambi (1920-2006), autorevole figura della Geografia italiana.7
Ai nostri tempi, nella mentalità
comune, il Paesaggio è ‘istintivamente’ rappresentato dai luoghi della
natura: monti, fiumi, mari, campagna,
deserto, ecc.
Il Cinema, la Televisione e perfino la
Musica hanno contribuito a costruire
un’idea di paesaggio nella fantasia
delle persone.
Il geografo continua a pensare che
l’osservazione del Paesaggio sia un’ottima occasione per leggere la realtà
e comprenderla. Così, una parte di
Spazio –il Paesaggio appunto– scelto
intenzionalmente per essere indagato,
diviene “laboratorio del Geografo”, per
ricostruire le sue origini, conoscere
7. Lucio Gambi, Critica ai concetti geografici
di paesaggio umano, in, Una Geografia per la
Storia, Einaudi, Torino 1973, pp. 148-174.
la sua storia e gli elementi naturali e
antropici che lo caratterizzano.
Questa è l’importanza del Paesaggio in
Geografia, che si raggiunge grazie alla
sinergia di molte discipline che parlano
e che si parlano.
La Geografia e il rapporto con le altre scienze è fondamentale nello studio
degli eventi naturali estremi: alluvioni,
frane, terremoti, ecc.
Per affrontare questi problemi, si terrà
conto che è funzione specifica della
Geografia anche quella di creare collegamento tra scienze naturali e scienze
sociali.
Invece proprio all’interno della ricerca
Geografica che concerne lo studio degli
eventi naturali estremi, determinati da
dinamiche naturali o indotti da errori
umani, “due culture”, La Geografia fisica
e la Geografia umana, tendono a rimanere divise, mute l’un l’altra, riottose a
comprendersi.
Fin dall’inizio della nostra attività di
ricerca, segnatamente sugli eventi naturali estremi, questa separazione ostinata ha segnato la nostra esperienza:
“Bisogna rilevare che [gli studi
di Geografia fisica] troppe volte si
mostrano esclusivamente protesi ad
individuare il rapporto causa-effetto,
le dinamiche che hanno determinato
il fenomeno, tralasciando di considerare in misura sufficiente le numerose
concause di origine storica e di politica del territorio, senza comprendere
dunque l’evento naturale nella sua
complessità. Si studia, si scruta, si
scandaglia, si descrive un ‘territorio
senza uomini”.8
La storia delle catastrofi è in larga
misura anche Storia d’Italia. Non è qui
il luogo per ricordare il lungo elenco
di eventi che hanno distrutto territori
e colpito popolazioni, dal Dopoguerra
ad oggi.
Ci sembra opportuno tuttavia ricordare
il più grave di questi eventi, la catastrofe del Vajont nel 1963, di cui quest’anno cade il Cinquantenario.
Per la realizzazione di un lago artificiale per la produzione di energia elettrica,
nella Valle del torrente Vajont, tra Udine e Belluno, è progettata la costru8. Giorgio Botta, in Atti del Convegno
dell’Associazione dei Geografi Italiani “La
ricerca geografica in Italia: 1960-1980”, Ask
Edizioni, Varese 1980, p. 1019.
zione di una diga. I lavori hanno inizio
nel 1957 e determinano l’esproprio dei
pascoli comunali per creare l’area che
verrà inondata dal lago artificiale. La
popolazione è così privata della propria
vocazione agricola che rappresenta
lavoro vita e sapere da generazioni.
Nel corso dei lavori di costruzione della
diga che deve essere ancorata ai due
versanti della Valle, si verificano crolli
di materiali che evidenziano l’instabilità di quei suoli. I crolli si ripetono per
anni, segnatamente dal 1960 alla catastrofe, periodo di collaudo dell’invaso.
Fermare i lavori significa causare una
grave perdita economica e di immagine.
Infatti, gli esperti che sovrintendono
i lavori sono autorevoli figure delle
Università e, a Roma, nei Ministeri. Il
tempo che passa rende sempre più
evidente il divenire della catastrofe.
Il 9 ottobre 1963 una frana con un’estensione di 700 metri di altezza e una
base 2 chilometri circa, gran parte del
versante del Monte Toc, scivola nelle
acque del lago artificiale e solleva
un’ondata di 60 milioni di metri cubi
di acqua e detriti, alta 250 metri, che,
superato il coronamento della diga, si
riversa nella sottostante valle del Piave,
dopo un salto di 200 metri, distruggendo Longarone e i centri limitrofi.
Duemila le vittime.
Charles Percy Snow è tornato qui a
parlarci delle “due culture” e noi comprendiamo che il mancato dialogo tra
studiosi non può essere considerato un
semplice contrasto teorico, oggetto di
pur accese dispute universitarie. Si tratta, in verità, anche di una richiesta di
assunzione di responsabilità culturale e
politica. Infatti può addirittura rappresentare, per un mondo, la sua fine.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
La letteratura
e la scienza
di giovanna cipollari
“I miei erano botanici… Forse sono diventato
scrittore per fuggire dalla scienza
… Poi ci sono tornato naturalmente
come in un percorso circolare.
Mi sono avvicinato alla scienza
attraverso l’astronomia”
i. calvino
Al centro del connubio tra letteratura e scienza è la questione sull’irriducibile unità del pensiero umano e sulle
responsabilità, equamente divise tra
scienziati e umanisti contemporanei, nel
non vedere la fecondità delle interazioni
tra i loro rispettivi campi di ricerca; i
primi spesso limitati da ottiche pragmatiche e fortemente specialistiche; i
secondi da una creatività fondata su una
ristretta visione del mondo.
L’immagine del lancio di una bomba
atomica nel deserto del Nevada o su
Hiroshima e Nagasaki mostra l’irragionevolezza di un progresso tecnologico
cieco, metafora assurda e tragica
della modernità. La macchina, costruita dall’uomo come bene strumentale
diventa una macchina fine a se stessa,
crudele simbolo di un agire irrazionale e
disumano, la cui unica funzione è quella
di sterminio e morte.
Dall’altra parte una letteratura che
non si apre al mondo e che non abbraccia al suo interno le questioni che
hanno a che fare con l’astronomia, la
biologia, la fisica, l’informatica ecc., si
mostra anch’essa come una forma vitale
incompleta nel tradurre letterariamente
il cosmo e il senso del mondo.
Del resto, a partire dalla fine degli
anni cinquanta il mondo non è quello di
prima: la scienza e la tecnica lo stanno
cambiando vorticosamente e per cercare
di comprenderlo e narrarlo non basta
più la percezione sensibile di ciò che si
vede, ma dobbiamo imparare a educare
pensando all’Universo fin dall’inizio della conoscenza, come una vera e propria
traduzione giusta per favorire una narrazione e una lettura del mondo che possa
aiutare l’uomo a vivere degnamente il
seconda parte del Novecento e dell’iniproprio tempo.
zio del nuovo secolo-millennio, hanno
Se il mondo, come sempre, non
bisogno di nuove mappe per orientare
è più quello di prima, se l’esterno è
la mente e il cuore dell’uomo, data l’inemutato e muta continuamente, se il fuori sauribile complessità e molteplicità di
non è più quello di qualche decennio fa
orizzonti di cui ormai è composto il suo
e se, al tempo stesso, si vuole stabilire
spazio e sulle cui caratteristiche e die diffondere una forma conoscitiva da
mensioni va ripensata la morale pratica
condividere, occorre mutare prospettiovvero ciò che serve all’uomo moderno
va e urge trovare e proporre un nuovo
per organizzare la sua azione in maniera
immaginario pedagogico partendo da un “virtuosa”, come si diceva una volta, ma
diverso rapporto tra scienza e letteramondialista, come si pronuncia oggi.
tura.
Il nuovo concetto di spazio cosmico
L’ecumene di riferimento per
e la sua tangibile estensione, implil’uomo d’oggi si è, infatti, allargato a
cano un ampliamento della coscienza,
dismisura passando, in pochi decenni,
promossa da una letteratura chiamata
da uno spazio loco-nazionale a uno
a trasformarsi e a spazzare via in primo
molto più ampio che comprende non
luogo ogni forma, più o meno camuffata,
solo il continente d’origine, ma tutto il
di antropocentrismo di fronte all’acMondo per la possibilità reale di muoquisita invenzione di un immaginario
versi in aereo da un punto all’altro del
cosmico che contiene, fin dalla sua
globo e per quella virtuale di navigare
nascita nel Novecento della Science
in Internet e comunicare, nel tempo di
Fiction nordamericana sia letteraria
un istante, con persone di altri popoli e
sia cinematografica, il tema cruciale
culture. A ciò si aggiunge l’ingresso, ordell’incontro tra noi e gli “alieni”, da ET
mai da diversi decenni, in una nuova era ai gamberoni di District 9.
spaziale e cosmica, caratterizzata dai
Non letteratura di evasione o di
lanci dei primi satelliti artificiali e dalle
fantascienza, ma una narrazione del
prime stazioni interplanetarie, da novità cosmo qual è suggerita dalla scienza per
celesti straordinarie come le fotografie
meglio comprendere la condizione umadella faccia nascosta della Luna inviate
na segnata oggi dall’attività tecnica e
da Lunik nell’ottobre del 1959, dalle
scientifica. Il letterato, che interpreta le
imprese spaziali compiute a bordo degli pagine delle nuove situazioni esistenziaSputnik, Explorer, Vanguard, Pioneer, ma li, non può non permettere all’uomo cosoprattutto del Voyager che porta con sé mune, tramite la “traduzione” letteraria,
la storia, le immagini, le musiche della
di vivere nel quotidiano il dato scientiTerra e della specie umana, fino ai più
fico che, apparentemente lontano dalla
recenti veicoli spaziali mandati su Marte sua conoscenza, incide sostanzialmente
e oltre il sistema solare.
sulle sue azioni e sul suo pensiero.
Le nuove dimensioni della realFunzione della letteratura è quella
tà, così come anche della storia della
di avvicinare l’uomo comune alle
25
26
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
innovazioni tecnologiche e scientifiche
che ne influenzano le scelte quotidiane
per stabilire canali di comunicazione
proficui e non subalterni tra immaginazione letteraria e mondo tecnologico.
Il letterato si occupa della scienza per
esprimere le nuove situazioni esistenziali, per comprendere il nostro inserimento nel mondo, per occuparsi delle
immagini del mondo che la scienza
produce e dei linguaggi che impiega per
produrle. E infine, per salvaguardare il
nostro destino insieme con quello del
pianeta che ci dà la vita. La scienza non
è un semplice pretesto per trovare nuovi
generi o sottogeneri letterari o cinematografici, ma il mezzo indispensabile per
acquisire una migliore conoscenza del
mondo.
Per comprendere il mondo e per
tradurre il suo immaginario occorre
ritrovare l’antica saggezza dei popoli primitivi che guardavano in alto
verso il cielo sapendo che la loro vita
era strettamente legata ai fenomeni
astronomici, e verso la terra per sentirsi
parte di un’armonia, come dice Ungaretti, propriamente “cosmica”. Tali principi
sono i nostri inizi umani, e l’uomo sa di
avere una caratteristica tutta particolare
rispetto agli altri animali: la posizione
eretta, per cui il cielo stellato è la prima
e fondamentale esposizione alla quale
l’uomo, che alza la fronte verso l’orizzonte, rivolge la vista.
“Il cielo stellato sopra di me e la
legge morale in me” afferma I. Kant che
mirabilmente congiunge cielo e terra,
conoscenza e “ragion pratica”. Bisogna
alzare la testa per guardare il cielo stellato, bisogna guardare dentro se stessi
per ritrovare la legge morale che è in
noi. Occorre entrare nel buco illuminato
della scienza per connettere insieme il
cielo stellato, la legge morale e la coscienza della propria e altrui esistenza.
Il “tutt-uno” che è l’inizio e che permette
di scegliere, con attenzione e con occhio
sapiente, i valori della convivenza tra
umani e tra umani e natura.
Leopardi nella Ginestra ci fa vedere
con lui “il purissimo azzurro [che] veggo
dall’alto fiammeggiar le stelle” e Giuseppe Ungaretti nella poesia I fiumi sente
di essere “una docile fibra dell’Universo”.
Poesia e letteratura cosmica traducono
e narrano il cosmo e il mondo in continuo mutamento.
In un “Cosmo sempre incipiente”
Da tanti anni ormai andiamo
ripetendo che la scuola attuale non
è assolutamente al passo col mondo
in cui viviamo perché il curricolo
che in essa viene, più o meno consapevolmente, trasmesso è rimasto
etnocentrico e fondato su una
didattica rigidamente disciplinare
che valorizza solo comprensione,
memorizzazione ed esposizione,
oltre a favorire sterile competizione, e ignorando invece, per lo più
completamente, ricerca, creatività,
complessità. E’ evidente dunque
che ci fa molto piacere segnalare ai
lettori il libro
“Una ricerca a prova d’aula. Per una
revisione transculturale del curricolo
di italiano e di letteratura” a cura
di Armando Gnisci e Giovanna
Cipollari.
Non si tratta di un insieme di proposte di lavoro più o meno mirate ad
come dice il poeta USA Wallace Stevens,
i letterati non possono non tener conto
delle infinite domande che la nuova
dimensione cosmica, sia scientifica sia
immaginaria, va ponendo dagli inizi del
Novecento. Da qui è nata l’urgenza di
una letteratura scientifica come forma di
crescita e ampliamento della coscienza
che sia in grado di dare risposte alle
Domande Antropologiche Cosmologiche
antiche e costanti, e da cui la filosofia
per prima si è estraniata: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando?
Questo mondo è reale o è un’illusione?
Siamo noi a sognarlo o è esso che ci sogna? Siamo soli in questo cosmo, che più
si conosce e più si allontana, ma insieme
con noi? Ecc.?
Questi interrogativi caratterizzano
la curiosità dell’essere umano fin dal suo
crescere da bambino che nel crescere
è attratto dalla curiosità conoscitiva
del mondo circostante, dalla luna e dal
sole e dalle altre stelle. Il bambino, allo
stesso tempo, pone ed esprime –spingendola fuori di sé come una specie
d’irruente emanazione, una specie di
tempesta solare– l’apertura verso il cosmo e verso il mondo: il buio della notte
e l’esistenza di una natura che sempre
più lo riguarda, in una relazione e in una
vicenda complessa e che è anche la sua:
pensiamo al bambino che, all’incirca
fino al 18° mese di vita non vede gli animali, i cani per strada ad esempio, e poi
li vede e gli sembrano esseri straordinari da conoscere con forte paura e grande
attrazione al tempo stesso.
L’educazione primaria attraverso la
scuola è, o dovrebbe essere, la risposta
a un costante principio a “educarsi”
proprio del bambino che consiste nel
portare fuori, nell’e-ducere ciò che è
già in nuce in ogni essere umano che,
nell’istintivo moto di alzare il capo e di
guardare il cielo, pensa con il cosmo e
questo pensiero –se ben coltivato– si
trasforma in una vera e propria attitudine immaginaria e morale.
Nella nuova era scientifica e
transculturale, le enormi disparità e
ingiustizie presenti nelle diverse aree
del mondo, richiedono la costruzione di
un Mundus Novus: il senso del legame
unificante con il Cosmo e con il pianeta
Terra, e il senso di appartenenza a un’Unica Umanità come specie tra le specie,
e forse come vita e altre vite nel cosmo.
Questo nuovo pensare con il mondo
invita, attraverso una diversa paideia, le
antenate generazioni –che siamo noi– e
le nuove generazioni del secolo XXI ad
accedere a un comune senso di appartenenza a una rete di relazioni cosmiche e
di solidarietà tra le specie della natura
del pianeta Terra.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
un obiettivo formativo e più o meno
trasferibili in altri contesti. E’ invece
un bilanciato insieme di riflessione
teorica e percorsi didattici che si
propone, con coscienza di causa, di
“spostare l’attenzione dai contenuti
dei saperi all’interconnessione
tra i concetti che costituiscono la
struttura dei saperi” con l’intento di
mirare alla formazione di identità
dove l’educazione al sé non sia
più “distinta dalle relazioni con il
mondo”. Possiamo dire, penso, una
nuova formazione per una nuova
Cittadinanza.
Nel libro, a nostro avviso, c’è molta
lodevole chiarezza sul compito
e certo una feconda competenza e abilità didattica. Inoltre si
tratta di uno stimolo importante
per una discussione che prenda
in considerazione anche tutte le
implicazioni relative all’organizza-
zione dei diversi percorsi scolastici
e alle competenze attese al termine
degli stessi. E anche (cosa di non
minore rilievo) in merito ai soggetti
dai quali sembra credibile aspettarsi
adeguati contributi di elaborazione
(università ? docenti in servizio?
studiosi disciplinaristi? altro?) per
questo compito epocale.
Sarebbe molto interessante se alla
lettura che qui consigliamo seguisse
l’apertura, su queste pagine, di un
confronto con i nostri lettori, molti
dei quali, è evidente, non hanno
nessuna intenzione di ridurre
la propria professione alla mera
sopravvivenza cui li si vorrebbe
spingere.
Dobbiamo, quindi, passare a una
paideia di un insegnamento non più
ristretto nella separazione tra linguistico e scientifico e letterario, e passare da
un’impostazione strutturalista-semiotica
a una immaginativa-ermeneutica che
comprende ragione e sensibilità, come
diceva Jane Austen.
La poetica della relazione è una
poetica latente, aperta, a vocazione multilingue, connessa con tutto il possibile,
che permette a “ognuno di essere qui e
altrove” e che cerca incessantemente “di
perfezionarsi, di dirsi, di completarsi”:
essa va appresa a scuola anche con percorsi didattici non lineari, ma ramificati
e pluridirezionali.
Oltrepassato il guado del paradigma riduzionista di una cultura di stampo
meccanicistico, si profila una conoscenza della complessità che si sbarazza di
ogni forma frammentaria del pensiero
per riannodare i fili con l’antica matrice
ordinatrice mitico-cosmologica in cui
mito e scienza, lessico mitopoietico e
linguaggio scientifico non sono mondi
separati, in quanto entrambi concorrono a liberare quell’immaginazione che
consente di rimodellare di volta in volta
il rapporto tra gli uomini e le cose. Così
come nel mondo globalizzato è sempre
più difficile distinguere tra centro e periferia, particolare e universale, interno
Bibliografia
Barrow J.D., Tipler F.J., Il principio antropico, Adelphi, Milano 2002
Brunelli C., Cipollari G., Oltre l’etnocentrismo. I saperi della scuola al
di là dell’Occidente, EMI, Bologna 2007
Calvino I., Palomar, Mondadori, Milano 1994
Calvino I., Le cosmicomiche, Mondadori, Milano 2000
Damiano E., L’insegnante etico, Cittadella Editrice, Assisi (PG) 2007
Glissant É., Poetica del diverso, Meltemi, Roma 2004
Glissant É., Poetica della relazione, Quodlibet, Macerata 2007
Gnisci A., Creolizzare l’Europa, Meltemi, Roma 2003
Gnisci A., Mondializzare la mente, Cosmo Iannone, Isernia 2006
Gnisci A., Decolonizzare l’Italia, Bulzoni, Roma 2007
Gnisci A., Letteratura mondiale, letteratura europea, letteratura
nazionale, Porto San Giorgio (FM), Direzione Didattica Porto
San Giorgio, 21 novembre 2008:
www.speranzacvm.eu/didattica/sperimentazione/
Gnisci A., L’educazione del te, Sinnos, Roma 2009
Gnisci A., Sinopoli Franca, Moll Nora, La letteratura del mondo nel
XXI secolo, Bruno Mondadori, Milano 2010a
Gnisci A., La coscienza cosmica in Kant e Leopardi, Ancona,
ITIS “Volterra” di Ancona, 19 febbraio 2010 b:
www.speranzacvm.eu/didattica/sperimentazione
Serres M., Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, Torino 2010
ed esterno, allo stesso modo nell’ordine
della conoscenza è definitivamente saltata la bipartizione tra scienze naturali e
scienze umane.
Sulla base di una riconquistata interconnessione “orizzontale” tra saperi,
si muove anche una dimensione “verticale” che non riconosce la separazione
né tra letteratura e grammatica, né tra
generi linguistico-letterari. L’insegnamento dell’italiano, individuato l’obiettivo formativo di educare alla cittadinanza culturale del mondo attraverso una
lingua potente e aperta, il sentimento
cosmico e a un tempo critico, si avvale
della pluralità delle lingue e dei dialetti
e oscilla tra il gioco delle scritture e le
altre forme di comunicazione, che dalla
prosa e dalla poesia incontrano il teatro,
la musica e il cinema, ricomprendendo e valorizzando una molteplicità di
linguaggi e di significati per sollecitare
la “tenerezza dell’umano”, quale filo
conduttore e incuriosito della coscienza
cosmica.
L’etica della relazione congiunge
Cosmo-Mondo-Umano. La cura della Coscienza Cosmica ci riporta alla
primordiale e fondamentale esigenza di
interrogarci sulle nostre origini per capire chi siamo e dove stiamo andando così
da ritrovare il senso dell’esistere oggi, in
questa svolta epocale, meravigliosa ma
ingiusta. La riflessione sulle domande
esistenziali si inserisce nell’orizzonte
conoscitivo della nuova concezione del
Principio Antropologico Cosmologico
per cui l’Universo è un organismo complesso, di cui l’uomo è parte, la parte
capace di pensarlo. In questa coscienza
e conoscenza dell’Universo l’uomo è
l’osservatore della conoscenza cosmica.
La prospettiva mondialista, dopo
quella cosmica, si nutre, a sua volta, di
una nuova traduzione mitica della terra
che torna a essere sacra e madre di tutti,
per stabilire una nuova giusta e compassionevole relazione tra le civiltà umane.
