Canzone della Crociata albigiese. Parte I

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Canzone della Crociata albigiese. Parte I
1. Guglielmo di Tudela
Canzone della Crociata albigese
(passi scelti)
Le origini della Crociata
[2]
Signori, la canzone che udrete è fatta al modo
di quella d'Antiochia: identico ne è il metro
come la melodia, a saperla eseguire.
Tutti avete sentito come l'eresia (Dio
la maledica!) fosse tanto in alto salita
che aveva conquistato l'intero Albigese
e per la maggior parte Lauragais e Carcassès.
Per tutta la distanza da Béziers a Bordeaux
pullulano i credenti ed i loro fautori:
se dicessi ancor peggio, certo non mentirei.
Quando il santo pontefice e il resto del clero
videro propagarsi quella folle dottrina
ancora più del solito, e crescere ogni giorno,
inviarono ovunque i loro predicatori.
L'ordine cistercense, che dirigeva tutto,
già molte volte aveva mandato i suoi in missione.
Sicché il vescovo d’Osma e gli altri legati
convocarono un giorno quelli di Bulgaria
a Carcassona, dove una gran folla accorse.
C’era il re d’Aragona con tutti i suoi baroni;
se ne andò solo quando, ascoltato il dibattito,
capì che gli avversari erano proprio eretici:
riferì tutto a Roma, in Italia, per lettera.
Non saprei come dirlo, che Dio mi benedica:
non stimano le prediche neanche un mela marcia;
per cinque anni si ostinano in questo atteggiamento.
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Non vuole convertirsi quella gente traviata:
molti ne sono morti, popolazioni intere,
e altri moriranno finché ci sarà guerra,
è fatale che accada.
2
La presa di Béziers
[18]
Il giorno della festa di santa Maddalena
l'abate di Cîteaux conduce la sua armata:
si accampa sulla piana tutto intorno a Béziers.
Negli assediati, penso, cresce dentro l'angoscia:
nemmeno Menelao, cui Paride tolse Elena,
piantò presso Micene, ai porti, tante tende
né tanti padiglioni, la notte, sotto il cielo
quanti i Francesi: eccetto il conte di Brienne,
tutti i baroni fecero la loro quarantena.
Sciagurato fu dunque chi consigliò ai baroni
della città [......................................
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e fare scaramucce tutta la settimana.
Sentite che faceva quella massa di zotici,
sciocchi e sconsiderati ben più della balena:
brandendo pennoncelli bianchi di rozza tela
assalgono i nemici gridando a squarciagola;
pensano di atterrirli, come uccelli di campo,
contro i quali si urla sventolando gli stracci
quando è chiaro, al mattino.
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Quando il re dei ribaldi li vide provocare
l’armata dei Francesi fra grandi urla e schiamazzi,
e uccidere un crociato e accanirsi sul corpo
dopo averlo scagliato di forza giù da un ponte,
chiama tutti i suoi sgherri e li fa radunare.
Si leva un solo grido: «All’assalto, all’assalto!»
Non fanno in tempo a dirlo, che vanno a procurarsi
ciascuno la sua mazza: altro non hanno, credo.
Sono quindicimila, o più, questi pezzenti.
In brache ed in camicie si aggirano dovunque
intorno alla città, per abbatter le mura:
scendono nei fossati per scalzarne le basi,
mentre altri fanno a pezzi e infrangono le porte.
I borghesi, a vederlo, sono in preda al terrore,
mentre i crociati gridano: «Andiamoci ad armare!»
Che ressa furibonda per entrare in città!
Gli assediati, costretti a lasciare i bastioni,
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con le donne e i bambini vanno a cercar rifugio
dentro alla chiesa e fanno suonare le campane:
non hanno più riparo.
[20]
I cittadini videro i crociati arrivare
e il re dei mercenari lanciarsi al loro assalto
e gli sgherri da ovunque balzare nei fossati
e infrangere le mura e sfondare le porte
e i Francesi in gran numero indossare le armi.
Sanno bene in cuor loro di non poter resistere
e nella cattedrale fuggono in tutta fretta.
Preti e chierici indossano i loro paramenti
e le campane suonano come se celebrassero
la funzione dei morti, come ad un funerale.
Alla fine non possono impedire agli sgherri
di infiltrarsi in città: penetrano nelle case
a loro piacimento, avrebbero potuto
sceglierne dieci a testa, se avessero voluto!
