Nota informativa Anci Piemonte

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Nota informativa Anci Piemonte
Prot. N. 55/2016
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
COMUNI ITALIANI
Associazione Regionale del Piemonte
Torino, 21 aprile 2016
Ai Comuni piemontesi
Oggetto. Nota interpretativa sulla quantificazione del fondo risorse decentrate e
sull’impatto contabile dei rinnovi contrattuali.
La presente nota interpretativa si sofferma su due questioni in materia di spesa di
personale molto dibattute nell’attuale periodo.
Su questa materia, Anci Piemonte invita i Comuni associati ad utilizzare le opportunità di
approfondimento offerte dai webinar organizzati da Anci e IFEL (il calendario è
disponibile su http://formazione.fondazioneifel.it) e a rivolgere eventuali quesiti a
[email protected], anche in vista della preparazione di un Convegno sul tema che si
svolgerà ad Asti nella seconda metà del mese di maggio.
Nella presente nota, che è stata redatta da Matteo Barbero e da Margherita Rubino per
conto di Anci Piemonte, da un lato vengono analizzate le implicazioni del blocco del
fondo delle risorse decentrate introdotto dall’ultima legge di stabilità nelle more della cd.
“riforma Madia”, dall’altro ci si sofferma sull’impatto contabile dei rinnovi contrattuali.
FONDO RISORSE DECENTRATE
Il comma 236 della L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) dispone che <<l’ammontare
complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio del personale,
anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.
Lgs. 165/2001 non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è
comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in
servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente>>.
Di fatto, si tratta di un meccanismo analogo a quello introdotto dall’art. 9, comma 2-bis,
del D.L. 78/2010, che opererà fino al completamento della riforma della P.A., previsto
entro febbraio 2017 (artt. 11 e 17 della L. 124/2015).
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Pertanto, dal 2016 gli enti locali devono nuovamente contenere il fondo entro il valore
complessivo del 2015 (c.d. tetto massimo) e ridurlo proporzionalmente alla riduzione del
personale in servizio, sempre rispetto al 2015.
L’unica novità, come si dirà, è il riferimento agli assumibili come fattore in grado di
limitare i tagli.
Con riguardo alla durata si evidenzia che il limite dovrebbe operare nel solo 2016 o al
massimo anche nel 2017. Tuttavia, poiché il periodo di applicazione non è previsto in
modo certo, eventuali ritardi nell’attuazione della “riforma Madia” ne estenderebbero
automaticamente la vigenza.
Sul punto, occorre premettere che la sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 ha
considerato legittimi i limiti posti al fondo risorse decentrate, purché siano contenuti in un
lasso di tempo ragionevole; tale è stato ritenuto dalla Corte il periodo di vigenza del citato
art. 9, comma 2-bis, che è rimasto in vigore per 4 anni, dal 2011 al 2014.
Quanto al contenuto della norma, il comma 236 riproduce sostanzialmente il testo del
citato art. 9, comma 2-bis, con l'unica novità del riferimento agli “assumibili” ai fini
dell’applicazione del taglio del fondo in proporzione alla riduzione del personale in
servizio, di cui si dirà.
Da tale identità di contenuto, si deduce in primo luogo che le riduzioni apportate alle
risorse decentrate in applicazione del nuovo vincolo hanno efficacia limitata nel tempo
(una tantum) e dovrebbero perciò essere ripristinate al termine del periodo di vigenza,
salvo non intervenga una disposizione che disponga diversamente.
I tagli del D.L. 78/2010, infatti, sono diventati strutturali solo in forza di un nuovo
intervento del legislatore che, con l'art. 1, comma 456, della L. 147/2013 (Legge di stabilità
2014), ha espressamente imposto la decurtazione del fondo 2015 di un importo pari alle
riduzioni operate per effetto del citato art. 9, comma 2-bis (si veda, sul punto, la circolare
della Ragioneria generale dello Stato n. 20/2015).
In secondo luogo, l'identità di contenuto comporta che, per le "nuove" riduzioni di legge,
restino valide le modalità operative utilizzate fin ora, previste dalle circolari della
Ragioneria Generale dello Stato nn. 12/2011 e 16/2012. In tal senso dispone anche la
recente circolare n. 12/2016.
Di seguito si riassumono le principali problematiche.
Ai fini dell’applicazione dei limiti posti alle risorse decentrate, gli enti devono in primo
luogo determinare il valore complessivo del fondo 2015 che funge da anno di raffronto
per l’applicazione di entrambi i vincoli. Questo è dato:
1) dal valore del fondo 2010 decurtato in modo definitivo degli importi tagliati negli anni
2011-2014 (anche) in applicazione del D.L. 78/2010 (art. 1, comma 456, della L. 147/213).
