Venerabile Cointa Jauregui Oses. Odn

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Venerabile Cointa Jauregui Oses. Odn
Venerabile
Cointa Jauregui Oses.
Odn
La forza
dell’amore e
della verità
Nasce a Falces, Navarra, l’8
febbraio 1875
Entra nell’Ordine della
Compagnia di Maria Nostra
Signora il 18 ottobre 1893
Muore a San Sebastian il 17
gennaio 1954
E’ dichiarata Venerabile da
Papa Francesco il 22 gennaio
2015
La forza dell’amore e della
verità furono la chiave della
sua vita e della sua azione
evangelizzatrice, del suo
impegno nell’alimentare
un’educazione umanista
cristiana, sempre tanto
necessaria nel nostro mondo.
Cointa Jauregui Oses.
Odn. Venerabile
“L’amore nelle piccole cose”
Per noi è motivo di grande allegria far giungere a ciascuna e a ciascuno dei nostri lettori il testo in
latino e in spagnolo del DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS, che testimonia il cammino di santità della
nostra cara sorella Cointa. Con esso ci uniamo anche al desiderio di Papa Francesco, che ci ricordail
Cardinal Angelo Amato: “il Sommo Pontefice ha ordinato che questo decreto venga pubblicato e si
includa negli atti della Congregazione per la Causa dei Santi”.
Il tenerlo nelle nostre mani ci dà la possibilità di approfondire la vita di Madre Cointa e soprattutto
di scoprire come Dio continua ad agire in ogni persona e può trasformarci se collaboriamo con Lui
nella sua proposta di Amore.
Così lo intese la nostra sorella lungo la sua vita. Lei ebbe la grazia di viverlo nei piccoli e grandi
avvenimenti che hanno tessuto la sua storia. Possiamo dire che la ricerca della verità, la pratica della
carità e l’esercizio della libertà che caratterizzarono la sua esistenza, furono il suo modo di
rispondere all’AMORE inesauribile di Dio.
Ricordare le persone che ci hanno preceduto e che hanno ingrandito la nostra comunità umana, è
sempre segno di speranza. Queste pagine sono anche un invito a cogliere il messaggio che la vita di
Cointa rivolge al nostro tempo per trovare o continuare il nostro personale cammino di risposta
all’amore di Dio. Così ce lo dice in un modo particolare ognuno degli autori degli articoli:
Mª Claustre Solé ci offre una riflessione biblica sull’amore di Dio che non ha frontiere, amore che si
fa carne in Gesù di Nazareth.
Mª Angeles Martínez esprime la forza che rappresenta oggi la preghiera che Cointa rivolgeva con
frequenza al Signore: “infondi in me le delicatezze della carità”.
Il P. Alberto Ramírez, che già riposa nelle mani del Padre, ci spiega che senso ha la proclamamzione
della santità di una persona nella chiesa.
Marcela Bonafede, ha plasmato in un canto il messaggio di Cointa Jauregui Oses: l’amore nelle
piccole cose, “nelle opere più che nelle parole”. Cantato da altre voci e in altre lingue, desideriamo
che il suo messaggio arrivi al mondo intero.
Beatriz Acosta Mesa odn
ed Equipe Generale
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Decretum super virtutibus
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Decreto in Italiano
SAN SEBASTIAN
Beatificazione e Canonizzazione
della Serva di Dio
COINTA JAUREGUI OSES
Religiosa Professa dell’Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora
(1875-1954)
DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS
«L’amore non ha mai fine» (I Cor 13,8).
Queste parole sulla carità della Lettera ai Corinti, risuonarono nel cuore della Serva di
Dio Cointa Jauregui Oses quando chiedeva al Signore che infondesse in lei “le delicatezza
della carità”. Il suo modo di essere e di porsi nella vita lasciarono una profonda impronta in
quelli che la conobbero e per quello proclamarono che era una donna santa. Cointa irradiava
pazienza, abnegazione e donazione senza riserve, sempre con una umiltà che la faceva
molto umana e, allo stesso tempo, dotata di una sapienza che solo hanno coloro che si
sentono colmati da qualcuno che li trascende.
