tanto attese e un tantino... vilipese Giuseppe Sittoni

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tanto attese e un tantino... vilipese Giuseppe Sittoni
Le acciaierie di Borgo: tanto attese e un tantino... vilipese
Giuseppe Sittoni - L'Aquilone n° 17, aprile 2000
Alla fine degli anni sessanta l'economia del Trentino si presentava quanto mai disastrata:
l'alluvione del 3, 4 e 5 novembre 1966 aveva provocato lutti (22 le vittime, 4 in Bassa Valsugana) e
rovine un po' in tutta la provincia: 500 senza tetto con 30 mila sinistrati e danni per oltre 50 miliardi
(700 di oggi, senza contare i telefoni, le poste, i danni ai privati per le case distrutte.
Un bilancio agghiacciante: “13 miliardi alle opere pubbliche, 10 miliardi nell'agricoltura, 7,5
ai bacini montani, 5,5 all'industria, 4 al commercio, 3 alle strade statali, 2 miliardi e mezzo alle
ferrovie, un miliardo all'artigianato, un miliardo e mezzo alle foreste, un miliardo agli impianti
ENEL, 800 milioni al turismo, 300 milioni al settore della previdenza, 300 milioni agli uffici ed ai
beni mobili della Regione, 18 milioni al patrimonio ittico. “ (1)
In Valsugana, nel Tesino e nel Primiero dopo un mese dal disastro erano ancora evidenti i
segni della furia delle acque. La Baur-Foradori (industria tessile che doveva essere inaugurata
proprio in quei giorni a Villa Agnedo) era stata gravemente danneggiata e i macchinari trascinati
dalla furia delle acque: ricostruita l'anno successivo nel comune di Scurelle, cessò ben presto
l'attività e nel 1978 vi subentrerà la Finstral. Strade e ferrovia interrotte e ponti distrutti, il Tesino
era collegato solo dalla strada del “Murelo”. Nel centro storico di Borgo l'acqua, che era arrivata a
un metro e mezzo di altezza, aveva procurato gravissimi danni alle abitazioni, ai negozi e alle
imprese lungo corso Peruzzo (ora Ausugum). Il Presidente della Repubblica Saragat e l'on. Moro,
presidente del Consiglio dei Ministri, furono tra i primi ad accorrere per rendersi conto della
situazione. Gli aiuti non tarderanno ad arrivare: ci sarà lavoro per qualche anno per imprese edili e
movimento terra.
Lo sviluppo economico, che nel decennio 1961-1970 era stato caratterizzato da una crescita
industriale piuttosto accentuata (20 nuovi insediamenti), ora segnava il passo.
L'industrializzazione, fino ai primi anni '70 e attraverso il Consorzio appositamente costituito
nel 1961 con durata decennale tra 16 Comuni della Bassa Valsugana (Castelnuovo e Scurelle vi
aderirono più tardi mentre non vi parteciparono Cinte, Castello e Pieve Tesino) presieduto
dall'avvocato Dario Vettorazzi, si era sviluppata in tre direzioni, secondo i risultati di uno studio
effettuato dal Consiglio di Zona CGIL, CISL e UIL della Bassa Valsugana reso pubblico nel 1974:
1) industrie manifatturiere: n.20 (62,50% degli insediamenti complessivi, con 1200 occupati
corrispondenti al 79,13% dei nuovi posti di lavoro);
2) imprese di costruzione e installazione impianti: n.9 (28,13% degli insediamenti, con 271
occupati, per lo più stagionali, pari al 16,78 % delle nuove unità di lavoro);
3) imprese di produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas: n.3 (9,37% degli
insediamenti, con 66 dipendenti, cioè il 4,09 % complessivo dei nuovi posti di lavoro).
In generale era stata privilegiata la manodopera femminile. La Democrazia Cristiana aveva
scoperto la vocazione tessile della Valsugana. La scoperta dell'acqua calda visto che molti centri del
Trentino avevano avuto una filanda con l'allevamento del baco da seta o una macera tabacchi… E
così, Comuni come Telve e Grigno pagarono un grosso contributo all'emigrazione di manodopera
maschile.