La circolare RGS n. 20/2015 ha chiarito che i tagli operati nei singoli anni di applicazione
dei vincoli non devono essere cumulati, ma storicizzati. In pratica, secondo tale circolare,
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il fondo storico deve essere decurtato di un importo pari alle riduzioni operate “nell’anno
2014”, essendo stata rigettata la tesi che riteneva necessario “sommare” le decurtazioni
degli anni 2011-2014;
2) dagli eventuali incrementi (o riduzioni) realizzati nel 2015, anno nel quale non hanno
operato limiti al fondo risorse decentrate (circolare RGS n. 20/2015 citata). Tali incrementi,
ovviamente, dovranno rispettare le vigenti regole contrattuali (ad es. art. 15 comma 2 e 5
CCNL comparto 1999).
3) dall'importo così determinato, devono essere escluse alcune voci non soggette
all'applicazione dei vincoli e, dunque, da non considerare nemmeno ai fini della
determinazione del fondo 2015:
- gli importi relativi agli incentivi alla progettazione;
- i compensi etero-finanziati: quelli relativi alle attività svolte per conto terzi;
- i compensi ISTAT; gli incrementi del fondo realizzati con risorse dell'Unione Europea
(ove consentito contrattualmente);
- le risorse destinate all'onnicomprensività dei dirigenti (circolare MEF n. 16/2012);
- le eventuali risorse non utilizzate nel fondo dell'anno precedente e rinviate all'anno
successivo;
- risparmi del fondo straordinari;
- i risparmi di gestione derivanti da piani di razionalizzazione (circolare MEF n. 16/2012
citata);
- i compensi per l’avvocatura limitatamente alle somme a carico del privato soccombente.
Sono invece da includere le spese compensate in quanto a carico dell'Ente (Corte dei Conti
SS.RR. n. 51/2011).
Sono da includere anche le indennità di posizione e di risultato negli enti privi di
dirigenza (Corte dei Conti autonomie n. 26/2014), le (residue) risorse derivanti dal
recupero evasione ICI e quelle destinate all'incentivazione del personale di polizia locale
ai sensi dell'art. 208, comma 2 bis, del Codice della Strada.
Una volta determinato il valore del fondo 2015, si devono, quindi, applicare i due vincoli:
1) del “tetto massimo”
In primo luogo si deve verificare il rispetto del divieto di superare l’importo del fondo
2015, come sopra determinato.
Quanto alle concrete modalità operative, si sottolinea che la circolare RGS n. 20/2015 ha
definitivamente chiarito che il taglio deve riguardare tutte le risorse del fondo, ed in
particolare la Ria (retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti cessati), che per
regola contrattuale incrementa le risorse stabili (art. 4 comma 2 CCNL 2000-2001
comparto).
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Ovviamente, quanto detto non riguarda le voci escluse dal vincolo con le quali, pertanto,
sarà possibile superare il valore del fondo dell'anno 2015 (cfr. Corte dei conti Basilicata n.
110/2014) .
2) della riduzione proporzionale alle cessazioni intervenute nell'anno.
Il vincolo ha lo scopo di tagliare le quote di salario accessorio spettanti al personale
cessato, evitando che vadano a vantaggio dei dipendenti che restano in servizio. A questi
ultimi si assicurerebbe in ogni caso il mantenimento della quota media già in godimento;
costoro, dunque, non subirebbero decurtazioni salariali.
In realtà, vi è molto da dire sull'entità della quota media garantita, in quanto il suo valore
effettivo varia in funzione del sistema di calcolo che l’ente adotta per la riduzione per
cessazioni.
Poiché, infatti, anche in tal caso restano valide le modalità operative fin ora in uso, gli Enti
conservano la possibilità di scegliere tra diversi sistemi di calcolo, tutti pacificamente
ammessi.
Il principale di questi sistemi è quello adottato dalla RGS e monitorato nei questionari e
tabelle del conto annuale (circolari nn. 12/2011 e 16/2012); in alternativa gli enti possono
applicare il sistema elaborato dalla Corte dei Conti Lombardia (pareri nn. 324/2011 e
116/2014).
Pare utile soffermarsi sui due sistemi. Essi, ad una prima analisi, non appaiono
eccessivamente diversi:
- Il sistema della RGS si basa sulla semi-somma (media del personale in servizio al 1
gennaio e al 31 dicembre), individua una percentuale di riduzione da applicare al fondo e
taglia un valore medio annuo di accessorio spalmandolo in parti uguali su due anni (del
tutto analogo è il sistema Aran);
- il sistema della Corte dei Conti Lombardia calcola il periodo di permanenza in servizio
del dipendente; nell'anno di cessazione, limita la riduzione al rateo pari all'effettivo
risparmio conseguito (mensilità non erogate), calcolato sulla base di un valore medio
dell'accessorio, e rinvia all'anno successivo il taglio del restante risparmio.
Sembrerebbe quindi che la differenza consista essenzialmente nella suddivisione del
taglio tra i due anni interessati (quello della cessazione e il successivo), nell'entità dei ratei.
In realtà, invece, scegliere l'uno o l'altro metodo porta a risultati notevolmente diversi.
Infatti, mentre il sistema della Corte dei Conti Lombardia prende in considerazione solo i
cessati nell'anno da sottoporre al taglio, le circolari della RGS applicano la semi-somma
non solo agli anni soggetti a riduzione, ma anche all’anno di confronto (ora, il 2015),
benché la legge non lo sottoponga a vincoli.