Le Scienze della Vita e della Terra, sotto
la pressione della catastrofe ambientale,
superano il dominio della pratica liberista di avvilire la Terra e distruggere ogni
forma di solidarietà tra gli umani.
In questo punto cruciale ci aiuta
a formare il nostro giudizio ciò che
possiamo con Sartre chiamare “Coscienza di specie”, che può trovare la sua
dimensione nella rivoluzione tecnologica della comunicazione, che ha messo in
contatto planetario persone diverse in
reti sociali sempre più fitte e ampie, stimolando il neurone dell’empatia in grado
di tessere le diversità in un arazzo sociale integrato, ma nella conoscenza e nella
simpatia piuttosto che nella volgarità
generalizzata. Ogni differenza propone
27
28
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Dalle culture
agli immaginari.
valori nuovi e mirati, concreti, diversi e
complementari: la mutualità, la creatività, la fraternità, la decrescita, la convivialità, la coevoluzione delle diversità,
la solidarietà, la corresponsabilità, la
condivisione, la creolizzazione mondiale
e la transculturazione tra le civiltà e tra
le persone che imparano a incontrarsi
e a convivere nella diversità creativa,
come i migranti assieme agli indigeni,
europei e nordamericani. Sono queste le
di Elena Camino, Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità
qualità richieste agli uomini del Mundus
Novus che operano nella logica cosmica
della nuova etica mondiale.
schemi concettuali dicotomici rende sempre più problematico per gli
In questo quadro d’insieme si pone
Sembra passato un secolo da quando
insegnanti trovare il tempo per approla proposta di un nuovo curricolo il
–nel 1964– fu pubblicato il saggio di
fondire adeguatamente un qualunque
cui valore abbia come orizzonte non
Charles Percy Snow su ‘Le due culture’.
argomento. Inoltre la forte propensione
più quello dell’Homo oeconomicus, ma
L’Autore denunciava una preoccupante
all’approccio quantitativo e la crescente
quello dell’Homo sociologicus relazionainconciliabilità tra la cultura umanistidistanza dagli “oggetti” osservati (che
le, non più il cittadino stanziale di uno
siano galassie o molecole) rendono diffistato nazionale, ma il soggetto migrante co / letteraria e quella scientifica nel
mondo occidentale, e indicava “una sola cile la piena comprensione di molti condella società mondiale.
via per uscire da questa situazione: e
cetti importanti: concetti che sarebbero
Dall’impostazione etica discende
naturalmente passa attraverso un ripen- utili per capire le implicazioni dell’uso
la matrice curricolare e la possibilità
samento del nostro sistema educativo”.
di prodotti e servizi che ormai fanno
di una revisione di percorsi didattici
L’approccio di Snow nell’individuaparte del vivere quotidiano (dalle noziointerdisciplinari per mappe concettuali
re e sottolineare la dicotomia tra le due
ni di elettromagnetismo che riguardano
che promuovono una visione multidiforme di cultura evidenzia uno schema
i telefoni cellulari alle conoscenze di
mensionale e poliprospettica, in linea
concettuale tipico del pensiero occidengenetica che potrebbero orientare certe
con la rieducazione non solo del sapere
tale, che tende a distinguere, etichettare, scelte dei consumatori). Il carico concetma anche dell’etica, essendo questa
catalogare, sottolineando le differenze a tuale associato all’enorme sviluppo della
l’anima più urgente dell’educazione.
scapito delle somiglianze, evidenziando
conoscenza tecno-scientifica ha finito
Come affermava il filosofo Filodemo di
opposti schieramenti invece di mettere
per approfondire il divario tra umanisti
Gadara “dobbiamo salvarci l’un l’altro” o
in luce i nessi e le interconnessioni.
e scienziati, nonostante la generale
altrimenti nessuno si salva.
In questo senso il suo libro ricevette
convinzione dell’importanza di una
Su queste linee di pensiero si è
qualche critica.
formazione più equilibrata, attenta ai
impostata una sperimentazione scoQuante dicotomie hanno segnato
processi storico-letterari come a quelli
lastica, documentata nel testo curato
e condizionato il nostro tempo! Tra
scientifico-tecnici.
da A. Gnisci - G. Cipollari: Una ricerca
Paesi sviluppati e sottosviluppati
a prova d’aula. Per una revisione trandue culture nel mondo
(Sachs, 1992), tra Occidente e Oriente
sculturale del curricolo di italiano e di
letteratura, Molfetta, Ed. Meridiana 2012, (Huntington, 1996), tra Natura e Cultura scientifico?
La crescente suddivisione delle cono(Latour, 2010), tra approcci scientifici
con l’apporto importante della prova
scenze scientifiche in aree sempre più
e tradizionali di conoscere (Aikenhead
d’aula impostata e curata dalle docenti
specialistiche ha creato nuovi problemi,
Alessandra Berardi (IC Pergola), Isabella & Michell, 2011). Queste dicotomie
nuove inconciliabilità. Si continua a
vengono spesso riprese e accentuate
Bruni (IC Mercantini Senigallia - Nord)
nei processi formativi, dove gli spazi per parlare di “Scienza” come di un corpo di
e Paola Gobbi (IC Monte san Vito) negli
conoscenze tra loro coerenti e integrate,
la riflessione –che richiedono tempo e
anni 2010-11.
mentre in realtà si sono sviluppati modi
dialogo– vengono sempre più sostituiti
diversi di vedere, descrivere, interpredalle proposte di schematizzazione,
tare il mondo naturale. L’idea di una coche consentono di affrontare i problemi
noscenza scientifica oggettiva, neutrale,
in modo semplificato, rapido, spesso
universale, orientata a offrire benefici
acritico.
all’umanità è stata progressivamente
difficile gestire l’eccesso di
messa in discussione con il manifestarsi
conoscenze
di problemi socio-ambientali di dimenSotto certi aspetti la separazione tra
sioni globali.
le culture nella formazione si è approDalla metà del ‘900 alcuni grupfondita ulteriormente. La quantità di
pi di scienziati hanno iniziato a fare
conoscenze accumulate dalla scienza
esperimenti non più in laboratorio, in
Spunti per un’educazione
alla sostenibilità
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
condizioni controllate, ma direttamente
nell’ambiente: i primi test nucleari ne
sono l’esempio più clamoroso. Le sperimentazioni con organismi geneticamente modificati sono le più recenti.
Questo radicale cambiamento di
scenario è stato reso possibile soprattutto dallo sviluppo di una grandissima
potenza (intesa come energia a disposizione nell’unità di tempo) da parte di
alcuni gruppi umani: potenza fornita
dallo sviluppo tecnologico e industriale,
che ha messo a disposizione macchinari,
strumentazioni e apparecchiature tali da
poter esplorare sempre più in dettaglio
i processi naturali e agire sempre più
rapidamente e a fondo per trasformarli.
Il luogo principale di sperimentazione tecno-scientifica è ormai il pianeta
Terra, con due conseguenze significative: (a) data la complessità del sistema
coinvolto (l’intero pianeta) è impossibile
individuare tutte le variabili significative e monitorarne i cambiamenti;
(b) tutti gli abitanti del pianeta sono
diventati “parte in causa”, in quanto le
conseguenze, attese o inaspettate, degli
esperimenti possono ricadere anche su
di loro. Il cambiamento climatico in atto
ne è un esempio significativo (ma non
l’unico).
Non tutta la ricerca scientifica si è
orientata in questa direzione. Mentre i
centri di ricerca più prestigiosi, sostenuti dal potere economico e politico,
procedevano a sviluppare quella che
oggi viene chiamata “big science”, una
vasta base di studiosi cominciava a
mettere in discussione l’idea di scienza
come di una impresa neutrale, oggettiva, intrinsecamente positiva, in grado
di “dire la verità al potere” (Wildavky,
1979). Alcuni ricercatori (non solo scienziati, ma anche filosofi e sociologi della
scienza, ed esperti di giurisprudenza) a
partire dagli anni ’90 del secolo scorso
proposero di introdurre delle norme di
cautela rispetto alle decisioni che i politici –anche se “consigliati” dagli scienziati– intendevano prendere. Il 1992 è
l’anno dell’introduzione del “Principio
precauzionale”1. Negli anni successivi
si svilupparono in parallelo l’intuizione
1. E’ il Principio n. 15 della Dichiarazione di
Rio su Ambiente e Sviluppo, che suggerisce
prudenza nell’agire, anche se l’eventualità di
seri e irreversibili danni all’ambiente non è
ancora scientificamente accertata.
della complessità dei sistemi naturali
di assemblare il Rubisco in provetta
e la consapevolezza della molteplicità
offre la prospettiva di manipolare
di circostanze in cui le decisioni umane
geneticamente l’enzima in modo da
sono prese in condizioni di incertezza,
renderlo adatto al mondo moderno”.
indeterminatezza, ignoranza (Stirling,
↘↘C’è sempre una soluzione tecnologi2010).
ca ai problemi ambientali. Secondo
Nel 1993 due ricercatori, Funtowicz
alcuni scienziati l’unica via per mitie Ravetz, propongono un’idea nuova di
gare l’inarrestabile aumento di CO2
nell’atmosfera è quello di intervenire
scienza, la “scienza post-normale”, che
con gli strumenti della “geoingea loro parere trova applicazione là dove
gneria”, cioè con la manipolazione
i fatti siano incerti, i valori contrastanintenzionale su larga scala dell’amti, la posta in gioco alta e le decisioni
biente globale (The Royal Society,
urgenti
2009). Tra le azioni proposte vi è
Il modello post-normale offre una
quella di interferire con la radiazione
prospettiva nuova del processo di
solare (per esempio con grandissimi
costruzione di conoscenza: l’idea della
specchi) rimandandone una parte
dimostrazione scientifica è sostituita
nello spazio, oppure di seppellire la
dall’ideale di un dialogo pubblico aperto.
CO2 in enormi depositi sotterranei o
Nel processo di produzione di conoscenin fondo agli oceani.
za i cittadini diventano sia critici che
Questo approccio alla conoscenza
creatori. Il loro contributo non deve più
ha trovato notevole consenso nel mondo
essere definito come “locale”, “pratidell’economia, pronto a investire in
co”, “etico”, “spirituale”, ma deve essere
attività di ricerca che offrano possiaccettato come componente di una
bili ricadute sul mercato. Nel mondo
pluralità di sguardi e prospettive, tutte
della ricerca, anche in risposta ai forti
ugualmente legittime. (Liberatore &
Funtowicz, 2003). Sulla scia del modello ridimensionamenti dei finanziamenti
pubblici, si stanno moltiplicando le
post-normale si è poi sviluppata quella
“joint ventures” tra scienziati e imprese
che è stata definita la scienza della somultinazionali.
stenibilità (Gallopin, 2004), caratterizDall’altra –più in sordina– sta
zata da un duplice processo: da un lato
sviluppandosi la scienza della sostenibila democratizzazione della scienza, che
lità: sempre più numerosi sono articoli
diventa il frutto di un sapere condiviso
da una vasta base di cittadini, tutti legit- e libri scritti a più mani da studiosi che
attraverso il confronto e il dialogo tra di
timati a esprimersi perché tutti coinvolloro e con membri di altre popolazioni e
ti; dall’altro lo sviluppo di competenza,
culture, cercano di individuare le strade
di perizia da parte della democrazia,
non più vincolata a seguire passivamen- che le comunità umane dovrebbero
percorrere per diventare più “resilienti”.
te le indicazioni degli esperti. L’immaginario proposto dalla scienza
immaginari e narrative
della sostenibilità è molto preoccupante:
inconciliabili
è ben documentato che le attività umaDa un lato si è sviluppato l’immaginario
ne hanno provocato delle perturbazioni
della tecno-scienza, con le sue promesse di tale rilevanza nei sistemi naturali, che
di dominare i sistemi naturali e assicuè plausibile che il nostro pianeta si riasrare il progresso umano grazie al persesti su equilibri nuovi, non necessariaseguimento del benessere economico
mente tali da consentire ancora la vita
per tutti. Tra le narrative con le quali la
umana (Folke et al., 2011). Le narrazioni
tecno-scienza si rivolge al pubblico vi è
che accompagnano questo scenario
quella del controllo dei sistemi biofisici: sono (fino a oggi) ottimistiche: è ancora
dal livello microscopico a quello planepossibile agire, se ci si contiene all’intario, come illustrano questi esempi.
terno di due confini: il “tetto” biofisico
↘↘L’ingegno umano è in grado di
imposto dalla natura (Rockstrom et al.,
fare meglio della Natura. John Ellis,
2008) e il “pavimento” sociale imposto
biologo inglese, nel 2010 scriveva
dall’etica (Raworth, 2011). L’esplorasulla rivista scientifica Nature che
zione scientifica deve essere orientata
“l’enzima chiave della fotosintesi, il
a conservare e rispettare la diversità
Rubisco, è un relitto di un’era ormai
biologica e culturale, e ad assicurare il
passata”. E osservava che “l’abilità
soddisfacimento dei bisogni di tutti.
29
30
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Gli immaginari della tecno-scienza
e della scienza post-normale si traducono dunque in narrazioni divergenti, e
condizionano con diversa intensità ed
efficacia i membri della società civile: i
cittadini, gli amministratori, i decisori
pubblici, gli insegnanti, i giovani nei
loro cammini di formazione, i ricercatori
stessi. Da un lato si dice che la crescita
è necessaria, che l’innovazione tecnologica ci salverà; il naturale può essere
sostituito dall’artificiale; la scienza può
misurare e controllare il mondo; il progresso si valuta con il Prodotto Interno
Lordo (PIL); la competizione è una virtù…
Dall’altra le narrazioni si soffermano sui
limiti biofisici alla crescita, e sulla necessità che l’etica orienti sia la politica,
sia l’impresa scientifica. Si sostiene che
noi dipendiamo totalmente dai sistemi
naturali, che il progresso si misura con
il grado di “sarvodaya”2 (il ben-essere
collettivo); che non si possono separare
equità ed ecologia, che la cooperazione
è indispensabile… La separazione tra
cultura umanistica e cultura scientifica
(che era, a suo tempo, frutto di una
discussione tutta interna al mondo
occidentale) è stata sostituita da una
frattura ben più profonda, e di dimensioni globali: quella tra due modi di vedere
il mondo, che si traducono anche in
modi di agire nel mondo.
dalle controversie ai
conflitti
Ai tempi di Snow le polemiche tra
umanisti e scienziati si risolvevano per
lo più in controversie accademiche. Sul
piano educativo i giovani, a seconda
dell’indirizzo scelto, approfondivano di
più le conoscenze artistico/letterarie
oppure quelle matematico/scientifiche.
Adesso non è più così: la dicotomia tra
modi di vedere il mondo si è trasferita
alla dicotomia su come agire nel mondo.
La “big science”, forte delle sue certezze
e della sua potenza, manipola e trasforma i sistemi naturali e, (riprendendo
l’idea di scienza neutrale e orientata al
benessere umano) sostiene che il domi2. Sarvodaya, il benessere di tutti, è un
termine introdotto da Gandhi in riferimento
a una società in cui tutti sono valorizzati
e vedono soddisfatti i bisogni primari. Il
termine e stato ripreso di recente anche dagli
economisti della “decrescita”, come Serge
Latouche (2012).
nio e il controllo della natura porteranno
crescita economica e benessere a tutta
l’umanità.
Ma sono sempre più numerosi gli
esempi di conflitti alimentati proprio
dalle applicazioni tecno-scientifiche
moderne: la rivoluzione verde e quella
blu, le coltivazioni destinate ai biocarburanti, il moltiplicarsi di grandi dighe,
enormi miniere, imponenti centrali per
la produzione di energia. A confrontarsi
“sul campo” ci sono da un lato gli scienziati esperti, consulenti delle grandi
imprese multinazionali, che esibiscono
i risultati dei loro esperimenti, frutto
di indagini super-specialistiche, con
cui orientano le scelte dei politici e
tranquillizzano i cittadini. Dall’altra ci
sono gruppi eterogenei: scienziati, ma
anche filosofi, sociologi, testimoni di
esperienze personali, voci di diverse
culture o prospettive spirituali, che
cercano di far sentire la loro voce e/o di
opporsi praticamente alla realizzazione
di attività il cui impatto ambientale può
essere imprevedibile e il cui bilancio
costi/benefici è molto asimmetrico.
uno sguardo sull’india
Una lunga esperienza di collaborazione
con una ONG Indiana, l’ASSEFA (Association For Sarva Seva Farms)3 mi ha
permesso di seguire gli eventi degli
ultimi 40 anni di “sviluppo” dell’India
da una prospettiva diversa da quella
proposta dai mass media. L’ASSEFA India si è sempre definita un “movimento”,
e si è posta al fianco di piccole comunità
rurali –le più povere ed emarginate
dell’India– sostenendole nell’intraprendere iniziative volte a promuovere uno
sviluppo caratterizzato dagli aspetti che
Gandhi considerava i più significativi per
un reale ben-essere per tutti (sarvodaya): le decisioni prese per consenso
(gramsabha), l’autosufficienza (swaraj),
la capacità di contare sulle proprie
forze (swadeshi), l’attenzione verso gli
ultimi (antyodaya), il dono del lavoro
(shramdan), l’educazione alla nonviolenza (ahimsha).
Mentre l’India, a partire dagli anni
‘80, si orientava sempre più a seguire
il modello occidentale dello “svilup3. Nota ai lettori di CRES perché anche Mani
Tese ha collaborato con questa Associazione
gandhiana finanziandone numerosi e
importanti progetti.
po”, l’approccio dell’ASSEFA risultava
davvero “alternativo” e –a detta di
molti– ormai superato. Che senso aveva
continuare a proporre il lavoro manuale, incoraggiare i contadini a restare
in campagna? A sviluppare –insieme
alle competenze tecniche– anche le
doti di compassione, di introspezione,
di ascolto, e incoraggiare il coinvolgimento di tutti i membri delle comunità
nei processi decisionali? Lo “sviluppo”
era ormai a portata di mano: sarebbe
arrivata la ricchezza per tutti. Eravamo
in pochi a sostenere, con ammirazione e
speranza, le attività dell’ASSEFA.
Mentre il PIL della “shining India”
continua a crescere, le piccole comunità
contadine che l’ASSEFA affianca nel loro
cammino di autosviluppo gandhiano
incontrano sempre maggiori difficoltà:
il costo dei generi di prima necessità
aumenta; attività industriali e cantieri
edili occupano e cementificano terreni
agricoli; i monsoni arrivano con minore
regolarità e intensità…
La situazione è drammatica in tutta
l’India. In termini di indicatori sociali
l’India è scesa molto in basso nella lista
dei Paesi dell’Asia del Sud, nonostante
le eccellenti prestazioni economiche. Le
disuguaglianze sociali si sono approfondite, tanto che addirittura l’India
registra una percentuale di bambini
sottopeso superiore a qualunque altro
Paese al mondo (Dreze & Sen, 2011).
Un recente studio di Singh et al
(2012) presenta le trasformazioni
dell’India negli ultimi decenni non solo
in termini di sviluppo economico, ma
anche di condizioni biofisiche (disponibilità delle risorse energetiche e
materiali). Abbracciando l’opzione della
crescita economica, alimentata in tutti i
campi dai progressi della tecnoscienza,
l’India ha perso in 40 anni la sua autonomia energetica e alimentare.
La soluzione prospettata dall’immaginario del dominio e del controllo è
quella di sostenere la crescita industriale alimentandola con nuove fonti di
energia. Più di 300 grandi dighe sono
in fase di progettazione o di costruzione nella sola regione himalayana (Qiu,
2012), con la previsione di sommergere
o danneggiare 1.700 km2 di foreste,
portare all’estinzione varie specie di vegetali e di pesci, costringere numerose
comunità ad abbandonare i loro campi.
In India sono in funzione 20 reattori
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Riferimenti bibliografici
Aikenhead G. & Michell H.
Eurocentric sciences (2011) In
“Bridging cultures. Indigenous
and scientific ways of knowing
nature”, Cap 4 (p.33-62).
Pearson Canada.
ASSEFA The moving wheel. Report
2011-2012.(assefaitalia.org/it/
pdf/ASSEFA-Report-2011-2012inglese.pdf)
Camino E. (2010). Una scienza
tante scienze? Percorsi formativi
interculturali verso scenari di
sostenibilità. Naturalmente 23
(4), 33-39.
Camino E. (2011). La prospettiva
gandhiana come contesto
unificante per la ‘sustainability
science’ e l’educazione alla
sostenibilità. Culture della
sostenibilità, IV (7), pag. 7-64.
Camino E., Calcagno C. Dogliotti
A. & Colucci-Gray L. (2008).
Discordie in gioco. Capire e
affrontare i problemi ambientali.
Ed. La Meridiana, Bari.
Camino E. (2013). North, South,
East and West. Let’s multiply
views, and converge on values.
Invited paper to the Special
Issue of Education in the North
“Space, Place and Pedagogy:
Local contexts in a Globalised
World”. Publication date:
January 2013. (www.abdn.
ac.uk/eitn/about/).
Camino E. e Colucci-Gray L. (2012).
Verso una scienza relazionale.
Dialoghi rispettosi tra saperi
e trasformazione nonviolenta
dei conflitti come “ingredienti”
di un’educazione scientifica
orientata alla sostenibilità.
Culture della sostenibilità anno
V (2) n. 10, pag. 56-74.
Camino E., Barbiero G., Cerutti A.
(2012). L’ecologia del pomodoro
globalizzato. Comunicazione
orale al XXII Convegno Società
Italiana Ecologia (Alessandria,
12 settembre).
Colucci-Gray L., Perazzone A.
Dodman M. & Camino E.