Grigno, per decisione unanime del Consiglio Comunale, sindaco il geometra Enzo Comunello,
sul finire del 1967 aveva minacciato di uscire dal Consorzio: le assunzioni di suoi residenti, che
dovevano essere effettuate secondo una ripartizione proporzionale al numero degli abitanti dei
singoli comuni aderenti (Grigno e Tezze contavano allora 2800 abitanti) e al contributo versato
(oltre un milione all'anno per Grigno), erano state di sole 2 unità su 850 nuovi posti di lavoro (tra
Industria Generale Ceramiche di Borgo, lanificio Baur-Foradori e calzificio Malerba).(2) E cinque
anni dopo Grigno prese atto che “la zona industriale c'è, mancano solo le fabbriche! L'apposito
consorzio per lo sviluppo della Bassa Valsugana ha fatto poco per favorire l'insediamento delle
necessarie aziende. C'è anche da sottolineare che l'area a disposizione dei futuri stabilimenti è
priva di qualsiasi attrezzatura.“ Così riportava l'Alto Adige nell'edizione del 15 gennaio 1972. Lo
sviluppo era stato caratterizzato da una eccessiva polverizzazione delle aziende e dai limiti di una
programmazione disordinata e non pensata tenendo conto delle aspettative dell'intero comprensorio,
con diversi Comuni che avevano preferito la scorciatoia “dell'industria purché venga”; e avevano
proceduto con assunzioni clientelari, continuando nella stessa direzione anche dopo il varo della
legge 300 (Statuto dei Lavoratori). Due terzi dei 21 comuni del Comprensorio erano riusciti a
ottenere nuovi insediamenti, mentre 7 ne rimanevano ancora completamente privi: Bieno,
Novaledo, Ronchi, Samone, Telve di Sopra, Torcegno e Roncegno.
La zona era interessata inoltre dai fenomeni di pendolarismo, sottoccupazione, disoccupazione
(oltre 2000 disoccupati all'inizio del decennio) e lavoro a domicilio. Si aggiunga inoltre la diversità
di trattamento e di rapporto di lavoro tra industria e artigianato (in quest'ultimo settore raramente gli
operai riuscivano ad avere un contratto di lavoro) o tra operai che facevano lo stesso lavoro: i
dipendenti della “3 p” (porcellane) di Ospedaletto per esempio ricevevano un salario molto inferiore
a quello dei compagni di lavoro occupati nell'omonima azienda di Milano.(3)
Scorrendo i nomi delle fabbriche di quel periodo, 1965-75, verrebbe voglia di fare per molte
di esse uno studio di …toponomastica archeologico-industriale: “Ditta MAGH spa” (macchine
lavorazione legno-45 dipendenti) e “Pendini” (spalline–ovatte-18) a Grigno; “Manifattura
Porcellana Trentina-3p” (ceramica artistica–29) e “CISA” (scaldabagni-30) a Ospedaletto;
“Giacomella” (roulottes-60) e “Smeralda” (maglieria-8) a Villa Agnedo; “Morando” (confezioni64) e “LAMEL” (livelli-30) a Strigno; “Baur-Foradori” (tessili –60), “Dalsasso” (lanificio–100),
“Cartiera Valsugana” (carta–62) e “SET” (abrasivi–113) a Scurelle; “VIP” (piastrelle decorate–13),
“SAP” (colori e smalti–15), “Pacini ILS” (legname-imballaggi–75), “Valverde spa” (piastrelle-150)
e “Malerba” (calzificio–380) a Castelnuovo; “OMAP” (metri–50) a Telve; “Gasperetti”
(lavorazione artistica del ferro–30), “Cooperativa Artigiana Lavorazione del rame e del ferro” (–
25), “Dionisi” (mobili–29), “Casagrande” (lavorazione artistica del rame–30), “KRISS”
(confezioni–30) e “Ceramiche INGRES” (-145) a Borgo; “Jacopini” a Marter (cava ghiaia e sabbia20); “Menz & Gasser” a Novaledo (marmellate–20); “Granero” (medaglie–30), “Bailo”
(confezioni–70) e “FRIWO” (confezioni) a Pieve Tesino; “Spirale” (calzature in pvc-40) a Cinte
Tesino. Ben 17 su 30 di queste aziende oggi non esistono più.
Sulla “SET” del proprietario iniziale Borioli si potrebbe fare anche una ricerca sociologica sui
comportamenti antisindacali e sulla fantasia applicata nella scelta dei nomi a ogni cambio di
partecipazione azionaria o di proprietà (da “AMMI–Abrasivi”, a “SAMIM” a “SAMATEC” a
“EUROSIC”): si può immaginare con quale punto di riferimento per la clientela.