La Serva di Dio nacque nel paese navarro di Falces, l’8 febbraio del 1875. Visse nella Spagna
del finale del secolo XIX e della prima metà del XX, un’epoca segnata dal contrasto tra grandi
progressi scientifici e tecnologici ed enormi regressi causati da due guerre mondiali e dalla
guerra civile spagnola. In questo contesto si andò forgiando il suo essere.
Nella piena gioventù aveva scoperto Dio come l’amore del suo cuore, l’unico che poteva
ridare senso al mondo in mezzo alla distruzione e alla violenza. Innamorata del Signore
lasciò tutto per seguirlo e trovò nell’Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora e nella
sua missione educativa, la strada per realizzare i suoi desideri di servizio e donazione.
Cointa aveva ricevuto una educazione integrale impartita dalle religiose, fondate da Santa
Giovanna de Lestonnac, delle quali voleva ora formar parte. Desiderava mettere tutte le sue
forze nell’impegno di evangelizzare le giovani attraverso una educazione che rispondesse
alle sfide che la società presentava in quel momento. La Vergine Maria era il modello di
donna che lei voleva essere e che voleva mostrare ad altre donne. Il giorno 18 ottobre del
1893, entrò nella comunità di Tudela per cominciare la sua formazione come religiosa.
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Decreto in italiano
Lungo la sua vita svolse differenti servizi: lezioni alle bambine e giovani, governo,
amministrazione, formazione... e in tutti seppe coniugare dolcezza e fermezza, coraggio e
generosità, umiltà e fortezza. Le molte generazioni che educò l’avrebbero ricordata sempre
per la sua bontà e per la finezza del suo trattamento.
Il 17 novembre del 1899 fu una delle religiose che uscirono da Tudela per andare a Talavera
de la Reina, dove fondarono una nuova casa dell’Ordine. Fu Superiora di questa Casa dal
1915 al 1921 e dal 1925 al 1928. Nel 1931 fu inviata a Limoges, Francia, per conoscere
l’esperienza di quella comunità che era sopravvissuta all’instabilità politica e alla
persecuzione religiosa. Conobbe poi le comunità di Orduña e San Sebastian. Lasciò in questi
luoghi il ricordo della sua umiltà e della sua carità squisita. Al suo ritorno fu nominata
nuovamente superiora, disimpegnò questo servizio dal 1932 al 1940.
Con la sapienza che nasce da una dedizione incondizionata, affrontò le difficoltà che si
fecero sentire con forza quando la guerra arrivò fino a Talavera de la Reina. Dal 5 settembre
del 1936 fino al 13 novembre del 1939, lei e la sua comunità dovettero abbandonare il
convento, che fu trasformato in ospedale per curare e assistere i feriti in combattimento. In
questo periodo fu progettata la partenza di alcune religiose a Badajoz e Cointa diede
impulso all’apertura di una scuola in questa città.
La Serva di Dio, con coraggio e fermezza, formava parte del gruppo -in qualche momento ne
era stata anche leader- che si opponeva all’unione di tutte le Case dell’Ordine, la sua
bandiera era allora la fedeltà alle origini e alla tradizione. Tuttavia, con lo stesso coraggio e
per il suo amore alla verità, seppe accogliere più tardi la luce che Dio le offriva per
comprendere, attraverso la conoscenza di altre realtà e in mezzo a circostanze difficili, che
l’unione che si continuava a cercare in quei momenti nella Compagnia e nella Chiesa era il
volere del Signore. Senza curarsi delle critiche e incomprensioni, non dubitò allora di
ritrattarsi e unirsi, nel giugno del 1941, a quello che prima aveva combattuto.
Questo fatto che segnò l’ultima tappa della sua vita le richiese un arduo distacco
dalla comunità di Talavera. Fu inviata alla Casa di San Sebastian dove si erano già realizzati
da prima i cambiamenti promossi, e dal 1921 faceva parte dell’Unione. Lì dette grandi prove
di umiltà servendo nella misura delle sue forze che già andavano diminuendo, irradiando
sempre bontà, comprensione e pazienza. In pochi anni la sua santità fu percepita da quelli
che le stettero vicino e dalle suore che l’accompagnarono fino alla fine.