(2012). Science education for
sustainability, epistemological
reflections and educational
practices: from natural sciences
to trans-disciplinarily. Cult
Stud of Sci Educ. (Online Date:
2/21/2012).
Dreze J & Sen A. (2011). Putting
Growth In Its Place. Outlook
India 14 november.
Ellis R.J. (2010).Biochemistry:
Tackling unintelligent design
Nature 463, 164-165.
Folke, C., et al. (2011). Reconnecting
to the Biosphere. AMBIO, 00447447.
Funtowicz S. O. & Ravetz J. R. (1993).
Science for the post-normal age,
Futures 25:7, 739-755
Gallopın G. (2004). Sustainable
development: epistemological
challenges to science and
technology. Paper presented
at the workshop sustainable
development: Epistemological
challenges to science and
technology, Santiago de Chile.
Gandhi M. K. (1908). Hind Swaraj or
Indian Home Rule. Traduzione
italiana a cura del Centro
Gandhi (2010). Vi spiego i mali
della civiltà moderna. Collana
Quaderni Satyagraha.
Huntington, Samuel P. (1996). The
Clash of Civilizations and the
Remaking of World Order, New
York, Simon & Schuster.
Kumarappa J.C. (1945). Economy
of Permanence, Varanasi,
Sarva Seva Sangh Prakashan,
Traduzione italiana di testi di
Kumarappa (2012) in Economia
di condivisione. Come uscire
dalla crisi mondiale, Edizioni
Centro Gandhi, Pisa.
Latouche S. (2012). Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita, Torino,
Bollati Boringhieri.
Latour B. (2010) The neale wheeler
watson lecture may nature be
recomposed? A few questions of
cosmopolitics. www.brunolatour.fr/node/269
Liberatore, A., & Funtowicz, S.
(2003). Democratising expertise,
expertising democracy: What
does this mean, and why bother?
Science and Public Policy, 30,
146–150.
Qiu J. (2012). Flood of protest hits
Indian dams. Nature 492, 15–16,
6 Dicembre.
Ravetz, J. R.(2005). A No-Nonsense
Un gruppo di donne al lavoro nei campi,
in un progetto promosso da ASSEFA in
collaborazione con Mani Tese. (Foto di
Alessandro Brasile per Mani Tese).
Guide to Science. Oxford: New
Internationalist .
Raworth K.(2011). From planetary
ceilings to social floors: can we
live inside the doughnut? Blog
posted on policy-practice.oxfam.
org.uk/blog/2011/10/can-welive-inside-the-doughnut
Rockström, J., et al. (2009). A safe
operating space for humanity.
Nature, 461, 472-475.
Sachs W. (1992), Archeologia dello
sviluppo. Nord e Sud dopo il
crollo dell’Est. Macroedizioni.
Singh S. J. et al. (2012). India’s
biophysical economy, 1961–2008.
Sustainability in a national
and global context Ecological
Economics 76, 60–69.
Snow C.P. (1964). Le due culture.
Feltrinelli, Milano.
Stirling A. (2010). Keep it complex.
Nature, 468. pp. 1029-1031
Subhra Priyadarshini (2013). New
science policy seeks to put India
among world’s top five. Nature
India 3 gennaio.
The Royal Society (2009).
Geoengineering the Climate:
Science, Governance, and
Uncertainty, London.
http://royalsociety.org/
Geoengineering-the-climate/
Wildavsky A. (1987) Seaking truth to
power. Transaction Publishers
World Nuclear Association. (2012).
Nuclear Power in India.www.
world-nuclear.org/info/inf53.
html
31
32
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
GEYSER - Francesco Paleari
Liceo Scientifico ”Primo Levi”, San Donato Milanese (Mi)
nucleari, 7 sono in costruzione, e la lista
delle centrali progettate o proposte è di
una quarantina, nonostante il crescere
delle proteste da parte delle popolazioni
coinvolte.
Singh et al. (2012) concludono il
loro lavoro sulla situazione biofisica
dell’India affermando che se i flussi di
energia e materia che attraversano l’India attualmente continuano con questo
ritmo “le sfide che si pongono a livello
regionale, nazionale e globale sono
immense in termini di disponibilità di
risorse, di conflitti sociali, per pressioni
sugli ecosistemi e sull’uso delle terre,
sulle emissioni atmosferiche”.
Intanto la comunità scientifica
dell’India è impegnata a scalare la classifica della “lega delle principali superpotenze scientifiche del mondo” grazie
a una ambiziosa politica di sostegno
all’innovazione scientifica e tecnologica
(Subhra Priyadarshini, 2013).
L’immaginario della scienza postnormale si manifesta con le narrative
di molti studiosi e di molte componenti
della società civile. Gli studiosi cercano
di accrescere la consapevolezza dei
rischi che l’umanità sta correndo trasformando gli ecosistemi, riducendo la biodiversità, costruendo in aree a rischio
sismico (come è la regione sub-himalayana in cui dovrebbero sorgere le grandi
dighe), aumentando le disparità sociali.
Le altre narrative presenti in India sono
espresse attraverso le manifestazioni
di protesta contro i saccheggi di natura
compiuti nei confronti di popolazioni rurali e indigene. Mentre fanno notizia le
poche rivolte armate (i Naxaliti nascosti
nelle foreste Nord-Orientali dell’India)
i mass media tacciono delle migliaia di
manifestazioni non violente di protesta
di contadini, pastori, pescatori che da
sempre vivono grazie alle risorse naturali del loro territorio e che si vedono
espropriare in nome dello sviluppo. Un
Report dell’UNEP4 nel 2012 segnala che
i servizi degli ecosistemi e altri beni
esterni al mercato rappresentano tra il
47% e l’ 89% del “PIL” di questa componente della popolazione indiana.
Nel Report ASSEFA del 2010/2011
si legge: “attualmente l’ASSEFA fornisce
servizi alle organizzazioni di base (people based organizations) per realizzare
la propria missione, che è quella di dare
vita a comunità in grado di contare su
se stesse (self-reliant) con programmi
diversificati, volti ad conseguire ben-essere e sicurezza sociale ed economica”.
Le comunità rurali che, insieme all’ASSEFA, stanno seguendo un percorso di
sviluppo “sostenibile”, contano poco
più di un milione di famiglie: una goccia
nell’ oceano! Ma anch’esse sono portatrici di una narrativa che, nello scenario
della scienza post-normale, è legittimo
e merita attenzione. In effetti la strada
che Gandhi indicò più di cento anni fa
(1908) viene attualmente riscoperta,
così come le sue idee –all’inizio rifiutate– sulla natura e sul ruolo della scienza
(Camino, 2011).
4. Il Programma per l’Ambiente delle
Nazioni Unite
quali prospettive per una
educazione alla sostenibilità?
Alla dicotomia –tutta occidentale– tra
cultura umanistica e cultura scientifica
è subentrata una dicotomia di dimensioni planetarie, tra la prospettiva di un
mondo senza confini, dominato dalla
tecnologia, e quella di un mondo con
chiari limiti biofisici, in cui l’equità deve
fare i conti con l’ecologia. La formazione
scolastica e universitaria svolgono un
ruolo cruciale nell’orientare i giovani
verso l’uno o l’altro immaginario. Sia
nell’organizzare l’ambiente scolastico
(offrendo più o meno tecnologie, più o
meno dialogo e interazione sociale, più
o meno percorsi interdisciplinari, più o
meno uscite nella natura…), sia nell’incoraggiare o trascurare i momenti di riflessione su se stessi, sugli orientamenti
della società, sulle possibili alternative
all’esistente. Gli insegnanti influenzano
i loro studenti anche nel modo con cui
offrono le loro conoscenze, privilegiando gli elementi di contenuto disciplinare
da apprendere oppure richiamando
l’attenzione dei ragazzi sugli strumenti
concettuali e linguistici che ne stanno
a fondamento; isolando le conoscenze
dalle loro implicazioni pratiche o proponendole all’interno di contesti sociali.
Gli insegnanti di area scientifica, in
particolare, possono (anche implicitamente) presentare la scienza nel modo
più convenzionale-neutrale, oggettiva, avaloriale, orientata al bene dell’umanità
- oppure mettere in luce la dipendenza
della conoscenza scientifica dal sistema
di valori della cultura che la esprime
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Bioetica:
dibattito aperto
tra scienza e
società
di anna marta rollier, docente università degli studi di milano
(Ravetz, 2005), incoraggiando l’esplorazione di altre forme di conoscenza (per
es. quelle dei popoli indigeni: Aikenhead
& Michell, 2011; Camino, 2010, 2013).
Questo approccio offre un naturale
superamento della dicotomia tra cultura
umanista e cultura scientifica: ogni
forma di conoscenza offre un contributo prezioso, ed epistemologicamente
necessario.
Nel Gruppo di Ricerca5 con cui lavoro da molti anni abbiamo sperimentato
molte attività educative (Colucci-Gray
et al., 2012;), e documentato varie proposte ed esperienze: da brevi percorsi
(come l’ecologia del pomodoro globalizzato: Camino et al., 2012) ad attività
più complesse (come i giochi di ruolo:
Camino et al., 2008; Camino & ColucciGray, 2012). E ci sentiamo a nostro agio
nell’immaginario della scienza postnormale. Tutta la mia ricerca, inoltre, è
stata influenzata dalla conoscenza con
l’ASSEFA e dalla lettura dei testi di Gandhi (Camino, 2011) e dei suoi collaboratori, come Kumarappa (1945).
5. Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla
Sostenibilità (www.IRIS.unito.it)
le origini e le peculiarità
della bioetica
La nascita della bioetica si può far
risalire al 1970, dopo che nel precedente decennio alcune grandi innovazioni
(dialisi, primo contraccettivo orale,
trapianto di cuore, definizione di morte
cerebrale) introdotte dalla biomedicina
in prorompente sviluppo avevano dato
luogo a significativi progressi in ambito
sanitario e terapeutico e contemporaneamente messo in discussione limiti
considerati naturali e immutabili fino
a quel momento. Nello stesso anno
il biologo statunitense Van Rensselaer Potter utilizzava per la prima
volta il termine bioetica nel titolo di
un articolo “Bioethics, the science of
survival”. Con questo neologismo Potter
battezzava una nuova disciplina che
avrebbe dovuto fornire gli strumenti
e le garanzie per la sopravvivenza e il
benessere dell’uomo messi a rischio
dallo sviluppo tecnologico e scientifico
considerato un’autentica minaccia per
gli equilibri naturali. Potter pensava
dunque ad una nuova scienza di matrice biologica e di approccio globale al
problema del rapporto uomo-ambiente
e il suo messaggio, parzialmente modificato e affidato a due testi successivi
(Bioethics, bridge to the future e Global
Bioethics), fu accolto dagli addetti ai
lavori del settore dando luogo ad accesi
dibattiti su una serie sempre più ampia
e differenziata di questioni. A dimostrare il vivo interesse degli operatori
in ambito biomedico verso le nuove
tematiche e l’urgenza che essi avevano
di confrontarsi su quelle sta il fatto
che, a soli 8 anni dalla comparsa del
nuovo termine, già veniva pubblicata
negli Stati Uniti la prima Encyclopedia
of Bioethics, a cura di W. Reich, in cui si
affermava che “la bioetica è lo studio
sistematico della condotta umana nel
campo delle scienze della vita e della
cura della salute esaminata alla luce
dei valori morali e dei principi etici”:
al centro dell’attenzione della bioetica
in senso stretto stanno dunque tutte le
questioni etiche originate negli ultimi
decenni dai mutamenti che la rivoluzione biomedica ha provocato per quanto
riguarda il nascere, il curarsi e il morire
degli esseri umani.
Ma la bioetica, oggi, può essere
considerata una disciplina autonoma?
Benché essa sia un campo del
sapere di natura costitutivamente interdisciplinare, tuttavia come indicava
Scarpelli1 “la bioetica non può essere
caratterizzata quale disciplina autonoma né con riguardo all’oggetto né con
riguardo al metodo. Per l’oggetto, non
c’è atto relativo alla macchina (il corpo)
che non investa anche lo spettro nella
macchina (lo spirito): la stessa contrapposizione fra la macchina e lo spettro è
fallace e va abbandonata. Per il metodo
la bioetica essendo parte dell’etica ne
condivide il metodo o la mancanza
1. Uberto Scarpelli (1924-1993) filosofo
del diritto impegnato nella diffusione della
bioetica ai suoi albori in Italia, nonché
attivo sostenitore di una concezione laica e
pluralista della disciplina.
33
34
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
di metodo”. Non è dunque possibile
occuparsi di bioetica senza affrontare
le questioni che si pone l’etica, ma in
parallelo non ci si può esimere dal
considerare le altre competenze in
gioco, come la scienza medica, il diritto,
l’epistemologia, le scienze sociali, la
psicologia che continuamente si incontrano e si incrociano nel tessuto della
riflessione bioetica.
il corpo umano, campo di
applicazione della biomedicina
La ricerca biomedica e biotecnologica
che ha come campo di applicazione il
corpo umano interviene negli aspetti
più personali della vita degli individui,
mettendo contemporaneamente in gioco
sia il corpo sia l’identità di coloro che vi
fanno ricorso.
L’ambito individuale o collettivo in
cui devono essere prese le decisioni che
la riguardano è poco chiaro. Nelle contese su specifiche applicazioni biomediche
e biotecnologiche, il processo decisionale che porta alla loro regolamentazione si
accompagna, secondo vari autori, con un
più chiaro delinearsi del confine pubblico/privato, mettendo in atto quello che
viene definito un «processo di coproduzione tra norme sociali e sviluppo
scientifico»2. Se, da una parte, la scienza
è coinvolta nella definizione di parametri
normativi e istituzionali, dall’altra «il
diritto e la politica utilizzano e modificano le conoscenze scientifiche secondo le
proprie esigenze»3. Si stabilisce dunque
una stretta interazione in cui scienza
e istanze normative partecipano alla
reciproca definizione, modificandosi e
influenzandosi a vicenda con modalità
che sono di grande interesse per l’analisi
delle complicate dinamiche tra scienza e
2. M. Bucchi, F.Neresini (a cura di), Cellule e
cittadini. Biotecnologie nello spazio pubblico,
Milano, Sironi, 2006 e S. Jasanoff (ed. by),
States of knowledge. The Co-production of
Science and Social Order, London-New York,
Routledge, 2004.
3. S. Jasanoff , Fabbriche della natura. Biotecnologie e democrazia, Il Saggiatore, Milano 2008.
società proprie delle democrazie attuali4.
Le tecniche di fecondazione in vitro,
quelle di clonazione e i loro prodotti
(l’embrione umano, il clone e le cellule
staminali embrionali) sono un buon
esempio. Applicandosi al campo della
riproduzione umana, esse conferiscono
al processo di coproduzione tra norme
sociali e sviluppo scientifico una valenza
simbolica particolare, poiché pongono la
delicata questione delle radicali mutazioni culturali derivanti dalla trasformazione di riferimenti fondativi dell’individuo
quali l’essenza del generare umano, le
nozioni di identità e filiazione, di padre e
di madre, di vita e di morte.
“Poiché l’essere umano nella sua
dimensione corporea è il luogo privilegiato d’incontro degli sviluppi scientifici
e dell’evoluzione degli ordinamenti
giuridici”5, nell’ambito dei limiti che lo
spazio concesso ci pone, analizzeremo
alcuni risvolti etici della ricerca biomedica nell’intreccio tra nuove tecnologie
riproduttive, clonazione e ricerca sulle
cellule staminali6, focalizzando l’attenzione sul divenire dei corpi nella continua
crescita del controllo umano sui processi
biologici e sulle innumerevoli questioni
che esso solleva.
La nascita di Louise Brown, la
prima bambina concepita fuori dall’utero materno mediante fecondazione
4. Molto interessante come esempio di democrazia partecipativa e contributo al processo di
coproduzione è l’esperienza degli Stati Generali
della Bioetica, conclusasi in Francia alla fine di
giugno 2009. Per sei mesi centinaia di cittadini
raccolti in tre forum regionali hanno discusso
con modalità diverse –riunioni, week-end di
formazione– e fatto proposte su cinque temi:
la ricerca sulle cellule staminali embrionali,
i trapianti, i doni d’organo e di gameti, la
procreazione assistita, la medicina predittiva e
i test genetici. Le indicazioni dei cittadini sono
state raccolte in un documento, rese pubbliche
durante un convegno svoltosi alla fine di giugno
e dovranno costituire la base del prossimo progetto di legge di revisione delle leggi di bioetica
che verrà discosso dal Parlamento nel 2010.
5. A. Santosuosso , Diritto, scienza, nuove
tecnologie, Cedam, Milano 2011.
6. Cellule indifferenziate che si trovano in
svariati tessuti e organi del corpo umano e
che sono chiamate adulte (multipotenti) o
embrionali (pluripotenti) a seconda della
loro localizzazione nell’organismo
ALLIUM CEPA:
DALLO SCANNER AL MICROSCOPIO,
PASSANDO DALLA CAMERA OSCURA
Rosalba Fucci, Maria Minic’, Shai Rabà
Liceo Scientifico “Luigi Cremona”, Milano
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
IMMORTALANDO LA SCIENZA
Carlo Cattaneo
Liceo Scientifico “Giovanni
Battista Grassi”, Saronno (VA)
in vitro nel 1978, ha rappresentato uno
i tessuti danneggiati di individui malati.
spartiacque da almeno due punti di
La tecnica proposta a tale scopo detta
vista. Da una parte, per ciò che riguar“trasferimento nucleare somatico” o
da le sue ricadute sui singoli individui
“clonazione terapeutica”7 è simile a quella
utilizzata per la clonazione di Dolly e, pur
coinvolti e sulla società nel suo insieme,
non essendo ancora mai stata speriquesta tecnica –che ha reso possibile il
mentata sull’uomo, in molte nazioni del
superamento dell’infertilità umana– ha
modificato radicalmente lo scenario della mondo ha aperto la strada a una serie di
ricerche volte alla produzione di numeroprocreazione, dissociando un processo
si tipi di cellule differenziate suscettibili
biologico fino a quel momento ritenuto
di applicazione clinica, dando luogo a
inscindibile, moltiplicando le figure che
partecipano alla riproduzione (con l’effet- una nuova specializzazione medica, la
to di creare inedite relazioni tra individui medicina rigenerativa.
Sono passati solo 30 anni dalla
del tutto estranei gli uni agli altri e il
nascita di Louise Brown e la medicina
rischio di cancellare la centralità della
rigenerativa, sviluppatasi a partire dalla
donna e dell’uomo, cardini del progetto
procreativo) e sottoponendo le prime fasi medicina procreativa, è oggetto di importanti investimenti economici e di risorse
di sviluppo dell’embrione a una ferrea
umane alla ricerca di fonti alternative di
medicalizzazione.
cellule staminali che non implichino il
Dall’altra, sul versante della ricerca,
ricorso agli embrioni.
l’accesso all’embrione fuori dall’utero
In parallelo, numerosi interrogativi
materno ha aperto la strada alla scopersulla valenza simbolica e le ricadute
ta e all’isolamento delle prime cellule
sociali dell’intreccio tra generazione e
staminali embrionali umane e ha dato il
rigenerazione e su come considerare la
via a tutti i successivi sviluppi scientifici
medicina rigenerativa in relazione al
correlati. E’ infatti a partire da embriotema della finitezza della vita umana,
ni sovrannumerari prodotti mediante
stanno alimentando un ampio dibattito
fecondazione in vitro e donati per la
etico relativo alla natura dei confini
ricerca che l’équipe di James Thomson
proposti dalla nuova medicina.
dell’Università del Wisconsin, nel 1998,
Attualmente sono in corso ricerche
ha isolato e fatto crescere in laboratorio
sulla derivazione di gameti8 da cellule
le prime cellule staminali embrionali
umane, cellule indifferenziate in grado di staminali embrionali umane. Nell’ottobre
dar luogo a quasi tutti i tipi di tessuti, ma 2009 un gruppo di ricerca della Stanford
Medical School ha annunciato di aver otnon a un organismo intero.
tenuto cellule precursori di gameti umani
Dopo il successo di Thomson fu
capaci di svilupparsi in gameti maturi a
immediatamente chiaro il potenziale
partire da cellule staminali pluripotenti
terapeutico delle linee cellulari embrio(embrionali). Naturalmente, molti passi
nali umane per il trattamento, mediante
avanti in quest’ambito sono ancora neil loro trapianto, di numerose malattie
cessari e soprattutto, elemento dirimendegenerative inguaribili, come il morbo
te, va dimostrato se queste nuove cellule
di Parkinson, l’Alzheimer, il diabete,
possano dar luogo alla fecondazione e al
oppure per riparare le lesioni provocate
da infarti e da ictus. Contemporaneamen- susseguente sviluppo embrionale.
Qualora fosse confermata, questa
te si accesero anche le polemiche sulla
scoperta aprirebbe la strada all’impiego
liceità morale della ricerca sugli embriodi gameti così prodotti per permettere a
ni umani, uniche fonti possibili di cellule
staminali embrionali umane, destinati
a essere distrutti nel corso del prelievo
7. Clonazione terapeutica: utilizzo della
di tali cellule costituenti la loro massa
tecnica del trasferimento nucleare somatico
interna.
per generare un embrione geneticamente
Nel frattempo, nel Regno Unito, Ian
identico alla cellula donatrice del nucleo,
Wilmut era riuscito, dopo anni di tentatidal quale verranno prelevate le cellule
vi infruttuosi, a clonare il primo mammistaminali pluripotenti da far differenziare a
fero della storia (la pecora Dolly) e quefini terapeutici
sto successo aveva alimentato l’idea che
fosse possibile utilizzare la clonazione in 8. Gamete: cellula germinale matura,
maschile (spermatozoo) o femminile
campo umano per ottenere embrioni da
usare come fonti di cellule per rigenerare (ovocita)
35
36
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
individui infertili di procreare.