Molte di queste aziende erano già in crisi, qualcuna migrò prima da Borgo a Levico e poi a
Telve (Chiarion), o da Borgo a Strigno o Scurelle (Dionisi-Conte). In alcune si lottava, oltre che per
il salario, anche per contrastare la nocività del processo produttivo o dei prodotti usati e per limitare
i continui infortuni. In qualcuna non si lottò per niente, perché il sindacato era assente (ad esempio
alla “Gasperetti”, come riportato dall'Alto Adige il 16 novembre 1975). Qualche imprenditore,
fallito in altra vallata, in Valsugana si poté rifare una verginità e, coperto di denaro pubblico, riprese
a ...imprendere!
Per quanto riguarda la nocività, più di una volta gli operai della “Valverde” e della “SET”
dovettero ricorrere allo sciopero per ottenere provvedimenti. Tra di essi ce n'erano alcuni rientrati
dall'estero che erano particolarmente sensibili ai problemi della salute e mal tolleravano le continue
angherie e gli impegni raramente rispettati: così per 101 operai della SET partì per Trento un
fascicolo, rimasto per più di un anno nelle mani del pretore di Borgo dott. Guastella, con
imputazioni a loro carico che andavano dall'“occupazione” dello stabilimento, al “danneggiamento
impianti” e alla “violenza privata”.(4)
Molte aziende ricollocando i terreni e i capannoni avuti quasi gratis da Comuni e Provincia
andarono ad alimentare la fiera-mercato delle compravendite. Non a torto, per alcuni casi si parlò di
“fondamentale indole avventuriera e rapinatrice di certi padroni che hanno scelto la nostra valle
per trarre maggiori profitti, sfruttando a basso costo la forza lavoro“. Si veda a questo proposito il
documento del PCI sulle industrie locali scosse dalla crisi, pubblicato dall'Alto Adige” nell'edizione
del 16 novembre 1975. Ma qualcuno nella DC locale pensava solo a non lasciare la classe operaia in
mano a “scalmanati ed irresponsabili agitatori sindacali“ che, secondo lui, minacciavano di
rovinare la sottile e delicata intelaiatura dell'economia nazionale! Così si espresse l'allora sen. Remo
Segnana alla riunione del Comitato comprensoriale della DC, secondo quanto riportato dall’Alto
Adige” del 17 dicembre 1971.
Da notare che i partiti di sinistra presenti in Consiglio Provinciale s'erano battuti perché i
terreni non fossero concessi in proprietà alle aziende: doveva essere loro concesso solo un diritto di
superficie in modo che, se l'industriale falliva o si spostava in altri lidi, tutto sarebbe ritornato al
Comune o alla Provincia. Niente da fare: così facendo gli insediamenti non sarebbero stati
appetibili! Da notare tra l'altro che la legge sulle zone depresse prevedeva l'esenzione decennale
dall'imposta di ricchezza mobile e molti disoccupati erano allora in lista di attesa: un affare in tutte
le maniere per gli industriali! Ci si domandava inoltre come mai con tutti gli imprenditori che si
erano dovuti o voluti “importare” non si fosse pensato subito di istituire una scuola, magari accanto
all'ENAIP, in collegamento con l'Università, per giovani del posto da avviare a quell'imprenditoria
necessaria a realizzare uno sviluppo armonico della Valsugana. Giovani intelligenti e capaci non
mancavano, e così dicasi per i soldi… a questo proposito, sarebbe interessante fare il calcolo dei
miliardi spesi a vario titolo da Comuni e Provincia per l'industrializzazione della Bassa Valsugana e
valutare la ricaduta occupazionale nel tempo.
L'agricoltura si trascinava tra contributi clientelari e tra un “piano verde” e l'altro. Un turismo
quasi assente o, quando andava bene, di passaggio e di brevi periodi nel Tesino e a Roncegno: in
Val di Sella, ad esempio, cambiò ben poco anche dopo l'arrivo del “Giro d'Italia” del 1974, unica
tappa quell'anno ad arrivare in terra trentina! In quegli anni si scoprì anche la vocazione della
Valsugana all'allevamento del suino. Si cominciò con la “porcilaia” di Ospedaletto: un miliardo e
trecento milioni di contributi della Provincia, nessun maiale prodotto! Ingrassò qualcun altro… Su
quell'area si insedierà più tardi la “Erredì” (lavaggio jeans). Una vera “porcilaia” sorgerà, tra molte
proteste, in quel di Borgo, per la “necessità di agevolare lo sviluppo delle attività accessorie del
caseificio“: così si rispose ai contestatori...