Madre Cointa muore a San Sebastian il 17 gennaio del 1954. Saputa la notizia,
cominciarono ad arrivare numerose manifestazioni scritte che riflettevano un sentire
comune sulla santità della sua vita. Tutti avevano compreso dalla sua testimonianza che è
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Decreto in Italiano
l’amore quello che fa i santi, quello che fa che il mondo scopra in essi il vero volto di Dio. Nella
quotidianità, nei gesti semplici di ogni giorno, era stata una religiosa straordinaria. Molti
cominciarono a raccomandarsi a lei e a sentirsi favoriti dalla sua intercessione.
Per questo, il 7 gennaio del 1982 fu introdotta la Causa. Tra il 1982-1983 presso la Curia
Vescovile di San Sebastian se realizzò il Processo Informativo e il 21 dicembre del 1984 fu ottenuto il
decreto sulla validità dello stesso dalla Congregazione dei Santi. La Positio fu preparata, secondo il
modo consueto, per presentare l’esercizio en grado eroico delle virtù della Serva di Dio. L’8 ottobre
del 2013, si ebbe con resultato positivo il Congresso dei Consultori Teologi. Nella Sessione Ordinaria
del 20 gennaio del 2015, diretta da me, Angelo Card. Amato, i Cardinali e Vescovi hanno riconosciuto
che la Serva di Dio ha vissuto in grado eroico le virtù teologali, cardinali e altre a queste annesse.
In fine, fatta una accurata relazione intorno a tutte queste cose per il Sommo Pontefice
Francesco dal sottoscritto Cardinale Prefetto, Sua Santità accogliendo i voti della Congregazione delle
Cause dei Santi e avendoli ratificati, in questo giorno dichiarò: Che consta la eroicità delle virtù
teologali fede, speranza e carità sia verso Dio sia verso il prossimo ed anche delle virtù cardinali
prudenza, giustizia, temperanza e fortezza, e le altre a esse connesse, della Serva di Dio Cointa
Jauregui Oses, Religiosa professa dell’Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora, per il caso e
gli effetti di cui si tratta.
Il Sommo Pontefice ha ordinato che questo decreto sia pubblicato e che sia riportato tra li
atti della Congregazione per le Cause dei Santi.
Dato in Roma, il giorno 22 del mese di gennaio dell’anno del Signore 2015.
ANGELUS Card. AMATO, S. D. B.
Praefectus
+ MARCELLUS BARTOLUCCI
Archiep. tit. Mevaniensis
a Secretis
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Dio è Amore
L’esperienza ci dice che “amore” e “amare” sono le parole più comuni e più viscerali del
linguaggio, accessibili a tutti gli uomini e a tutte le donne di tutti i luoghi, in tutti i tempi e
nelle diverse culture. Effettivamente, l’essere umano cresce, si realizza e trova la sua felicità
nell’amore; il fine della sua esistenza è amare.
La fiducia è intimamente legata all’amore e solo l’amore può donarci la gioia di vivere. Nella
fiducia che nasce dall’amore la nostra vita si unifica, si umanizza, si riempie. Questo
dimostrano le persone che hanno fatto dell’amore il loro programma di vita. Diceva
Sant’Agostino: Ama e fa’ quello che vuoi o Teresa di Gesù, affermando che la vita cristiana
non è nel moto pensare, ma nel molto amare. Più di recente, lo ha compreso e vissuto così
anche M. Cointa Jáuregui, che fu capace di tradurlo nel servizio quotidiano considerato da
lei l’amore nei particolari o i particolari dell’amore.
Il tema dell’amore è presente ogni giorno nel nostro mondo attraverso i mass media però,
spesso, quante manipolazioni, quanti condizionamenti e ricatti su questo terreno! Perché è
tanto difficile per molte persone soddisfare questa necessità vitale che ci permette di
crescere, maturare e, in definitiva, sentirci realizzati e felici? Perché l’amore è spesso legato
a tanto dolore e frustrazione? Quando ci manca l’amore ricorriamo ai sostitutivi e le cose
materiali diventano sempre più importanti. Siamo in una società in cui quasi tutto ha un
prezzo, però l’amore non può essere comprato o venduto, né rubato né preteso. Con una
certa frequenza viviamo un amore che si aspetta di ricevere qualcosa in cambio, che ama
perché si sente attratto dall’oggetto amato e lo ama precisamente per questo. Il vero amore
può essere solo offerto e accettato, regalato e ricevuto e in piena libertà.