Dal punto di vista biomedico
l’utilizzo di gameti derivati da cellule
staminali pluripotenti presenterebbe due
vantaggi: da una parte si distinguerebbe
dalla clonazione riproduttiva9 (attualmente al bando in tutte le nazioni del
mondo) perché la progenie ottenuta nel
modo sopra descritto riceverebbe, come
nella riproduzione naturale, il contributo
genetico di entrambi i genitori, dall’altra
renderebbe possibile, per le coppie in
cui uno dei partner è sterile, di evitare il
ricorso a un/a estraneo/a, donatore/trice
di gameti.
Dal punto di vista etico e legale,
questa tecnica potrebbe dunque essere
considerata uno strumento terapeutico
per il trattamento dell’infertilità, anche
se, contemporaneamente, uno sviluppo
della ricerca in questa direzione ha suscitato un notevole allarme come dimostra
la pubblicazione di un articolo firmato
da prestigiosi scienziati e bioeticisti
americani e inglesi in cui viene sottolineato il valore scientifico e potenziale di
tale ricerca “sia per capire i fondamenti
della biologia dei gameti, che per la soluzione di problemi clinici” e si affronta
l’argomento della creazione di gameti
umani derivati da cellule staminali con
un’attenzione particolare per le possibili
implicazioni sociali e per la regolamentazione di queste ricerche con una lista
di raccomandazioni, la prima delle quali
afferma che i decisori politici devono
evitare di applicare misure restrittive
sulle ricerche scientifiche sulla sola base
di visioni morali divergenti.
Poiché questa è la riflessione nella
quale più mi riconosco, chiudo queste
pagine con uno stralcio del documento
redatto nel 2009 dalla Commissione
bioetica della Chiesa Valdese che delinea
alcune coordinate di fondo della riflessione riformata sulle questioni legate alla
biomedicina.
9. Clonazione riproduttiva: utilizzo della
tecnica del trasferimento nucleare somatico
per generare un embrione geneticamente
identico alla cellula donatrice del nucleo, che
verrà trasferito in utero al fine di sviluppare
un organismo intero.
Documento
“cellule staminali. aspetti scientifici e questioni
etiche”
conclusione
Dal punto di vista teologico, l’idea della dignità e del valore della vita umana si
fonda sulla convinzione che l’uomo sia stato creato a immagine e somiglianza di
Dio. É bene tuttavia evitare qualsiasi sostanzializzazione dell’imago Dei identificandola con un dato oggettivo o, peggio ancora, biologico: l’immagine divina,
piuttosto, è il termine di una relazione che l’uomo è chiamato incessabilmente ad
attuare e si realizzerà pienamente soltanto in un futuro di cui non disponiamo.
L’essere fatti a immagine e somiglianza di Dio non poggia primariamente su dati
empirici e sensibili (avere un corpo), ma trova espressione essenziale nella nostra
libertà, nella nostra responsabilità e nella nostra capacità di creare e trasmettere
cultura1. Per questo motivo, è tipica del protestantesimo la convinzione che i
problemi etici non si lascino risolvere attraverso un’argomentazione di stampo
puramente naturalistico o biologico, come in gran parte della bioetica cattolica,
soprattutto in Italia.
La scienza rappresenta un’espressione positiva della nostra libertà di esseri
umani, un modo di costruire, faticosamente, ma non inutilmente, la propria
storia, distaccandosi da un destino e da una determinazione puramente naturali.
Riteniamo pertanto che sia necessario rinunciare ad ogni atteggiamento pregiudizialmente difensivo e che sia preferibile guardare al progresso scientifico in
una prospettiva laica, in grado di coglierne, al contempo, i limiti e le potenzialità
emancipative.
Un’etica che voglia porsi responsabilmente di fronte alle questioni che coinvolgono l’embrione, in vista di orientamenti personali e di scelte collettive, deve
abbandonare la ricerca di una definizione ultima, per mezzo della quale imporre
un freno arbitrario alla ricerca, e tentare di disarticolare le questioni a livello delle
relazioni coinvolte. Ogni intervento su embrioni va collocato nel presente entro
cui avviene, va confrontato con le finalità che si propone, con le conseguenze che
esso avrà sul mondo umano e con gli interessi e i diritti delle persone coinvolte.
Non crediamo esista un principio assoluto, dal quale tutto dipenda, ma occorre
tener conto di criteri e valori diversi, a volte in conflitto tra loro. Di qui il rifiuto di
ogni generalizzazione, ma il tentativo sempre precario e sempre rinnovantesi, di
scegliere tra possibilità umane egualmente buone e talvolta alternative.
La sollecitudine verso i malati appartiene sin dalle origini all’essenza del cristianesimo. La salute non è la salvezza, e tuttavia non è cosa di nulla. A fronte di
questo, il rispetto dell’embrione, e l’idea kantiana secondo cui «l’umanità nella
nostra persona debba essere sacra per noi» e non possa (neanche da Dio, aggiunge Kant) essere ridotta a semplice mezzo2. Non crediamo che la blastocisti rientri
in questa definizione e non pensiamo di poter accordare a un insieme di cellule
(sia pure contenenti geni individuali umani), quel rispetto assoluto dell’umanità
della nostra persona di cui parla Kant.
Per questo motivo, siamo favorevoli alla possibilità che la ricerca si avvalga
di embrioni “sovrannumerari”, altrimenti destinati alla distruzione. Allo stato
attuale delle conoscenze scientifiche, riteniamo inoltre che sia doveroso non
vietare in maniera pregiudiziale vie di ricerca potenzialmente fruttuose e che sia
dunque necessario mantenere aperta la ricerca sulle cellule staminali embrionali
accanto a quella sulle cellule staminali adulte. Guardiamo con favore, pur con
la prudenza che è d’obbligo in ogni impresa umana, a nuove tecniche scientifiche,
come la clonazione terapeutica, che auspichiamo possano, in un futuro più o
meno lontano, alleviare la sofferenza di un gran numero di malati.
1. Cfr. U. Körtner, Starre Fronten überwinden. Eine Stellungnahme evangelischer
Ethiker zur Debatte um die Embryonenforschung, in R. Anselm, U. Körtner
(Herausgegeben von), Streittfall Biomedizin. Urteilsfindung in christlicher
Verantwortung, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2003.
2. I. Kant, Critica della ragion pratica, Roma-Bari, Laterza, I, 2, 2, § 5.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Metti una
sfera a cena
di Antonio Rodia, docente ISS “Rinascita-Livi”, Mi
AD 1884. Il reverendo e
pedagogo Edwin A. Abbott
scrive un libro divenuto
nel tempo un classico della
letteratura fantastica:
Flatland. A Romance of
Many Dimensions.
AD 2011. La professoressa AD 2011. Il professor
Paola Gorni (la mia
Antonio Rodia (autore di
collega di Italiano) mi
questo articolo) prende
regala per una lettura
una decisione: il progetto
estiva un piccolo libricino
di area scientifica per l’as
verde che riporta sulla
2011/2012 che coinvolgerà
copertina una litografia del la classe II C dell’ISS
1943 di Maurits Cornelis
“Rinascita-Livi” di Milano,
Escher (Rettili) ed uno
sarà legato a Flatlandia.
strano titolo: Flatlandia.
Racconto fantastico a più
dimensioni.
titolo del progetto:
“dimensionando”.
Edwin A. Abbott
Flatlandia. Racconto
fantastico a più dimensioni
collana gli Adelphi, Adelphi,
2003, pp. 166.
A centro copertina:
Maurits C. Escher
Rettili, 1943
Il progetto del primo quadrimestre per
le classi seconde, come previsto dalla
programmazione di Area Scientifica, è
legato da un filo rosso a Scienza Under
18, storica manifestazione cui Rinascita ha sempre contribuito apportando
il proprio know how, il cui obiettivo
principale è quello di sviluppare negli
alunni la capacità comunicativa in
ambito scientifico.
Durante il primo Consiglio di
classe, in fase di programmazione
delle attività didattiche, ho proposto
il progetto, sentita anche la collega
di Arte, professoressa Carla Zaffaroni,
poiché inizialmente pensavo di fare un
percorso Matematica/Arte e Immagine,
diventato, successivamente, parte del
Progetto Teatro nel secondo quadrimestre. Fondamentale è stata la reazione
entusiastica, per la proposta, da parte
di tutto il Consiglio, diventata da allora
“l’oggetto culturale” della II C per l’as
2011/2012. Questo mi ha spinto a
tenere al corrente settimanalmente i
colleghi, prima di ogni lezione, tramite
una mail sul piano della lezione da
svolgere il giorno successivo. Tale modalità di comunicazione è stata molto
apprezzata, poiché ha consentito loro
di ritornare su Flatlandia anche nelle
proprie ore curriculari.
Il progetto è partito dalla presen-
AD 2012. I professori
Giampaolo Crotta (Scienze
Motorie), Carla Zaffaroni
(Arte e Immagine), Claudia
Giella (Sostegno) e Lucia
Galuppo (Clarinetto),
mettono in scena nel
secondo quadrimestre
uno spettacolo teatrale
su Flatlandia, naturale
prosecuzione del progetto
di area scientifica.
tazione alla classe del libro di Edwin
A. Abbott, Flatlandia. considerato oltre
che un classico della letteratura fantastica anche una delle prime riflessioni
sulla quarta dimensione.
Il racconto appartiene al genere
fantastico e narra la vita di un abitante
di un ipotetico universo bidimensionale
(un quadrato) che entra in contatto con
un abitante di un universo tridimensionale (una sfera). Rappresenta uno dei
racconti più popolari tra gli studenti
di matematica e più in generale tra gli
studenti di facoltà scientifiche, perché
affronta in maniera originale il concetto
di un mondo a più dimensioni. Da un
punto di vista più squisitamente letterario il testo è famoso anche per essere
una satira della società vittoriana ed
una critica al riduzionismo positivista.
Ogni lezione è stata strutturata in
due parti: una prima parte dedicata alla
lettura di alcuni brani, scelti dal docente, su cui gli alunni sono stati invitati a
riflettere e a realizzare di volta in volta
un prodotto (testo scritto, foto, disegno,
etc.) ed una seconda parte in cui si
sono esaminati gli aspetti geometrico/
dimensionali emersi dai brani letti,
stimolando la riflessione e l’interesse
degli alunni anche attraverso la realizzazione di esperienze laboratoriali
specifiche sulle figure geometriche
(piane e solide) incontrate nella lettura
e, più in generale, mediante esperienze,
37
38
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
MOVIMENTI
STROBOSCOPICI
Sara Botta,
Ilaria Bianchi,
Marta Arena
Scuola Secondaria 1°
grado “Rinascita
- A. Livi”, Milano
scientifiche e non, che hanno coinvolto
anche altre materie scolastiche (Arte,
Scienze, Italiano, Inglese, Tecnologia,
Musica), sviluppando così numerosi
collegamenti interdisciplinari, riuscendo a collegare il mondo umanistico con
quello scientifico.
Per la progettazione di ciascuna
lezione, oltre al testo di Abbott, sono
stati utilizzati libri, saggi, film, siti internet, lavori realizzati a Rinascita negli
anni passati, etc. e sono stati prodotti
testi, immagini, disegni, power point,
cartelloni, modellini, etc.
Le modalità di lavoro e gli strumenti utilizzati sono stati molteplici,
ma punto fondamentale per il successo
delle lezioni è stato l’uso della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), di cui
sono dotate tutte le classi di Rinascita;
la LIM ha consentito di rendere coinvolgenti anche le lezioni frontali o la
lettura dei brani, spesso accompagnata
da sequenze di immagini.
Tra le modalità, giusto per citarne alcune, si può ricordare il brainstorming, i piccoli gruppi, il lavoro
individuale, la lettura “a passaggio di
testimone”, il lavoro in laboratorio, etc;
tra gli strumenti, power point, file audio,
file video, immagini, foto, testi, etc.
Rispetto alle idee del progetto
iniziale è stato talvolta necessario modificare in itinere le attività da proporre,
considerando le reazioni degli alunni e
gli interessi emersi, cercando di indirizzare le lezioni verso gli argomenti che
più incuriosivano la classe e su cui la
classe chiedeva approfondimenti.
rio Civico di Milano il 18 maggio 2012;
Il progetto, per la valutazione
ha avuto spazio nella giornata aperta
quadrimestrale, non ha previsto una
di fine anno scolastico in cui sono stati
verifica sommativa finale, ma una
presentati i molteplici lavori realizzati
serie di “verifiche” in corso d’opera,
dagli alunni durante il progetto.
considerando il materiale e l’uso degli
A conclusione dell’articolo tengo
strumenti, il rispetto dei tempi di lavoa ricordare che realizzare un progetto
ro, l’utilizzo di strategie per superare
è indubbiamente faticoso, ma vedere
le difficoltà, la modalità di lavoro in
i propri alunni stupirsi davanti alle
gruppo nonché il contributo apportato,
attività proposte (a volte anche le più
l’utilizzo di diversi linguaggi e degli
semplici) non ha prezzo! Il successo
strumenti comunicativi durante tutte le o meno di un progetto è, certamente,
fasi di lavoro previste dal progetto. Alla legato all’esperienza degli insegnanti.
fine del progetto, come previsto dalla
Nel mio caso è stato fondamentale il
scuola, ogni alunno ha effettuato la
progetto realizzato nell’as 2010/2011,
propria Autovalutazione.
“La Geometria in gioco”, insieme alla
Per gli alunni con DSA (Disturbi
collega di Tecnologia, professoressa
Specifici dell’Apprendimento) si è
Paola Bottari, sempre per la classe
tenuto conto di quanto previsto dal
seconda, in cui, grazie all’esperienza di
Protocollo dell’Area Scientifica in mericolleghi esperti, è stato possibile conto, cercando di favorire l’accrescimento dividere la progettazione e costruire la
dei punti di forza di ciascuno, prorealizzazione in classe.
muovendo le potenzialità e il successo
Questi progetti, inoltre, permettoformativo in ogni alunno unitamente ai
no al docente di sperimentare sul camdiversi stili di apprendimento garanten- po nuove tematiche e nuove modalità
do, così, all’alunno con DSA le condizio- di lavoro, stimolano l’aggiornamento su
ni più favorevoli per il raggiungimento
molti temi che non vengono affrontati
degli obiettivi previsti.
dai programmi scolastici e spingono
Il progetto, inoltre, è stato puna ricercare nuove modalità di lavoro e
tualmente documentato in wikischool,
di insegnamento, incrementando, così,
la piattaforma sperimentale su cui
le conoscenze relative alle tecnologie
lavorano tre scuole laboratorio in Italia: informatiche, sperimentando l’acquiRinascita-Livi a Milano, Scuola Città
sizione di competenze da parte degli
Pestalozzi a Firenze e Don Milani a Gealunni in ambiti diversi dal tradizionale
nova; i lavori prodotti durante il proget- contesto classe, condividendo (anche
to “Dimensionando” hanno partecipato
con colleghi di altre aree e di altre
come exibit alla XV edizione di SU18
materie) le proprie idee.
(Scienza Under 18) tenutasi all’Acqua-
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Fragili equilibri
…tra scienza e poesia
di Pietro Olla, divulgatore scientifico e clown didattico
La sala ampia, i bimbi seduti a terra,
fermi come pietre, guardano in silenzio,
la bocca aperta di stupore e meraviglia.
Gli sguardi si fermano su una goccia
d’acqua che impiega 7 secondi a presentarsi sull’angolo della vaschetta, aumentare di peso e... tac...! cadere al suolo...
il suono delle gocce d’acqua diventa
musica e le pause e i silenzi sono pieni
di significati, perché danno il tempo di
riflettere sulle poche parole del poeta:
ogni 7 secondi… una goccia d’acqua… ogni
7 secondi… una morte di sete nel nostro
ingiusto pianeta, scandisce lentamente l’autore delle opere. Quella goccia
d’acqua, raccontata ai bambini dallo
scultore-poeta Raffaello Ugo, è parte di
un progetto più ampio di educazione
all’arte e alla scienza. Fragili Equilibri è
una mostra interattiva di corpi in equilibrio. Un progetto didattico multidisciplinare che mira alla valorizzazione della
bellezza e dell’arte povera, al miglioramento della nostra vita, all’educazione
scientifica e al rispetto dell’ambiente e
del territorio che abitiamo.
L’iniziativa è di due associazioni,
“Le Strade di Macondo” e “Avvoltelinverso”, nate e operanti in Sardegna.
Viviamo in un’epoca in cui la crescita economica si misura ancora insieme
alla crescita industriale, quando ancora
troppo pochi mettono in discussione
l’idea di sviluppo senza limiti e di risorse
energetiche infinite. Dopo il boom
industriale, abbiamo la responsabilità di
gridare al mondo che non si può continuare così, che un altro mondo è possibile.
Ora ci ritroviamo a crescere i nostri
figli in un pericoloso stato di incertezza
sul futuro. Viviamo una Crisi Energetica, Economica, Democratica: picco del
petrolio, riscaldamento globale, cattiva
distribuzione delle risorse, difficoltà di
accesso all’acqua, guerre e terrorismo,
sono tutti aspetti di un’unica grande
crisi di sistema.
Ci sentiamo quindi in dovere di
agire, con azione politica diretta, nella
società civile, in movimenti o partiti, ma
soprattutto nel quotidiano lavoro di responsabilità sociale, didattica, educativa.
Un po’ per scelta, un po’ per vocazione non siamo parte della classe
dirigente del paese, e non abbiamo in
mano le chiavi delle grandi decisioni. Ci
sentiamo però pronti sul piano educativo, per promuovere buone pratiche
quotidiane, offrire a bambini e bambine,
a ragazze e ragazzi, informazioni e strumenti per migliorare la comprensione
dei problemi globali e quindi aiutarli
a fare scelte consapevoli e importanti
per la loro vita: dalle cose più semplici
e immediate come limitare i consumi
energetici, chiudere l’acqua mentre ci
si lava i denti, spegnere le luci inutili,
usare molto la bici e poco l’auto, fino alle
più impegnative scelte familiari, lavatrici
più ecologiche, consumo consapevole,
riciclo e riutilizzo di materiali poveri ed
ecocompatibili, per rispettare l’equilibrio sociale, ecologico ed economico del
Pianeta Terra.
Sappiamo però che per cambiare bisogna conoscere e per conoscere capire.
Progetti come questo di divulgazione e educazione scientifica aiutano
a stimolare e promuovere la curiosità
verso le leggi della natura, anche fuori
dall’ambito scolastico e accademico, e
ad evidenziare le intersezioni e le interazioni fra i saperi. Nel difficile percorso
di costruzione di un mondo migliore, più
sano e più giusto non basta la comunicazione scientifica e l’educazione al
sapere, occorre sperimentare e inventare
buone pratiche educative necessarie alla
formazione delle nuove generazioni.
Ma prima ancora di quella economica ed energetica, ci interessa la crisi dei
principi democratici, nel senso che i diritti stessi (compreso quello all’istruzione e a una vita dignitosa) si vanno svuotando, per il prevalere del dio mercato
e dei tagli alla cultura e alle politiche
sociali. Con conseguenze drammatiche
nell’offerta educativa in genere e nel pro-
cesso di insegnamento/apprendimento
delle capacitá logicomatematiche, che
riguardano tutti i saperi. Siamo convinti
che la matematica rivesta un ruolo chiave: “serva e regina di tutte le scienze”, la
definisce Christiane Rousseau, vicepresidente dell’International Mathematical
Union (IMU), nell’introdurre il progetto
Mathematics of Planet Earth (MPE2013),
che promuove il 2013 come anno della
matematica del Pianeta Terra1:
In questa prospettiva Fragili equilibri è un contenitore che –intersecando
saperi, linguaggi e competenze diverse–
consente di sperimentare nuove e originali forme di utilizzo di “tale potente
strumento”: dai laboratori interattivi alla
visite guidate, dal teatro agli spettacoli
di circo e clown, ai giochi auto-costruiti
per risvegliare la manualità anche lontani dallo schermo dello smartphone. Con
F.E. si affrontano problemi in maniera
giocosa e divertente su concetti come
equilibrio stabile e instabile, statico e
dinamico, il baricentro la forza di gravità,
la conservazione di energia e molti altri
aspetti della meccanica classica, ma
anche molte metafore e messaggi diretti
sugli equilibri sociali ed energetici del
Pianeta Terra.
Gli exhibit-giocattoli sono allo
stesso tempo oggetto e strumento di
conoscenza ma anche di elaborazione
personale e collettiva: una mostra interattiva è soprattutto un’ occasione per
ricevere gli stimoli adatti ad elaborare
autonomamente un proprio contributo.
Il percorso si presenta come un
viaggio ricco di stimoli ed esperienze.
1. “Si tratta di usare con intelligenza e
coscienza tale potente strumento, al fine di
dare quanto prima risposte concrete agli
interrogativi fondamentali che è ora più
che mai importante e necessario porsi sul
pianeta Terra, con particolare attenzione
alle problematiche connesse alla sua stessa
salvaguardia, dunque al nostro stesso futuro”.
Mathematics of Planet Earth – mpe2013.org/
39
40
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
Dopo una breve presentazione poetica e
interattiva, si entra negli abissi della Sala Nautilus, in un percorso che segue la
spirale della conchiglia di questo affascinante e schivo personaggio del mare. I
suoni sono quelli prodotti dal movimento di curiosi personaggi, piante abissali
che richiamano anche nei movimenti la
lenta e maestosa danza del mare. Vere
opere d’arte costruite con materiali
poveri, sfruttano l’energia elastica e
gravitazionale che sembrano raccontare
esse stesse l’equilibrio dell’ambiente e
l’ingiustizia sociale.
