La musica non è una cosa seria: A Capate nel

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La musica non è una cosa seria: A Capate nel
22/1/2017
La musica non è una cosa seria: A Capate nel Muro con Tonia Cestari (Parte 2)
La musica non è una cosa seria: A Capate nel Muro con Tonia Cestari
(Parte 2)
 Francesco Orlando
 22 gennaio 2017
 Cultura, Prima Pagina
La ragazza nella foto con la chitarra in mano è Tonia Cestari, quando l’ho intervistata ad
ottobre come un fesso ho dimenticato di fare una foto insieme e così ne ho scelto una di
repertorio, per la precisione qui si sta esibendo al Premio Pierangelo Bertoli. Tonia con la
sua band in questi due mesi è arrivata alle semifinali del Tour Music Fest, ha vinto la
Targa Fan Club al Premio Pierangelo Bertoli, ha aperto il concerto della Maschera a
Napoli e ha fatto tanto altro (No! Non è che sono lento a scrivere, è lei che è molto brava).
Se vi siete persi la puntata precedente la trovate qui .
1. McFerrin e io, Vuoimi Bene.
Siamo ancora al Boomerang, è ancora ottobre ed io sto ancora parlando con Tonia. Abbiamo appena finito
di bere i nostri caffè macchiati e di aggiornarci sulla sorte di nostre comuni conoscenze. È ora di
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La musica non è una cosa seria: A Capate nel Muro con Tonia Cestari (Parte 2)
riprendere la nostra intervista e dato che la pausa mi ha scombinato un po’ l’ordine delle domande decido
di prendere del tempo e di chiederle della volta in cui ha cantato con Bobby McFerrin.
T: Lì è stato assurdo! Sono stata molto fortunata. McFerrin a metà concerto inizia a chiamare la gente sul
palco per farla cantare o suonare con lui; così mi sono detta: Tonia, mo’ vai sotto al palco e buttati! Ma il
concerto stava per terminare ed io avevo un po’ perso le speranze, quando ecco che ad un certo punto
McFerrin inizia a cantare “Smile” di Charlie Chaplin e mi dico: “Uà, la voglio fare!” Non finisco nemmeno di
pensarlo, che Bobby mette il foglio a terra con il testo e chiede: “Chi viene a cantare?” Io “Smile” l’avevo
sentita, risentita, proprio quella che conosco meglio, “L’aggia fa’!”. Così gli ho chiesto di poter salire sul
palco e quando lui mi ha detto di si, ho lasciato la telecamera ad un signore a caso della prima fila, senza
sapere chi fosse o se sapesse fare i video. Sono salita sul palco e ho cantato con Bobby McFerrin. Esiste un
video su YouTube che riporta le immagini di quel momento. Nel tragitto dal teatro a casa mia tante
persone mi hanno fermato e fatto i complimenti; quella è stata l’unica volta in cui ho pensato “Mo’ posso
pure murire!”.
Io: Facciamo come nei migliori film polacchi, un salto indietro ad un tuo primissimo pezzo, forse il
primo che ho sentito, “Vuoimi bene”…
T: No vabbè questa non la possiamo mettere! (dopo varie insistenze…, ndr) E va bene! Vuoimi bene è
nata a Salisburgo nel 2012 ed è una canzone di scuse. Quello che uso nel titolo è un termine che non
esiste nella lingua italiana, di solito uno dice “Non odiarmi, vogliamoci bene!” A chi non capita di fare delle
cazzate e di chiedere scusa? È una canzone molto semplice, su due accordi, strofa ritornello, strofa
ritornello, è una ballad. Dura pochissimo, ma per me resta sempre la mia figlia più genuina e vera. Ancora
mi chiedo come mi sia uscita. Io spero di metterla quanto prima in un disco, anche chitarra e voce. Questa
canzone mi dà tutto quello di cui ho bisogno per esprimermi.
Io: Una delle cose che mi ha colpito è la tua presenza scenica, o meglio, il modo ironico in cui canti
le tue canzoni. Sembra quasi che tu stia recitando…
T: Sì, l’interpretazione è quasi sempre ironica. Nessuno lo sa ma io ho un diploma in teatro. Non lo dico
mai, perché quando ho frequentato il corso ero molto piccola, ma evidentemente qualcosa mi ha lasciato.
Ho scelto di esternare il mio lato giocoso per esorcizzare la tristezza che emana il cantautore standard.
Io: Ce ne sono già troppi!
T: Un cantautore è sensibile di base è normale che ci si lasci andare alla propria sensibilità… anche nel
cantautore triste c’è verità e tutto quello che è verità va apprezzato! Preferisco dare un tocco di
freschezza, sempre ragionata, poi se trovo il pubblico predisposto alle ballate intime, ne ho eccome. Sono
triste anche io
2. Mamma sono a Sanremo con la mia Band!
Io: Un anno fa guardavo Blob che faceva uno speciale su Sanremo e all’improvviso, dopo che non ti
vedo per anni, appari in televisione su Rai 3 che presenti la tua band e inizi a suonare. Come sei
arrivata a Sanremo e di conseguenza nella mia televisione?
