Relazione di Tonino Solarino
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Relazione di Tonino Solarino
GRUPPO : EUNUCHIA E FERITE Sono contento di condividere con voi questa occasione di confronto e di riflessione sul tema della eunuchìa e ho trovato stimolanti e innovativi i percorsi di consapevolezza, di cambiamento, di guarigione che sono fin qui emersi. Di castità, di sessualità e delle sue ferite si parla poco nei luoghi formativi: non lo si fa a casa, né a scuola, né nelle facoltà teologiche e spesso nemmeno nelle scuole di psicoterapia. Eppure la sessualità ci parla dei dinamismi più intimi della nostra identità e della nostra relazionalità. L’assenza di luoghi formativi lascia i nostri formandi e i nostri figli soli con le loro paure, le loro cadute, le loro ferite. Nel condurre il gruppo cercherò di attenermi alla consegna di aiutarvi ad approfondire la parte che, nello strumento preparato da Giovanni Salonia, fa riferimento alle ferite. Cercherò, specificamente, di approfondire la differenza tra ferite delle crescita e ferite patologiche, tra ferite nelle relazioni paritarie e ferite nelle relazioni non paritarie, cercherò infine di approfondire in che senso le ferite della sessualità sono ferite della relazionalità e di riflettere su un possibile percorso di consapevolezza. L’ ACCEZIONE DI FERITA È AMPIA. Tra i cambiamenti di questi ultimi decenni abbiamo registrato un passaggio da una accezione di ferita molto circoscritta ad una più ampia, anche perché sono stati individuati con maggiore chiarezza le modalità relazionali ed evolutive che ci fanno crescere, ammalare e guarire. Ieri il concetto di ferita coincideva con il concetto di peccato: la sofferenza era collegata quasi esclusivamente al peccato e alla necessità di rimediare ad esso! Oggi è cresciuta la consapevolezza che la storia dell’uomo è una storia tragica oltreché colpevole ! Ci sono esperienze ingiuste che ci hanno coinvolto e che soffriamo, senza averle meritate. Non sono rari i dibattiti attorno alle seguenti domande: pecca di più o di meno chi è stato ferito nella sua infanzia? E’ giusto parlare di peccato quando la persona è evolutivamente bloccata dal dolore ingiusto, di cui è stata vittima innocente? Sono domande serie che restano aperte !!! Inoltre, come lo stesso Giovanni Salonia ha ribadito in più occasioni, nella post –modernità il passaggio da una visione della vita, in cui era importante la sopravvivenza, ad visione in cui ci si concentra sulle occasioni mancate ha complicato le cose. Ieri la possibilità di sopravvivere era considerata un successo e un motivo di gratitudine . Motivo di gratitudine, ancora più grande, era considerato avere qualche opportunità nella vita: di educazione, di lavoro decente. Oggi siamo molto interessati alle occasioni mancate e il termine ferite ha incluso tutto ciò che avremmo voluto avere e non abbiamo avuto ! Se ho l’idea che la vita è pienezza, sarò grato se la mia vita è felice e realizzata: in caso contrario mi sentirò ferito. E’ importante allora l’invito, che ci rivolge Salonia, a contestualizzare il termine ferita. Un concetto onnicomprensivo non aiuta i nostri percorsi formativi. Cercheremo, in gruppo, di orientarci tra le diverse ferite per capirci, per capire e per avere strumenti di discernimento, senza cedere nella tentazione di etichettare i comportamenti. Cominciamo dal chiederci : “cosa intendiamo esattamente parlando di ferite?” Dicevamo, in premessa, che il termine ferita ha assunto una accezione ampia. Le fragilità, i dolori , le prove, il peccato sono chiamati indifferentemente ferite. La mancata precisazione dei termini può ingenerare confusione. Confondere dolore e patologia, ferite e peccato può confondere i percorsi di accompagnamento e di guarigione. Ad esempio, fino a qualche decennio fa, si è pensato che il malessere psicologico dipendesse dai traumi. Se una persona ci chiedeva aiuto per un problema si cercava il trauma. I traumi sono dolorosi, ma non diventano automaticamente un danno. Con il dolore si vive, si crea, si diventa fecondi. Il dolore, cioè, può diventare occasione di nuova interiorità. Quando, allora, il dolore diventa distruttivo o autodistruttivo? Quando il dolore si trasforma