Eccitati, i ribaldi non temono la morte:
massacrano la gente che incontrano per strada
e rubano e saccheggiano le più grandi ricchezze.
A serbarle, sarebbero tutti ricchi per sempre;
ma in brevissimo tempo dovranno rinunciarvi,
ché i baroni di Francia le vorranno per sé,
benché loro bottino.
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I baroni di Francia e quelli di Parigi,
i chierici ed i laici, i principi e i marchesi,
hanno concordemente deciso fra di loro
che qualora un castello non si arrenda all’armata,
dopo la sua conquista siano i suoi cittadini
passati per le spade e massacrati tutti;
così nessuno più oserà far resistenza
tanto sarà il terrore che nascerà in chi ha visto.
Presero Montréal, Fanjeaux e tutti i dintorni:
se così non avessero agito, vi assicuro,
non li avrebbero certo ancora conquistati.
Perciò furono uccisi gli abitanti a Béziers;
tutti li sterminarono: peggio non si poteva.
Massacrarono quelli che erano nella chiesa:
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non li protesse croce, altare o crocifisso!
Uccidevano i preti, quei cenciosi ribaldi,
i bambini e le donne: non ne scampò neanche uno!
Dio, se gli piace, accolga le anime in paradiso.
Dai Saraceni in poi credo non sia avvenuto
né sia stato permesso un simile massacro.
Gli sgherri sono dentro alle case occupate,
dove trovano oggetti preziosi in abbondanza;
ma i Francesi, al vederlo, diventano furiosi:
come cani li buttano di fuori a randellate
mettendovi i cavalli e i ronzini: «la forza
bruca la prateria».
[22]
Gli sgherri e il loro re si credevano ricchi
per sempre, ormai, con tutte le ricchezze rubate.
E quando gliele tolsero: «Al fuoco, al fuoco! Al fuoco!»
gridano ad una voce quei luridi pezzenti.
Prendono delle torce, tante da farne un rogo:
il fuoco si propaga e sale lo sgomento,
la città brucia tutta, per dritto e per traverso.
Così arse e distrusse Rodolfo di Cambrai
una ricca città nei pressi di Douai;
molto lo biasimò Adelaide, sua madre,
e perciò egli dovette percuoterla sul viso.
Sentendo il fuoco, ognuno scappò via da quel posto:
bruciarono le case, bruciarono i palazzi;
insieme ad essi elmi, gambali e armature
provenienti da Chartres, da Blaia o da Edessa
e molti bei vestiti, che bisognò lasciare.
Bruciò la cattedrale, opera di Gervasio:
si fendette nel mezzo per il caldo e crollò
dalle due parti opposte.
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L’assedio di Carcassonne
[30]
Re Pietro di Aragona se ne è andato deluso,
triste per non averli potuti liberare.
Ritorna in Aragona, corrucciato ed afflitto.
I crociati si apprestano a riempire i fossati,
fanno tagliare rami e costruire gatte.
I comandanti vanno in armi tutto il giorno
studiando da che parte sorprendere i nemici.
Il vescovo, i priori, i monaci e gli abati
gridano: «Su, al perdono! Perché indugiate tanto?»
Il visconte e i suoi uomini sono sopra le mura:
dalle balestre volano le quadrella impennate,
e da entrambe le parti molti cadono morti.
Se in città tanta gente non si fosse ammassata
- là dentro erano accorsi da tutta la regione un anno non sarebbe bastato a conquistarla:
le torri erano alte e le mura merlate.
Ma erano senz’acqua e i pozzi erano asciutti
per la grande calura dell’estate al suo culmine.
Per la puzza degli uomini che si erano ammalati
e delle molte bestie che avevano squartato
- dopo averle riunite da tutta la regione per le urla delle donne e dei bambini piccoli
che si alzavano ovunque nelle case affollate,
per le mosche che al caldo tormentavano tutti,
non soffrirono tanto dal giorno della nascita.
Il re se ne era andato da meno di otto giorni,
che un potente crociato aprì la trattativa.
Con un salvacondotto vi si recò il visconte
con pochi dei suoi uomini.
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Uscì a parlamentare il visconte di Béziers
e aveva più di cento cavalieri di scorta.
Il potente crociato ne aveva solo trenta:
«Signore», disse questi «sono vostro parente.