La psicologia ci dice che non possiamo amare gli altri se non incominciamo ad amare noi
stessi e non possiamo amare noi stessi se prima non ci siamo sentiti amati, prediletti.
Questa è la chiave. Convertirsi all’Amore implica apprendere ad amare gratuitamente: essere
mano che si estende a dare, senza attendere nulla in cambio.
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Uno sguardo alla Bibbia
K. Barth diceva che per comprendere la Bibbia come Parola di Dio bisogna tenere il giornale
in una mano e il testo sacro nell’altra. La vita presenta sfide, domande che ci obbligano ad
andare alla Bibbia; inoltre, la lettura della Parola ci porta di nuovo alla vita, anche se con un
nuovo sguardo.
In questa riflessione sull’amore cercheremo di seguire il consiglio di Barth, perché una
questione tanto fondamentale come l’amore non può essere estranea alla Bibbia che lo
tratta in tutte le sue dimensioni. Essendo un tema molto ampio daremo, semplicemente,
alcune idee.
Conviene ricordare all’inizio che gli uomini e le donne della Bibbia si sentivano nati dalla
mano di Dio, creati a sua immagine, e vivevano riferendosi a Dio come alla loro Fonte. Dio
era, per così dire, come il loro focolare e se Dio è amore, per loro l’amore era anche
l’elemento che definisce l’essere umano.
Dio è Amore
Dio è amore e l’essere umano, creato a sua immagine, riceve un baleno, una scintilla di quel
fuoco; la sua vita giunge a buon fine se questa fiamma non si spegne; la sua vita si rianima,
giorno per giorno, sviluppando la sua capacità d’amare.
Nel Deuteronomio ci si dice che il punto nevralgico della Legge è amare Dio con tutto il
cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze1. E nel Levitico si completa questo precetto con:
ama il prossimo tuo come te stesso2. Questo mette in rilievo che i precetti di Dio non
vogliono essere un giogo, ma che Lui ci comanda precisamente quello che ci porta alla
pienezza, quello che può realizzarci, quello che permette la nostra felicità. Sì, l’amore di Dio
è fonte di felicità: “Il tuo amore vale più della vita”3, dice il salmista sperimentandolo in un
momento di preghiera.
La stessa creazione è un atto d’amore e l’essere umano, creato per amore, scopre che
amando ed essendo amato si sente realizzato. In realtà, tanto la creazione quanto la storia
umana trovano la ragione ultima nell’amore di Dio. Questo intendeva l’autore del libro della
Sapienza dicendo:
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1 Dt
6,5. Mt 22,37.
Lv 19,18.
3 Sl 63,4.
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Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi si opporrà alla potenza del tuo braccio?
Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. (Sap 11,21-12,1)
Sì, la storia dell’umanità, con le sue luci ed ombre, ─con le sue pagine d’amore macchiate di
violenza─ risulta illuminata dalla luce dell’amore di Dio. Sant’Ignazio di Loyola, nei suoi
esercizi spirituali, presenta l’Incarnazione come la risposta della SS Trinità contemplando
un’umanità bisognosa di redenzione. Quindi la storia della Salvezza trova la sua spiegazione
piena nel Dio Amore.
In Gesù, l’Amore prende volto
Nel Nuovo Testamento scopriamo che in Gesù di Nazareth l’Amore di Dio prende un volto,
diventa visibile, palpabile. Per questo potrà dire: Chi vede me, vede il Padre4. Gesù visse nel
suo battesimo la forza e l’esigenza che comporta il sentirsi figlio amato di Dio. Da qui inizia
con forza la sua missione; Gesù renderà evidente quest’amore non solo nei suoi
insegnamenti ma anche in tutti e in ognuno dei suoi gesti fino ad arrivare a dare la sua vita
per amore. E sarà l’amore la legge del discepolo: Vi dò un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Che come io vi ho amati, così anche voi vi amiate gli uni gli altri. In
questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri. (Gn 13,34ss).
questo precetto è nuovo perché mai prima della venuta di Cristo si era preteso qualcosa di
simile. Gesù esige l’amore fino al dono della vita, dono supremo.