in danno? Sono le domande che ci accompagneranno. Potrà aiutarci il distinguere meglio le varie ferite, ripartendole in ferite dell’esistenza, ferite patologiche e ferite morali (per un approfondimento rimando al libro di Nello Dell’Agli “Parole, guarigione ed eucarestia “ed. EDB ). LE FERITE DELL’ESISTENZA Nella vita si alternano eventi naturali con eventi traumatici. Nascere, crescere, ammalarsi, invecchiare , morire sono le tappe fisiologiche del nostro ciclo citale. Un incidente, un intervento chirurgico, la morte prematura di un genitore, un abbandono, un abuso, un divorzio sono possibili traumi che la vita può riservarci. Ad ogni stagione della vita ci sono, altresì, nuovi compiti e alcuni addii a cui siamo chiamati. Ad esempio: se compiamo 50 anni senza aver realizzato quanto desiderato, senza i riconoscimenti che pensavamo di meritare potremmo sentirci depressi: è naturale . C’è una depressione fisiologica , non solo patologica. Dopo un addio, dopo un lutto, un abbandono, un insuccesso abbiamo diritto a sentirci tristi. Sono le ferite dell’esistenza. Fanno parte della vita e guariscono da sole. Il tempo, la presenza significativa di una relazione di “cura” e la ricerca di senso aiutano la guarigione. LE FERITE PATOLOGICHE Dicevamo prima che nessuno sta male ed è diventato patologico per il fatto di aver sofferto e che il dolore può aiutarci a maturare intelligenza interiore, relazionale, esistenziale. Il dolore non blocca la crescita. Viktor Frankl ha scritto: “se c’è un senso tutto si può assimilare” . Non è il dolore che crea problemi, ma la mancanza di relazione e di elaborazione. Le patologie nascono dal non avere potuto vivere bene il proprio dolore. Nelle ferite divenute patologiche la persona non ha avuto nessuno con cui parlarne e/o non ha ricevuto aiuto e/o è stata calpestata nel suo dolore. Ad esempio, se muore il papà a un bambino di cinque anni è una dolorosa ferita della vita . Se il bambino può dire il proprio dolore, se può piangerlo, se trova un grembo di madre capace di accoglierlo, crescerà sano nonostante il dolore. Se il bambino dovesse bloccare la propria sofferenza, perché gli si dice di non piangere; se non potesse dire il proprio dolore perché pensa di appesantire ulteriormente quello di mamma; se dovesse concludere, da quello che sente e vede, che nella morte di papà ha avuto qualche responsabilità , quel dolore può diventare danno! Il problema non è il dolore, il problema è quando il dolore è imbrogliato. Una ragazza abusata dal padre non riusciva a dire : “ sono stata abusata !” . Ha continuato a tormentarsi a lungo, pensando che fosse sua la colpa! Le ferite patologiche, ripetiamo, sono quelle in cui la persona ha vissuto un trauma che non ha potuto affidare in una relazione, trovando invece abbandono, svalutazione, confusione, aggressione. Rubando un’espressione efficace di G. Salonia: “il problema non è il trauma, ma la trama relazionale” LE FERITE MORALI Le ferite morali riguardano la fragilità etica della persona. Siamo deboli e possiamo peccare contro Dio e contro i fratelli. Ferirsi e tradire fa parte della vita. Le ferite morali vogliono il perdono. Se ferisco un amico, il suo perdono mi può aiutare. Può aiutarmi, altresì, sapermi perdonare se non sono stato così bravo come avrei voluto. Siamo umani se siamo “capaci di peccare” e non se non pecchiamo . La capacità di trasgredire e la scelta di non farlo fa di noi degli adulti . Soltanto quando una persona è capace di trasgredire può scegliere di non farlo. Un esempio : un direttore spirituale affermava di aver seguito con tanta gioia una coppia arrivata al matrimonio senza avere avuto rapporti prematrimoniali. Dopo un anno di matrimonio si diceva dispiaciuto del fatto che la coppia accompagnata non riuscisse ad avere rapporti sessuali. Se leggiamo questo esempio alla luce di quanto detto finora, comprendiamo che avere rapporti prematrimoniali è un problema morale, non averne in questo caso non è un problema di virtù, ma probabilmente di ferite psicologiche … Sono sicuramente più facili da accompagnare le ferite esistenziali e le ferite morali… le ferite psicologiche richiedono un aiuto più specialistico. FERITE E ORIZZONTE PARITARIO E NON PARITARIO