"il Settimanale della Diocesi di Como" - Cronaca
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"il Settimanale della Diocesi di Como" - Cronaca
Italia Sabato, 30 luglio 2016 Ventimiglia: viaggio nella parrocchia dei migranti Sono circa 500 i migranti accolti nella città al confine con la Francia dove, nonostante i controlli, c’è chi riesce ancora a passare S andro Foretti per tutti nel quartiere è il cuoco dei migranti e la piccola cucina della parrocchia di Sant’Antonio a Ventimiglia il suo regno. E non potrebbe essere altrimenti per chi, fino a pochi giorni prima, doveva dar da mangiare, ogni giorno, a quasi mille persone. “Tutto con quella”, dice sorridendo mentre con lo sguardo indica una cucina a quattro fuochi più simile ad un’utenza domestica che non ad una grande cucina da campo. “Iniziavamo a preparare alla mattina alle 8.30 e alle 12.30 tutti avevano un piatto di pasta o di riso da mangiare”. Come facesse lo intuiamo dai particolari: da quando siamo entrati nella stanza, pur accogliendoci con il sorriso e la battuta pronta, non ha mai posato il coltello, continuando meccanicamente a tagliare patate. Accanto a lui, ad aiutarlo, alcuni dei migranti che sono ancora ospiti di questa piccola chiesa alla periferia di Ventimiglia che, dal 31 maggio al 15 luglio, si è ritrovata ad essere l’epicentro della crisi migratoria lungo la frontiera italo-francese. “Qua attorno era tutto pieno: nel campo sportivo, sui banchi della chiesa, sul sagrato, nel posteggio qua davanti, le persone stavano dappertutto”, racconta il parroco don Rito Alvarez accogliendoci sul piazzale antistante la chiesa. Sulla bacheca, accanto al portone di legno, una mappa della Penisola con due luoghi cerchiati in rosso: Lampedusa da una parte e Ventimiglia dall’altra, con un’inequivocabile scritta “siete qui”. Dietro le nostre spalle, nascosto dal grande cavalcavia dell’autostrada, il centro storico della città resta aggrappato alla collina che scivola verso il mare, mentre una fila di basse montagne brulle segna il confine con la Francia. “Ad oggi sono circa un’ottantina i migranti ancora accolti nelle sale parrocchiali – continua il sacerdote -. Si tratta per lo più di persone che consideriamo fragili: donne, famiglie, minori e qualche altro ragazzo che aveva iniziato a collaborare con noi a cui abbiamo proposto di restare per dare una mano. Ma non più di due settimane fa erano quasi novecento”. Il ricordo di quei giorni è ancora molto vivo nel parroco, come in tutta la comunità. “La fatica è stata tanta – confida – ma è stata altrettanto bella la risposta da parte della gente, l’unità e la solidarietà che abbiamo respirato. Ci sono state anche delle associazioni di musulmani francesi che nei giorni più difficili sono venuti a darci il loro sostegno portando cibo e generi di prima necessità”. Secondo le stime della Caritas in quei cinquanta giorni sono transitati dalla parrocchia circa seimila persone; si ringraziano per le foto Ecoinfomrazioni e il comitato Como Senza Frontiere molti di loro – quasi il 20% erano minori. “Ventimiglia non è nuova a questo tipo di fenomeno – spiega il direttore della Caritas diocesana, Maurizio Marmo -, ma la situazione è andata progressivamente peggiorando a seguito della decisione della Prefettura di concedere l’accesso al centro di accoglienza, allestito alla stazione, solo a quanti fossero disposti a farsi identificare e a richiedere l’asilo politico in Italia; praticamente nessuno. Le persone hanno iniziato così ad accamparsi lungo il corso del fiume Roja, sotto i cavalcavia. Una situazione che si è aggravata man mano che la Francia ha iniziato ad aumentare i controlli alla frontiera dopo gli attentati. Poi è arrivata la chiusura del centro voluta dal ministro Alfano nel mese di maggio”. E’ così che, di fronte ad una situazione umanitaria insostenibile, su indicazione del vescovo mons. Antonio Suetta, e di intesa con l’amministrazione comunale, si è deciso di aprire le porte di S. Antonio. “Anche altre parrocchie - continua il direttore della Caritas – si sono aperte all’ospitalità, accogliendo soprattutto famiglie ed è stata davvero una bella risposta. Certo, non possiamo dire che tutti fossero d’accordo, ci sono stati anche malumori ed è innegabile che vi siano stati disagi per il quartiere, ma questo penso sia inevitabile in una città di 25 mila abitanti che si trova a confrontarsi con numeri così importanti”. Attualmente, secondo la Caritas, sono circa cinquecento i migranti in transito presenti in città: agli ■ Una parrocchia dalle porte aperte Oltre 6000 persone accolte La visita Q uante persone, quanti volti, quante storie, quante vite abbiamo avuto la possibilità di incontrare. Abbiamo avuto modo di andare al di là delle differenze, del colore della pelle, della lingua, della religione, abbiamo sofferto e sorriso, abbiamo aiutato e siamo stati aiutati. Dal 31 maggio al 15 luglio sono passate presso la chiesa di Sant’Antonio