Liceo “Marconi” – AS 2009/2010 – Verifica a casa di filosofia: analisi

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Liceo “Marconi” – AS 2009/2010 – Verifica a casa di filosofia: analisi
Liceo “Marconi” – A.S. 2009/2010 – Verifica a casa di filosofia: analisi di testi
Classe IV A
La prova consiste nel commentare i testi presentati (almeno due dei quali da te
già conosciuti), mettendoli a confronto tra loro. Cerca di restare nello spazio di
una pagina di foglio protocollo.
Fai tesoro delle informazioni apprese in classe, in particolare durante la
presentazione sulla “crisi dell'oggettività”.
- Il primo brano (lunghetto) è dell'umanista GIANNOZZO MANETTI (Firenze, 1396 Napoli, 1459), ed è tratto dal De dignitate et excellentia hominis, opera in
quattro libri terminata nel 1452-53. Il brano, ovviamente, è in traduzione
italiana!
- Il secondo brano lo conosci già: è tratto dall' Amleto di WILLIAM SHAKESPEARE, opera
composta nei primi anni del XVII secolo. Troverai tanto il testo originale quanto
la traduzione.
- Anche il terzo brano è di tua conoscenza: è tratto dall'Apologia di Raymond
Sebond, il più noto dei Saggi di MICHEL DE MONTAIGNE, composti tra gli anni '70 e gli
anni '90 del Cinquecento. Anche questo, ovviamente, in traduzione.
Le domande guida sono: Quale concezione dell'uomo emerge nei tre brani?
Come motivi le differenze nella concezione?
Tempo di consegna: Entro il 9 marzo (e non si può sgarrare!).
Buona lettura e buon lavoro!
1) GIANNOZZO MANETTI
«Ma che dire dell'ingegno sottile ed acuto di quest'uomo così bello e ben fatto? Esso è così
grande e tale che tutto ciò che è apparso nel mondo dopo quella prima e ancora informe
creazione appare trovato prodotto e compiuto da noi mediante quel singolare ed eminente
acume della mente umana. Nostre infatti, e cioè umane perché fatte dagli uomini, sono
tutte le cose che si vedono, tutte le case, i villaggi, le città, infine tutte le costruzioni della
terra, che sono tante e tali, che per la loro grande eccellenza dovrebbero a buon diritto
essere ritenute opere piuttosto di angeli che di uomini. Sono nostre le pitture, nostre le
sculture, le arti e le scienze: nostra la sapienza, lo vogliano o non lo vogliano gli
accademici, che pensavano che nulla affatto può essere conosciuto da noi fuorché, per dir
così, l'ignoranza. Nostre sono infine, per non enumerarle troppo lungamente ad una ad
una, poiché sono quasi infinite, tutte le invenzioni, nostra opera tutti i generi delle varie
lingue e delle varie lettere, i cui usi necessari quanto più profondamente andiamo
ripensando, da tanta maggiore ammirazione e stupore noi siamo trascinati. Infatti quei
primi uomini e i loro antichi discendenti essendosi accorti che non potevano vivere da soli,
senza un reciproco e scambievole aiuto, ritrovarono il sottile e acuto artifizio del parlare,
così da rendere noti a tutti gli ascoltatori, mediante la lingua, per il tramite delle parole, i
riposti sensi dell'intimo dell'anima. Ed essendosi, quindi, come avviene, nel volgere del
tempo mirabilmente moltiplicato il genere degli uomini, abitando in diverse regioni e
province del mondo, fu necessario ritrovare i caratteri degli elementi, con cui potessimo
informare gli amici assenti dei nostri pensieri. Di qui nacquero e si diffusero i vari linguaggi
e le diverse scritture.
Nostri sono, infine, tutti i ritrovati, che ammirabili e quasi incredibili la potenza e l'acume
dell'ingegno umano o piuttosto divino volle costruire ed edificare con una solerzia
singolare ed eminente. Queste cose ed altre simili si vedono da ogni parte sì numerose e sì
belle che il mondo e i suoi ornamenti, trovati e stabiliti da prima da Dio onnipotente per
l'utilità degli uomini e accolti quindi dagli uomini con animo grato, appaiono resi molto più
belli, molto più adorni e di gran lunga più perfetti. E avvenne per questo che i primi
inventori delle arti fossero dagli antichi popoli venerati come divinità, dei quali è più
credibile, come dice Agostino nel VII libro della Città di Dio, che fossero uomini, a ognuno
dei quali venivano decretati sacrifici e riti per l'ingegno, i costumi, le azioni, le vicende, da
quanti adulandoli vollero che fossero dèi.