Abbiamo parlato di ferite dell’esistenza, psicologiche e morali. Nelle loro relazioni Giovanni Salonia e Nello Dell’Agli ci hanno aiutato a capire che le ferite sono difficoltà relazionali da leggere dentro l’orizzonte dei rapporti paritari e non paritari vissuti. Ha precisato Salonia : “se un frate ha un rapporto sessuale con una donna con cui ha un rapporto paritario, per esempio con cui lavora nella pastorale, stiamo parlando di una ferita di tipo morale che va curata moralmente.” Il frate avrà bisogno di confessarsi, di una buona direzione spirituale, di esercizi spirituali, ecc. È un peccato che deve convertire. Se il marito tradisce la moglie è un problema di tipo morale. È l’orizzonte dei rapporti paritari che aiuta a definire la ferita come morale. Se il frate ha un rapporto sessuale con una figlia spirituale sta evidenziando una ferita patologica. Lo stesso discorso può essere per un insegnante se ha un rapporto con un’allieva, o per un medico o uno psicoterapeuta nel caso di rapporti sessuali con una paziente. In questo caso il problema non è solo di tipo morale. C’è patologia, confusione affettiva, potere, perché si abusa di persone di cui siamo chiamati a prenderci cura. Il padre che abusa della figlia, così come il prete che ha rapporti sessuali di tipo pedofilo, o l’insegnante che ha un rapporto con un’allieva minorenne esprimono patologie gravissime che richiedono cure specialistiche. Sono persone che, spesso, hanno sperimentato abusi a loro volta, che richiedono comprensione per il loro dolore, ma che vanno fermate. Le conseguenze dei loro comportamenti, infatti, su chi subisce i loro abusi sono pesantissime. Anche alla luce di quanto affermato non bisogna fare confusione tra omosessualità che riguarda un rapporto paritario e la pedofilia che investe un rapporto non paritario. Le ferite più grandi nascono quando gli adulti utilizzano i piccoli per i loro bisogni . Il pedofilo, dicevamo, spesso è stato abusato. Dopo l’abuso da bambino avrebbe avuto bisogno di tenerezza. Avrebbe avuto bisogno di sperimentarsi forte, considerato che si è sentito sopraffatto da un corpo più grande. Avrebbe avuto bisogno di esprimere la sua impotenza e la sua rabbia per aver subito la violenza di un adulto. Avrebbe avuto bisogno di sentirsi rassicurato rispetto alla paura di essere in qualche modo responsabile di quanto subito. Se il bambino abusato avesse potuto esprimere questi bisogni ad un adulto pulito e capace di cura, forse la sua storia avrebbe avuto esiti diversi. Il dramma si ripete quando l’abusato, a sua volta, si ritrova ad agire questi bisogni dentro una relazione sbagliata, su un corpo piccolo. Le ferite sono patologiche quando il piccolo non può affidarsi alla cura del grande e quando l’adulto viene meno al suo dovere di prendersi cura usando e strumentalizzando il piccolo . SESSUALITÀ E FERITE RELAZIONALI Molti problemi sessuali nascono dal non saper “dire io” o non saper “dire tu”. Pensate al rapporto con la prostituta, o alle dipendenze da immagini pornografiche, o alla ricerca di rapporti virtuali via chat: il tu non esiste ! E’ un rapporto con un corpo, un’immagine: l’alterità è inesistente. L’uomo e la donna si placano nel momento in cui si cercano come persone, quando i loro corpi e le loro anime si incontrano. Quando si cercano per possesso, per paura, quando si cercano come oggetti diventano insaziabili. Il vero rapporto sessuale ha bisogno di incontrare l’altro, in caso contrario puoi avere piacere, ma rimani insoddisfatto, insaziabile. Se non si entra nella logica che l’eros è in funzione della relazione e dell’amore si impazzisce. I tradimenti, l’ossessione per i film pornografici avvengono quando si perde il senso profondo dell’altro. Il rapporto con la prostituta è anonimo: spesso non ha un suo nome, ma un sopranome, non importa ciò che prova e se il cliente si innamora non c’è più rapporto IO-oggetto! Ripetiamo : “la sessualità necessità della capacità di dire io e di dire tu” . Quando sono capace di dire io e dire tu, sono pronto per il matrimonio o per la vocazione religiosa. Nello strumento di lavoro abbiamo trovato la seguente affermazione: “l’autoerotismo è un comportamento in cui l’eros si ripiega su se