Secondo il vangelo di Giovanni, il Padre ci ama con lo stesso amore con cui ama il Figlio. Se
la Genesi ci diceva che Dio aveva creato l’essere umano a sua immagine, nel Nuovo
Testamento ci dice che ci ama in tal modo che possiamo diventare immagine del suo stesso
Figlio, un Figlio che ci ama con lo stesso amore con il quale ama il Padre; ci ama come figli di
suo Padre e l’amore ci trasforma in fratelli suoi. Per questa via ci si introduce nel più intimo
dei misteri: l’amore trinitario.
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4
Gn 14,9.
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I discepoli, grazie allo Spirito di Gesù, così lo compresero e soprattutto così lo vissero. Per
questo l’autore della prima lettera di Giovanni scrive: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri,
perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama
non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.5” L’amore è, pertanto, l’elemento che definisce
la persona, un amore che rende possibile amare e dare una risposta nell’Amore.
Chi ama veramente Dio vive in profonda comunione con Lui e non c’è forza capace di
strappargli il tesoro dell’amore di Cristo. Nella lettera ai Romani, Paolo dice: Chi ci separerà
dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il
pericolo, la spada? Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né
presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai
separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rom 8,35.38-39).
L’amore non ha frontiere
L’amore vero non ha limiti. L’amore umano sì che è limitato, come le creature che siamo.
Solo quando il nostro amore nasce dall’esperienza di Dio possiamo intuire la gratuità di
quest’amore che non conosce frontiere. L’amore autentico ci proietta al Trascendente
perché è trascendente.
Dice il ritornello che “l’amore con amore si paga”. Chi ha fatto esperienza dell’amore gratuito
di Dio è costretto a tradurlo nel suo amore al prossimo. E nella prima lettera di Giovanni
leggiamo: “Se qualcuno dice che ama Dio e odia suo fratello è un bugiardo. Chi non ama suo
fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo
ricevuto da Lui: che chi ama Dio ami anche il fratello” (1 Gv 5,2)
Vale la pena ascoltare le parole dell’Apostolo: Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l’amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se
avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se
possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla. E
se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non
avessi l’amore, a nulla mi servirebbe. L’amore è magnanimo, benevolo è l’amore; non è
invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio
interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (...) Ora dunque
rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e l’amore. Ma la più grande di tutte è
l’amore! (1Cor 13).
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51Gn
4,7-8
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Non crediamo si possa dire di più sull’amore. Paolo innalza tanto l’amore che arriva, perfino,
a metterlo al di sopra della fede e della speranza e ad affermare che l’amore non passerà
mai. Nella gloria del Regno non si richiede la fede e non sarà necessaria la speranza perché
vivremo pienamente in Dio che è Amore.
Cresciamo nella fede quando questa si fa carne nelle nostre vite; il nostro amore arriva alla
maturità quando le nostre viscere tremano, come tremarono le viscere di Gesù,
contemplando il dolore del nostro mondo con una misericordia operativa che cerca il modo
di trasformare la sofferenza in dolore di parto, in germe di vita e non di aborto.
Se viviamo con gli occhi aperti e non ci perdiamo in elucubrazioni mentali potremo
sperimentare come quest’amore di Dio non è qualcosa di sporadico, ma si manifesta nei
piccoli regali che la sua provvidenza ci offre ogni giorno e che, spesso, possono passare
inosservati.
Riassumendo, potremmo dire che tutto inizia aprendo la strada all’Amore perché solo nella
misura in cui accogliamo l’amore di Dio siamo capaci di amare. Noi amiamo perché Lui ci ha
amati per primo6 leggiamo nella prima lettera di San Giovanni e San Giovanni della Croce ci
ricorda che alla sera della vita saremo giudicati sull’amore.
Maria Claustre Solé odn
Religiosa della Compagnia di Maria N.S.