Mi aiuti e mi protegga il Padre onnipotente
se è vero che desidero di cuore il vostro accordo,
la prosperità vostra e della vostra gente.
Se sapeste di avere soccorso in breve tempo,
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approverei la vostra volontà di difendervi.
Ma voi sapete bene che non lo avrete affatto.
Fate dunque un accordo qualsiasi con il papa
e con i suoi crociati; perché io vi assicuro
che se vi prenderanno con la forza, farete
tutti la stessa fine di quelli di Béziers.
Salvate i vostri corpi da morte e da tormento:
avrete molti soldi se resterete vivi».
Intesa la proposta, il visconte rispose:
«Signore, sono ai vostri ordini» disse «e a quelli
del re Filippo al quale appartiene la Francia;
gli darei prontamente piena soddisfazione
se potessi recarmi senza rischi all’armata».
«Vi ci condurrò io, ve lo dico lealmente,
poi vi accompagnerò di nuovo sano e salvo
qui dalla vostra gente».
[32]
Uscì a parlamentare il visconte di Béziers
e aveva circa cento cavalieri di scorta.
Il potente crociato ne aveva solo trenta.
«Signore», disse questi «sono vostro parente.
Mi aiuti e mi protegga il Padre onnipotente
se è vero che desidero di cuore il vostro accordo,
la prosperità vostra e della vostra gente».
Dopo queste parole, entrano nella tenda
del conte di Nevers, la sede del consiglio.
Da ogni parte lo guardano cavalieri e ausiliari,
come riferì un prete che celebra la messa:
si consegnò in ostaggio di propria volontà.
Agì insensatamente, secondo il mio parere,
dandosi prigioniero.
[33]
Insieme ai suoi compagni il visconte di Béziers
si recò al padiglione del conte di Nevers;
con nove fra i più in vista della sua corte venne.
Lo guardarono attenti Francesi e Borgognoni
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borghesi e cittadini, signore e damigelle
che in città dimoravano, per quanto a controvoglia,
tanto che non vi rimasero né servi né valletti,
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né piccoli né grandi, né dame né ragazzi.
In fretta se ne andarono senza nulla portare,
vestiti solamente di brache e di camicie:
rimase loro appena quanto vale un bottone.
Gli uni vanno a Tolosa, gli altri in Aragona,
altri ancora in Ispagna, chi verso nord chi a sud.
Penetrano in città senza freni i crociati
e occupano il palazzo, le torri ed il bastione.
Tutto il ricco bottino lo mettono in un mucchio;
di cavalli e di muli - ce n'era in abbondanza fanno distribuzione a loro piacimento.
Gli araldi vanno in giro gridando: «Su, al perdono!
L'abate di Cîteaux vuole farvi un sermone».
Da lui corrono tutti e si mettono in cerchio.
L'abate era salito su una pietra di marmo:
«Signori», dice loro «udite il mio discorso.
Vedete che miracoli fa per voi il Re del Cielo:
non c'è nulla che a voi possa far resistenza.
Ordino a tutti quanti, in nome di Dio Padre,
di non prendere nulla - nemmeno del valore
di un carbone - dei beni che sono a Carcassona:
vi lanceremmo subito scomunica e anatema!
Daremo tutto questo a un potente barone
che nel nome di Dio governerà il paese:
non potranno riaverlo mai più i perfidi eretici».
E così si accordarono tutti alla soluzione
proposta dall'abate.
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Il supplizio di Girauda
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Peire, il conte di Auxerre, quello di Courtenai
e il conte di Montfort, non potendo far altro
e vedendo che il conte di Foix era fuggito,
ritornano a Lavaur, dove stava l’armata.
La città era presa, come racconta il libro:
fecero un grande rogo ed arsero nel fuoco
ben quattrocento eretici, quella razza schifosa.
Aimeri fu impiccato e molti altri con lui:
novanta ne impiccarono, come dei malfattori,
li appesero alla forca, uno qua e uno là.
Poi presero Girauda, che piangeva e implorava,
e la precipitarono di traverso in un pozzo;
di pietre la coprirono, grande fu lo sgomento.
Le altre donne un Francese benevolo e cortese,
con lealtà e giustizia, le mise tutte in salvo.
Furono presi molti cavalli sauri e bai,
molte ricche armature di ferro, grano, vino,
stoffe, abiti di pregio, che ai crociati toccarono
e assai li rallegrarono.
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