Questa scelta applicativa comporta innanzi tutto che si produca un ingiustificato
incremento della riduzione del fondo 2016, poiché il metodo calcola la riduzione
sommando alle cessazioni 2016 anche le cessazioni 2015 (pro quota = metà del loro valore
medio annuo).
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Ciò è evidente nell’esempio sottostante in cui si è ipotizzato che nel 2016 non si verifichino
cessazioni.
ANNO
PERSONALE IN SERVIZIO
2015
presenti al 1/1 = 100
presenti al 31/12 = 80
2016
presenti al 1/1 = 80
presenti al 31/12 = 80
MEDIA
PRESENTI
RIDUZIONE % fondo 2016
90
- 11,1
80
Da questo esempio emerge con chiarezza che, benché secondo legge il fondo 2016 non
dovrebbe essere ridotto non essendosi verificate cessazioni, il sistema di calcolo della RGS
applica, invece, un taglio di oltre il 10%.
Ciò avviene proprio perché la scelta della RGS è di operare il confronto con la media dei
presenti nel 2015 (= 90), anziché con i presenti al 31/12/2015 (= 80).
Le conseguenze possono essere particolarmente problematiche per gli enti che nel 2015,
confidando sull'assenza di vincoli di legge, avessero riavviato la politica incentivante
finanziandola con i risparmi delle cessazioni; questi enti, nel 2016, potrebbero trovarsi
nell’impossibilità di onorare gli impegni legittimamente assunti.
Si evidenzia, infine, che Il taglio "aggiuntivo" si produce solo nel primo anno di
applicazione del vincolo, ma i suoi effetti si ripercuotono negativamente anche negli anni
successivi, perché si riduce la quota media annua garantita al personale in servizio
rispetto a quella del 2015.
Infatti, riprendendo l’esempio precedente, e supponendo un valore del fondo 2015 pari a
2.000:
ANNO
PERSONALE IN SERVIZIO
2015
presenti al 31/12 = 80
2016
media presenti = 80
VALORE
FONDO
QUOTA MEDIA FONDO
2.000
25
1.778
(2000 - 11,1%)
22,2
la quota media spettante al singolo dipendente si riduce da 25 a 22,5.
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Ovviamente gli effetti descritti si producono solo se nel 2015 si verificano cessazioni;
pertanto, il sistema potrebbe avere un impatto anche positivo nel caso in cui i dipendenti
in servizio nel 2015 fossero aumentati alla fine dell’anno, cosa peraltro improbabile
considerato l'attuale regime del turn over.
In ogni caso, il sistema della Corte dei Conti Lombardia non presenta tali problemi
perché, come detto, limita la riduzione al risparmio effettivo dei soli cessati nell'anno da
assoggettare al taglio: nell'esempio precedente, nel 2016 in assenza di cessazioni il metodo
non avrebbe imposto alcuna riduzione.
Inoltre, registrando nell'anno di cessazione del dipendente una riduzione pari ai mesi
effettivamente non erogati, evita che il fondo possa risultare incapiente come invece
potrebbe accadere con il metodo della RGS per il personale cessato a fine anno.
Tuttavia ove l'ente propenda per tale sistema di calcolo dovrà tenere conto che questo
presenta una minor semplicità applicativa (v. ad es. per gli assumibili), specialmente negli
enti di maggior dimensioni, e potrebbe richiedere in sede di redazione del conto annuale
della RGS, alcuni aggiustamenti. A seconda delle modalità concretamente utilizzate,
potrebbe, ad es., essere necessario convertire la riduzione operata da una somma netta
(= risparmio conseguito) ad una percentuale di taglio (dato richiesto nella scheda
informativa 2 del conto); oppure potrebbe essere necessario giustificare l’entità della
riduzione ove risultasse troppo bassa, ad. es., perché il dipendente è cessato a fine anno.
Come accennato, l’unica differenza fra la nuova disciplina vincolistica e quella applicabile
fino al 2014 (a parte la parametrazione del tetto al 2015 anziché al 2010), è rappresentata
dal fatto che il calcolo della riduzione proporzionale del fondo dovrà ora essere effettuato
<<tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente>>.
Tale inciso ha posto fin da subito un rilevante dubbio interpretativo, non essendo chiaro
se il legislatore intendesse fare riferimento alla al personale in astratto reclutabile o a
quello effettivamente assunto.
Al riguardo, la circolare RGS n. 12/2016 chiarisce che la riduzione <<andrà operata, sulla
base del confronto tra il valore medio del personale presente in servizio nell’anno di riferimento ed
il valore medio dei presenti nell’anno 2015. In particolare, i presenti al 31/12 dell’anno di
riferimento scaturiranno dalla consistenza iniziale del personale all’1/1 alla quale andranno dedotte
le unità per le quali è programmata la cessazione ed aggiunte quelle assumibili in base alla
normativa vigente (tra cui, ad esempio, quelle relative a facoltà assunzionali non esercitate e riferite
ad annualità precedenti oggetto di proroga legislativa)>>.
Pertanto, si ritiene che occorra considerare la potenzialità ad assumere, a prescindere
dall’effettiva assunzione.