Dottoressa in Teologia, specialista in Sacra Scrittura,
Professoressa della Facoltà di Teologia di Catalogna
e dell’Istituto di Scienze Religiose di Barcellona.
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1Gn 4,19.
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Venerabile Cointa Jauregui:
“Sempre e IN TUTTO Buona”
I santi sono l’espressione sacramentale dell’ideale della santità, che e chiamata a
realizzare tutta la comunità dei seguaci del Signore.
La Compagnia di Maria ha ricevuto con profonda gioia la notizia pubblicata dalla Santa Sede
il 23 gennaio di quest’anno, con il decreto di riconoscimento della “eroicità” delle virtù di
Madre Cointa Jáuregui Oses, religiosa spagnola della Compagnia di Maria che visse fra gli
anni 1875 e 1954, decreto promulgato da Papa Francesco il 22 dello stesso mese, dopo aver
ricevuto informazioni positive sul risultato dei processi svolti nella Congregazione per le
Cause dei Santi che gli presentò il Prefetto di detta Congregazione, il cardinale Angelo
Amato. Con questo decreto che dichiara “Venerabile” la Serva di Dio, Madre Cointa, si apre
la strada verso la sua beatificazione e la sua canonizzazione che hanno luogo, normalmente,
come frutto del riconoscimento di un miracolo comprovato in ognuno di questi momenti.
Il senso che ha la proclamazione solenne della santità di qualcuno nella Chiesa si comprende
bene se si tiene conto di quello che è stata questa pratica nel corso della storia. Nei primi
secoli del cristianesimo, questa pratica costituiva un atto con il quale si approvava nelle
Chiese particolari il culto reso a coloro i quali il popolo riconosceva come santi. Si trattava in
origine dei martiri. L’approvazione del culto che si rendeva loro era competenza dei vescovi.
Solo con il tempo, nel medio evo, si constatò che questa pratica non si limitava
all’approvazione del culto dei martiri, ma si estendeva a chi la comunità cristiana
riconosceva come intercessori davanti a Dio in virtù dei loro meriti e come modelli di vita
cristiana, per aver praticato le virtù in grado eroico. Con il passare del tempo, questo
riconoscimento diventò competenza del ministero del Papa. Tuttavia bisognerà aspettare
fino al secolo XVII, sotto il pontificato di Papa Urbano VIII, perché questa prerogativa gli sia
pienamente riconosciuta. I criteri che si diedero per la proclamazione dei santi nel corso
della storia della Chiesa furono vari: in principio quello del martirio, poi la eroicità delle virtù
(e l’ortodossia degli scritti in alcuni casi), e finalmente il compimento di miracoli, in
particolare miracoli di guarigione di malati, un criterio dal quale certamente può dispensare
il Papa, come ha dimostrato Papa Francesco
recentemente in occasione della
canonizzazione di Papa Giovanni XXIII.
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E’ evidente che nella Chiesa si dà grande importanza alla pratica del riconoscimento
ufficiale, da parte del suo Magistero, della santità dei suoi membri. Non solamente nella
Chiesa cattolica, ma anche in Oriente. Al farlo, la Chiesa non ignora certamente che la
santità è una realtà che non si dà in essa semplicemente, perché viene riconosciuta
ufficialmente con un atto come quello delle canonizzazioni, ma perché avviene nella vita
concreta dei suoi membri che spesso, in modo occulto e silenzioso, vivono la vita in modo
tale che la loro santità passa inosservata agli occhi degli uomini, ma non certamente agli
occhi di Dio. Nella pratica parliamo per questo della santità di persone “comuni e correnti”
che incontriamo nella vita di tutti i giorni. Questo non significa evidentemente che la
proclamazione dei santi fatta ufficialmente dal Magistero della Chiesa non costituisca un
atto ecclesiale di grande valore e che dobbiamo apprezzare molto: è molto importante
certamente riconoscere la realizzazione di quella che deve essere la finalità della vita di tutta
la Chiesa. I santi sono in questo senso l’espressione sacramentale dell’ideale della santità,
che è chiamata a realizzare tutta la comunità dei seguaci del Signore. E’ quello che ci ha
voluto ricordare il Concilio Vaticano II nel capitolo quinto della Costituzione Lumen Gentium
(“La vocazione universale alla santità”) per mezzo del quale si volle contestualizzare la
dimensione della Chiesa in quanto avviene sacramentalmente nella vita consacrata (capitolo
sesto della Costituzione su “La vita religiosa”). E questo è quello che la Chiesa vuole dire
proclamando i santi. Il fondamento di questa visione ecclesiologica del fenomeno della
santità è il criterio propriamente detto per comprendere quello che significa in profondità
l’esistenza cristiana: seguire il Signore, praticare i consigli evangelici, donare la vita
nell’impegno per la realizzazione del Regno di Dio nella vita umana.