Al termine dell’esplorazione sottomarina emotiva e poetica, si prosegue il
viaggio sulla isola di Galileo. Si sbarca
sulla terra ferma, piedi ben piantati al
suolo e concretezza scientifica. Exhibitgiocattoli ed esperienze dirette come
trottole, sedie girevoli e automobiline
a elastico, offrono ai visitatori, giovani
e meno giovani, occasioni divertenti ed
educative di giocare con il principio di
conservazione dell’energia: piani inclinati palline in accelerazioni di gravità,
attriti e cadute libere.
Dopo aver giocato tra i colori e la
musica con gli oggetti in equilibrio, si
entra nella Sala Icaro dove si intraprende un personale viaggio attraverso il
movimento del proprio corpo: l’equilibrio qui non viene mostrato né raccontato, bensì offerto alla esperienza diretta.
È questa una sala/palestra; il suolo
coperto di materassini e tappeti, musica
di sottofondo e un animatore equilibrista che prova esercizi “impossibili” e interagisce con i visitatori, dando consigli
e proponendo un approccio artistico e
insieme scientifico alle sperimentazioni
dirette.
L’intero percorso rappresenta il nostro desiderio di riproporre una serie di
situazioni A-Didattiche, un contesto cioè
di netta discontinuità con le tecniche
proprie dell’apprendimento scolastico
istituzionalizzato2.
Secondo Brousseau “per apprendere
l’alunno A deve accettare di rompere la
2. Cfr. la Teoria delle Situazioni di Brousseau,
che propone la distinzione fra: S. Didattica:
le circostanze favoriscono l’apprendimento.
S. Non Didattica: tutte le normali esperienze
di vita. S. A-Didattica: contesto costruito
dall’insegnante in modo che l’Alunno
entri in contatto diretto con il Sapere,
apprendimento inconsapevole e senza filtri.
relazione didattica con l’insegnante I ed
parrucca a riccioli rossi e verdi, scarpe
entrare in relazione diretta con il sapere S.” giganti e clava in mano, sempre sorriFragili Equilibri è pensata proprio
dente e con la voce stridula. Il clown
per offrire momenti di autoapprendimen- didattico che si propone come guida e
to: i visitatori vengono lasciati a diretto
conduttore dei laboratori, è vestito di
contatto con le opere d’arte della Sala
nero, non ha il naso rosso, non è trucNautilus, come con le trottole, le sedie
cato; ha però competenze specifiche di
girevoli e giochi vari, mentre osservano
teatro, ascolto attivo, gestione nonvioe promuovono il movimento del proprio
lenta dei gruppi4.
Anche quest’anno nell’aprile 2013
corpo. L’abilità di cui andiamo fieri è
Fragili Equilibri, per la terza volta, ospil’arte di scomparire.
terà migliaia di ragazzi di tutte le età, ofA guidare i giochi sono insegnantifrirà centinaia di visite guidate e decine
attori, clown didattici, sempre presenti
di laboratori, spettacoli ed eventi diversi,
ma con l’obiettivo di raccontare storie,
grazie ad un meticoloso lavoro di prooffrire stimoli, diventando invisibili
gettazione, ricerca e cura delle relazioni
all’occorrenza.
Tutto questo grazie al carattere pret- con numerosi soggetti: ragazze e ragazzi,
cittadine e cittadini di tutte le età, soci
tamente interattivo dell’intero progetto.
e collaboratori, istituzioni e finanziatori,
Un’ Interattività intellettuale, per lo
scambio continuo domande/ risposte e il sponsor e … chiunque vorrà; ma attiverà
anche preziose collaborazioni didattiche,
dialogo tra le parti in gioco; un’ Interatscientifiche e artistiche. Ringraziamo di
tivitá fisica, nell’esperienza diretta con
cuore tutte e tutti. Concludiamo con un
oggetti e giocattoli didattici; un’Interatappello a lettori e lettrici: continuiamo a
tivitá emotiva, nello scambio reciproco
sintonizzarci su come cambia il mondo,
delle parti fra emozionarsi e suscitare
quali le necessità di comunicazione
emozioni, ridere e sorprendersi3.
Il personaggio che meglio crea una
culturale e quali gli spazi di intervento
situazione interattiva e di ascolto attivo
didattico ed educativo. Il cambiamento
è il clown didattico:
che ci piace ha bisogno di consapevolezNon il classico “pagliaccetto” con
za e partecipazione.
3. A proposito dell’ascolto attivo: le emozioni
parlano un linguaggio non verbale, analogico;
ci danno informazioni non su cosa vediamo ma
su come guardiamo. M.N. Sclavi, 2003, Arte di
ascoltare e mondi possibili, Bruno Mondadori,
Milano, pag. 35.
Buona Scienza a tutti e tutte.
4. “Per divenire esperto nell’arte di ascoltare
devi adottare una metodologia umoristica. Ma
quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo
viene da sé” Sclavi, 2003, cit. pag. 63
Un’installazione
dello scultore
Raffaello Ugo,
esposta nella mostra
Fragili equilibri.
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
2009
Per puro caso
Matematica, stupore
e poesia
Alberto Oliverio Dedalo, Bari, (romanzo)
Un’accanita gara internazionale tra
neuroscienziati e biologi molecolari
ha come traguardo il potenziamento del cervello umano. Invano un
celebre e vecchio filosofo, mette
in guardia gli scienziati contro i
rischi di un tale programma. Fra gli
entusiasmi dei mass media la corsa
verso il “supergene”continua senza
esclusione di colpi. Un thriller scritto
con lo stile di un conte philosophique
da un uomo di scienza.
2011
Perché leggere i classici.
Interpretazione e
scrittura
giuseppe cambiano Il Mulino, Bologna
Per quali ragioni schiere di autori
si sono occupati di interpretare,
confutare o rafforzare i classici? Che
senso ha oggi occuparsi di testi di un
passato culturalmente e cronologicamente anche molto lontano? L’autore
individua proprio nella loro “alterità”
culturale il contributo più efficace che
essi sono tuttora in grado di fornire
in termini di ricchezza e libertà della
conoscenza.
italo calvino
2012
Discorso sulla
matematica. Una
rilettura delle “Lezioni
americane” di Italo
Calvino
gabriele lolli Bollati Boringhieri,
Torino
Lolli scopre che le Lezioni americane possono essere lette come una
parabola della matematica e che gli
argomenti in esse trattati (Leggerezza,
Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità) sono proprietà essenziali
del pensiero matematico creativo.
Libro di grande fascino, nel quale,
seguendo l’esposizione di Calvino, il
ragionamento matematico si rivela
molteplice, paradossale, capace di
mostrare insospettate analogie con la
creazione letteraria.
2010
Convergenze. Gli
strumenti letterari e le
altre discipline
La coscienza e il romanzo
remo ceserani Bruno Mondadori,
Milano
La letteratura può offrire un tipo di
conoscenza essenziale e complementare (non opposta) a quella scientifica; essa offre a noi lettori un tipo di
consapevolezza che è di fondamentale importanza per la comprensione
delle nostre umane vicende. “Arte
e scienza sono vie complementari
all’indagine sul mistero dell’esistenza
e del nostro posto nell’universo.”
Si parla ogni giorno di fine del
romanzo, di perdita di centralità delle
discipline umanistiche. Per contro, gli
storici usano sempre più spesso i testi
letterari come fonti, i filosofi espongono le loro idee in forma narrativa o
aforistica; gli scienziati fanno ricorso
a metafore mutuate dalla poesia.
Insomma, i linguaggi e gli strumenti
di analisi tipici della letteratura non
muoiono, ma piuttosto si trasformano, e migrano verso altre discipline.
David Lodge Bompiani, Milano
Bruno D’Amore
La matematica, lungi dall’essere
disciplina fredda e austera, è
invece fonte culturale di riflessioni
profonde, proprio come la poesia,
le arti, le lettere. Con contributi
di Piergiorgio Odifreddi, Michele
Emmer e Gabriele Lolli, questo libro
racconta di una disciplina che troppo
spesso è percepita fine a se stessa.
2008
Il quark e il neurone
Le rivoluzioni
scientifiche
Thomas S. Kuhn il Mulino, Bologna
Il racconto brillante e a tratti ironico di
una osservatrice curiosa, che assiste ad
un dibattito sull’unità della conoscenza;
ne discutono fisici, matematici,filosofi,
teologi, psicanalisti , poeti. Di recente
sono proprio le discipline più rigorose a
essere diventate le più poetiche e immaginative, elaborando teorie fantasiose,
come quella dell’universo-champagne,
che sembrano tratte da un romanzo di
fantascienza.
In questo breve saggio, destinato ai
non specialisti l’autore sostiene che
il cammino della scienza verso la
verità non procede per gradi, ma è
soggetto periodicamente a rivoluzioni
che comportano un mutamento del
paradigma di riferimento. Tre gli
esempi: il passaggio dalla concezione
aristotelica del moto a quella newtoniana; il passaggio dalla teoria delle
forze di contatto a quella chimica per
spiegare la pila di Volta; il passaggio
dalla derivazione di Planck della
legge sulla radiazione di corpo nero a
quella comunemente adottata oggi.
Proust era un
neuroscienziato
Idea di natura. 13
scienziati a confronto
La scienza non è l’unica strada per la
conoscenza. Prendendo spunto dall’opera di diversi artisti (da Walt Whitman
a Proust a Igor Stravinsky, dallo chef
George Escoffier a Cézanne) Lehrer
mostra, in una vera e propria sintesi tra
cultura umanistica e cultura scientifica,
il modo in cui ciascuno di essi abbia
intuito e scoperto una verità essenziale
sulla nostra mente, prima che la scienza
la riscoprisse e la analizzasse. Un
punto di vista diverso, in grado di offrire
spunti e occasioni di riflessione tanto al
critico letterario quanto allo scienziato.
Che cos’è oggi la natura? Per la prima
volta un gruppo di scienziati (Bartocci, Boncinelli, Boschi, Bignami, Canuto, Giorello, Moroni, Musu, Navarra,
Parisi, Pellicani, Regge, Rossi) si
confronta sui fondamenti dell’Idea di
Natura in base alle conoscenze scientifiche del nostro tempo. Un libro che
potrà contribuire a fare chiarezza su
un argomento che divide movimenti
e mondo politico e fornire ai decisori
uno strumento di valutazione su più
solide basi scientifiche.
Elisa Brune - Edizioni
Dedalo, Bari
Jonah Lehrer - Codice
Edizioni, Torino
Elio Cadelo (a cura di)
prefazione di Corrado
Clini - Marsilio, Venezia
41
42
Cultura scientifica e cultura umanistica – dossier
L’assedio del presente.
Sulla rivoluzione
culturale in corso
Claudio Giunta
Il Mulino, Bologna
La rivoluzione culturale in corso
è quella che ha fatto dei media il
principale veicolo della istruzione, al
posto della famiglia e della scuola.
Non è detto che questo sia un male,
il problema è che questo modello
culturale non sta semplicemente a
fianco dei modelli tradizionali ma
tende a sostituirli in toto. La sconcertante mancanza di senso storico
che si nota nei giovani non è forse la
giusta reazione di difesa alla massa
di sempre nuovi prodotti culturali che
li assedia?
Molte nature.
Saggio sull’evoluzione
culturale
Enrico Bellone Raffaello Cortina, Milano
Le opere umane come l’Ulisse di Joyce, gli esperimenti di Galileo sui piani
inclinati, i dipinti di Cézanne dedicati
al Mont Sainte-Victoire, la teoria di
Dirac sull’elettrone o la filosofia di
Quine sono rappresentazioni culturali di aspetti di diversi della natura. La
cultura è una e la sua evoluzione fa
parte dell’evoluzione della specie.
2007
I classici e la scienza.
Gli antichi, i moderni,
noi
Ivano Dionigi (a cura
di) - BUR, Milano
Perché nell’era del web e della
massima comunicazione la scienza e
le humanae litterae non dialogano tra
loro, ma si contrappongono ancora
come “due culture” estranee e rivali?
Per rispondere a questi interrogativi,
studiosi della scienza si confrontano
con umanisti: interventi di Balzani,
Bellone ,Boncinelli, Cacciari, Cavalli
Sforza, Giorello, Odifreddi, Redi,
Rossi e altri.
2006
2004
Il supermarket di
Prometeo. La scienza
nell’era dell’economia
della conoscenza
Hans Magnus
Enzensberger Einaudi, Torino
Gli elisir della scienza
Marcello Cini Codice Edizioni, Torino
Che cosa sta succedendo nel XXI
secolo? Si sta caratterizzando sempre
più come l’epoca in cui, grazie agli
strumenti forniti da scienza e tecnologia, la produzione e la distribuzione di
beni materiali viene progressivamente
sostituita dalla produzione e dalla
distribuzione di un bene collettivo e
non tangibile: la conoscenza, sia essa
l’ultima frontiera della ricerca piuttosto
che l’intrattenimento di massa. Tutto
questo in nome di una presunta democratizzazione del sapere, che però
risponde ed è soggetta unicamente alle
leggi del mercato imposte da un’economia capitalistica sempre più globale e
invasiva. Cini getta uno sguardo lucido
e disincantato sul futuro che ci attende.
Testo corposo di 484 pagine.
2005
Penna, pennello e
bacchetta. Le tre
invidie del matematico
Piergiorgio
Odifreddi - Laterza
“Il matematico impertinente” fa vedere
il rapporto della matematica con la
letteratura, la pittura e la musica e
dimostra che “scienza e arte, cioè le
rispettive punte di diamante delle due
culture, sono visioni complementari
e non contraddittorie del mondo, sia
esterno che interno.”
Le due culture
Charles P. Snow
a cura di Alessandro
Lanni - Marsilio, Venezia
La contrapposizione tra cultura
scientifica e cultura umanistica. Testo
aggiornato alla luce dei cambiamenti
di prospettiva del nostro tempo con
interventi di Giulio Giorello, Giuseppe
O. Longo, Piergiorgio Odifreddi.
Il mago dei numeri
H. M. Enzensberger Einaudi ET, Torino
Il mago dei numeri è il professore di
matematica che tutti avremmo voluto
avere; simpatico, magico, giocherellone, sempre pronto a sfidarci senza
che ce ne accorgiamo. Enzensberger
dimostra di essere un ottimo divulgatore. Questo libro è consigliato a chi
ha da sempre «paura della matematica». Ci vuole un professore in grado
di appassionare gli studenti, capace
di mostrare quanto la matematica
sia radicata nella vita di tutti i giorni.
Indirizzato a un pubblico giovane,
può comunque risultare illuminante
anche a chi di matematica se ne
intende seriamente.
Contare e raccontare.
Dialogo sulle due
culture
Carlo Bernardini,
Tullio De Mauro Economica Laterza.
Roma-Bari
Scritto a quattro mani da un linguista
e un fisico è un libro ricco di spunti
e argomentazioni su cui ragionare.
Tantissime le questioni affrontate:
serve a qualcosa il latino? I numeri
sono più belli delle parole? Come
rendere piacevoli le formule matematiche e rigorose le proposizioni discorsive? Non è vero che abbiamo troppo
umanesimo e quindi poca scienza,
risponde De Mauro a Bernardini, ma
abbiamo invece poco dell’uno e poco
dell’altra, “non soffriamo di un deficit
di scienze naturali, ma di un eccesso
di pressappochismo”.
Raccoglie una serie di poesie e saggi
su temi che coprono l’intero arco delle
discipline scientifiche, ma la sua
simpatia si rivolge in particolare alla
matematica, che per i suoi rigorosi
costrutti concettuali e per la ricchezza inesauribile delle sue metafore,
sembra incarnare nella maniera
più perfetta l’ideale poetico della
scienza. Alle figure dei grandi pionieri
matematici - Leibniz, Gödel, Hardy,
von Neumann, Turing - debitamente
smitizzati, sono dedicati alcuni
ritratti esemplari che più rimangono
impressi nella memoria del lettore.
L’evoluzione della
cultura
Luca Cavalli Sforza Codice Edizioni, Torino
Evoluzione delle culture ed evoluzione biologica a confronto: analogie e
differenze. Il grande genetista allarga
lo sguardo oltre i meccanismi genetici,
per meglio orientare “i nostri modi di
concepire le differenze culturali, la
presunta esistenza di razze umane, le
culture nazionali e le loro relazioni”.
2002
Pensieri, pensieri
David Lodge - Bompiani,
Milano (romanzo)
Ralph Messenger, scienziato cognitivo, e Helen Reed, docente di scrittura
creativa, si incontrano e dibattono
dei loro rispettivi punti di vista sulla
coscienza - e nello stesso tempo
cominciano a provare una certa
attrazione...
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
2000
E ora? La dimensione
umana e le sfide della
scienza
Edoardo Boncinelli,
Umberto Galimberti,
Giovanni M. Pace Einaudi, Torino
In un’epoca in cui la cultura scientifica e quella umanistica non possono
permettersi di non avere un dialogo,
si affrontano in un’appassionante
discussione un filosofo attento ai
percorsi della scienza e un biologo
sensibile alle questioni filosofiche. La
forma del dialogo offre il vantaggio
della chiarezza e della leggibilità,
anche quando gli argomenti si fanno
complessi: le biotecnologie, il futuro
energetico, la procreazione assistita;
e ancora l’irrazionalità di un mondo
pur dominato dalla tecnologia, la
difficoltà di emergere come individuo
nella società globale.
1998
I cinque di Cambridge
John L. Casti - Cortina,
Milano
Volete provare l’emozione di un tè
con Ludwig Wittgenstein, filosofo del
linguaggio, di una torta di mele con
Alan Turing, padre dell’intelligenza
artificiale, di uno sherry con Erwin
Schrodinger, fisico e biologo? Un
incontro immaginario, a cena da
Snow, con cinque tra i più brillanti
pensatori del ventesimo secolo, che
hanno profondamente cambiato la
nostra visione della scienza, dell’etica,
della politica e ai quali dobbiamo
alcune delle più formidabili risposte
a domande come “che cosa significa
parlare, pensare, vivere?”.
SITOGRAFIA
www.youtube.com/profile?annotation_id=annotation_771710&feature=
iv&src_vid=EnNG-bFYw6E&user=raieducational
Filmati di RAI Educational su You tube divisi per:RAI Storia Rai Scuola (arte, Ecologia,
Scienze...) RAI Filosofia RAI Letteratura RAI Arte RAI Economia
www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata
/ContentItem-54a15b8f-7a72-44c6-aba4-590cfc997c25.html
Radio3 Scienza è il quotidiano scientifico della terza rete. Interviste, dibattiti,
approfondimenti e reportage sui temi dell’attualità dal mondo della scienza. Ma anche lo
sguardo della scienza sul mondo.
www.arcoiris.tv/modules.php?name=Search&testo=
dialoghi+dalle+due+culture&tipo=testo
Incontri tenutisi alla Casa della Cultura di Milano: scienziati e umanisti,per affrontare
e discutere assieme grandi questioni quali Verità, Libertà, Incertezza, Memoria. 4 video
scaricabili
www.festivalscienza.it/site/home.html
Festival della scienza di Genova, punto di riferimento per la divulgazione della scienza. È
un’occasione di incontro per ricercatori, appassionati, scuole e famiglie. Uno dei più grandi
eventi di diffusione della cultura scientifica a livello internazionale.
www.festivaletteratura.it
Festival della letteratura di Mantova, cinque giorni di incontri con autori, reading,
spettacoli, concerti con artisti provenienti da tutto il mondo. Festivaletteratura è oggi uno
degli appuntamenti culturali più attesi
www.scienceanddemocracy.it
L’obiettivo: promuovere, codificare, realizzare la partecipazione attiva della società ai
processi decisionali legati all’innovazione scientifica e tecnologica, sia nelle finalità
che negli strumenti. Temi affrontati: Etica, Politica, economia, scientismo, tecnologia,
partecipazione, casi di studio.
www.fragiliequilibri.it/
Mostra interattiva tra piacere estetico e curiosità scientifica, per evidenziare le intersezioni
e interazioni fra saperi.
Per una visione “narrativa” degli intrecci tra
umanesimo e scienze, natura e tecnica si
vedano gli articoli di Shara Ponti e Stefano
Locati da pag.46
43
44
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
PAROLE,
MUSICHE,
IMMAGINI
Ripensare la letteratura e l’identità.
La narrativa italiana di Gabriella
Ghermandi e Jarmila Očkayovà
a cura di anna di sapio
Silvia Camilotti
Collana Studi interdisciplinari su Traduzione, Lingue e Culture
Bononia University Press, Bologna, 2012
Nel 2009 la Letteratura della migrazione ha festeggiato i venti anni, ne abbiamo
parlato su Strumenti dove abbiamo spesso
presentato opere di questi nuovi scrittori e
scrittrici, allargando lo sguardo anche ad altri
paesi europei in cui il fenomeno migratorio
risale molto più indietro nel tempo1. La critica
accademica, così come le grandi case editrici,
non hanno saputo cogliere subito la grande
novità, molti contributi –scrive Camilotti–
sono venuti da formatori e insegnanti attivi
nelle scuole e nelle associazioni, che hanno
intuito la potenzialità didattico-educative di
molti testi. Ben venga quindi un saggio come
questo di Silvia Camilotti che da tempo si
occupa di queste scritture2.
Nella prima parte «Per una rinnovata
1. V. i Dossier: Letteratura della migrazione in
Italia. Riviste on line, “Strumenti” N.42/2006;
Europa/Europe. Riflessioni e spunti didattici
per una lettura delle nuove realtà europee,
“Strumenti” N. 44/2006; La scuola incontra gli
scrittori migranti. Percorsi didattici, linguaggi
e confronti, “Strumenti” N. 49/2008.