La riduzione delle risorse decentrate in funzione delle cessazioni avvenute opera "per
teste", computa cioè il numero dei dipendenti in servizio. Questa modalità operativa pone
un problema interpretativo nell'applicazione della novità contenuta nella Legge di
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stabilità 2016 che, come detto, consente di considerare tra i presenti dell'anno anche gli
assumibili, così riducendo il taglio da apportare.
Il problema si pone per i comuni il cui regime assunzionale è costituito da un budget di
spesa, una percentuale del risparmio conseguito per le cessazioni intervenute l'anno
precedente.
Il riferimento è agli enti già soggetti al patto di stabilità fino al 2015, alle unioni di comuni
e ai comuni istituiti dal 2011 a seguito di fusione (commi 228 e 229 della L. 208/2015).
Per questi enti, è necessario "trasformare" il budget in teste, ai fini del corretto computo
dei dipendenti in servizio.
Si deve però tener presente che il budget disponibile può essere speso assumendo un
numero di dipendente variabile in relazione al loro diverso costo.
Secondo la Funzione Pubblica, infatti, il costo delle assunzioni si calcola sommando il
trattamento fondamentale e, in presenza di vincoli al fondo risorse decentrate, il valore
medio dell’accessorio (nota N. 11786/2011 e circolare n. 46078/2010. Si veda anche Corte
dei Conti-Sezione Autonomie 28/2015).
Dunque, il numero degli assumibili sarà diverso, anche in modo considerevole, in
relazione alla categoria di inquadramento del personale che si intende assumere.
Appare, pertanto, necessario che l'ente esprima formalmente la propria programmazione
mediante l'assunzione del piano dei fabbisogni annuale e triennale (In tal senso v. anche
circolare MEF n. 12/2016).
Da segnalare che, in caso di assumibili, gli enti che utilizzano il sistema della Corte dei
Conti potrebbero trovare qualche particolare difficoltà applicativa nel conteggio del
risparmio effettivo dell’anno - ove calcolato sulle mensilità non erogate ai cessati al netto
delle mensilità erogate ai nuovi assunti – in quanto, ovviamente agli assumibili non è stata
erogata alcuna mensilità (perché non ancora immessi in servizio).
Da ultimo, ai fini della programmazione delle assunzioni si rammenta che sarà possibile
utilizzare i resti della capacità assunzionale (Corte dei Conti- Sezione Autonomie nn. 26 e
28/2015; circolare MEF 12/2016, Corte dei Conti SS.RR. n. 52/2010).
Peraltro, proprio in virtù di tale facoltà, si ritiene che le assunzioni programmate sul
budget 2016 anche se non realizzate nell'anno, non impongono una correzione in aumento
del taglio del fondo già nel 2017, proprio perché conservano il loro valore programmatico
come resti: le unità di personale previste in entrata, restano "assumibili" almeno per un
triennio.
Ancora, per il 2016 sussiste l'obbligo per gli enti di destinare la propria capacità
assunzionale (non solo quella ordinaria, ad. es. 25%, ma fino al 100% delle cessazioni)
all'assunzione dei dipendenti provinciali e della Croce Rossa, salvo che la Regione di
appartenenza dichiari di non aver esuberi.
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Per le assunzioni del personale in soprannumero si pone un problema interpretativo di
non facile soluzione.
In tal caso, il DM 14/9/2015 stabilisce, infatti, che le risorse necessarie a remunerare il
salario accessorio di questo personale vanno a costituire uno specifico fondo, distinto dal
fondo risorse decentrate del restante personale a valere sulle risorse relative alle
assunzioni (art. 10).
Il personale soprannumerario, dunque, non grava sul fondo degli altri dipendenti in
servizio e ciò crea qualche perplessità in merito alla possibilità di computare questi
dipendenti tra gli assumibili (ma anche tra gli assunti).
Così facendo, infatti, il fondo si avvantaggerebbe della presenza nell’ente di personale che
non finanzia e ciò si tradurrebbe in un incremento della quota media spettante al restante
personale in servizio.
Ovviamente, diversamente accade nel caso in cui l’ente programmi, nei soli limiti della
capacità ordinaria, le assunzioni di personale infungibile ed ora, per la regione Piemonte,
anche della polizia locale (nota F.P. n. 669 del 29/2/2015).
L'applicazione combinata dei due vincoli, tetto massimo e riduzione per cessazioni,
entrambi riferiti al 2015, rende impossibile incrementare il fondo per tutto il periodo di
vigenza del regime vincolistico.
Infatti, l'incremento del fondo è impedito o dalla necessità di rispettare il tetto massimo
(se l’aumento viene inserito in sede di costituzione del fondo, prima dell'applicazione dei
vincoli; ad es. la RIA) o dall’obbligo di tagliare la quota media di accessorio dei cessati per
evitare incrementi di quella spettante al personale che resta in servizio (se deciso
successivamente).
Pertanto, benché il valore del fondo negli anni tenderà a ridursi rispetto al 2015 per effetto
dei tagli proporzionali alle cessazioni, non sarà comunque possibile ripristinare le risorse
ridotte per legge, perché ciò si tradurrebbe in un incremento della quota media spettante
al (residuo) personale in servizio.