L'artigianato (quello artistico) a Borgo aveva conosciuto uno sviluppo eccezionale per opera
del cav. Egidio Casagrande, imprenditore intelligente, fantasioso e pieno di iniziative. La ditta da lui
fondata aveva dato occupazione a oltre un centinaio di operai con lavori e opere artistiche richiesti
in Italia e anche all'estero. A cavallo tra il 1968 e il 1969 (l'impresa era passata nelle mani della
moglie, dopo la prematura scomparsa del titolare nel 1961) gli operai scesero in sciopero per il
contratto: orario di lavoro e durata delle ferie, versamenti INPS e GESCAL, 1200 lire al mese di
aumento salariale! Va dato atto che la titolare della azienda fu sul punto di portare a termine la
vertenza con le maestranze e con i loro rappresentanti sindacali in modo soddisfacente per tutte le
parti, ma venne dissuasa da alcuni proprietari di imprese artigianali della zona che le assicurarono
tutto il loro appoggio in caso di resistenza. A questo seguì l'occupazione della fabbrica e, dopo
alcune settimane di trattative inconcludenti, un blocco stradale tra Borgo e Roncegno con la
solidarietà degli operai della SET, della INGRES, di altri consigli di fabbrica e degli studenti di
Sociologia di Trento. Il giorno seguente (15 aprile 1969) Ferruccio Gasperetti, proprietario di una
fabbrica per la lavorazione artistica del ferro a Borgo, salì sul balcone del Municipio di Borgo
(allora situato in Corso Ausugum) e arringò la folla fatta affluire da vari centri della valle. I
convenuti si diressero contro operai e sindacalisti. Il risultato del raid fu il ricovero in ospedale di
Bruno Pedrotti della CGIL e di Marco Vanzo della CISL: quest'ultimo con evidenti segni da
strangolamento. “CGIL via dal Borgo” scrisse una mano anonima sulla porta della Camera del
Lavoro in Via Fratelli. Si sperimentò in quell'occasione un modello rudimentale di guardia civil.
Il sindaco cav. Alfredo Istel fece giustizia di tutte le mistificazioni fatte circolare in quelle
giornate dichiarando in pieno Consiglio Comunale che “alla soluzione della vertenza ostò non
l'assoluta inconciliabilità delle richieste operaie con le possibili concessioni padronali ma, e questo
potrà sembrare incredibile, la manifestata decisione (sollecitata da altri datori di lavoro della
zona) di non addivenire a un accordo con dei dipendenti che, per tutelare i loro interessi, sono
ricorsi alle organizzazioni sindacali ritenute indesiderabili nella borgata“(5).
Gli operai della valle erano avvertiti: per difendere i loro diritti dovevano rivolgersi alle
associazioni degli industriali o degli artigiani! Dalla serrata, dopo qualche mese si passò alla
riapertura: gli operai ribelli furono… dimenticati fuori dalla “resuscitata” fabbrica. In 22 fondarono,
pur tra molte difficoltà, la “Cooperativa Artigiana Lavorazione del rame e del ferro”, con la
fideiussione del nuovo Consiglio Comunale, uscito dalle elezioni dell'8 giugno 1969. Il primo
esempio nella valle.
A Trento, con Bruno Kessler presidente dell'esecutivo provinciale, la programmazione era
giunta a livelli poi rimasti insuperati: basti ricordare il Piano Urbanistico Provinciale del 1967. Il
politico “noneso” sapeva cercare la collaborazione di persone intelligenti, capaci e, cosa ormai rara
di questi tempi, oneste. Anche nell'ambito della programmazione degli impianti sportivi, l'allora
assessore alle Attività Culturali e Sportive Guido Lorenzi, reduce dal “I° Convegno Provinciale
sullo Sport“ (8 luglio 1973), elaborò uno studio approfondito e ricco di idee (“Lo Sport nel Trentino
– aspetti e ipotesi di sviluppo”) nel quale si cominciò a parlare di “sport come servizio da rendere
disponibile a tutti i cittadini”. Fu fatto un censimento degli impianti esistenti, indicando gli
interventi da effettuare e i costi (preventivo tredici miliardi di lire di allora). Un programma da
rivisitare: per quei tempi anche un investimento occupazionale oltre che positivo per la salute
pubblica. A Borgo con Giorgio Zottele sindaco le idee non mancavano e nel Consiglio Comunale,
per la prima volta eletto con il sistema proporzionale, furono rappresentati tutti i partiti della
borgata: 11 seggi alla DC, 2 al PCI, 2 al PSI, 2 al PRI e 3 al PPTT. (6)
Entrarono in Consiglio ben due operai della “Casagrande”: Angelo Peruzzo e Mario Rizzon.