T: Casa Sanremo è un’ hospitality, una struttura in cui ci sono vari stand e c’è un palco dove potersi
esibire. Abbiamo saputo di quest’evento due mesi prima di prenderne parte tramite l’Università di
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Salerno. Quello che si vede in TV è un quarto di quello che succede durante il Festival di Sanremo. Lì vedi
radio, festival, artisti di strada. Non significa andare al Teatro Ariston, ma vivere esperienze assurde,
meravigliose. Una è stata quella di Blob. Quando siamo passati fuori l’Ariston abbiamo scoperto che in
mezzo alle persone che aspettavano i cantanti al red carpet, c’era anche la telecamera di Rai 3 che
riprendeva gli artisti emergenti fuori il teatro. Io: Una cosa che ho notato, dato che ti seguo da un po’, è la tua band, che nel corso degli anni è
cresciuta sempre di più…
T: Sì! La band attuale è formata da Ilaria Venuto (violino), Rossella Scialla (percussioni), Eugenio Fiorillo
(basso) e Elio Severino (batteria). In realtà sono sempre stata fortunata sotto questo punto di vista, il
progetto all’inizio era nato con Gianluca Santangelo (Se non sapete chi sia è perché vi siete persi
la puntata precedente, ndr), poi Gianluca si è trasferito a Milano per motivi di studio e non ha potuto più
suonare con me, però mi ha fatto conoscere Ilaria ed io ho iniziato a suonare con lei. Abbiamo fatto
qualche serata e delle piccole rassegne, ossia degli eventi legati da un filo conduttore, come “Pile di Pile” in
cui andavamo in giro per i locali in pigiama, le coperte, i pupazzi e la gente sentiva di essere nella propria
stanza, in un caldo locale contrastante con l’inverno di fuori. Un altro evento è stato “The Wall of
Spotifame” in cui abbiamo costruito con dei palloncini un grandissimo smartphone con il logo “pezzotto”
di Spotify e il pubblico sceglieva dalla playlist che avevamo preparato la canzone che voleva ascoltare,
come se stesse scegliendo la musica dal proprio cellulare.
3. Torna a Caserta.
Io: Una domanda che rivolgo un po’ a tutti (a due persone fino ad ora): qual è il rapporto che hai
con la tua città, con Caserta?
T: Io ho sempre osannato Caserta, perché anche se ha tanti difetti e la cultura non è proprio una parola
chiave per chi la gestisce, però mi ha dato tanto. Anche se non posso generalizzare, posso parlare delle
persone che mi hanno dato tanto. Caserta è una città molto severa di base, devi essere pronto a capire
quali segnali ti sta mandando. A Caserta ci sono anche dei teatri, associazioni che stanno con l’acqua alla
gola, persone che hanno il coraggio di fare tanto.
Io: Sono degli eroi…
T: Sono gli eroi di chi respira ed ama la cultura. Si tratta di realtà che hanno bisogno di resistere perché
sono fondamentali per mantenere alto il livello culturale della città. In sintesi, apprezzo la mia città grazie
agli eroi che ci sono e fanno cultura e non per le istituzioni o quelli che non danno una mano.
4. A Volte Ritorno, Alta fedeltà e come nasce una canzone.
Io: Pensando a titoli come “Faccia d’ebete” e “Vuoimi bene”, che in parte abbiamo chiarito, come
nascono le tue canzoni?
T: Sono esperienze personali, vere, che nascono dal bisogno e dalla voglia di esprimermi. L’iter è: l’idea,
poi la musica ed infine il testo. L’idea è la prima cosa, perché è quella che dà l’andamento della musica:
una idea incazzata fa uscire una canzone incazzata. Non capita mai che lasci la musica senza testo perché
penso che entrambe debbano nascere dallo stesso sentimento. Mi spiego: se tu lasci la musica a sé stessa
e poi non ti senti più così quando ci rimetti mano dopo un mese, cosa può nascere da quella musica?
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Difficile. Scrivere una canzone per me è quasi sempre un atto liberatorio.
Io: Le tue nfluenze musicali le conosciamo, mentre quelle letterarie?
T: Non leggo molti romanzi, ho sempre letto libri didattici, manuali e testi teatrali. L’ultimo libro che ho
letto è “A volte Ritorno” di John Niven, consigliatomi da un amico.
Io: Mamma mia! La parte in cui Gesù suona Born to Run di Springsteen mi ha gasato per giorni.
T: Io quel libro lo trovo geniale. Un altro autore che adoro è Hornby, di suo ho letto “Alta Fedeltà”.
Io: ecco, finiamo così, con Hornby. Lui all’inizio di “Alta Fedeltà” parla di come la musica abbia
influenzato la nostra concezione dell’amore.
T: Ci ho scritto una canzone, “L’amore è bello” in cui c’è la frase “Diceva Hornby che si piange di più per le
canzoni che per tristi situazioni “. Credo nel potere catartico della musica triste. E’ necessaria, ma non
bisogna dimenticare l’ironia, perché non si può piangere più del dovuto, cosa che, come dice Hornby, le
canzoni d’amore spingono a fare. Io poi, quando sono triste evito di ascoltare musica, già alla prima nota
potrei esplodere. Qualche volta è capitato di scrivere canzoni tristi per necessità, ma ho provato a darmi
anche la soluzione nella stessa canzone, altrimenti dovrei spararmi!
L’intervista finisce, lascio Tonia ai suoi impegni e torno a casa. Mentre cammino verso la mia dimora mi
viene in mente un episodio, risalente ad otto anni fa, forse. Siamo in macchina e stiamo tornando dal
corso di inglese, Tonia ha da poco preso la patente e si è offerta di darci un passaggio. Mentre torniamo a
casa, Tonia, per l’inesperienza alla guida, frena sempre ad un millimetro dalle altre macchine, io e gli altri
passeggeri la prendiamo in giro perché è una ragazza e non sa guidare. Io rincaro la dose chiamando casa,
dettando le mie ultime volontà. Da solo per la strada inizio a ridere come un fesso fino a quando non mi
accorgo che così sembro un testo di Vasco Brondi.
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