stesso: il mio corpo sostituisce il corpo dell’altro”. (Salonia precisa che si riferisce all’autoerotismo adulto e non a quello adolescenziale, che spesso ha un significato di esplorazione di sé e di autoconoscenza ). La masturbazione, cioè, può svolgere in questo caso la funzione di sedativo, di autoconsolazione rispetto a difficoltà relazionali. Ad esempio un frate ha litigato con il superiore, non ha avuto la forza di affrontarlo e consola lo stress che ne deriva con la masturbazione. Altri esempi di “sedativi relazionali”: un marito si sente impotente sessualmente con la moglie perché in realtà è arrabbiato con lei, la subisce, non sa fronteggiarla, sente la forza di lei superiore alla sua”… ancora un esempio: un frate è arrabbiato con i superiori e i confratelli e pensa che una donna lo potrebbe consolare. Ha un’immagine infantile della donna , utile appunto per consolare il “maschietto”: un’ immagine di donna - mamma … La domanda è sempre: “dov’è la difficoltà relazionale della persona che sto aiutando?” Ripetiamo che molte difficoltà sessuali possono essere comprese come difficoltà a “raggiungere l’altro o a farci raggiungere dall’altro”. Meno gustiamo il piacere della relazione e più siamo ossessionati dal piacere in sé stesso. Questo significa che di fronte ad ogni difficoltà affettiva o sessuale, di fronte ad ogni comportamento problematico dobbiamo chiederci: “qual è la difficoltà relazionale da cui dipende questo comportamento”? Un esempio ancora: Una donna in terapia portava il problema che, pur avendo un buon rapporto con il marito, sentiva il bisogno di avere rapporti sessuali con altri uomini. La paziente si lamentava : “perché pur avendo un buon rapporto con il partner sono ossessionata da tutti i maschi interessanti che incontro? Alla domanda : “quando sta con il marito pensa agli altri?” Risponde: “no, mi succede quando sono sola!” Questa donna non riusciva a stare sola; era così impaurita dalla sua solitudine che cercava altri uomini per rassicurarsi. Un esempio ulteriore è quello tratto da un altro lavoro terapeutico con una formanda che ha avuto una madre fredda e anaffettiva. La formanda racconta di avere avuto spesso negli ultimi mesi fantasie omosessuali nei confronti della sua formatrice e di desiderare un abbraccio e un bacio da lei. Alla domanda: “se la formatrice ti abbracciasse e ti baciasse come ti sentiresti?” Risponde: “penso che sentirei finalmente tanta serenità”. Alla successiva domanda: “hai comunicato alla tua formatrice questo tuo desiderio?” La risposta è: “ho vergogna di essere giudicata e di perdere il suo affetto e la sua stima”. La fantasia omosessuale in questo caso non ha niente a che fare con problemi di identità omosessuale rivela piuttosto il desiderio di sentire un corpo materno finalmente vicino e accogliente. Se la formatrice non si impaurisce e sa accogliere in maniera pulita l’abbraccio e il bacio della formanda e se la formanda si dà la possibilità di comunicare il suo corpo e la sua anima, la ferita della madre fredda e anaffettiva troverà un percorso di guarigione. Ripetiamo: in presenza di una difficoltà sessuale, la domanda è sempre: “dov’è la difficoltà relazionale di questa persona?”. La sessualità è una freccia che cerca l’altro, perché Dio ha fatto i nostri corpi relazionali. Essere per l’altro è scritto nel nostro corpo. Tutti gli eccessi di masturbazione, di dipendenza, di possesso vanno inquadrati in questi viaggi imperfetti: dal noi all’io e dall’io al tu…sono deviazioni della freccia dal suo bersaglio relazionale. L’eros è possibile se c’è comprensione di sé e capacità di obbedienza all’altro . L’eros senza comprensione e senza obbedienza diventa lotta per il potere e per il piacere. Allora l’uomo e la donna si cercano come oggetto di potere e oggetto di desiderio e la sessualità diventa “maledizione .. ricerca insaziabile di corpi senza anima” (Pier Paolo Pasolini). Il problema è allora educarci all’eros che è incontro con l’alterità, conquista, ricerca, guarigione da ogni dipendenza e da ogni narcisismo. LA CONSAPEVOLEZZA NELLA GUARIGIONE DELLE FERITE. La prima strada per guarire le ferite è la consapevolezza: sapere che ho ferite non guarite e che ho bisogni relazionali