Della Madre Cointa hanno scritto cose molto importanti i suoi biografi, che dobbiamo
leggere in occasione del riconoscimento dell’eroicità delle sue virtù: Padre Antonio
Garmendia de Otaola SJ. (Estrella y estela: Vida de la Rvda. Madre Coínta Jáuregui Osés de la
Orden de la Compañía de María Nuestra Señora, Grijelmo, 1956); Madri Silvia Vallejo e
María Mercedes Aizpuru (Así nos trabaja Dios. Relectura de la vida de Coínta Jáuregui Osés,
odn. Orden de la Compañía de María Nuestra Señora. Ed. Lestonnac, ODN IV Centenario, No.
4), fra gli altri. C’è spesso principalmente una bella espressione che può riassumere tutto
quello che possiamo conoscere su Madre Coínta: l’espressione di persone che vollero così
dare testimonianza di quello che fu la sua vita, un’espressione che definisce in modo
ammirevole ciò che ella fu e come realizzò l’ideale della santità: “sempre e in tutto buona”.
Per una comunità di vita consacrata come la Compagnia di Maria deve essere un motivo di
profonda gioia il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa della santità di una delle sue
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religiose. E’ la maniera di costatare concretamente che si è realizzato in lei quello che deve
essere, in ultimo termine, il suo ideale e quello di tutta la comunità. Ogni comunità religiosa
deve essere piena di semi di santità, la dimostrazione che è possibile realizzare l’ideale della
vita consacrata come sacramento di santità. E, anche se ha un significato tanto importante il
riconoscimento ufficiale della santità che avviene nella Chiesa con la canonizzazione dei
santi, non dobbiamo smettere di pensare che la cosa più importante nella vita reale è quello
di cui siamo testimoni ogni giorno: la realtà ammirevole della vita di tante persone che in
modo umile e silenzioso realizzano l’ideale della perfezione. In ultimo termine questo
realizzò la “Venerabile” Madre Cointa. Per questo la nostra gioia in occasione del
riconoscimento della “eroicità” delle sue virtù, gioia che dividiamo anche in modo speciale
perché questo riconoscimento ha luogo nell’anno della vita consacrata indetto da Papa
Francesco.
Alberto Ramírez Zuluaga.
Sacerdote della Arcidiocesi di Medellín. Cappellano della Compagnia di Maria
Dottore in Teologia. Professore dell’Università Pontificia Bolivariana e del Celam
+ 31 marzo 2015
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Madre Cointa Jauregui, Odn
Una Testimonianza Personale
“Dio mio, infondi nella mia anima
le delicatezze della carità”
C.J.
Voglio testimoniare qualcosa di personale su Madre Cointa, perché in quest’ultimo tempo
ne ho preso più coscienza. La giaculatoria “Dio mio infondi nella mia anima le delicatezze
della carità”, comprendo che fu vissuta dalla Madre Cointa per tanti particolari di carità, con
la qualità dell’amore che è la tenerezza, il comandamento nuovo di Gesù (Gv 13, 34-35).
Laddove ella passò, e che io ricordi, Talavera de la Reina, Badajoz e San Sebastian, attirarono
la mia attenzione letture e commenti fra le religiose, la loro testimonianza esplicita,
specialmente a San Sebastian. La Madre Cointa muore in quella città nell’anno 1954 e io
entro nel Noviziato di San Bartolomé, San Sebastian nel 1956. Raccolgo dalla sua vita virtù
solide, carisma per il governo, educatrice con relazione apostolica con le alunne, exalunni,
cioè oggi, con i laici, apertura ai segni dei tempi.