La DC ottenne poco più del 50% dei voti: mai aveva avuto una percentuale così bassa e in varie
circostanze durante la legislatura diede segni di insofferenza. Si discusse subito di programma di
fabbricazione, asilo nido, biblioteca, attraversamento superstrada, scuole superiori e di impianti
sportivi. Venne deciso che gli impianti dovevano essere comprensoriali, esposti al sole (per avere
circa due mesi in più di possibile attività all'esterno), dovevano essere costruiti a gradoni, compresa
la piscina coperta, nella zona tra Borgo e Telve. Il progetto fu osteggiato proprio dalla DC degli altri
paesi: mal di campanile che fece perdere vent'anni! Il problema dell'occupazione fu messo subito al
primo posto: nei programmi elettorali della DC e del PSI si era parlato della necessità di insediare
una grande fabbrica che riequilibrasse il divario tra l'occupazione maschile e quella femminile.
Zottele già in una comunicazione nel Consiglio Comunale del 12 marzo 1970 accennò alla
possibilità dell'insediamento di una acciaieria con 150 occupati, oltre a quelli che avrebbero trovato
lavoro nell'indotto: trasportatori e meccanici. In precedenza però si era parlato di 400-500 occupati
e immaginato che la fabbrica dovesse completarsi con il laminatoio. Spesa prevista per
l'insediamento 5 miliardi. I titolari dell'azienda, Fenotti e Comini, avevano già avviato le trattative
con l'ENEL per la fornitura dell'energia elettrica e con gli istituti di credito per il finanziamento.
L'area prescelta era situata a ovest del centro abitato.
Sorsero subito delle perplessità specie per quanto riguardava il possibile inquinamento e
bisogna riconoscere che tutte le forze politiche rappresentate in Consiglio Comunale a Borgo si
posero in varie circostanze tale problema. Da notare che esisteva già il “Comitato Regionale
Inquinamento Atmosferico” (CRIA) che aveva il compito di controllare e far rispettare le norme in
vigore. C'era un certo malumore specie da parte degli albergatori di Roncegno e il sindaco di
Roncegno Vettorazzi cercava di convincere gli altri sindaci a dirottare la fabbrica in quel di Grigno.
Ma se era per l'inquinamento, sarebbe stato un guaio peggiore insediarla proprio nel punto più
stretto della valle! In un primo tempo l'acciaieria doveva realizzarsi a Rovereto, ma quel Comune
declinò l'offerta per mancanza di manodopera. Anche la proposta della piana rotaliana fu scartata
per mancanza di collegamenti ferroviari.