Un'ultima questione, molto delicata, riguarda la natura delle risorse da tagliare, se cioè
l'importo della riduzione, come sopra determinato, debba essere decurtato dalle sole
risorse stabili, ripartito proporzionalmente tra risorse stabili e variabili o se possa essere
interamente detratto dalle variabili.
Sul punto, si deve dar conto del parere reso ad un comune dalla stessa RGS con riguardo
alla storicizzazione nel 2015 dei tagli apportati al fondo negli anni 2011 – 2014. Secondo
tale parere, poiché la decurtazione prevista dalla L. 147/2013 "è di natura permanente, la
stessa dovrà̀ di necessità essere apportata a valere sulle risorse fisse” del fondo 2015 “al
fine di garantire adeguata copertura nel tempo.” (nota n. 77245 del 9/10/2015).
In sostanza, secondo questo parere della RGS, la L. 147/2013 rende strutturali i tagli 20112014 e ciò impone di rettificare il fondo 2015 "trasferendo" sulle sole risorse stabili le
riduzioni apportate al fondo stesso nei 4 anni precedenti. Il valore del fondo non muta,
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ma ne muta la composizione. Solo in tal modo, si garantirebbe la definitività dei tagli,
impedendone il ripristino nel 2015, anno non soggetto a vincoli.
L'impostazione della RGS non appare corretta, né coerente con le proprie precedenti
pronunce ed in particolare con la citata circolare n. 20/2015. Essa, infatti, concentra sulle
sole risorse stabili un taglio che la stessa RGS ha imposto di calcolare sull'intero importo
del fondo (e dunque sia sulle risorse sia stabili che variabili) e giustifica questa
interpretazione con l'intento di evitare che nel 2015 il fondo sia incrementato, operazione
che la stessa RGS espressamente ha ritenuto legittima.
Merita evidenziare che tale meccanismo può portare all'incapienza sopravvenuta del
fondo; le risorse stabili, sottoposte ad un taglio non proporzionale alla loro entità,
potrebbero non essere più sufficienti per finanziare gli istituti di natura fissa in godimento
al personale.
Allo stato attuale, quindi, non si ritiene possibile dare una risposta univoca perché
ciascuna delle soluzioni possibili produce effetti molto diversi in relazione alla situazione
concreta dell'ente e, d’altra parte, né le norme, né la giurisprudenza delle Corti Superiori
né le circolari nazionali indicano in modo inequivocabile quale sia la regola da seguire.
In sostanza, la questione è essenzialmente interpretativa e in larga parte rimessa ai singoli
enti.
La necessità di riferire il taglio esclusivamente alle risorse stabili viene spesso motivato
rilevando che il taglio delle risorse variabili non ha carattere di definitività perché può
sempre essere ripristinato dall'ente che ne abbia capacità di bilancio.
In realtà, come sopra detto, negli anni soggetti al vincolo non c'è differenza tra le risorse
decentrate in quanto anche le variabili, come le stabili, non possono essere ripristinate. Al
momento, peraltro, non vi sono ragioni per ritenere che i “nuovi” vincoli abbiano natura
strutturale e che, in conseguenza, i tagli siano definitivi (v. Circolare 20/2015 sugli effetti
dell'art. 9 comma 2 bis del DL 78/2010).
Peraltro, l’obbligo di detrarre il taglio interamente dalle risorse stabili contrasta con la
modalità di quantificazione della quota media che è calcolata sull’intero fondo e, dunque,
anche sul valore delle risorse variabili. Ridurre le stabili dell’intero valore della quota
media, pertanto, comporta una riduzione eccessiva di tali risorse e ciò può determinare
l’incapienza, l’impossibilità di onorare gli impegni di natura fissa già assunti.
Al contrario, non si determinerebbe incapienza ove si decidesse di tagliare solo risorse
variabili in quanto gli istituti finanziabili con tali risorse possono essere liberamente
pagati con le risorse stabili. Peraltro si rammenta che negli anni del vincolo anche il taglio
di queste risorse non può essere ripristinato liberamente.
La scelta di ripartire il taglio tra risorse stabili e variabili appare certamente meno
problematica e più prudente, anche se il sistema di calcolo delineato per fissare il valore
della quota media non distingue tra le due tipologie di risorse, ed è pur vero che alcuni
passaggi delle circolari sul conto annuale si prestano ad una lettura favorevole alla
ripartizione del taglio. Tuttavia, si deve evidenziare che i sistemi di controllo approntati
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tanto dal conto annuale che dal questionario al rendiconto della Corte dei Conti, sono
diretti unicamente alla verifica dell'entità della riduzione apportata, senza dare alcun
rilievo alla natura delle risorse tagliate.
Quanto detto, la neutralità dei sistemi di calcolo e l’assenza di una presa di posizione
chiara della norma, sembrano finalizzati a lasciare agli enti piena libertà di scelta rispetto
al tipo di risorse da tagliare. Ciascun ente infatti deve tener conto nell’applicazione della
norma delle caratteristiche del proprio fondo e dell’uso che se ne fa. Ciò è particolarmente
importante oggi in quanto gli enti sono chiamati a ridurre un fondo già significativamente
ridimensionato dall’applicazione del D.L. 78/2010.