2. Ha curato i volumi Lingue e letterature
in movimento. Scrittrici emergenti nel
panorama letterario italiano contemporaneo.
(2008); Roba da donne. Emancipazione e
scrittura nei percorsi di autrici del mondo
(2009); coautrice con Stefano Zangrando
di Letteratura e migrazione in Italia. Studi e
dialoghi (2010).
coscienza del sé e della sua storia» l’Autrice
ripercorre in modo ampio e articolato i processi che hanno plasmato e modificato nel
tempo la coscienza dell’identità nazionale.
«Ciascun soggetto –scrive– si colloca tra più
appartenenze, anche tra loro contraddittorie,
e lo stesso si dica per le società, che nascono
dallo scambio e che sopravvivono in virtù di
esso»; argomento da tempo presente nel dibattito intellettuale internazionale (Bauman,
Said, Maalouf, Todorov, Glissant, Aime...)
mentre nel contesto italiano sembra persistere una «martellante retorica che tende a congelare i caratteri dell’ “identità”», una retorica
della paura e del sospetto che crea barriere,
ostacola la conoscenza, rivela l’incapacità di
immaginare una realtà complessa. (pp.20;9)
Dopo aver individuato i presupposti
teorici della sua ricerca Camilotti affronta il
rapporto tra identità e letteratura nazionale
sottolineando la grande importanza assunta
dal canone letterario nel definire e rafforzare
l’identità culturale di una nazione. Nel corso
della storia la letteratura è servita a plasmare
la rappresentazione del paese, è il caso, ad
esempio, di Cuore e Le avventure di Pinocchio,
che all’indomani della nascita dello stato
unitario hanno contribuito alla creazione
di una rappresentazione collettiva, quindi
al rafforzamento dell’idea di identità e del
carattere nazionale.
«Le avventure, a prescindere dall’impostazione fiabesca, presentano sullo sfondo
un paese in trasformazione, umile ma
sulla strada del progresso, dove il percorso
di un singolo alla ricerca di se stesso è
metafora dell’intera collettività. (…) Ciò che
appare unanimemente assodato è che un
testo come Le avventure di Pinocchio ha
contribuito a rappresentare e forgiare l’idea
di italiano medio» (p. 47)
La letteratura quindi offriva un repertorio di immagini che rafforzavano la nozione
di identità nazionale anche se –va detto– nello stesso periodo storico comparivano opere
che mettevano in luce alcuni vizi nazionali
allo scopo di contribuire a un loro superamento, ma che finivano invece per naturalizzarli. (p. 40).
In seguito questa funzione rappresentativa della letteratura si è indebolita anche
a causa della scissione che è venuta a crearsi
tra cultura e società, alle spinte centrifughe e
localistiche che sono andate aumentando in
un’Italia diventata nel frattempo sempre più
multiculturale. In questa Italia, trasformatasi
da terra di emigrazione in terra di immigrazione, negli ultimi vent’anni è emerso un
fenomeno nuovo, quello della scrittura di
donne e uomini provenienti da tutti i continenti. Una scrittura che sembra restituire alla
letteratura italiana, dominata da un esasperato solipsismo, «quella funzione rappresentativa della società oggi a rischio di paralisi».
Un fenomeno difficilmente etichettabile,
infatti sono diverse le definizioni trovate:
Letteratura della migrazione, Letteratura na-
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
scente, Scritture letterarie, Scrittori italofoni,
Scritture migranti. C’è chi pensa che non si
possa continuare a considerarlo un fenomeno parallelo alla letteratura italiana, ma che
vada inserito a pieno titolo in essa. Anche tra
gli stessi protagonisti c’è chi, come Laila Wadia, Christana de Caldas Brito, Tahar Lamri,
in varie occasioni hanno sottolineato i limiti
di queste categorizzazioni (p. 58) e il rischio
di una chiave di lettura «etnica». Oggi inoltre
sono approdati al mercato editoriale alcuni
autori, figli di immigrati, nati o cresciuti in
Italia e per i quali l’italiano è la lingua madre,
che senso avrebbe continuare a definirli
scrittori migranti?
Altro errore da evitare è quello di leggere
questi testi solo in chiave sociologica, un
approccio giustificabile all’inizio del fenomeno, all’apparire delle prime opere scritte
da migranti, oggi si pone invece il problema
della letterarietà, del valore letterario di
questi testi: «l’aver vissuto un’esperienza di
migrazione non conferisce automaticamente
la patente di scrittore: c’era chi, in origine, ha
scritto della propria esperienza ed in virtù
di ciò è stato preso in considerazione dalla
critica, ma in vent’anni la situazione si è
molto evoluta emancipandosi dalle griglie
tematiche del viaggio e formali dell’autobiografia.» (p. 53)
Le opere di queste scrittrici e scrittori –scrive Camilotti concludendo la prima
parte– esprimono le trasformazioni che le
migrazioni hanno operato in Italia da una
ventina d’anni a questa parte, mettendo in
crisi una rappresentazione rigida del concetto
di identità e riannodando il rapporto tra letteratura e società, tra narrazione e identità. «La
letteratura diviene il campo privilegiato per
sviluppare una presa di coscienza di sé e della
realtà circostante, sia per le autrici che per i
lettori». (p. 69) Vanno in questa direzione
Jarmila Očkayovà e Gabriella Ghermandi che
rileggono Le avventure di Pinocchio e Tempo
di uccidere, due testi della tradizione italiana,
riscrivendoli, togliendo e aggiungendo significati nuovi.
Così la letteratura che in un dato periodo storico è servita a definire e rafforzare
l’idea di identità della nazione, ora può
servire ad una decostruzione di questa stessa
identità. Očkayovà e Ghermandi rivedono la
tradizione ma collocandosi al suo interno, la
trasformano e nello stesso tempo acquisiscono una nuova consapevolezza di sé come
soggetti attivi, si riappropriano «della propria
voce all’interno di una tradizione che non
aveva previsto spazi per essa». (p. 71)
Alle opere di queste due autrici sono
dedicate la seconda e la terza parte del saggio:
Pinocchio re-visited e Tempo di sanare.
Occhio a Pinocchio è l’opera più recente
di Jarmila Očkayovà che ha al suo attivo
tre romanzi (Verrà la vita e avrà i tuoi occhi;
L’essenziale è invisibile agli occhi; Requiem
per tre padri), la traduzione in italiano del
repertorio di fiabe slovacche (Il re del tempo
e altre fiabe), un libro per ragazzi (Appuntamento nel bosco). In tutta la produzione di
questa autrice –sottolinea Camilotti– forte
è l’attenzione e il rispetto della natura che in
Occhio a Pinocchio diventa «protagonista e
interlocutrice del burattino, luogo da cui egli
origina ma anche fonte di contrasti, incarnati
dai maestri del bosco, ognuno con il nome di
un albero.» (p. 79) La riflessione sulla lingua
è l’altro elemento che ricorre in tutte le sue
opere e nasce dal bisogno di parole «vere,
piene, dense, toccanti» di fronte a una realtà
in cui esse sono svuotate di significato, prive
di autenticità3.
Occhio a Pinocchio riscrive la storia del
celebre burattino di Collodi alla luce di alcune
caratteristiche della questione identitaria, la
ricerca di sé e di relazione con l’altro, questioni che animano il dibattito pubblico e che
sono ben presenti nella coscienza collettiva.
Pur non discostandosi dal racconto tradizionale Očkayovà offre una versione alternativa
della storia, introducendo anche personaggi
nuovi come i maestri del bosco «che vogliono
nascondere le loro debolezze, mascherandole
con la logica e la razionalità» (p. 97); hanno
una visione egocentrica del mondo, incapaci
di ascoltare le ragioni degli altri, temono
tutto ciò che non riescono a capire e che non
rientra nelle loro categorie. Occhio di pino è
un figlio del bosco che desidera entrare a far
parte del mondo degli uomini, ma si ribella
ai canoni, a una visione predeterminata del
mondo e del linguaggio, per questo finisce per
essere rifiutato da entrambi. Anche lui alla
fine riuscirà a diventare uomo, ma a differenza del Pinocchio collodiano (per il quale la
trasformazione arriva come ricompensa per
le fatiche affrontate) l’epilogo non include né
redenzione, né salvezza e il prezzo da pagare
per diventare umano è molto più alto. (p. 114)
«L’operazione letteraria di Očkayovà –
conclude Camilotti– non solo rielabora un
classico, ma offre un’immagine di identità
articolata, che resiste alle categorizzazioni
nonostante i tentativi più o meno violenti di
soppressione e silenzio. Dietro la maschera
3. V. Dossier Parole, parole, parole... Restituire
senso e dignità alle parole, “Strumenti” N.
57/2011
Jarmila Ockayovà
Occhio a Pinocchio
C. Iannone editore, 2006, pp. 190.
della fantasia, la scrittrice descrive anche
una fase della storia italiana dell’oggi, in
cui tante voci marginalizzate chiedono
ascolto, rispetto e riconoscimento. (…) La
storia del Pinocchio re-vised, riattualizzando un classico scritto in un momento
cruciale quale quello della fondazione
dello stato nazionale, lo rende significativo
alla luce del nuovo contesto in cui prende
forma, dove le migrazioni ricoprono un
ruolo decisivo e il dibattito intorno ai temi
dell’identità e dell’appartenenza è più che
mai vivace.». (pp. 121-2)4
Gabriella Ghermandi, scrittrice italoetiope, si confronta con un altro classico
italiano, Tempo di uccidere di Ennio Flaiano,
offrendoci una riflessione critica sulla nostra
storia e su alcuni miti duri a morire come
quello di un colonialismo italiano diverso e
migliore degli altri che lo hanno preceduto.
Regina di fiori e di perle, così come le opere
di altre scrittrici provenienti dalle ex colonie
italiane5, ci invita a ripensare il periodo
coloniale, un periodo della storia nazionale,
4. Per un’analisi compara dei due testi
v. anche G. Bocchinfuso, Sulle tracce di
Pinocchio. Un percorso di analisi comparata,
“Strumenti” N. 49/2008
5. Igiaba Scego, Cristina Ali Farah, Ribka
Sibhatu, Shirin Ramzanali Fazel.
45
46
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
a cura di shara ponti
troppo presto rimosso, offrendoci il punto di
vista del colonizzato. L’immaginario coloniale
costruitosi nel tempo grazie anche a letteratura, cinema, arte e fotografia, oggi influenza
la relazione con i migranti, riemergono quindi nella mentalità i dispositivi del razzismo
coloniale.
Con Tempo di uccidere Flaiano prende le
distanze dalla retorica fascista che inneggia
alle imprese coloniali, ma è un’Africa statica,
immobile quella che emerge dal racconto,
e gli africani scorrono sullo sfondo come
pedine vuote, prive di umanità. Più incisivo
risulta il suo scetticismo nei confronti della
guerra coloniale nelle pagine del diario, che
Flaiano tiene durante la guerra in Etiopia, o
nelle interviste, ma sostanzialmente la sua
visione sugli africani resta nella scia dell’immaginario coloniale.
Il racconto di Ghermandi si presenta
come un controdiscorso «che riconsegna
il ruolo di soggetto a persone e popoli resi
per decenni oggetti dalle rappresentazioni
culturali e dalla retorica coloniale». (p. 131)
La scrittrice ci mostra una realtà africana
complessa, dinamica, articolata, e la descrizione dei personaggi italiani non è affatto
manichea, ma piena di sfumature. E non ci
sono rivendicazioni, ma l’invito agli italiani a
«ripensare se stessi in rapporto a una troppo
edulcorata memoria coloniale.», (p. 158) il
desiderio di ricostruire la vicenda coloniale
affinché diventi «occasione di una presa di
coscienza e di incontro», perché oggi è il
tempo di sanare quella ferita ancora aperta, il
tempo di riconoscere che quella storia è una
storia comune.
Tempo di uccidere e Regina di fiori e
di perle cercano entrambi di far luce su un
momento storico comune a italiani e etiopi,
ma mentre il racconto di Flaiano si chiude
con la sensazione di sconfitta, di disillusione,
il racconto di Ghermandi si apre alla speranza di un incontro, di «una relazione più
consapevole alla luce di un passato condiviso
e priva di quelle diffidenze che minano la realizzazione di un rapporto davvero paritario».
(p. 161)
Le opere di Očkayovà e Ghermandi,
frutto anche dei processi migratori che caratterizzano il nostro tempo, ci dicono molto
sulla nostra società e anticipano quella che
sarà la letteratura (e la società) del futuro.
Il paese
delle maree
Amitav Ghosh
Neri Pozza, 2005
(The Hungry Tide, 2004,
traduzione dall’inglese di
Anna Nadotti)
Amitav Ghosh, antropologo,
storico, sociologo, romanziere
e linguista poliglotta, indiano,
nato a Calcutta e docente negli
USA, ama documentarsi lungamente prima di ambientare un
nuovo romanzo: studi scientifici
e storici sono sempre l’accurata
base di preparazione dei suoi testi e costituiscono per lui la parte
più affascinante e stimolante.
Questi dati scientifici o eventi
storici reali, accanto a situazioni
inventate, si intrecciano a narrazioni sottaciute sia collettive
che individuali, che risultano la
parte pulsante, il cuore del racconto. Ma il narrare storie non è
tanto in funzione di dare voce a
chi voce non ha, dato che Ghosh
non è un attivista politico. Attraverso situazioni e personaggi, lo
scrittore vuole restituire la complessità del mondo in cui vive/
viviamo. Esplora le connessioni
e relazioni palesi o tacite tra la
persona e le persone, tra la Storia e le proprie storie, rintraccia e
ricompone tasselli scomparsi di
un mosaico che vuol dar conto
del contraddittorio reale. In
una lettura non univoca. In una
conclusione aperta. Infatti in
una intervista sottolinea:
Non mi interessano le tematiche
intimiste, domestiche, che si sono
ritirate dal territorio che un tempo
apparteneva al romanzo. Balzac
e Melville non avevano esitazioni
a scrivere dei sistemi finanziari o
del mondo naturale. I miei interessi, allo stesso modo, spaziano.1
Il paese delle maree è la
storia di un luogo, le isole Sundarban –il paese delle maree del
titolo–, e di tre personaggi non
autoctoni le cui vite si intrecciano e finiscono per essere influenzate dal posto in cui gli eventi li
portano a vivere. Temi salienti
del romanzo possono brevemente riassumersi nella questione
ecologica (Piya), la dignità degli
esseri umani di qualsiasi livello
culturale (Nirmal, Nilima), il
rispetto delle scelte di vita compiute, dietro le quali c’è sempre
una storia. E la necessità di un
traduttore che le interpreti, le
traduca sulla pagina (Kanai).
Il paese delle maree ha un
suo ritmo particolare che sembra
richiamare il flusso dell’acqua
durante le maree nell’echeggiante alternarsi delle vicende di Piya,
di Kanai e di Nirmal e riesce a far
dialogare escursioni temporali,
viaggi e conoscenza con la poesia, l’economia, l’antropologia, la
biologia, la storia.
La trama di per sé è
abbastanza semplice. Siamo nel
2000 circa. Piya, una biologa
marina di Seattle ma di origini
1. Intervista di Lara Crinò, la
Repubblica, 11/06/2005
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
indiane, arriva a Calcutta e sul
treno per le isole Sundarban,
dove intende portare avanti le
ricerche sul delfino gangetico,
si imbatte in Kanai, interprete
poliglotta e imprenditore di
Delhi, diretto a Lusibari (la più
lontana delle isole abitate dei
Sundarban) per i diari che lo zio
Nirmal, intellettuale e marxista
morto nel 1979, gli ha lasciato
e che sono stati recentemente
ritrovati. Piya, dopo una disavventura quasi fatale, é salvata
da Fokir, taciturno pescatore di
granchi ed esperto conoscitore
dell’arcipelago, il suo mondo.
Non hanno una lingua comune
ma comunicano intendendosi
alla perfezione, tanto che lui la
saprà guidare nei luoghi che lei
cerca per le rilevazioni scientifiche. Di ritorno a Lusibari, Piya
è ospitata con Kanai dalla zia di
lui, Nilima. Quando si reimbarca
per proseguire le ricerche, Kanai
decide di seguirla per farle da
interprete. Mentre Fokir è con
Piya per i rilevamenti scientifici,
un ciclone devastante li investe.
Piya sopravvivrà grazie alle
conoscenze di Fokir, che per
proteggerla perirà. Diario dello
zio e appunti scientifici andranno persi, inghiottiti dalle acque.
Dopo una breve assenza, Kanai
annuncia il ritorno a Lusibari e
l’intento di trasferirsi a Calcutta
per lavorare alla pubblicazione
delle memorie dello zio. Piya,
dopo un intervallo da parenti a
Calcutta, pure ritorna nell’isola
con finanziamenti sufficienti per
la moglie di Fokir e l’istruzione
del figlio e fondi ricevuti da
associazioni ambientaliste per
proseguire i propri rilievi scientifici. Ma da scienziata attenta e
sensibile, alla luce degli eventi
appena conclusi, aggiunge:
Non voglio fare quel tipo di lavoro che fa ricadere i costi della conservazione ambientale
su chi meno li può sopportare.
Se devo avviare un progetto
qui, voglio che sia sotto l’egida
del Badabon Trust e che si
svolga in collaborazione con i
pescatori della zona.
Le dolorose vicende del
passato recente e remoto (la
morte di Fokir, ma anche l’eccidio degli occupanti di Morichjapi2) e la rielaborazione della
loro esperienza (cioè la follia
di disgiungere ideali sociali o
acquisizioni scientifiche dall’impatto di questi su vita quotidiana
e persone) hanno illuminato la
sua decisione.
La scienza avulsa dalla
vita e dalla ricaduta su di essa è
un assurdo: le/gli scienziati/e
come soggetti osservanti, l’oggetto in osservazione e il contesto nel quale questo esiste sono
strettamente interrelati ed è in
questa inter-relazione vivente
che le scoperte scientifiche debbono essere interrogate e trovare
esistenza, senso e operatività.
E se è vero che lo stupore è alla
base della poesia, della filosofia
e ma anche delle scienze, e ci
spinge a porci delle domande, ad
ascoltare i nostri perché, è altrettanto vero che tutti gli ambiti del
sapere muovono verso la comprensione, se non lo svelamento,
di quel nucleo indicibile, a volte
indecifrabile, che sta al cuore
della vita.
Co-protagonista di questo
2. Gli avvenimenti principali
sull’isola di Morichjhapi,
sono eventi storici, anche se
scarsamente conosciuti, si
potrebbe dire rimossi dalla
coscienza storica indiana. Sir
Daniel Hamilton propose la
colonizzazione di quest’area
acquistandola dal governo
britannico all’inizio del ‘900,
così come è ben raccontato nel
romanzo. Chi si insediava nei
Sundarban otteneva da Hamilton
del terreno, a patto di rinunciare
alla propria casta ed ai privilegi
connessi. Il nobile scozzese
voleva dar vita ad un movimento
cooperativo che fosse di
esempio all’intero subcontinente.
Un coraggioso esperimento
comunitario di sapore utopistico
finito in tragedia.
testo non è tanto un personaggio, na personaggi che si capiscono
ma piuttosto un luogo: i Sundar- pur parlando idiomi diversi, o
ban, la più vasta foresta lagunare pur senza proferir verbo. E che
sanno parlare anche a chi abita
del pianeta, arcipelago di isole
in città, a chi legge:
sul delta di due fiumi, il Gange
Da quel momento in poi
e il Brahmaputra, al confine
ogni cosa mi apparve nuova,
tra il Bengala occidentale e il
inaspettata, piena di sorprese…
Bangladesh.
mi resi conto che un paesaggio
Il paesaggio non è mai
non è molto diverso da un
uguale, cambia continuamente
libro… Si apre un libro in base
forma e aspetto secondo le
al gusto, all’educazione, ai
maree e le stagioni ed è talricordi, ai desideri: per un
mente unico che l’UNESCO ha
geologo si apre a una certa
dichiarato quest’area patrimonio
pagina, per un pescatore ad
dell’umanità. Anche perché qui
un’altra e un’altra ancora per il
vivono numerose specie di anicapitano di una nave, e ancomali selvatici in via di estinzione,
ra un’altra per un pittore… Per
tra cui la celebre tigre reale del
me uomo di città, la giungla
Bengala…. e il delfino gangetico,
del paese delle maree era uno
ed entrambi hanno una parte
spazio vuoto, un luogo in cui
importante nel romanzo.
il tempo si era fermato, ma in
In questo romanzo
quel momento mi resi conto
l’ambientazione è unica perché
che mi sbagliavo, che era vero
la sua fluidità e mutevolezza
esattamente il contrario…
continua possono simboleggiare
l’intero universo:
Per Amitav Ghosh, scrittore
Le isole sono fili che restano
che sa ricreare la complessità di
del tessuto dell’India, la
ambientazioni piene di fascino,
frangia sbrindellata del suo
la bellezza dei Sundarbar più
sari… sono ciò che i fiumi
restituiscono, le offerte con cui che nel paesaggio è, a-romanticamente, nel difficile rapporto
essi rendono alla terra ciò che
che gli uomini hanno avuto con
le hanno tolto… i confini tra
questo fin dai primi insediamenterra e acqua sono in costante
ti all’inizio del ‘900. La bellezza
mutamento, costantemente
non si limita a una contemplaimprevedibili…Non ci sono
zione distaccata e meramente
confini che dividano l’acqua
estetica, ma implica la comprendolce da quella salata, i fiumi
sione dei nessi sfaccettati e unici
dal mare. Le maree ricoprono
la terra per trecento chilometri tra natura e umano. La bellezza
e ogni giorno migliaia di acri di è fatta di relazioni. E le relazioni
sono più importanti delle cose
foresta scompaiono sott’acin sé. Lo scrittore sottolinea
qua per riemergere poche ore
l’amore della complessità, ma
dopo…. A volte l’acqua stacca
anche i limiti della conoscenza
interi promontori e penisole,
astratta. Esattamente come per
altre volte fa emergere argini e
Rainer Maria Rilke, le cui Elegie
lingue di terra che prima non
duinesi costituiscono un interc’erano.
testo dialogante di riferimento e
Nel paese delle maree non
c’è soluzione di continuità tra ciò riflessione sia per Nirmal sia per
che è umano e ciò che è naturale il nipote Kanai.
o animale, tra il linguaggio della
Il paese delle maree non
natura e quello degli uomini, tra
vuole dar voce o sovrapporsi
mare e acqua dolce, tra terra e
al punto di vista dei locali, dei
acqua, tra passato e presente.