Nel settembre 1970 si formò un Comitato spontaneo di operai e studenti per seguire da vicino
la questione. Presieduto da un operaio dell'INGRES, Francesco Bertagnolli, il comitato fu però
subito assorbito dal sindacato nelle persone di Ugo Panza per la CGIL e Vittorio Fronza per la
CISL, e gli studenti in esso ammessi furono solo quelli dell'ENAIP (quando si parla di divisione
capitalistica del lavoro…). Erano rappresentati anche le ACLI e varie commissioni interne di
fabbrica. “Per un approfondito esame della situazione determinatasi a seguito delle remore
interposte ad una sollecita realizzazione in Borgo dell'atteso insediamento di un'acciaieria“, il
presidente provvisorio del Comitato convocò un'assemblea pubblica domenica 8 novembre 1970
alle ore 9.30 presso l'oratorio parrocchiale di Borgo. Tutti i cittadini interessati al problema, e in
modo particolare gli operai, i pubblici amministratori, gli esponenti dei vari settori economici,
furono invitati. La riunione, tra l'altro affollatissima, rimase memorabile specialmente per la
dichiarazione di Vettorazzi, presidente del Consorzio per l'Industrializzazione e al quale si
attribuivano la “remore” nei riguardi dell'acciaieria, che lasciò tutti di… princisbecco: “non solo il
Consorzio è favorevole all'insediamento, ma se ne è interessato per primo versando i primi denari
per progetti, studi, pratiche varie. La società “Acciaieria Valsugana” è poi già costituita presso il
Consorzio con lo stanziamento di 500 milioni“.(7)
Anche l'assessore Lorenzi assicurò tutto l'appoggio della Giunta Provinciale. Zottele in
quell'occasione fece un intervento appassionato sulla grave crisi occupazionale della zona. Il
geometra Stirpe, funzionario dell'Assessorato all'Industria, fece una disamina accurata anche dei
fattori negativi dell'insediamento: “i forni elettrici produrranno solo polvere inerte decantabile in
un'area che potrà andare dai 500 ai 1000 mq“. Di una certa entità il fumo del forno a nafta che
però avrebbe funzionato solo per 50 ore al mese, e in seguito avrebbe funzionato a metano. Si parlò
anche della possibilità di usufruire dell'acqua reflua per il riscaldamento di edifici comunali, ma poi
non se ne fece nulla. Nessun intervento in quella giornata venne da parte di chi era contrario:
qualche associazione ambientalista (Italia Nostra) e così pure i socialdemocratici di Roncegno si
faranno sentire tre anni dopo a cose già in via di realizzazione. Come dire “del senno di poi...” (8)
Quello che sarà sempre un mistero è come mai a Roncegno il sindaco Vettorazzi, favorevole
all'insediamento come presidente del Consorzio Industrializzazione, riuscì a non far esaminare mai
la questione in un Consiglio Comunale dove quasi tutti i componenti erano contrari.
L'acciaieria era osteggiata perfino dal suo vice sindaco Luigi Baldessari del PSI: Vettorazzi
menava vanto di aver fatto il primo centrosinistra del Trentino proprio a Roncegno (anche se
nessuno se ne è mai accorto…), un centrosinistra di tipo domestico. Davanti a una situazione del
genere ci potevano essere tutti gli ingredienti per una crisi di giunta. Ma qualcuno lavorava, come si
suol dire, su due forni. Da notare che il Partito Socialista, a livello provinciale, diede il via libera
all'acciaieria. Illuminante a questo proposito è la corrispondenza da Trento su L'Avanti del 15
novembre 1970 a firma Walter Micheli: “il problema a questo punto non è evidentemente quello di
rifiutare l'insediamento, ma di costringere l'azienda a mettere in atto tutti quegli accorgimenti atti a
tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori della fabbrica senza alterare le condizioni ambientali
e paesaggistiche indispensabili al rilancio della prevalente attività turistica oggi tra l'altro in crisi
in alcuni comuni della Valsugana“.
Per un certo periodo il sindacato in Valsugana passò nelle mani di Sandro Schmid della CGIL
e di Giuseppe Mattei della CISL. Fu un periodo di grande solidarietà tra i lavoratori delle varie
fabbriche. Nacque anche il comitato di valle per la “Pastorale del Lavoro” sotto la guida di don
Giuseppe Grosselli, sempre presente dove c'erano operai in lotta per il posto di lavoro. Il direttivo di
Borgo delle ACLI, che proprio in quell'anno al convegno di Vallombrosa avevano scelto
l'abbandono del collateralismo con la DC, in data 19 ottobre 1970 e alla presenza dell'allora
presidente provinciale dott. Guido Agostini, rese pubblico un documento a riguardo della questione
dell'acciaieria in cui “a conoscenza che da taluni ambienti vengono avanzate perplessità o remore
circa l'opportunità di detta installazione, volendone riscontrare un supposto pericolo per la salute
degli abitanti della zona, nonché un possibile pregiudizio allo sviluppo turistico di alcuni centri a
ciò particolarmente interessati quali, ad esempio, Roncegno, il tutto non disgiunto da un sicuro
influsso negativo sulle caratteristiche paesaggistiche e ambientali della valle, rifiuta con voto
unanime dei propri componenti tale valutazione.