Mi rendo conto che nella mia vita la giaculatoria propria della Madre Cointa è stata come
“un mantra” che ho ripetuto molte volte, specialmente in momenti di perdono, di
riconciliazione, di voler amare come Gesù amò. Credo che mi ha accompagnato la Madre
Cointa nel mio desiderio di essere in comunione con tutti, con tutte le sorelle, anche in quei
momenti critici della vita in cui diventa più difficile la relazione fraterna. E’ quello che nella
nostra tradizione chiamiamo vivere “l’unione di cuori”.
Arrivò nelle mie mani un giorno una cartolina con quella frase “Dio mio, infondi nella mia
anima le delicatezze della carità” e da quando la ho, la fotocopio e la dono. La cosa più
significativa di questi ultimi tempi è che dando ritiri ed esercizi spirituali a laici, sacerdoti,
religiose, scopro che mi tocca sempre parlare della fraternità, la vita comunitaria, fare
riferimento alla meditazione della lavanda dei piedi (Gv 13, 12-15 ) al comandamento
dell’amore (Gv 13, 34-35 ; 1 Gv 4, 7-9) , all’inno alla carità di San Paolo (1 Cor 13, 1-13 ),
quasi sempre mi viene da dire la frase di Madre Cointa. Ed è curioso perché citandola,
sento che qualcuno mi dice: potrebbe ripeterla? … Noto che le persone la scrivono con
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attenzione e ancor più, dandomi “conto di sé” nell’accompagnamento, scoprono
interrogativi per la vita quotidiana, per momenti critici di riconciliazione familiare e di vita
consacrata. Scopro in modo “carismatico” che tocca il desiderio di vivere più coerentemente
il comandamento nuovo di Gesù, come grazia al chiedere: “infondi nella mia anima”, e
desiderio di qualità nell’amore: “le delicatezze della carità”La vita della Madre Cointa, fatta giaculatoria, è centrale, grazia carismatica. Sperimento che
fu al centro della sua vita cristiana, di una vita di virtù solide allo stile di Giovanna de
Lestonnac. Una vita disposta al cambio con discernimento maturo, che la portò a lasciare il
suo caro convento di Talavera e a passare alla Compagnia in fedeltà al Progetto Educativo
della Santa Madre, e in apertura ai segni dei tempi. La sua relazione diretta ed epistolare con
tanti laici, ex alunni, mi parla anche di un’apertura apostolica al di là della propria comunità
religiosa.
Scopro anche che in alcuni testi che scrivo la ho nominata sapendo che “tocca”, interpella, si
adatta al messaggio e fa bene.
María Ángeles Martínez, odn
Religiosa della Compagnia di Maria. Spagnola,
missionaria in Cile per 45 anni
Specialista in Mariologia e Teologia Pastorale
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L’Amore nelle Opere
Preghiera
Metti amore nelle opere
più che nelle parole (2)
Signore, Dio Nostro, che hai voluto
arricchire di tante virtù e grazie
la Venerabile Madre Cointa,
concedici, per sua intercessione,
la grazia di un amoroso abbandono
alle disposizioni della tua volontà
e quella di un amore ardente
a Gesù Cristo e a sua Madre.
Concedici, inoltre,
le grazie che ci sono necessarie
per il tuo maggiore onore e gloria
e per la glorificazione della tua serva. Amen.
Quello che importa nella vita
sono i piccoli gesti
come ci dedichiamo agli altri,
i dettagli quotidiani,
la forza della preghiera.
Infondi in noi
le delicatezze della carità.
Metti amore nelle opere
più che nelle parole(2)
Il Signore ci lavora
come argilla fra le mani,
ci confida il suo mistero
in semplicità.
Luis ci fa portatori
della sua creatività.
(Padre nostro, Ave Maria e Gloria)
Infondi in noi…
Cointa sa che amare
è servire i fratelli,
ascoltare chi è fragile,
e chi rimane indietro.
Lei è fedele alle radici
aprendosi all’unità.
Infondi in noi…
Testo, Musica e Voce: Marcela Bonafede odn
Arrangiamenti: Luis Fernando Guarin
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