“subalterni”, rispettosamente
Inoltre, la morfologia di un
lasciati al proprio silenzio. Sia
luogo dà inevitabilmente forma
Piya che Kanai che Nirmal non
al linguaggio che la descrive. E
vogliono conoscere i nativi né far
Amitav Ghosh sa mettere in sce-
47
48
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
PICCOLA BIBLIOGRAFIA
NARRATIVA
̚̚Il cerchio della ragione (The
Circle of Reason, 1986) –
Garzanti, 1986.
̚̚Le linee d’ombra (The Shadow
Lines, 1988) – Einaudi, 1990.
̚̚Il cromosoma Calcutta (The
Calcutta Chromosome, 1995)
– Einaudi, 1996.
̚̚Il palazzo degli specchi (The
Glass Palace, 2000) –Einaudi, 2001.
̚̚Il paese delle maree (The
Hungry Tide, 2005) – Neri
Pozza, 2005.
̚̚Mare di papaveri (Sea of
Poppies, 2008) – Neri Pozza,
2008 (primo di una trilogia).
̚̚Il fiume dell’oppio (River of
Smoke, 2011) – Neri Pozza,
2011 (secondo della trilogia).
SAGGISTICA
̚̚Lo schiavo del manoscritto
(In an Antique Land, 1992) –
Einaudi, 1993.
̚̚Estremi orienti: due reportage
(Dancing in Cambodia e At
Large in Burma, 1998) – Einaudi, 1998.
̚̚Circostanze incendiarie:
cronaca del mondo che viene
(Incendiary Circumstances:
a Chronicle of the Turmoil
of Our Times, 2006) – Neri
Pozza, 2006.
proprio il loro punto di vista, ma
imparare da essi, condividere
qualcosa con loro. Il nativo non
è l’oggetto dello studio né della
conoscenza vuoi dei protagonisti
o del narratore, ma soggetto autonomo solo in parte conosciuto
e conoscibile. E questo atteggiamento si distanzia assolutamente da scrittori coloniali precedenti come Kipling o Conrad per
esempio.
L’estraneità ambientale dei
tre personaggi principali li rende
sensibili alla differenza, non
intesa come esotismo o orientalismo come direbbe Edward
Said, e fa loro comprendere
la relatività della loro cultura.
Anche se talvolta sono vittime
di un complesso di superiorità
culturale e intellettuale, sanno
infine vedere la cultura dell’altro
e il proprio limite: Piya è affetta
da una certa ripugnanza per il
cibo, gli insetti, il fango ma deciderà di trovare fondi e proseguire
a Lusibari le sue osservazioni
scientifiche; Nirmal da buon materialista disprezza le credenze
e quel che giudica superstizioni
locali, ma alla fine troverà linfa
e senso della vita condividendo
gli eventi con gli abitanti di Morichjapi, insieme ai quali conclude
la sua avventura terrena; in Kanai è chiara la differenza tra chi
è cittadino e chi non lo è, tanto
che pensava di esser scevro di
pregiudizi nei confronti degli
isolani, ma solo dopo l’esperienza nella giungla li supererà
e lui, imprenditore tronfio dei
suoi guadagni e della posizione
sociale raggiunta, deciderà di
dedicarsi alla pubblicazione del
diario di riflessioni, di poesia e di
stupore dello zio Nirmal.
Sebbene tutti e tre siano di
origine cittadina, nessuno alla
fin fine è estraneo ai Sundarban:
Kanai ha trascorso un periodo
a Lusibari da piccolo con gli
zii; Nirmal ha lasciato Calcutta
facendo il preside per oltre
trent’anni a Lusibari insieme alla
moglie Nilima, che con senso
pratico vi ha fondato una ONG
di donne il cui fiore all’occhiello
è l’ospedale; Piya è americana
ma di origine bengalese, e pur
avendo rimosso la lingua genitoriale ha una affinità che le viene
dalla sua passione per la fauna
acquatica.
Nessuno dei personaggi ha
la chiave di volta o si fa interprete unico degli eventi. Ciascuno
risulta portatore di una specifica
modalità conoscitiva, che è la
conoscenza scientifica nel caso
di Piya, linguistica nel caso di
Kanai, politica e poetica per Nirmal, che filtra la sua narrazione e
lettura attraverso Marx e Rilke.
Dice di lui il nipote Kanai:
Nirmal… adorava Rainer
Maria Rilke, il grande poeta
tedesco, la cui opera era
stata tradotta in bengali da
uno dei nostri maggiori poeti,
Buddhaveda Basu. Rilke diceva: “la vita nostra trascorre
in trasformazione” e io sono
convinto che Nirmal avesse
assorbito quell’idea come la
stoffa assorbe l’inchiostro…
Per lui significava che c’è una
connessione tra tutte le cose
che esistono: gli alberi, il cielo,
il clima, le persone, la poesia,
la scienza, la natura. Scovava
i fatti come le gazze raccolgono gli oggetti che luccicano.
Eppure quando li legava
tutti insieme, in qualche modo
diventavano delle storie… un
certo tipo di storie… nel 1970
mi urlò: “Un posto è come uno
se lo immagina!”
E nell’intellettuale marxista
un po’ si delinea Amitav Ghosh
se in una intervista lui stesso
afferma:
Luoghi e persone devono
inventare nuovi modi di comprensione reciproca. Io stesso mi
sento un traduttore. Parlo bengali,
inglese, hindi, arabo, francese
e ognuna di queste lingue crea
differenti immagini della realtà e
ha effetti sulla mia scrittura.3
Sarà sicuramente per
questo che sa infondere una
straordinaria energia narrativa
3. Intervista di Lara Crinò. Cit.
in linguaggi diversissimi, dal
discorso scientifico ed ecologista
di Piya a quello poetico non solo
di Rilke ma anche di Bon Bibi,
la creatura leggendaria della
tradizione islamica che viene
invocata dagli abitanti induisti
dell’arcipelago come divinità
protettrice contro la minaccia
incombente delle tigri. Anche
in questo lembo di terra ostica
e lontana dai centri decisionali,
gli echi della storia nazionale si
son fatti sentire riverberando gli
effetti delle Partizione e della
coesistenza plurisecolare tra
musulmani e induisti, piuttosto
che gli effetti del colonialismo e
dei grandi scontri ideologici del
Novecento, tra comunismo e
nazionalismo indiano.
Ma al giorno d’oggi non
è più possibile circoscrivere i
conflitti ad alcune zone, come la
storia recente ci insegna, poichè
questi si ripercuotono a catena,
come onde, sulle zone limitrofe
e non solo. La globalizzazione
abbiamo imparato che è anche
questo e, con Amitav Ghosh si
può dire:
Conosciamo il mondo solo in
modo frammentario, e quello che
mi interessa è esplorarne le interconnessioni. La letteratura per
molto tempo è stata, come dire,
«monolingue», legata a un’unica
circostanza. Quello che facciamo
ora è esplorare il mondo di domani, in cui sarà sempre più comune
trovarsi a contatto con diverse
situazioni, in cui la situazione
«monolingue» non esisterà più.
Per questo, penso che il vero tema
del Paese delle maree sia proprio
questa necessità di «traduzione».4
E chi meglio di lui può
tradurci questi vasti orizzonti
in modo non frammentato, lui
grande curioso e viaggiatore
instancabile che forse proprio
per abitare più di un paese, e
di ognuno voler imparare la
lingua e assorbirne la cultura,
per questo suo ‘spaesamento’ ha
imparato e ci invita a stare ‘tra’.
4. Intervista di Maria Teresa
Carbone, il manifesto
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Hayao Miyazaki:
il delicato equilibrio
tra natura e téchne
di stefano locati, giornalista e critico cinematografico*
*Vice-direttore dell’Asian Film Festival di Reggio Emilia,
caporedattore della rivista Widescreen.
La Principessa
Mononoke
Hayao Miyazaki
Animazione, durata 113'
Giappone 1997
Hayao Miyazaki, nato nel 1941 nella
prefettura di Tokyo, è il più grande poeta
contemporaneo dei disegni animati. La
sua carriera riconcilia la passione per la
narrazione pura con una sensibilità rara
nell’espressione delle emozioni e con
l’esplosione di un senso del meraviglioso
primordiale. Premiato con l’Oscar per La
città incantata (2001), già Orso d’Oro al
festival di Berlino, e con un riconoscimento alla carriera dalla Mostra del cinema di
Venezia nel 2005, è ormai un’icona a livello
mondiale, i cui film raggiungono regolarmente la vetta del box office giapponesse.
Dopo il successo di Nausicaa della valle del
vento (1984), crea insieme a Isao Takahata
lo Studio Ghibli, diventato nel tempo sinonimo di qualità artistica senza compromessi, riverito da personaggi chiave come John
Lasseter, tra i fondatori della Pixar.
Miyazaki ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l’Italia, dalla realizzazione della serie televisiva animata Il fiuto
di Sherlock Holmes (1984-5), a partire
da un’idea del disegnatore Marco Pagot,
figlio di Nino e nipote di Toni, i creatori di
Calimero (1963), al lungometraggio Porco
Rosso (1992), con protagonista un abile
pilota di monoplani trasformatosi misteriosamente in maiale, ambientato nella nostra
penisola nel periodo d’annunziano, come
testimonia la famosa battuta “meglio porco
che fascista”. Ma, soprattutto, l’artista
nipponico è stato influenzato dal contatto
diretto con la tecnologia: durante la seconda guerra mondiale suo padre Katsuji era
infatti direttore della Miyazaki Airplane,
che costruiva timoni e altre componenti
per i caccia A6M Zero dell’aviazione imperiale giapponese. Miyazaki è cresciuto con
una fascinazione quasi mistica per il volo e
la passione per il disegno tecnico, tramite
cui riproduceva minuziosamente aeroplani, navi e altri portati dell’avanzamento
tecnologico nel Giappone del nascente
boom economico. È da qui che prende
forma la decisione di diventare disegnatore di manga, i fumetti giapponesi, che si
trasforma in quella di diventare animatore
dopo la visione di Hakujaden (La leggenda
del serpente bianco, 1958), primo cartone
animato giapponese interamente a colori.
Dall’ingresso nel 1963 negli studi Toei
Doga –la Disney d’oriente, come si definiva
la compagnia all’epoca– alla fondazione
del proprio studio, Miyazaki acquista lentamente consapevolezza del proprio stile
ed elabora i temi fondanti della sua opera.
Uno dei più evidenti è quello ecologista, in
cui l’artista mette a confronto l’inesorabile
progresso tecnico-scientifico umano e le
disastrose conseguenze ambientali. Intorno a questo snodo nevralgico ruotano altri
temi che hanno come comune denominatore l’osservazione dell’uomo, analizzato
con sguardo antropologico, e il suo posto
nella natura. Può sembrare strano che un
giovane cresciuto con il mito dei motori
degli aeroplani (e velivoli dalle forme
fantastiche o avveniristiche sono quasi
sempre presenti nelle sue storie) abbia una
visione tanto netta delle interconnessioni
nell’ecosistema terrestre, ma è proprio
dall’indagine dei fragili equilibri ambientali
e sociali che nasce la sua visione sincretica
e poetica di ciò che ci circonda.
Lontano da qualsiasi accento manicheo o dualista, Miyazaki rifiuta le semplificazioni e di conseguenza si tiene lontano
dalla vulgata tesa banalmente a demonizzare la ricerca scientifica a favore di una
presunta visione “naturale” o spirituale
del mondo –e dell’uomo. Anche nelle presentazioni più esplicite, come nella serie
tv animata in 26 episodi Conan, il ragazzo
del futuro (1978), ambientata nel 2028,
vent’anni dopo la fine della terza guerra
mondiale, l’accento estremamente critico
49
50
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
opposto naturale è fonte sia di perenne
con cui è dipinta la scienza, responsabile
stupore, con le immaginifiche creature
della catastrofe naturale che ha portato
fantastiche che popolano le terre desolate,
l’umanità sull’orlo dell’estinzione, non si
che di costante pericolo, potenzialmente
riversa sulla scienza in sé, ma sulla società
mortale: il mondo è un concentrato di
tecnocratica rappresentata da Indastria,
contraddizioni in cui solo la purezza di
una morbosa dittatura che vuole conquistare a sé il resto del mondo: in questa serie sguardo (di cui la protagonista Nausicaa
è portatrice) può ambire a trovare una
dai toni nostalgici, tratta da un romanzo
sintesi sostenibile.
di formazione dell’inglese Alexander Key,
Anche in Laputa, il castello nel cielo
il male non sta nella ricerca della conoun ruolo discriminante lo svolge lo stupore
scenza, ma nel suo stravolgimento sociale,
esercitato dallo sguardo: i giovani Sheeta
simboleggiato da Indastria. L’alternativa,
e Pazu sono alla ricerca di una mitica
rappresentata dall’isola di High Harbor,
isola volante, secondo le leggende sede
sembra di primo acchito una società totaldi ricchezze incalcolabili. Inseguiti dallo
mente preindustriale, in cui vige il rifiuto
spietato agente governativo Muska e dalla
del progresso, basata sull’agricoltura e la
temibile banda di pirati capeggiata da
pastorizia; guardando con più attenzioDola, i due ragazzini riescono finalmente a
ne, però, è in realtà una società a diverso
raggiungere l’isola, per scoprire un mondo
sviluppo tecnologico, in cui si prefigura
una differente organizzazione della società. in disfacimento in cui la strabiliante tecnologia necessaria alla sospensione aerea
La divisione non è quindi tra una scienza
è stata erosa e riappropriata dalla natura.
vista come nociva (Indastria) e il ritorno a
Atterrati nel castello volante, Sheeta e
una organizzazione primitiva a-scientifica
Pazu osservano rapiti l’erba che invade le
(High Harbor), ma tra diverse concezioni
di scienza: la scienza è necessaria all’uomo, costruzioni, l’architettura che si è ormai
ma anche l’uomo deve rimanere necessario fusa con la flora, e soprattutto l’arrivo di
uno sgraziato robot. Dove gli inseguitori
alla scienza, nel senso che nel farsi fonvedono potere e ricchezza, dominio e
damento del suo utilizzo può trovare una
sopraffazione, un fortino da depredare e
strada di convivenza non distruttiva con il
sfruttare (la scienza e la tecnologia avulsi
mondo circostante.
dal contesto), i due protagonisti esperiscoIn molti lavori successivi, specialno uno stupore incantato, in cui il sogno
mente nei lungometraggi, Miyazaki torna
si impossessa della realtà ed è in grado di
a indagare lo scarto tra uomo e natura, dal
cortocircuitare mondi creduti separati: è
capolavoro Il mio vicino Totoro (1988), con
il pacioso spirito dei boschi Totoro a fare da il loro sguardo stupito a fare emergere il
nume tutelare alla solitudine di una bambi- meraviglioso insito in ciò che li circonda,
na, alle maledizioni strabilianti di Il castello una nuova possibilità in cui la tecnologia
più sfrenata convive con la lenta catarsi naerrante di Howl (2004), fino alla favola per
bambini più piccoli di Ponyo sulla scogliera turale del vivente, esempio di una inedita,
possibile sintesi.
(2008). Il cuore della concezione olistica
Ma è soprattutto La principessa Monomiyazakiana è comunque racchiuso in
noke –in cui Mononoke non è il nome di un
Nausicaa della valle del vento, Laputa, il
personaggio, ma la parola giapponese per
castello nel cielo (1986) e La principessa
“spettro”, lasciata erroneamente invariata
Mononoke (1997).
nella titolazione internazionale– a svelare
Nausicaa della valle del vento è donella sua totalità la visione di Miyazaminato da uno scenario post-apocalittico
ki. Ambientato nel periodo Muromachi
come Conan, il ragazzo del futuro: mille
(1337-1573), prima della riunificazione del
anni dopo un conflitto catastrofico, i pochi
Giappone, il film è un’attenta fusione di
esseri umani sopravvissuti restano ai marelementi storici, fantastici e teorici che con
gini di una sconfinata distesa radioattiva
l’usuale maestria visiva riesce ad approfondenominata Giungla Tossica. La fine del
mondo è stata causata dall’azione di gigan- dire temi stratificati con estrema lucidità.
Vi si racconta dell’irruzione della tecnica e
teschi robot meccanici chiamati Soldati
della scienza nella società feudale, e quindi
Invincibili, diventati ormai fossili –tutti,
l’ingresso nell’era moderna, verso l’indutranne forse uno, miracolosamente ancora
strializzazione. Lo sfondo è conflittuale: da
integro, e che non deve dunque cadere in
un lato la natura, personificata nella rivolta
mani sbagliate. La critica al prevalere di
degli animali e degli spiriti dei boschi, guiuna visione tecnocratica si fonde con la
dati da San, ragazza selvaggia allevata dai
prospettiva pacifista, in cui però il polo
Il castello
nel cielo
Hayao Miyazaki
Animazione, durata 124'
Giappone 1986
Nausicaa della
valle
del vento
Hayao Miyazaki
Animazione, durata 116'
Giappone 1984
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Tutto l’immaginario di Miyazaki,
in una marcia trionfale dietro al
suo creatore.
lupi, dall’altro la tecnologia umana, personificata dalla “città di ferro”, fortificazione
umana fondata sull’estrazione mineraria e
guidata da Eboshi, signora del villaggio e
padrona delle armi da fuoco, che cerca di
rubare alla natura la vetta di una montagna
ricca di ferro. Questa ripartizione non è
però sfruttata per inscenare una sterile
contrapposizione tra natura e conoscenza,
spirito e scienza, in cui si voglia far passare
la superiorità arcadica della natura, ma per
intavolare la ricerca di un difficile equilibrio, che tramite l’armonia degli elementi
permetta una sorta di omeostasi tra natura
e tecnica, in grado di portare alla prosperità
e allo sviluppo.
In La principessa Mononoke non
esistono eroi contro cattivi, come in molte
favole anti-scientifiche in cui scienziati
e latori di tecnologia sono descritti come
aberranti mostruosità: Eboshi è una donna
indipendente, determinata a portare il
benessere alla sua gente, che ha liberato le
donne dalla schiavitù del patriarcato, per
donare loro la dignità del lavoro, che cura
i lebbrosi e ha a cuore il loro destino. Allo
stesso modo San non è una semplice eroina indomita, ma è ormai accecata dall’odio,
incapace di vedere con serenità. E di nuovo
lo sguardo, la volontà di vedere, è la chiave
di volta della parabola narrativa. A intromettersi nella guerra tra le due è infatti
Ashitaka, principe degli emishi (un’etnia
che abitava nella regione di Tōhoku, nel
nord est dell’isola principale di Honshū), le
cui carni sono divorate da un demone cre-
ato dall’odio del conflitto. “Cosa sei venuto
a fare qui, straniero?”, gli domanda a un
certo punto Eboshi. “A vedere cosa accade
con occhi non velati dall’odio”, risponde
Ashitaka. Per vedere realmente, per poter
comprendere ciò che si vede, è necessario
metter da parte il pregiudizio. Solo in
questo modo si può confrontare gli elementi, e cercare un equilibrio. La soluzione
del conflitto non è né nella distruzione
della tecnologia, per inseguire un illusorio
“ritorno alle origini”, né nella sottomissione
completa della natura –sta piuttosto nella
ricerca di una possibile armonia.
In questo anelito, Miyazaki svela
una visione profondamente shintoista –la
religione animista giapponese, nei secoli
intersecatasi con tradizioni cinesi buddiste,
taoiste e confuciane– in cui il fine dell’esistenza è visto nella ricerca dell’equilibrio
degli elementi tra loro. Miyazaki offre una
concezione filosofica dello shintoismo: già
di per sé lo shintoismo, fatto insolito per
una religione, è più interessato alla vita che
alla morte, alla ricerca della felicità terrena
piuttosto che a quella ultraterrena, ma
Miyazaki spoglia la sua rilettura di qualsiasi liturgia spirituale per offrire un ritratto
profondamente umano, e quindi umanistico. La soluzione del conflitto tra natura e
scienza non può essere l’annullamento di
una delle due parti, ma la sintesi armonica,
che è possibile intravedere solo spogliandosi del pregiudizio. San ed Eboshi sono
entrambe inconsapevolmente parte di
meccanismi sociali votati alla distruzione.
Lo sguardo di Ashitaka offre una possibile
sintesi, proponendo uno scarto che muti le
società che hanno creato il conflitto. Non
è dunque la scienza in sé a rappresentare
un pericolo, ma la società che la controlla:
non è la scienza a dover essere modificata,
o avversata, ma la prospettiva entro cui si
muove, in una conclusione molto simile
a quella tratteggiata dall’epistemologo
delle scienze sociali Serge Latouche: c’è
la “necessità di «reincorporare» la tecnica
nel sociale. (…) Il dramma della tecnica
moderna non consiste tanto nella tecnica
quanto nel moderno, cioè nella società.