circa 6.000 persone (il 20% minori non accompagnati). Sono state un centinaio le famiglie (accolte anche nelle parrocchie di San Secondo, Cattedrale Nostra Signora Assunta, Sant’Agostino e San Nicola) provenienti da Sudan, Somalia, Eritrea, Etiopia, Nigeria, Ciad, Camerun, Marocco, Afghanistan e Siria. Tra queste vi sono state alcune mamme incinte e 80 bambini. Ricordiamo purtroppo l’inaspettato e tragico decesso di Haile Biniam, avvenuto il 12 luglio scorso. La maggior parte dei migranti provengono da Sudan (65%) ed Eritrea (8%) e da altri 50 paesi diversi. Si è passati da una presenza media di 200 persone alle 800 degli ultimi giorni. Le colazioni e i pranzi preparati sono stati circa 46.000. Le cene distribuite, circa 22.000, sono state portate da Nizza dalle Associazioni francesi di ispirazione mussulmana: ”Au coeur de l’espoir” e “Un geste pour tous” e da Ventimiglia e Sanremo dalle comunità islamiche locali. Sono stati dati prodotti per l’igiene e vestiario. I migranti hanno inoltre potuto ricaricare i cellulari, fondamentali per poter mantenere i contatti con le famiglie ma anche per organizzare il proseguimento del viaggio. La Caritas di Ventimiglia Presente una delegazione comasca Il Settimanale ha partecipato alla visita a Ventimiglia di una delegazione comasca composta dai giovani del comitato Como senza frontiere, da alcuni parrocchiani di Rebbio, guidati dal parroco don Giusto Della Valle, e dai consiglieri comunali di Como, Luigino Nessi e Celeste Grossi. Una visita organizzata per vedere come la città alla frontiera francese sta affrontando il transito dei migranti. ottanta ospitati in parrocchia, si sommano i circa 130 accolti nel nuovo campo della Croce Rossa e gli altri 250 che vivono in un campo informale a ridosso di questa nuova struttura. “Il nuovo centro – spiega Marmo – ha aperto il 16 luglio in località Parco Roja e rappresenta una novità rispetto ai campi precedenti perché permette ai migranti di rimanere nella struttura per circa sette gironi: un tempo in cui, oltre al cibo e all’assistenza medica, grazie alla presenza di mediatori, vengono fornite indicazioni circa lo status legale e la possibilità di ricorrere ai ricongiungimenti famigliari o al piano di ricollocamenti nel territorio europeo”. Raggiungiamo il campo dopo aver risalito in auto per circa 4 chilometri e mezzo il corso del fiume, allontanandoci dal centro della città, e ci troviamo presto di fronte ad una fila di container ben allineati in un’area a ridosso della stazione merci. “Nel campo – precisa il responsabile della Croce Rossa Valter Moscatello – ci sono attualmente 130 persone, ma una volta posizionati tutti e trenta i container, già arrivati, contiamo di arrivare a 180. Un numero che raddoppierà con l’arrivo nelle prossime settimane di altri 30 moduli, con la possibilità di portare la capienza complessiva a quasi cinquecento”. Un numero che dovrebbe essere sufficiente ad assorbire eventuali nuove emergenze. Accanto a questa nuova struttura, come fossero le due facce di una stessa medaglia, sorge quello che viene chiamato in gergo il “campo b”. Altro non è che una ex stalla costruita all’interno dello scalo merci per gli animali in transito. A guardarne lo stato, sembra non essere mai entrata in funzione. Sul piazzale alcuni giovani giocano a pallone, ma è solo avvicinandoci che ci rendiamo conto delle proporzioni di quello che abbiamo davanti: decine e decine di ragazzi riposano su delle coperte. Un vero formicaio visibile solo parzialmente passando dalla strada. Sono quasi tutti sudanesi in fuga dalle violenze in Darfur. Vivono così senza acqua corrente, recuperando quello che possono con alcuni bidoni di plastica nel vicino campo, che fornisce anche i pasti. Ed è lì che sperano di entrare, anche se per molti di loro non ci sarà tempo. Il confine lì dietro è un richiamo troppo forte, così come i treni merci che stazionano lì accanto. “Nonostante la chiusura del confine e l’aumento dei controlli – ci confida un mediatore culturale – sono troppe le strade da cui si può raggiungere la Francia. I passatori, per lo più magrebini provenienti dalla Francia, sono disposti a condurti dall’altra parte per 100-150 euro a seconda della distanza. E una volta superata Nizza è difficile essere presi”. E’ questa la speranza che spinge ad arrivare fin qui, scappando da centri di identificazione e comunità di accoglienza per inseguire il loro sogno di raggiungere il nord Europa: c’è chi dice la Germania, chi l’Inghilterra. “La prefettura – conclude il direttore della Caritas - periodicamente organizza dei pullman per rimandare nei centri di identificazione sparsi per l’Italia i migranti bloccati al confine. Ricordo un ragazzo rimandato a Taranto al mercoledì che si è ripresentato alla nostra porta tre giorni dopo. E come lui tanti altri”. Perché in fondo, quando sei arrivato così vicino alla meta, la speranza di passare è più forte di qualsiasi confine. MICHELE LUPPI 5