Che dire poi dell'umana sapienza? Quando l'atto stesso dell'ordinare si ritiene che sia il
compito degno e unico del solo sapiente... Ma, per parlare un po' più diffusamente,
compito del saggio si ritiene che sia organizzare, ordinare e dirigere con la sua singolare
saggezza tutte quante le cose che vengono fatte. E che queste cose che si vedon nel
mondo siano state ordinate e costituite dagli uomini, nessuno negherà. Gli uomini, infatti,
signori di tutto, cultori della terra, la lavorano mirabilmente con la varia e diversa opera
loro e distribuiron campagne e città nei piani, nelle isole e sui lidi del mare. E se noi
potessimo, come con l'animo, così anche con gli occhi vederle e contemplarle, nessuno,
cogliendole in una sola visione tutte quante, come sopra abbiamo detto, potrebbe mai
cessare un istante dall'ammirare e dallo stupire.
[...] Perciò, come è grande e diritta ed ammirabile la ragione e la potenza dell'uomo per
cui abbiamo mostrato essere stato creato il mondo e tutte le cose che sono nel mondo,
parimenti pensiamo e crediamo che sia suo compito giusto, semplice e unico il sapere e
potere governare e reggere il mondo che fu fatto per lui e soprattutto quelle cose che
vediamo costruite in tutta la terra. E questo non potrà a pieno fare e compiere se non
agendo insieme e comprendendo, per cui giustamente diremo che agire ed intendere sono
il compito proprio dell'uomo: e riteniamo e crediamo che sia compito conveniente
all'umana natura l'intendere e l'agire ben più che il ridere, che i filosofi antichi sono soliti
dire propriamente proprio, per usare le loro parole onde meglio spiegarci. Infatti, benché
noi non mettiamo in dubbio che entrambe le cose ugualmente competano a tutti gli
uomini, sappiamo che gli uomini tuttavia giustamente e bene possono adempiere il loro
compito senza ridere, rimanendo uomini. Mentre, senza intelletto, non sarebbero capaci di
farlo e cesserebbero di essere uomini, quando unico compito umano noi pensiamo e
affermiamo essere l'intendere».
[G. Manetti, De dignitate et excellentia hominis, III, tr. it. di E. Garin, in E. Garin, Filosofi
italiani del '400, Le Monnier, Firenze 1942, pp. 238ss.]
2) WILLIAM SHAKESPEARE
«What a piece of work is man!
How noble in reason!
how infinite in faculties!
in form and moving, how express
and admirable! in action how like an angel!
in apprehension, how like a god!
the beauty of the world!
the paragon of animals!
And yet, to me, what
is this quintessence of dust?
Man delights not me...»
«Che sublime capolavoro è l’uomo!
Quanto nobile nella sua ragione!
Quanto infinito nelle sue risorse!
Quanto espressivo nelle sue movenze,
mirabile: un angelo negli atti,
un dio nell’intelletto!
La bellezza dell’universo mondo!
La perfezione del regno animale!
Eppure che cos’è agli occhi miei
questo conglomerato di terriccio?
L’uomo per me non ha alcuna attrattiva…»
[W. Shakespeare, Amleto, II, 2: Amleto, tr. it. di G. Raponi, “Progetto Manuzio”, 1999, qui
p. 47. URL=http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/amleto/pdf/amleto_p.pdf]
3) MICHEL
DE
MONTAIGNE
«Consideriamo dunque per ora l'uomo solo [...]. Che egli mi faccia capire con la forza del
suo ragionamento su quali basi ha fondato quei grandi privilegi che pensa di avere sulle
altre creature. Chi gli ha fatto credere che quel mirabile movimento della volta celeste, la
luce eterna di quelle fiaccole ruotanti così ardentemente sul suo capo, i movimenti
spaventosi di quel mare infinito siano stati determinati e perdurino per tanti secoli per la
sua utilità e per il suo servizio? È possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il
fatto che questa miserabile e meschina creatura, che non è neppure padrona di se stessa
ed è esposta alle ingiurie di tutte le cose, si dica padrona e signora dell'universo, di cui non
è in suo potere conoscere la minima parte, tanto meno comandarla?E quel privilegio che si
attribuisce, di essere cioè il solo in questa gran fabbrica ad avere la facoltà di riconoscerne
la bellezza e le parti, il solo a poter renderne grazie all'architetto e tener conto del bilancio
del mondo, chi gli ha conferito questo privilegio? Ci mostri le credenziali di questo grande
e bell'ufficio».
[M. de Montaigne, Saggi, II, XII, Apologia di Raymond Sebond, tr. it. di F. Garavini, 2 voll.,
Adelphi, Milano 1966, 2007, vol. I, pp. 564-805, qui pp. 580-581.]