RINNOVO CONTRATTUALE
I commi 466-469 della L. 208/2015 hanno fissato il periodo di vigenza del prossimo
rinnovo contrattuale al triennio 2016-2018, e l'entità massima dell'onere a carico dello
Stato, pari a 300 milioni per ciascuno dei 3 anni (219 per il personale contrattualizzato).
Ai sensi dell'art. 48 comma 2 del D.Lgs 165/2001, per gli enti locali l'onere relativo al
rinnovo è a carico dei rispettivi bilanci (comma 469).
La definizione dei criteri per la determinazione del costo a carico dei comuni è demandato
ad uno specifico D.P.C.M., che avrebbe dovuto essere emanato entro il 31 gennaio 2016.
La previsione pone fine al blocco contrattuale del pubblico impiego che perdurava dal
2010 (l'ultimo CCNL è quello relativo al biennio economico 2008/2009) ed è diretta
conseguenza della già richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015.
È importante pertanto ripercorrere brevemente i capisaldi della sentenza per
comprendere appieno la portata della disposizione in commento; cosa ci si deve aspettare.
Secondo la Corte Costituzionale l'illegittimità del blocco contrattuale è dovuta
essenzialmente alle proroghe che hanno trasformato la misura di contenimento della
spesa da temporanea in strutturale.
Si tratta, pertanto, di un'illegittimità sopravvenuta, che decorre solo dal 30 luglio 2015 giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza - e lascia così impregiudicati gli
effetti economici prodotti dalla disciplina vincolistica pregressa.
Tuttavia, secondo l'interpretazione del legislatore l'avvio effettivo della nuova
contrattazione richiede comunque, anche dopo la sentenza, un intervento normativo
diretto al reperimento delle risorse necessarie (V. Circolare MEF n. 32/2015) Per tale
ragione, il rinnovo è stato previsto a decorrere solo dal 2016.
La conseguenza di tale impostazione e che - oltre a non essere previsto alcun recupero dei
mancati incrementi salariali del periodo 2010 - 29 luglio 2015, come stabilito dalla
sentenza costituzionale - di fatto il rinnovo è stato congelato per ulteriori 5 mesi.
Pertanto, anche nella seconda metà del 2015 si è continuato ad erogare la sola Indennità di
Vacanza Contrattuale (IVC) .
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Questa interpretazione del legislatore è messa in discussione da alcune recenti pronunce
del tribunale del lavoro (Reggio Emilia n. 51/2016 e Parma n. 114/2016) che riconoscono ai
dipendenti pubblici il diritto al rinnovo contrattuale dal 30 luglio 2015.
Le pronunce condannano il datore di lavoro pubblico alle spese processuali ed aprono alla
possibilità per i lavoratori di chiedere il rimborso del mancato rinnovo per la seconda
metà del 2015.
Se questa impostazione giurisprudenziale verrà confermata e si consoliderà, come
sembra, il Governo dovrà reperire le risorse necessarie per coprire il periodo in questione
e gli enti dovranno far fronte con i propri bilanci al maggior onere che ne deriva.
Pertanto - in attesa dell'emanazione del D.P.C.M. previsto dal comma 469 ancora in corso
di definizione, secondo la circolare MEF n. 12 del 23 marzo 2016 - può essere utile tentare
comunque di calcolare l'entità della spesa che gli enti sono chiamati a sostenere.
In passato, vigente l'accordo Governo–Sindacati del 1993, si poteva ricavare un valore di
riferimento parametrando l'importo del rinnovo fissato per lo Stato, somma che
costituisce valore massimo anche per gli enti locali.
In questa tornata contrattuale, tuttavia, l’esito dell'operazione appare incerto, perché il
CCNL 2016-2018 dovrebbe segnare il superamento del vecchio sistema di calcolo ed
applicare per la prima volta la riforma della contrattazione del pubblico impiego regolata dall’accordo quadro del 22 gennaio 2009 e dall'intesa del 30 aprile 2009 - fino ad
ora rimasta sospesa per effetto del blocco (eccetto che per la durata triennale del
contratto).
La riforma introduce un nuovo metodo di calcolo degli aumenti salariali fondato
sull'indice IPCA (indice prezzi al consumo armonizzato con l'Europa, al netto degli
energetici importati), anziché sul TIP (tasso di inflazione programmata).
La differenza tra i due indici è rilevante in quanto (tra l'altro):
-sono di competenza di Autorità diverse - il TIP è fissato dal governo nel DEF, l'IPCA è
tenuto dall'ISTAT - e spesso esprimono valori diversi: ad es., per il 2015 il TIP è fissato a
0,3, mentre l'IPCA a 0,6 (dato di maggio 2015).
- a parità di valore, l’indice IPCA potrebbe produrre un aumento contrattuale inferiore, in
quanto utilizza una base di calcolo costituita genericamente da "voci di carattere
stipendiale" che potrebbero includere i soli emolumenti base e non l’intero monte salari
dell’ente (per il concetto di monte salari v. dichiarazione congiunta n.1 CCNL comparto
11/4/2008).