Il fatto che la società uscita dai Lumi,
emancipata da ogni trascendenza e da ogni
tradizione abbia veramente rinunciato
alla sua autonomia e si sia abbandonata
alla regolazione eteronoma di meccanismi
automatici per sottomettersi alle leggi del
mercato e a quelle del sistema tecnico, è
giunto a costituire un pericolo mortale per
la sopravvivenza dell’umanità.”1 Se “la vita
è dolore, sofferenza. Eppure non c’è uomo
che non lotti per vivere fino all’ultimo”,
come dice nel film un anziano lebbroso al
servizio di Eboshi, per superare la sofferenza bisogna modificare lo spettro sociale
entro cui si muove la tecnica, unica ancora
per assicurare un destino all’umanità.
1. Serge Latouche, La megamacchina.
Ragione tecnoscientifica, ragione economica e
mito del progresso, Bollati Boringhieri, Torino
1995, pp. 17-8
51
52
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
Visioni
postcoloniali
Foto in basso a sinistra:
Simone Brioni coordinatore
dell’équipe che ha
realizzato la duologia.
a cura di laura morini
Nel presentare questi lavori multimediali di due
intellettuali africane, da tempo residenti in Italia e
oggi cittadine del nostro paese, lasciamo la parola a
Simone Brioni, dell’Università di Warwick, coordinatore dell’équipe che ha realizzato la duologia composta
da La quarta via: Mogadiscio, Italia e Aulò: Roma
postcoloniale.
“Durante questi tre anni di lavoro ero assorbito
dall’ascolto di storie che mi sembrava necessario
condividere, e non sono stato toccato da molti altri
pensieri. A posteriori, posso però dire che questi due
documentari rispondono ad alcuni bisogni , che credo
abbiano animato il nostro lavoro. Il bisogno di testimoniare e veder rappresentate esperienze spesso relegate
nel silenzio che sono cruciali per comprendere l’Italia
di oggi. Il bisogno di contrastare l’assurda idea che il
colonialismo sia stato un evento dopotutto positivo,
specialmente in questo momento storico in cui una
retorica neocoloniale viene utilizzata per giustificare
gli interventi militari italiani nel mondo. Il bisogno di
contrastare l’immagine distorta offerta dai media nazionali circa l’immigrazione, ascoltando le voci di due
intellettuali africane in Italia. Il bisogno di sollevare
l’attenzione circa alcuni temi presenti nella letteratura
post-coloniale italiana…
Questi documentari sono stati letteralmente
autoprodotti dal basso, il nostro obiettivo è stato quello
di realizzare un’opera in cui la volontà di parlare a un
pubblico di non specialisti, il rigore scientifico e l’estetica potessero conciliarsi.”
Il progetto si articola in due documentari corredati da materiali di approfondimento e contestualizzazione.
La quarta via:
Mogadiscio, Italia
Da un racconto orale di Kaha
Mohamed Aden
Scritto da Kaha Mohamed
Aden e Simone Brioni
Produzione: Red Digital
Distribuzione: Kimera film
L’intervista filmata di
Simone Brioni a Kaha Mohamed, profuga somala in Italia,
residente da 19 anni a Pavia, intreccia immagini, suoni e parole
con grande capacità suggestiva.
Riesce a far rivivere, attraverso la memoria di un’esule,
la Mogadiscio in cui è vissuta,
senza mai dimenticare che
quella città, sognata e descritta
con vivacità, oggi non si affaccia
più sulla costa sinuosa dell’oceano indiano, vive solamente
nel cuore e nella mente dei suoi
abitanti, scacciati dalla guerra,
oggi lontani eppure ancora
legati al paese di origine dove gli
è negato il ritorno.
Kaha si sente divisa fra
opposti sentimenti, di appartenenza e non appartenenza
alla Somalia. Ha bisogno di
rinforzare le proprie radici
coltivando i ricordi dell’infanzia
e adolescenza vissute a Mogadiscio, ma avverte anche la necessità di prendere le distanze
da una città resa irraggiungibile
dalla guerra e dall’instabilità
politica. Per questo rivolge il
suo sguardo a Pavia, cerca nei
luoghi e negli edifici della città
in cui oggi vive, un radicamento
nel presente, emozioni che si
intreccino con i ricordi sopiti e
li mantengano vivi.
La collocazione geografica
di Pavia sul Ticino le consente
di seguire col pensiero il corso
dell’acqua che la conduce fino al
mare e quindi di evocare la sua
città d’origine.
Scorrono sullo schermo le
immagini della bianca Mogadiscio di un tempo, con gli edifici
islamici che ne disegnano il
profilo.
Kaha trova una chiave
poetica e pittorica per ordinare
le immagini che le si affollano
in mente: vede in Mogadiscio
4 vie che la percorrono quasi
parallele, ciascuna caratterizzata da un colore .
La via verde è quella dell’islam, dei suoi luoghi di culto
che un tempo si accostavano
con naturalezza alle chiese
cristiane, perché prima della
guerra la convivenza era pacifica e senza tensioni. Questo le
manca della sua città: vedere
una chiesa e una moschea
affiancate…immagini che Pavia
non può (ancora) offrire.
A fianco della via verde
si snoda, nella memoria, una
via nera, quella che conserva
gli edifici del periodo coloniale
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
italiano; qui sorgeva anche la
cattedrale cattolica, affiancata
dai giardini dove giocava bambina, la scuola che ha frequentato,
dove ha imparato la lingua che è
anche sua.
La critica al colonialismo
è esplicita ma non rancorosa.
Kaha ricorda come negli anni
di amministrazione fiduciaria,
su mandato delle Nazioni Unite (1950/60), i fascisti italiani
siano tornati, di fatto, con i
loro traffici e affari a animare
e inquinare le attività dell’ex
colonia.
Il racconto della giovane
somala ci richiama alla nostra
storia, all’impegno che dobbiamo assumere per contrastare l’idea che il “nostro”colonialismo
sia stato, dopotutto, un evento
positivo. Lo dimostrano stralci
di una trasmissione televisiva
sulla fine della presenza italiana in Somalia: sono infarciti dai
consueti stereotipi sulla “nostra”
memoria del periodo coloniale.
Memoria mai sufficientemente
rielaborata e ripensata criticamente.
Sullo sfondo delle vie
di Mogadiscio si delineano
fatti storici solo accennati nel
racconto di Kaha, ma riassunti
con precisione nel fascicolo che
accompagna il DVD.
Antonio Morone, docente
all’Università di Pavia, nell’articolo Il colonialismo italiano
passa per Pavia, ripercorre le
vicende che vanno dagli anni
Ottanta del XIX sc. agli anni
sessanta del XX. Sfata miti consolidati della memoria pubblica
italiana e ricorda come “ luoghi,
persone e ricorrenze testimoniano tutt’oggi …legami fra Italia
e Africa passati per il colonialismo e poi per la sua rimozione”.
La terza via è di colore
rosso: è la via del socialismo.
Si presenta ampia, alberata,
costeggiata da edifici significativi: il teatro, la Casa delle
donne, il Liceo, l’Università…E’
il segno tangibile della rinascita
post- coloniale, rappresenta il
progetto di un paese che voleva
costruire il proprio futuro. Ma
Siad Barre ben presto ha trasformato lo stato socialista in un
regime clanico e clientelare.
Nel 1982 Mohamed Aden
Sheik, padre di Kaha, che rivestiva un ruolo importante nel
governo e nel contesto culturale
del paese, viene incarcerato
come oppositore. La sua famiglia deve fuggire all’estero.
Immagini crude ci
riportano al presente: la città è
semidistrutta, animali morenti
si aggirano fra le rovine. E’ la
via grigia, della guerra che nega
la vita, la storia, la convivenza.
La via grigia ha distrutto tutte
le altre…
Kaha non ha più la forza
di raccontare, Mogadiscio non
è più una città, una casa, un
luogo….forse la città che ricorda
non è mai esistita.
Dopo 19 anni, ormai
cittadina italiana, la giovane è
riuscita a rivedere la sua vecchia
casa, il luogo delle sue radici,
ma ha incontrato solo donne
avvolte in burka neri o grigi,
nessuna indossa l’abito rosso e
nero della tradizione somala
Eppure Kaha conclude la
sua narrazione proponendo
l’immagine della quinta via: è la
via della speranza.
Nel fragile tessuto della
memoria collettiva i somali
della diaspora non dimenticano
che in passato hanno saputo vivere insieme, costruire percorsi
di convivenza pacifica. Dalle
dure esperienze vissute hanno
imparato che “essere radicati
non vuol dire essere immobili
e essere in movimento non
significa essere sradicati.”
Questo documentointervista si chiude con parole e
immagini toccanti. E’ forse talvolta un po’ difficile da seguire
per problemi tecnici (variazioni
nell’audio e scritte poco leggibili), ma è così ricco di spunti di
riflessione, così rigoroso nella
ricostruzione del contesto storico che merita di essere visto e
condiviso.
Aulo’! Aulo’!
Aulo’!
Poesie di nostalgia,
d’esilio e d’amore
di Ribka Sibhatu
Roma postcoloniale
Video intervista a
Ribka Sibhatu a cura di
SIMONE Brioni
Prod. Red Digital
Dis.: Kimera film
Questo testo multimediale
unisce in un’unica narrazione,
grazie alla raccolta di poesie
che accompagna il filmato,
e alla presenza dell’autrice,
molti temi: storie di migrazione dal Corno d’Africa verso
l’Italia, in particolare quella
della poetessa eritrea Ribka
Sibhatu; le politiche coloniali
e postcoloniali del nostro
paese; l’impatto che le une e le
altre hanno avuto sulla città di
Roma; e infine, con non celata
ironia, una rappresentazione
della inconsapevole ignoranza
con cui molti italiani guardano
al nostro passato e alla società
in cui viviamo.
L’immagine della scrittrice
si staglia sullo sfondo di luoghi
affascinanti e simbolici della
capitale, (la Via Appia antica,
il Vittoriale..) qui si collocano
anche le sue poesie che entrano in risonanza con la città e ne
fanno emergere nuovi aspetti.
Ribka esordisce dichiarandosi “franco abissina di Roma”,
e precisa: “ditemi pure nera
perché son bella così”.
Queste prime immagini
e parole del documentario
definiscono con chiarezza
l’ambito del discorso di Ribka
53
54
Cultura scientifica e cultura umanistica – parole, musiche, immagini
A sinistra: Kaha Mohamed Aden, profuga
somala, residente da 19 anni a Pavia.
Sopra: Ribka Sibhatu, poetessa eritrea,
residente a Roma.
e sottolineano lo spessore del
“non detto” nella nostra cultura
postcoloniale.
Na volta me cantavan
“faccette nera bell’abissina”
E me promettevan d’esser
romana.
Li ho creduti
E son volata quaggiù,
cantando Modugno,
e “o sole mio”.
Proprio n’a capisco sta’amnesia:
ero faccetta nera ieri,
so’ straniera “de colore”, oggi.
Seguono immagini altrettanto significative di interviste
volanti ad alcuni italiani di età
diverse. Eccetto un signore attempato, nessuno sa collocare
l’Eritrea sulla carta geografica e
circola solo qualche vaga idea
sulle vicende politiche attuali e
sulla storia del paese africano.
Ma torniamo a Ribka e alla
sua identità. Sente il bisogno
di raccontarsi a partire dalle
sue tre radici: Eritrea, Francia
e Italia.
“Roma –precisa– è il frutto
che sto mangiando ora, vorrei
colorare questa città con i colori
e i profumi di Asmara.”
Il senso di questa affermazione è reso evidente dalle
scene in cui la donna è ripresa
mentre prepara e serve il caffè
eritreo nel piccolo cortile di
una casa romana, i suoi gesti
ci introducono nell’intimità
quotidiana, siamo pronti ad
ascoltare la sua storia.
Una storia personale che
tuttavia non appartiene solo
a lei, è il percorso seguito da
migliaia di profughi eritrei, è
un fiume che viene da lontano
e ha le sue origini nelle vicende
coloniali del suo paese.
Da questo punto, abbandonando lo spazio semiprivato
del cortile il documentario si
apre su spazi e luoghi simbolici
di Roma.
Le immagini della via
Appia, così ricca di storia, consentono di riandare a un tempo
lontano, quando Asmara
divenne capitale e la sua storia
era raccontata dai poeti.
Anche Ribka vorrebbe
raccontare per scritto la storia
dei suoi antenati che è stata
tramandata oralmente, nella
sua famiglia allargata, per dodici generazioni.
Aulò si chiamano questi
componimenti poetici che
esprimono non solo emozioni
e sentimenti personali, ma
interrogano e dialogano con
la storia. Ribka ricorda il
nonno che compose un Aulò di
protesta e invocazione contro il
colonialismo.
Il cammino di migrazione
di Ribka, attraverso Etiopia e
Francia, prima di giungere in
Italia, racchiude in sé la storia
del Corno d’Africa negli ultimi
decenni. E’ un percorso che
attraversa guerre, lotte per la
sopravvivenza, vicissitudini
personali.
Eppure la donna non
dimentica (e non ci consente di
dimenticare) che è approdata
in Italia anche perché il suo paese era stato un tempo colonia
italiana.
Le tracce del nostro passato coloniale sono ampiamente
rappresentate nelle vie e nelle
piazze della capitale che i registi riprendono e fanno parlare.
Ma la memoria non è
“condivisa”, le intitolazioni di
strade e piazze attestano la
mancata rielaborazione del
nostro passato coloniale.
Gli “Aulò” di Ribka sono
bilingui (italiano/inglese),
talvolta dialetto romano o lingua francese. Questo impasto
linguistico, oltre ad esprimere
l’identità culturale dell’autrice, rende i confini linguistici
“permeabili” e ci propone , per
così dire, una “giusta distanza”
da cui dobbiamo imparare a
guardare la nostra storia.
Ribka conclude comunicandoci i suoi due sogni: il
riscatto culturale dell’Africa ed
essere considerata “romana”.
Anzi, precisa con una punta
di ironico realismo: se non io,
almeno mia figlia Sara!
Dedicheremo il
prossimo dossier alle
Nuove tecnologie
digitali viste
come elemento
di cambiamento
nell’insegnamento
e nel rapporto
educativo
intergenerazionale
Se pensi di avere
suggerimenti,
proposte, dubbi,
esperienze … utili per
la preparazione del
dossier, contattaci
entro la fine di marzo
[email protected]
Strumenticres n.60 – febbraio 2013
Pubblicazioni
Collana Crescendo Cres Mani Tese - Emi
1. Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e
intercultura
Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio,
Camilla Martinenghi
pagg. 256, 2004 - € 12,00
6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili.
Itinerari didattici di educazione alla
cittadinanza
Michele Crudo
pagg.160, €12 - 2006
2. All'incrocio dei sentieri i racconti
dell'incontro
Kossi Komla-Ebri
pagg.192, 2004 - € 10,00
7. Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle
letterature del mondo.
a cura di Rosa Caizzi
pagg. 256, 2006 - € 13,00
3. Cittadini under 18 I diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza
Daniela Invernizzi
pagg.213, 2004 - € 11,00
8. Perché l'Europa ha conquistato il mondo?
Massimiliano Lepratti
pagg. 124, 2006 - € 10,00
4. “La tela del ragno” Educare allo sviluppo
attraverso la partecipazione
Michele Dotti, Giuliana Fornaro,
Massimiliano Lepratti
pagg.238, 2005 - € 13,00
5. “Terra è libertà” La questione agraria in
America Latina
Luca Martinelli, Annalisa Messina
pagg.144, 2005 - € 9,00
9. Il cinema per educare all'intercultura
Marina Medi
2007 - € 10,00
10. L'economia è semplice
Massimiliano Lepratti
pagg. 125, 2008 - offerta minima € 5,00
11. Il lontano presente: l'esperienza coloniale
italiana. Storia e letteratura tra presente e
passato
Anna Di Sapio, Marina Medi
pagg. 284, 2009 - offerta minima € 5,00
Kit didattico
Nutrire il mondo per cambiare il pianeta
a cura di Mani Tese, CISV, Cres, COCOPA
2010 - gratuito su richiesta scritta
Il kit didattico introduce nel mondo scolastico
il tema della sovranità alimentare con proposte
metodologiche di lavoro per gli insegnanti,
schede tematiche, carte geografiche e una serie di
video sul tema.
Collana CrescendoCres Mani Tese - Ed Lavoro
1. Le migrazioni, a cura di D. Barra e W. Beretta Podini - 1995
2. Percorsi interculturali e modelli di riferimento, M. Crudo - 1995
3. Educare al cambiamento, AA. VV. - 1995
4. La conoscenza dell'altro tra paura e desiderio, M. Crudo - 1996
5. Lo straniero, L. Grossi, R. Rossi - 1997
6. Letterature d'Africa. percorsi di lettura, L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C.
Martinenghi - 1998
7. Penelope è partita, M. Crudo - 1998
8. Portare il mondo a scuola, a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Prov. agli Studi di Milano - 1999
9. La gatta di maggio, R. Abdessemed - 2001
10. La sfida della complessità, M. Medi - 2003
Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell'Africa sub sahariana
L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi - 1997 (fuori collana)
PROMOZIONE: 3,00 € ciascun libro (spese di spedizione incluse)
Tutti i materiali possono essere
richiesti a [email protected] .
Si può effettuare il pagamento
on-line su www.manitese.it,
su c.c.p. 291278 intestato a Mani
Tese, con bonifico bancario Banca
Popolare Etica IBAN IT 58 W
05018 01600000000000040
55
social poster
competition
L’asta della terra
Mani Tese lancia, per l’anno scolastico 2012-13, una Social
Poster Competition per giovani ironici e creativi capaci di stimolare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla disuguaglianza in
merito all’accesso e alla gestione delle risorse naturali.
il concorso
Acqua, terra fertile, metalli, foreste, petrolio, aria. Cosa sono?
A chi appartengono?
Sono risorse? Allora devono essere imbottigliate, estratte,
vendute, sfruttate, tagliate, comprate, trasformate, raffinate,
fissate, inquinate. Non ci interessa sapere se sono veramente
necessarie nella nostra vita quotidiana, l’importante è produrre e consumare all’infinito. La corsa è a chi ci arriva prima,
poco importa se bisogna fare qualche sgambetto o cacciare
chi ci abita vicino, perché chi le possiede fa un sacco di soldi!
Sono beni comuni? Allora devono essere utilizzati in collaborazione con chi li usa insieme a noi e pensando a chi verrà
dopo. Devono essere protetti, valorizzati, usati senza sprechi,
con sobrietà e con rispetto. E quindi tutti devono prendersene
cura, e nessuno può vantare pretese esclusive su di essi.
l’ironia al servizio dei beni comuni
Totò riuscì a vendere la Fontana di Trevi per 10 milioni. E
voi cosa riuscirete a fare? La sfida che vi lanciamo richiede
tutta la vostra creatività, il vostro senso dell’ironia e la vostra
immaginazione.
È una gara di comunicazione paradossale. Lo scopo è
scegliere uno dei quattro elementi naturali (acqua, aria, terra
o fuoco) e inventare un manifesto pubblicitario 50x70 per
venderlo al miglior offerente. I vincitori saranno premiati nel
corso della presentazione ufficiale della mostra “L’asta della
terra”, che avrà come oggetto gli elaborati più interessanti
prodotti dai partecipanti.
informazioni: www.manitese.it/blog-educazione
iscrizioni: [email protected]
telefono: 02 40 75 165
i lavori devono essere
inviati entro il 17 marzo!
Organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli.
Redazione
Valerio Bini (dir.),
Luca Manes (dir. resp.),
Chiara Cecotti, Angela Comelli,
Alberto Corbino, Giosuè De Salvo
Elias Gerovasi, Giovanni Mozzi,
Giacomo Petitti, Lucy Tattoli.
Gruppo redazionale
per il supplemento
“Strumenti Cres”
Donatella Calati (segretaria di
redazione), Giacomo Petitti
(responsabile di redazione),
Elisabetta Assorbi,
Gianluca Bocchinfuso,
Piera Hermann, Elena La Rocca,
Laura Morini, Shara Ponti.
Direzione, redazione e
amministrazione
Piazzale Gambara 7/9,
20146 Milano
Tel. 02/4075165
[email protected]
www.manitese.it
Stampa:
Staff S.r.l. - Buccinasco (MI)
Progetto grafico
e impaginazione:
Riccardo Zanzi
Hanno collaborato
a questo numero:
Valerio Bini, Gianluca Bocchinfuso,
Giorgio Botta, Elena Camino,
Giovanna Cipollari, Anna Di Sapio,
Piera Hermann, Stefano Locati,
Bruno Manelli, Marina Medi,
Laura Morini, Pietro Olla,
Giacomo Petitti, Shara Ponti,
Antonio Rodia, Anna Marta Rollier,
Antonella Testa, Emanuele Vigo,
Diletta Zanelli,
Gli articoli pubblicati
rispecchiano il punto di
vista degli autori, non
necessariamente quello
della Redazione.
Quando non specificato, gli
autori sono formatori Cres.
Il Cres,costituito da esperti ed insegnanti, cura le attività formative di Mani Tese in campo scolastico. Obiettivo
fondamentale della sua iniziativa di ricerca e di innovazione didattica è la diffusione di una nuova cultura dello
sviluppo e della mondialità nella scuola.
Si può sostenere la rivista StrumentiCres con una
offerta minima di 10,00 € specificando “Sostegno a
StrumentiCres”:
Versamenti on-line su www.manitese.it,
su c.c.p. 291278 intestato a Mani Tese,
con bonifico bancario Banca Popolare Etica
IBAN IT 58 W 05018 01600000000000040