Pur avvertendo la necessità che sia garantita l'integrità fisica dei lavoratori occupati nel
nuovo stabilimento e delle popolazioni insediate nelle vicinanze, ritiene che la adozione di moderni
sistemi di depurazione e filtraggio possa ovviare (cosa, del resto, ampiamente sperimentata anche
nella nostra regione) agli inconvenienti possibili. Chiede pertanto che siano proseguite fino a buon
fine, le trattative in corso e che sia fatto tutto il possibile affinché la nuova industria venga ad
offrire gli auspicati nuovi posti di lavoro a sollievo della disoccupazione e quale alternativa
all'ancor così diffuso triste fenomeno della emigrazione della mano d'opera maschile della valle. Le
autorità locali, provinciali e regionali – si auspica – non vorranno deludere queste legittime
aspettative della classe lavoratrice della Bassa Valsugana”.
La Confederazione sindacale proclamò uno sciopero generale nella Bassa Valsugana per il 2
febbraio 1971: obiettivi l'industrializzazione, il risanamento delle aziende malate e “la
partecipazione dei lavoratori alle decisioni che interessano la valle“ (alla qual cosa nessuno aveva
mai pensato!). Manifestazione e comizio si tennero a Borgo in Piazza S. Anna (ora piazza Martiri
della Resistenza). Anche il Comitato per la Pastorale del lavoro, in quell'occasione, invitò i
“battezzati” a partecipare.
Seguì poi lo sciopero provinciale e da Borgo partì un pullman di operai e studenti. Partecipò
anche Zottele. E fu una cosa rara vedere un sindaco a fianco degli operai, camminare con la fascia
tricolore in diagonale, fra slogan contro la DC e i padroni! Contro i sindacalisti del periodo veniva
scandito “Fronza, Panza, andate in vacanza”.
Intanto il progetto del costruendo stabilimento fu approvato dalla Provincia e il Consiglio
Comunale di Borgo, il 21 marzo 1972, fu chiamato a esprimersi sulla domanda di acquisto dei
terreni presentata da Oscar Comini, amministratore delegato della “Fenotti e Comini” di Brescia: si
sarebbero prodotti acciai speciali con inizialmente 100 unità lavorative e altri 60 dipendenti a
programma ultimato. L'investimento iniziale era di lire 2.493.000.000 su un terreno di 98.762 mq.
La proposta fu approvata con il voto unanime dei presenti, 18 su venti. Assenti giustificati Rizzon e
Zotta. Comini era proprietario di due acciaierie in quel di Brescia, una delle quali a Nave, e il
Consiglio di Fabbrica di lì fu invitato a Borgo dalla FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici,
ora FIOM) di Trento per un pubblico dibattito. Dipinse un quadro abbastanza preoccupante del
padrone sia sotto l'aspetto sindacale che nei riguardi del controllo sull'inquinamento. E presentò un
libro bianco sulle vertenze alla “Fenotti e Comini” dal 1971 al maggio 1973 dal titolo significativo:
“il fascismo si batte anche in fabbrica”. Da notare che in quegli anni alcuni eventi facevano ritenere
che “c'era il disegno fascista di fare di Brescia una centrale operativa del terrorismo e
dell'eversione su scala nazionale“(9) e la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 con 6
morti e 40 feriti ne fu purtroppo una prova. Nella acciaieria di Comini, le serrate si susseguivano
quasi a ogni rinnovo di contratto. “Quando nella sua fabbrica di Nave (320 operai) c'è uno
sciopero, gira con la pistola in tasca e filma chi rimane di là dei cancelli... Con i sindacalisti si
rifiuta di discutere. Molti lo indicano come uno dei finanziatori del MSI e dei gruppi neofascisti.“
(Alto Adige 9 settembre 1973). Paese che vai, padrone che trovi… Fu condannato assieme ad altri
proprietari di acciaierie per inquinamento. Per un precedente di omicidio colposo, nel suo caso non
poté scattare la condizionale: Comini si rese irreperibile e nell'agosto del 1973 fu raggiunto dalla
“grazia” del Presidente della Repubblica del tempo, Giovanni Leone, prima che varcasse la soglia
del carcere. Come poteva il Brescia Calcio restare…orfano del suo presidentissimo…? C'era da star
poco allegri, anzi c'era da stare in guardia!