Spetterà presumibilmente al CCNL sciogliere la questione, così come accaduto per i
rinnovi del settore privato.
Per quanto detto, risulta difficile comprendere appieno come sia stata determinata la
somma stanziata per lo Stato dal comma 466, tanto più che nella relazione tecnica della
RGS al ddl legge di stabilità 2016 non sono chiarite le modalità di quantificazione dei 300
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milioni e, dunque, non vi è nemmeno certezza che la riforma sia stata effettivamente
attuata.
Peraltro, la quantificazione del costo in una cifra uguale per tutti 3 gli anni del rinnovo
contrasta con la normale dinamica contrattuale che, di regola, prevede stanziamenti
annuali crescenti per finanziare l’intero aumento salariale a regime.
In altre parole, le modalità del finanziamento della L. 208/2015 sembrano essere più quelle
dell'IVC che di un rinnovo contrattuale.
È preferibile allora provare ad individuare il valore approssimativo del costo per gli enti
locali utilizzando altri dati, per c.d. trasversali.
A questo fine può essere utile confrontare due stanziamenti previsti per lo Stato:
- lo stanziamento di 219 milioni per il rinnovo 2016 - 2018 del personale contrattualizzato
(comma 466 = 300 - 81 milioni)
- lo stanziamento di 313 milioni per l'IVC attualmente erogata allo stesso personale statale
(art. 9 comma, 18 lett. a), del D.L. 78/2010).
Dunque, per lo Stato il rapporto percentuale tra il costo preventivato per il CCNL e il
costo sostenuto per l'IVC è pari al 70%.
Lo stesso rapporto percentuale si può ritenere che, grosso modo, valga anche per gli enti
locali che per il rinnovo contrattuale sosterranno un costo coerente con quanto stabilito
per lo Stato ed erogano ai propri dipendenti l'IVC nella stessa misura fissata nel 2010 per i
dipendenti statali, applicando le tabelle di conversione elaborate dal MEF.
In sostanza, si può ritenere con buona approssimazione che per ciascun ente lo
stanziamento annuo necessario per finanziare il rinnovo sia pari a circa il 70% del costo
(certo e conosciuto) che l'ente stesso sostiene per erogare ai suoi dipendenti l'IVC.
Al di là della precisione del calcolo, si deve comunque rimarcare l'estrema esiguità del
valore annuo dell'incremento contrattuale, inferiore perfino all'IVC attuale che è ancora
ferma al valore fissato per il 2010 dal D.L. 78/2010.
L'IVC 2010 infatti è stata oggetto di continue proroghe: da ultimo, comma 255 della L.
Stabilità 2015, peraltro non travolto dalla CORTE Costituzionale.
Ancora la recente circolare MEF n.32/2015 ne ribadisce la vigenza fino a tutto il 2018
rammentando che il relativo importo è da computare quale "anticipazione dei benefici
complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale".
L'entità delle risorse destinate al rinnovo, peraltro, non sembra trovare giustificazione
neanche nell'andamento dell'indice IPCA del triennio (2016 = 1,1; 2017 = 1,3; 2018 = 1,5), o
in quello del TIP (2016 = 1; 2017 = 1,5; il 2018 non è disponibile).
Perciò, anche per considerare positivamente la citata circolare MEF, si può ipotizzare che
l’attuale stanziamento della legge di stabilità rappresenti solo una parte del reale
incremento contrattuale e che sia stato previsto per consentire quantomeno l'avvio delle
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trattative dando così esecuzione, sia pure dal 2016, alla sentenza della Corte
Costituzionale.
Per inciso, per una quota significativa di lavoratori (dipendenti con imponibile tra 24.000 e
26.000 euro) un incremento contrattuale così contenuto produrrebbe in busta paga effetti
reali quasi inesistenti perché risulterebbe compensato dalla perdita o riduzione del bonus
degli 80 euro.
È da evidenziare, peraltro, che in questa tornata contrattuale gli aspetti economici sono
strettamente connessi con quelli giuridici.
Al prossimo CCNL, infatti, è affidato il difficile compito di dare piena attuazione anche ad
altri importanti aspetti della riforma Brunetta, rimasti sospesi per tutto il lungo periodo
del blocco.
Così,si dovrà trovare il modo di tradurre in misure concrete il principio del merito
ristrutturando il salario accessorio per attribuire alla produttività un ruolo primario:
destinare la quota prevalente del trattamento accessorio alle performance dei dipendenti e
dividere l'organico in tre fasce di merito da incentivare in modo disuguale (solo le prime
due).
In sintesi, il contratto non potrà procedere ad una distribuzione lineare delle risorse, ma
con le cifre stanziate appare difficile ipotizzare una ripartizione dell'aumento diversa da
quella dell'IVC.
La necessità di disciplinare le molte novità giuridiche presumibilmente allungherà i tempi
della contrattazione: tornando al merito, ad es. si dovrà costruire un sistema di
valutazione, e questo potrebbe richiedere l'attuazione di alcune parti della riforma Madia.