non soddisfatti pienamente. Sono diverse le strade della consapevolezza. Focalizzarsi sui comportamenti ripetitivi, sui pensieri strani e le fantasie folli, osservare le contraddizioni e i conflitti ripetitivi sono strade privilegiate. Il formatore deve aiutare a fare emergere dai comportamenti sbagliati le relazioni sbagliate: questo comportamento sbagliato quali relazioni sbagliate ha dietro? Quello a cui dobbiamo essere interessati è che il formando accresca la sua consapevolezza. Anche le fantasie e le tentazioni sessuali sono fonti di consapevolezza. Se ho una tentazione sessuale il mio corpo di cosa mi sta parlando? Mi sta ricordando che mi sto chiudendo agli altri, che sto scappando, che ho paura, che sono da loro dipendente, che ho bisogni di affiliazione, di potere, di successo insoddisfatti? Il sesso è importante perché in esso canalizziamo anche bisogni extrasessuali. Nello strumento di Salonia troviamo scritto: “ il rischio più insidioso della sessualità è quello di essere al posto di ( instead of) bisogni di cui non siamo consapevoli. Spesso nella sessualità incanaliamo i bisogni di conferma, di stima, di appartenenza , di vicinanza. “Fare sesso”, così come divorare il cibo, ammazzarsi di lavoro sono farmaci con cui sediamo i nostri bisogni . “Sono triste e fantastico un corpo che consoli, sento lo stress di non essere accettato e mi masturbo; mi sento solo e ho desideri fusionali; ho il cuore freddo e desidero un seno dove riposare; mi sento spaventata e immagino un corpo capace di proteggermi. In questa fase la mia anima mi è sconosciuta ! La consapevolezza è il viaggio per imparare ad ascoltare i bisogni e per rispondere alle domande : “di cosa mi parlano le mie fantasie o le mie ossessioni sessuali” ? Sono al posto di cosa? Esprimono il bisogno di relazioni nutrienti ? di appartenenze solide ? di intimità? di essere importanti per qualcuno? di sentirci a casa? di sentirci utili? Ad esempio se ho cinquanta anni e una ragazza ventenne mi ossessiona, che cosa sto cercando? Di quale solitudine, di quale limite mi sta parlando l’ossessione per la ventenne ? Di quale intimità ho bisogno ? Cosa vuol dire questa attrazione mentre ho paura di invecchiare? Qui capiamo che le fantasie sessuali richiedono una mentalità esodale per conoscere più in profondità il mio cuore. La ventenne è un nuovo viaggio apparente . Quello che è veramente nuovo è cosa fare considerato che sto invecchiando ? Posso accettare il nuovo se accetto la logica eucaristica morendo all’equilibrio precedente,posso accettare il nuovo se ho la capacità di sintonizzarmi con i vissuti profondi che ho nel cuore e ho la capacità di condividerli. Se ascoltare il mio corpo e la mia anima è la prima tappa, imparare ad affidarmi e non fuggire l’intimità è la seconda tappa. Molta sessualità è paradossalmente fuga dall’intimità. S. Francesco raccomanda : “ i frati dicano gli uni agli altri i bisogni che hanno”. E’ facile dirlo, ma che coraggio ci vuole a farlo! Più sono consapevole e più vivo relazioni di intimità, più il bisogno di genitalità trova la sua collocazione e la sua dimensione. Non voglio certamente negare che ci sono tentazioni esclusivamente sessuali, ma affermare che ci sono tentazioni sessuali che esprimono rabbia, solitudine, fallimento. C’è una sessualità che copre altri bisogni che in origine sono di altro tipo. La tentazione sessuale pura è molto più limitata di quanto non appaia a prima vista . In questa consapevolezza il formatore ha un ruolo importante. Mi rendo conto che ho trascurato l’importanza del rapporto con Dio nella guarigione delle ferite. È una riflessione che merita una sua trattazione specifica. Qui mi limito a dire quanto sia importante aiutare gradualmente il formando a soddisfare in Dio i suoi bisogni di base. Se ho bisogno di sentirmi a casa, la mia casa è il Signore; se ho bisogno di sentirmi amato, mi ama il Signore; se ho bisogno di sentirmi utile, c’è una messe enorme dove lavorare per Dio, se ho bisogno di essere stimato, so di essere prezioso agli occhi di Dio, se sono spaventato, so che Dio mi tiene stretto nel palmo della sua mano. Tonino Solarino, psicoterapeuta Direttore dell’Istituto cristiano di antropologia – PAIDEIA- Ragusa