E guardingo si dimostrò anche il gruppo lavoro dei giovani DC che fece una visita guidata in
quel di Montichiari, dove Comini possedeva l'altra acciaieria (60 occupati) ma, guarda caso, senza
che il sindacato avesse ancor potuto metter piede. A guidare la delegazione fu “l'urgenza di una
obiettiva informazione della pubblica opinione […] impegnati di persona a verificare in loco quali
siano le reali condizioni di lavoro e quali i possibili danni che un'installazione del genere può
provocare nell'ambiente circostante“. Al ritorno i giovani DC rilasciarono un'intervista da Borgo al
loro giornale (l'Adige, 24 ottobre 1973): “gli operai lavorano in un ambiente accettabile e senz'altro
difforme da quanto si poteva immaginare“, dichiarò Giuseppe Nicoletti, accompagnatore di Borgo.
Lo aveva impressionato “la dimensione degli impianti di filtraggio piuttosto notevole e tale da far
pensare ad un secondo stabilimento. Ho notato inoltre che la vegetazione in prossimità della
fabbrica non presenta alterazioni di sorta pur non dimenticando che, mentre l'entrata in funzione
del forno risale a poco più di un mese fa, il laminatoio esiste già da alcuni decenni con un forno di
riscaldo funzionante a nafta.“ Il geometra Paolo Acler di Levico, nella stessa intervista, suggerì
però “all'autorità che dovrà rilasciare la licenza di agibilità della fabbrica e degli impianti, di
attenersi scrupolosamente ai pareri del C.R.I.A. e di concedere tale licenza per un periodo di tempo
limitato – sei mesi – in maniera tale da avere effettivamente degli strumenti validi ad impedire ogni
inconveniente…“. Come si vede le proposte serie non mancavano!
Nell'ottobre di quel 1973 le strutture portanti dell'acciaieria erano già innalzate. Nel 1976
entrò in funzione: la proprietà passò in seguito da Comini a Leali. Non si sa se gli eredi del Palazzo
si attennero scrupolosamente alle norme del C.R.I.A. e se misero in atto tutti i dispositivi di legge
per i dovuti controlli. Fatto è che nell'agosto del 1990 il Pretore di Borgo dott. Fabio Biasi decretò
la chiusura dello stabilimento per inquinamento. Fu riaperto dopo che fu installata la apposita cappa
aspirante.
Come succo di questa storia, sarebbe da chiedersi con quali criteri fu profuso il denaro
pubblico nelle varie iniziative per lo sviluppo economico e sociale della valle… In due interventi su
l'Adige del 9 dicembre 1990 e del 10 febbraio 1991, dal significativo titolo “Parola di ex
governatore”, che ruotavano sul tema “la crisi delle istituzioni come crisi della intelligenza della
politica”, Bruno Kessler ebbe a dichiarare: “Se questa Provincia avesse avuto meno soldi sarebbe
stata costretta ad usare maggiormente la testa. Di questo ne sono convinto.“ (10)
Ovverosia “le tribolazioni aguzzano il cervello” di manzoniana memoria.
Note
1. Cfr. La tragedia di un popolo, Trento, Eurographik 1966 e Flavio Faganello, Immagini di un'alluvione
1966-99, Trento, Consiglio PAT, 1999.
2. Nel 1971 si acquisirono le aree per la zona industriale.
3. Vedi studio del “Consiglio di zona Bassa Valsugana” (14 gennaio 1974) e l'Alto Adige del 20 gennaio
1974.
4. Alto Adige, 14 novembre 1972.
5. l’Adige, 19 e 20 aprile 1969.
6. Per la DC entrarono in Consiglio Comunale: Giorgio Zottele, Amedeo Galante, Sergio Tomio, Giorgio
Segnana, Giampaolo Battisti, Bruno Nicoletti, Giuseppe Armellini, Remo Dietre, Elisa Comunello,
Andrea Rigo e Mario Zotta. Per il PCI: Alessandro Boneccher e Mario Peruzzo. Per il PSI: Mario
Rizzon e Giuseppe Sittoni. Per il PRI: Roberto Cristofoletti e Massimiliano Apolloni. Per il PPTT:
Aldo Masina, Mario Armellini e Camillo Dandrea.
7. Alto Adige, 11 novembre 1970.
8. Alto Adige, 4-7-20 ottobre 1973.
9. L'Espresso – 2 giugno 1974.
10. Giampaolo Andreatta, Bruno Kessler. “No al Trentino piccolo e solo”, Milano, Mondadori, 1993.