E’ stata invece di recente risolta la questione, pregiudiziale all'avvio effettivo delle
trattative, della riduzione dei comparti di contrattazione del pubblico impiego (accordoquadro 4/4/2016) da 12 agli attuali 4. Resta esclusa la Presidenza del Consiglio rimane in
forza dell’art. 74 comma 3 D.Lgs 150/2009, richiamato dall’art. 2 dell’accordo.
La riduzione, imposta dalla cd. “riforma Brunetta” per snellire le procedure contrattuali,
appariva oggettivamente difficoltosa perché comporta l’accorpamento di realtà molto
diverse sia sotto l'aspetto salariale che della rappresentatività sindacale. Sotto
quest’ultimo aspetto si evidenzia che le sigle sindacali più piccole rischiano di scomparire
a causa degli accorpamenti, perché la loro rappresentatività certificata nei comparti di
origine, può venir meno nei nuovi comparti allargati. Proprio per ovviare a tale effetto
l’accordo prevede un breve periodo transitorio in cui i sindacati potranno avviare processi
di aggregazione e fusione. Si intende in tal modo “agevolare il percorso verso il nuovo
assetto della rappresentatività sindacale del pubblico impiego” (v. comunicato Aran
sull’accordo).
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Per gli enti locali, questo problema non dovrebbe sussistere per i dipendenti dell’area
comparto, in quanto nell’accordo siglato il nuovo comparto “Funzioni Locali” ricalca il
perimetro della precedente area di contrattazione “Regioni –Enti Locali” (art. 4).
Diversamente invece per la dirigenza; l’art. 7 dell’accordo, infatti, prevede un
ampliamento dell’area autonoma di contrattazione collettiva, in quanto vi ingloba anche i
dirigenti amministrativi, tecnici e professionali delle amministrazioni del comparto sanità
e, in riferimento a quanto per previsto dalla riforma Madia, i segretari comunali e
provinciali.
La soluzione della questione, apre effettivamente la strada al rinnovo.
In ogni caso, l'incertezza sui tempi della contrattazione, che pur rimane, e la possibilità
che i costi a carico dei bilanci degli enti lievitino, possono consigliare di ripartire il peso
finanziario accantonando già nel 2016 le risorse di competenza dell'anno necessarie per
onorare il contratto.
A questo proposito, giova ricordare che le modalità di finanziamento dei rinnovi
contrattuali sono cambiate con le nuove regole contabili fissate dal D.Lgs 118/2011.
Secondo il principio contabile applicato n. 4.2, infatti, la spesa derivante dai rinnovi
contrattuali nazionali si impegna ed imputa nell’anno in cui viene sottoscritto il CCNL
anche per le quote riferite agli arretrati degli anni precedenti.
Il principio auspica, ma non obbliga, che l’ente accantoni annualmente le somme
necessarie in appositi capitoli sui quali non è possibile assumere impegni ed effettuare
pagamenti.
Questo nuovo modo di contabilizzare l'onere può far registrare nell’anno del rinnovo, un
deciso (e artificioso) incremento delle spese di personale impegnate in quanto potrebbe
gravare sull’esercizio anche la spesa riferita agli anni precedenti (così come negli anni
precedenti si potrebbe beneficiare di un vantaggio fittizio).
È la situazione che si potrebbe verificare in questa tornata contrattuale se effettivamente i
tempi contrattuali, come sembra, si allungheranno.
In tale evenienza, gli enti potranno incontrare difficoltà nel rispettare il pareggio di
bilancio e alcuni parametri di virtuosità imposti alla spesa di personale con conseguenze
anche gravi.
Ai fini della verifica del rispetto di alcuni vincoli, infatti, la Corte dei Conti impone di
utilizzare un aggregato di spesa di personale molto ampio che include anche i costi del
rinnovo contrattuale. Si tratta in particolare:
- dell'incidenza delle spese di personale sulle spese correnti vincolo che, abrogato dal D.L.
90/2014, è stato reintrodotto dalla Corte dei Conti in via interpretativa per i soli enti già
soggetti al patto sulla base del disposto della lett. a) del comma 557 della legge finanziaria
2007. Si segnala però la recente Corte Conti Lombardia (delibera n. 78/2016) che rinvia
nuovamente la questione alla sezione autonomie.
. dell’incidenza della spese personale sulle entrate correnti che rientra tra gli indicatori
rilevanti per determinare la situazione di ente strutturalmente deficitario.
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Peraltro, non evita la violazione del vincolo l'eventuale accantonamento delle risorse
necessarie negli anni di competenza perché secondo la Corte dei Conti ai fini della verifica
del rispetto dei parametri della spesa di personale, la spesa da prendere in considerazione
è solo quella impegnata (Corte dei Conti SS.RR. n. 27/2011 e da ultimo Corte dei Conti
Campania n. 24/2015).
È perciò auspicabile che la Corte dei Conti modifichi la sua impostazione consentendo di
escludere i costi del CCNL dalla spesa di personale, così come accade per il vincolo del
contenimento della spesa.
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